Introduzione: A spasso per la storia
3 giorni di escursionismo a scoprire la storia di uomini che nel I° conflitto mondiale combatterono e morirono non solo contro altri uomini, ma anche contro le montagne che li ospitavano.
Attraverso una rete incredibile di trincee e gallerie rivivremo i fatti bellici che coinvolsero il nostro popolo e il nostro territorio dalla primavera del 1917 all’inverno del 1918
Note geografiche
Il massiccio del Pasubio è ben delimitato, a sud-est di Rovereto (TN), dalla Vallarsa, percorsa dal torrente Leno, dalla Val Terragnolo, con il Leno di Terragnolo, e dalla Val Leogra a nord di Schio. La Cima Palon (2232 m), più alta vetta del massiccio, domina la cresta sommitale che con nomi come il Dente italiano (2220 m), il Dente austriaco (2203 m), il Piccolo e Grande Roite (2144 m), il Col Santo (2112 m), rimane indelebile nella storiografia della Grande Guerra. A sud, l'imponente bastionata rocciosa di Fontana Oro e dei Forni Alti chiude l'accesso verso la Val Leogra e la pianura veneta. La strada della Vallarsa, che da Rovereto, attraverso Pian delle Fugazze, porta a Valli del Pasubio e la strada della Val Pòsina, con la deviazione per Colle Xomo, costituiscono gli accessi base per le escursioni al Pasubio. Strade ex-militari come quella per il rifugio Lancia, la strada degli Scarubbi, piuttosto che la strada che da Pian delle Fugazze porta al Rifugio Papa, sono spesso chiuse e comunque richiedon o, per il percorso accidentato, ottima guida e veicoli piccoli, ma agili e potenti. La strada (mulattiera) delle 52 gallerie che da Bocchetta Campiglia porta, in 9 km, a Porte del Pasubio (rif. Papa), è uno dei più bei percorsi di guerra percorribile sull'ex-Fronte.
Note storiche
Il massiccio del Pasubio, in gran parte in territorio austriaco, fu rapidamente sorpassato dalle nostre truppe che nel 1915 portarono la linea del fronte a pochi chilometri da Rovereto e, con trincee in contropendenza, sulle pendici dal Monte Finonchio al Monte Maronia, a Piazza, Valduga, Pinteri, in Val Terragnolo. Nel Maggio 1916 la formidabile spinta dell'armata di Konrad (Strafexpedition), ci fece rapidamente cedere la Vallarsa fino a pochi chilometri da Pian delle Fugazze, che rimase in nostre mani, la Val Terragnolo a la Val Posina, il Col Santo e la maggior parte delle alture del massiccio centrale. Le valorose truppe della Brigata Liguria, al comando del Ten. Col. Papa, trasportata in fretta e furia dal fronte isontino, riuscirono ad occupare prima degli Austriaci Cima Palon e la altura immediatamente a nord di quest'ultima, che diventò da allora il "Dente italiano", separato da una sella dal gemello "Dente austriaco " fortificato dagli austriaci. Il fronte si stabilizzò dall'estremità settentrionale dell'orrido vallone della Lora attraverso il falsopiano Cosmagnon, quindi alla sella tra i due Denti, proseguendo per Buco di Bisorte, Sogli Bianchi, Val Posina. Per oltre due anni gli altipiani sommitali e le cime rocciose divennero terreno di lotta dura e sanguinosa tra le migliori truppe alpine delle due parti. Il Pasubio è giustamente ritenuto l'epopea del Kaiserjäger ma i nostri Alpini, di vari battaglioni, e le altre truppe non furono da meno. Per chilometri quadrati, il terreno, anche se roccioso, appare ancora oggi solcato da aratri giganteschi: sono gli effetti della lotta tecnologicamente avanzata, ma nello stesso tempo di uomini contro uomini, che si svolse lassù. Una esasperante guerra di mine tra i due denti contrapposti si concluse con la mina del 13/03/1918 che vide la parte nord del Dente italiano, sgretolarsi e seppellire decine di nostri soldati, le cui "ossa sbiancate" riposano sepolte nelle gallerie franate. Su una caratteristica altura laterale a nord-ovest della cresta principale de l Pasubio, il Corno di Vallarsa, ora Corno Battisti, furono catturati durante l'offensiva del Maggio-Giugno 1916, numerosi Alpini del Battaglione Vicenza, tra cui il Tenente Cesare Battisti e il Sottotenente Fabio Filzi, di nazionalità, ma non di Fede, austroungarica. Riconosciuti e processati a Trento come traditori della Patria, furono successivamente impiccati e sepolti senza nome nel fossato del Castello del Buonconsiglio. La salma di Cesare Battisti è ora degnamente onorata nel Mausoleo alla sommità della "Verruca" di Trento, mentre Fabio Filzi riposa nella natìa Rovereto. Con l'offensiva dell'Ottobre-Novembre 1918, tutto il massiccio del Pasubio fu ripreso di slancio dal nostro esercito, che si spinse fino a Trento e oltre, conquistando all'Italia tutto il Trentino-Alto Adige fino alla naturale frontiera del Brennero.
La guerra in montagna
Sembra difficile percepire, ormai a distanza di più di 80 anni gli enormi sacrifici e sofferenze che patirono i soldati che si fronteggiarono sulle nostre montagne durante la Guerra Mondiale. In un epoca ipertecnologica dove sembra che l’uomo conti sempre meno, pensare che milioni di uomini si sono fronteggiati giorno dopo giorno per conquistare solo pochi metri di terreno o di roccia pare una cosa decisamente inutile e incredibile. Eppure leggendo i fatti di quei anni le ragioni diventano chiare e trovo giusto che anche noi cerchiamo di non dimenticare quelle vicende che hanno sconvolto la vita dei nostri avi. La guerra in montagna fu sicuramente qualcosa di particolare dove la paura degli uomini che la combatterono era spesso legata di più alla lotta strenua con le pareti, con il freddo, le valanghe, le condizioni di vita al limite della sopportazione, dove spesso restare senza cibo e senza legna per fare “fuoco” nelle baracche incollate, per esempio, sugli strapiombi della Croda Rossa, era la normalità.
I combattenti di questa guerra, da entrambi i lati dello schieramento con l’intento di conquistare postazioni all’apparenza inespugnabili aprirono itinerari alpinistici ancora adesso considerati di grande impegno. La costruzione di gallerie per defilarsi dal tiro del nemico diventava d’obbligo e spesso i soldati si trovavano a fronteggiarsi a pochi metri di distanza per giorni o mesi in una situazione
La guerra di mine
La logorante guerra di posizione in trincea aveva portato gli eserciti contrapposti, ad utilizzare, per conquistare in maniera definitiva determinate posizioni chiave, la tecnica della “guerra di mine”. La strategia consisteva nel costruire una rete di gallerie sotto le linee avversarie per poi imbottire il così detto “fornello” (parte terminale della galleria) di quintali di esplosivo, che dopo averlo sigillato ermeticamente con sacchi di terra e calcestruzzo, per favorire lo sviluppo della forza esplosiva verso l’alto, la “mina“ veniva fatta brillare. Queste “mine” provocavano devastanti frane sulle trincee esterne e crolli anche di quelle che erano, invece, le gallerie di servizio per lo spostamento e la protezione delle truppe in avvicendamento sulle posizioni di prima linea.
In ogni esercito c’erano truppe scelte per fare i “minatori” che con turni estenuanti passavano le loro giornate a scavare gallerie e personale invece addetto ad ascoltare con semplici amplificatori di suono (geofoni) lo stato di avanzamento delle gallerie avversarie, percependo dal tipo di rumore prodotto a che punto la mina avversaria era arrivata per capire quale era il momento migliore per far saltare una mina e possibilmente in anticipo rispetto al nemico. Questo tipo di tecnica bellica la ritroviamo in numerosi teatri di combattimenti sulle Alpi Orientali e soprattutto in Dolomiti, dove sono state scritte interminabili pagine di eroismo in relazione a questi fatti. Ricordiamo le famose “mine” sul M. Piana (nei pressi delle 3 Cime di Lavaredo) o la famosa mina italiana del “Castelletto” alle Tofane dove fu fatta saltare la parte sommitale di questa ardita guglia rocciosa dove gli austriaci avevano creato una vera e propria fortezza sotterranea armata di postazioni di cannoni e mitragliatrici che tenevano in scacco le posizioni italiane.
Una Curiosità
Dietro la riscoperta dei fatti bellici svoltisi sulle nostre montagne si è sviluppata una passione legata al collezionismo dei vecchi reperti recuperati da molti appassionati nelle trincee e nelle gallerie. Ormai è sempre più difficile trovare qualcosa che ricordi quella guerra , ma spesso anche una scheggia di un vecchio proiettile di obice ormai arrugginita riesce, almeno per chi ci crede a dare una piccola emozione. Ritrovare una giberna, un pezzo di fucile, un resto di gavetta in una trincea o in un angolo di qualche galleria riesce a far tornare indietro nel tempo, quindi sul Pasubio si cammina guardandosi intorno, ma anche guardando per terra allungando gli occhi fra le rocce e negli angoli più bui di qualche galleria
Cartografia ed immagini
Alcune cartine ed altre immagini.
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