Si dice bipartisan e vuol dire la legge del più forte,
la rassegnazione del più debole. Si dice dialogo, e
vuol dire farsi mettere nel sacco dal più forte e
magari astuto. Piovono gli inviti di intellettuali
peggioristi come Ernesto Galli della Loggia e Angelo
Panebianco a essere realisti. E vuol dire virare a
destra, mettersi sulla rotta del regime che nasce,
seguire la Thatcher, entrare nella "granitica
alleanza" con l'America di Bush. E dall'alto del
colle Quirinale scendono le esortazioni all'unione
nazionale, molto apprezzate dal più forte e magari
astuto.
Studiare questa nostra destra? Dialogare con questa
destra? Uno dei fondatori del Mulino ha così risposto
all'invito dei peggioristi: «Trovo poco realistico che
i nostri mulinisti di centrodestra si facciano carico
del livello miserevole di ispirazione democratica della
Casa delle libertà». E anche si potrebbe aggiungere
della turpe alleanza fra il secessionismo leghista e il
nazionalismo neofascista.
Ciò che sembra sfuggire ai nostri bipartisan e
dialoganti è che, "hic et nunc", non si
tratta di fare dei vaghi discorsi sulla concordia
nazionale e degli amichevoli scambi di opinione sulla
globalizzazione, ma di difendere la Repubblica
democratica nata dai partiti democratici espressi dalla
Resistenza, proprio la "repubblica puttana"
come la chiamavano i neofascisti oggi al potere. Si
tratta di difendere la sua Costituzione.
Ebbene chi non ha delle fette di salame sugli occhi e
gli orecchi tappati dovrebbe pure essersi reso conto che
le offese alla Costituzione, la voglia di riformarla ad
usi propri sono una costante del centro destra, forse
l'unico denominatore comune, il solo che rimetta assieme
le sue contraddizioni.
Nella Costituzione sta scritto che i poteri dello Stato
sono autonomi, che l'esecutivo non può interferire sul
giudiziario. Ma sono mesi, anni che il centro destra
diffama la magistratura, ora descrivendola come una
fazione di toghe rosse ora come un gruppo di
persecutori: arrivando a sostenere che ladroni notori,
corruttori emeriti, scialacquatori del pubblico denaro
erano vittime del livore comunista e da farne i giudici
dei giudici, degli esempi preclari da ricompensare con
posti in Parlamento o nel governo. E prosegue il
tentativo tenace e ossessivo di dividere la magistratura
fra la maggioranza sana, intesa come quella che assolve
i nuovi potenti, e la minoranza infame e demoniaca, che
insiste a perseguire i colpevoli di reati comuni.
Nella Costituzione sta scritto che la scuola deve essere
pubblica e laica, ma da mesi il centro destra, alleato
con l'integralismo cattolico, la combatte e la
indebolisce e delega un suo ministro, la Moratti, a
rifare una scuola di classe.
Nella Costituzione sta scritto che la stampa è libera,
per dire l'informazione in generale, ma un ministro del
centrodestra, il brigadiere Gasparri, mette la museruola
anche alla satira più innocua, minaccia libri bianchi
sulle malefatte della Rai, coltiva lo spirito di
delazione. Il controllo democratico fra poteri autonomi
è sostituito dallo "spoil system", dalla
caccia alle cadreghe, dalle minacce.
Nella Costituzione sta scritto che l'apologia del
fascismo è un reato ma per il centrodestra fa parte di
una comprensibile e magari apprezzabile nostalgia.
La Costituzione dice no a ogni guerra che non sia
legittima difesa, ma la voglia di usare le guerre a fini
politici, di proporsi come campioni delle
"granitiche alleanze" ci obbliga a interventi
da nessuno richiesti e magari penosi nella nostra povertà
e inefficienza.
Il centrodestra ci restituisce anche le "opere del
regime" vale a dire le grandi opere pubbliche a
fini propagandistici e speculativi. Il capo del governo
ha manifestato la sua delusione, il suo disappunto al
ministro Lunardi perché «non gli procura delle
"belle inaugurazioni"». Porti pazienza fra
poco potrà inaugurare la riapertura del traforo del
Bianco sempre a doppia corsia, sempre con una
carreggiata di sette metri, sempre senza galleria di
fuga indipendente, sempre con seimila Tir al giorno. Su
per giù come nel marzo del '99 quando ci morirono
trentotto persone.
L'Espresso 17.01.2002
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