ESPERIENZE E RICERCHE

“biblíon”                                                                                                                                                                   giugno-dicembre  2001

 

Osservazione nelle Scuole dell'infanzia di Palermo

di Sergio Pillitteri


¨   Nel mondo della scuola d’infanzia...

 

Uno dei momenti di tirocinio presso l’A.Ge. è stato svolto presso l’istituto J. Piaget e S.Lucia di Palermo. Questo momento ha avuto come obiettivo principale un periodo di 30 ore d’osservazione presso le classi materne di P.za Don Bosco e Via Oberdan, per la J.Piaget, e di Via P.pe di Belmonte, per la S.Lucia.

Le caratteristiche fondamentali dell’osservazione sono state quelle di prendere in considerazione il comportamento dei bambini, dei docenti e tutto ciò che ruota intorno alla classe. L’idea di osservare la vita delle classi materne è nata dall’intenzionalità del tirocinio di dare risposta sul piano dell’educazione e della formazione della persona, proprio partendo dal momento in cui la persona comincia il percorso di formazione.

La nostra osservazione non è stata guidata da una griglia preformata, ma con il preciso scopo di osservare tutto. Essa è stata divisa in tre/quattro mattine, una delle quali cominciava durante l’entrata dei bambini a scuola.

Personalmente mi apprestavo a sperimentarmi in un ruolo che non avevo mai fatto, né avevo avuto modo di studiare o di conoscerne qualche tecnica. Il debutto è stato alla sezione della J.Piaget di P.za Don Bosco, nella quale vi è una classe materna, una classe preasilo e le classi elementari.

La classe materna è formata da almeno 20/25 bambini dai tre ai cinque anni, tutti in un’unica classe. E’ composta da una stanza ben luminosa, non troppo spaziosa con alcuni angoli: il salottino, l’angolo dei travestimenti, l’angolo dei giocattoli, una grande gradinata, l’angolo delle marionette e in una stanza adiacente, l’angolo della musica.

Tutto quello che c’è da fare è svolto in questa classe: colorare, dipingere, modellare con le mani, gridare, piangere, fare colazione. L’educazione motoria si fa fuori, in un corridoio all’aperto, e l’educazione musicale nella stanza adiacente, come già detto. Anche la lezione d’inglese è fatta in classe.

La maestra ci vuole presentare a tutta la classe. Il mio approccio, forse non è dei più indicati per un osservatore in regola: dico il mio nome e che la mia età si avvicina ai sette anni. Mi renderò conto successivamente che, se da un lato questo evento ha accelerato, in qualche modo, il rapporto di familiarizzazione con i bambini, dall’altro lato poteva compromettere il mio ruolo di “osservatore obiettivo”.

La maestra è una ragazza di 24 anni, diplomata al magistrale, non laureata ma iscritta in Scienze dell’Educazione, una mia amica di paese, con la quale sono eliminate alcune formalità che si potrebbero avere con una sconosciuta. La maestra Emilia insegna da un anno in questa scuola e sembra che si sia ben inserita; noto che i bambini si dimostrano abbastanza affettuosi e anche lei non si crea formalità più di tanto. Ma quello che fa, lo fa con tutti; ho notato più volte che riesce a gestire la classe concentrandosi sulla potenzialità che ogni bambino può mettere a disposizione della classe.

In questa classe si socializza molto e si lavora molto sul gruppo in sé: si fa colazione tutti insieme, cioè l’ora in cui sono presenti tutti i bambini, i quali aiutano la maestra a stendere una tovaglia sui banchi e mentre tutti si siedono, due di loro, a turno, continuano ad aiutarla distribuendo la colazione. I bambini aiutano la maestra anche quando si deve riordinare la classe oppure quando finiscono di lavorare con il gesso o altro, a pulire i banchi sporchi o portare in bagno le cose da lavare. Quando, infine, c’è l’ora del pranzo, due di loro, sempre a turno, aiutano ad apparecchiare i tavoli da pranzo ubicati in un'altra stanza.

Mi chiedo quale siano i valori educativi che vogliono essere raggiunti tramite la metodologia utilizzata in questa classe. La maestra ci fa notare che maggior parte dei bambini sta economicamente bene, e che ottiene spesso quello che chiede al proprio genitore, tale da far diventare le pretese in capricci repentini. Forse, e propongo solo una semplice ipotesi, in classe si vuole tendere a normalizzare la vita del bambino a quelle che sono le regole di socializzazione più comuni, ad esempio aiutare e rendersi disponibili per ottenere qualcosa, oppure pensare che non si può ottenere tutto e subito, e che non si è sempre soli, quindi fare solo quello che si crede e come piace, non considerando la presenza di altri bambini.

In un sistema analogo sono coinvolti i genitori, i quali hanno il preciso dovere di non lasciare i bambini in classe ma all’ingresso in modo da abituarli al distaccamento casa/scuola. Noto che la maggior parte dei genitori tiene fede a questa regola e che i bambini non si curano ormai del distaccamento, ma c’è sempre l’eccezionale momento di non voler lasciare la mamma o il papà.

La maestra sembra essere, inoltre, molto infastidita quando il bambino o il suo genitore non rispetta tale regola, perché se questa è una regola uguale per tutti, non rispettarla è solo un capriccio.

In classe c’è Giuseppe, un bimbo che arriva a scuola con la mamma, il cuscino e il dito in bocca. Una volta entrato, quasi a dimenticarsene, si immerge nella vita della classe; la maestra ci dice che all’uscita, sistematicamente ogni giorno, Giuseppe si riprende il suo cuscino.

Passo ora alla seconda sessione di osservazione svolta presso la succursale della J. Piaget in Via Oberdan.

Al momento della presentazione, chiedo alla maestra di non farmi presentare ai bambini perché voglio sperimentarmi anche in questa situazione e voglio vedere come, il non contatto con i bambini, agisce ai fini dell’osservazione. Probabilmente un aiuto mi è dato da un punto nel corridoio dove c’è una piccola vetrina che da’ sulla classe; da questo punto posso osservare la classe senza che i bambini si accorgano troppo della mia presenza. In effetti è successo proprio questo: il vetro un po’ colorato, la sua dimensione piccola, il punto in cui è collocata hanno fatto sì che i bambini si accorgessero della mia presenza soltanto facendoci caso.

Anche in questa plesso vi è una classe materna, una classe preasilo e le classi elementari. La classe e abbastanza grande e luminosa, ed è divisa nei vari angoli: la gradinata, l’angolo della lettura, della pittura, dei travestimenti, la cucina-salotto, il castello ed è molto accogliente. Abbelliscono i muri, il tetto e le finestre, i vari lavoretti dei bambini e, un’enorme albero fa il giro della classe.

L’idea della gradinata, utilizzata sia qui che in P.zza Don Bosco, trovo che sia stata un’idea geniale: offre la possibilità sia alla maestra, che ai bambini di avere un punto stabile e preciso dove riunirsi per parlare, per scambiarsi idee e soprattutto per ascoltare e ascoltarsi. Credo anche che a questa età, o forse in generale, i bambini devono essere abituati (o educati) a gestire le proprie attività in maniera ordinata, non con un ordine preciso o stabilito, ad esempio quello della maestra o dell’educatore in sé, ma con il loro ordine, qualunque esso sia.

Forse l’educazione non è anche educare a gestire la propria vita, da quella quotidiana a quella generale, per riuscire a modellare la propria identità unitamente alle proprie abilità e potenzialità?

Mi accorgo subito, anzi lo percepisco, che rispetto all’esperienza precedente, qui c’è un’atmosfera diversa. I bambini, non appena arrivano in classe, si sistemano e fanno subito colazione; chi l’ha già finita e aspetta che inizi la giornata con tutta la classe al completo, gironzola per la classe, giocando con qualche compagnetto, oppure fantasticando dentro nel castello. Non c’è il momento del segna giorno, del segna mese e “che tempo fa’ oggi”.

Quando i bambini sono tutti al completo, una parte di essi resta in classe con la maestra, l’altra parte esce per andare a fare educazione motoria o educazione musicale, o altro.

La maestra Rosi è una ragazza che ha già acquisito una certa esperienza sul campo: insegna da cinque/sei anni sempre nell’ambito della scuola d’infanzia. Intuisco che si ritrova a gestire una classe di trenta bambini, di cui la maggior parte ha tre/quattro anni: ci sono due o tre bambini con cinque anni.

Utilizza un metodo ben diverso dalla maestra di P.zza Don Bosco. Mentre lì si cercava di far emergere la potenzialità del gruppo, qui la maestra assegna ad ognuno quello che deve fare. -“Tu e tu cercate un castello in quelle riviste e lo disegnate su un foglio bianco; tu e tu colorate il disegno di ieri che non avete finito; voi due volete leggere? Andate allora nell’angolo della lettura etc., etc., etc.; tu cosa fai ancora qua! Vai a fare attività motoria con gli altri!”-

Probabilmente, e sono sempre delle ipotesi, la realtà è quella di dover gestire un gruppo di trenta bambini molto piccoli, e non è molto facile. I momenti di gruppo, a volte, sono molto mal seguiti perché il gruppo è realmente molto grande e tutti non fanno l’attenzione e il silenzio dovuto. Una modalità risolutrice è quella di decentrare i momenti della giornata: dividere innanzitutto la classe a metà, per cui una resta in classe e l’altra si sposta; gestire così questa metà in modo individuale tale da educarla a stare in un piccolo gruppo e, poi, in un secondo momento, in un gruppo più grande.

Un’altra cosa che noto e che non come interpretare, se in positivo o in negativo, è che la maestra chiama “RAGAZZI” tutti i bambini della classe. Io credo che il termine “ragazzi” sia più indicato per gli adolescenti o i preadolescenti e che, comunque, non casca il mondo se i bambini sono chiamati bambini! E’ una cosa che non riesco a spiegarmi.

Anche per questa classe mi chiedo quale sia il valore educativo che vuole essere raggiunto, soltanto che mi voglio spingere un po’ più a fondo e puntare sul reale obiettivo della scuola materna: fino a che punto essa deve essere intesa come un sicuro parco giochi mattutino, oppure un parcheggio di divertimento? E fino a che punto gli insegnanti e gli addetti ai lavori devono fermarsi a queste semplici soluzioni, o pensare anche che già da questa età la vita del bambino deve molto progettuale e molto sperimentale?? Sono domande che rimando ad un altro momento, ma che fanno parte di una precisa riflessione personale.

Passiamo, infine, alla terza sessione di osservazione svolta presso la scuola S. Lucia in Via P.pe di Belmonte. La scuola è una delle più antiche di Palermo e comprende dalle classi materne fino alle superiori. Rispetto alle prime due, questa scuola ha un’impronta cattolica più che laica e nel periodo della nostra osservazione è stata luogo di incontri che vertevano sulla Persona e la sua Identità.

Le classi materne sono due: in una ci sono bambini di quattro e cinque anni e nell’altra solo bambini di tre anni. Sono gestite complessivamente da quattro maestre più una che si preoccupa del laboratorio di manipolazione. La forma della classe è tipica delle scuole tradizionali: tre gruppi di banchetti esagonali, le mura color verde smeraldo, il tetto un po’ alto, gli abbellimenti pochi ed essenziali, uno scaffale per cartelle ed uno con alcuni giocattoli che non si useranno mai.

A parte le attività di manipolazione, in classe si svolge quel ciclo di attività di alfabetizzazione. Una maestra ci confida che manca una disposizione della classe ad angoli (stile Piaget), ma purtroppo non c’è lo spazio e per adesso non è possibile.

Osservando l’atteggiamento dei bambini noto un senso di aggressività che si manifesta tra di loro o nei confronti di una maestra. Mi chiedo da che cosa nasce e perché in questa scuola è più presente rispetto alle prime. Forse i bambini sono ripresi poco per questo comportamento, oppure non è messo in evidenza il valore dello scherzo e del gioco senza l’uso delle mani.

Anche per questa classe mi domando qual è il valore educativo che vuole essere raggiunto tramite la metodologia utilizzata e credo che sia legato al fatto che la scuola ha cambiato gestione da due anni per cui voglia per adesso assicurare la scolarizzazione di base e, quindi sperimentarsi in questo senso.

Non ci sono state, forse anche per questo motivo, particolari situazioni che mi hanno indotto a delle riflessioni particolari. La vita della classe è molto tranquilla e ben normalizzata a tempi e modi tipici della scuola materna tradizionale: l’appello, l’inizio delle attività mattutine, la colazione, un’attività di tarda mattinata meno impegnativa rispetto alla prima e molto gioco.

Per concludere: ritengo che l’osservazione nelle scuole d’infanzia svolta in alcune scuole di Palermo sia stata di notevole importanza per un avvicinamento e una presa di coscienza sul mondo reale dell’infanzia che, volendo esemplificare in un solo termine, ha bisogno di un’idea concettuale incentrata molto sul Laboratorio Progettuale sia per i bambini che per tutti gli addetti ai lavori.

Soltanto in questi termini, a mio parere, si ha la notevole possibilità di attuare una sperimentazione nella scuola e dei sistemi educativi più innovativi che possano migliorare sicuramente il tenore nonché il livello di qualità che la scuola italiana dovrebbe offrire ai “pargoli” che giorno dopo giorno usufruiscono di questo servizio.

¨    Conclusioni:

Infine, vogliamo esprimere il nostro ringraziamento alle persone che ci hanno dato l’opportunità di concretizzare questa attività formativa, utilissima nel nostro corso di studi.

La Dott.ssa Antonella Russo, Preside dell’Istituto Jean Piaget, e le sue collaboratrici nelle sede di Piazza Don Bosco e Via Oberdan; la Sig.ra Claudia Mormino, Preside dell’Istituto Santa Lucia di Via P.pe di Belmonte.

Inoltre un altro ringraziamento va alla Dott.ssa Giovanella Martinez, Direttrice della Scuola A. Parisi, e alle sue collaboratrici dei plessi di scuola materna Ingrassia di Viale dei Picciotti, M. Kolbe di Villabate e Arenella di Via della Barca, per averci dato l’opportunità di osservare la normale vita della scuola d’infanzia comunale e di confrontarla con quella non statale della quale abbiamo documentato.

Per ultimo, ma non meno importante, va un sincero ringraziamento a tutti i bambini delle vari scuole, senza i quali la nostra attività non avrebbe preso un colore diverso da quello delle normali attività quotidiane.  

Sergio Pellitteri

BACK