POLITECNICO DI MILANO
8 OTTOBRE 2001
INAUGURAZIONE DELL'ANNO ACCADEMICO



Intervento del Ministro all'inaugurazione dell'anno accademico del Politecnico di Milano


Siamo all'alba di un'epoca che ci impone un compito severo ed inderogabile: la definizione di politiche educative che consentano all'Italia di accrescere e rafforzare le proprie competenze culturali, tecniche e scientifiche. La ricchezza del capitale umano ed intellettuale sarà infatti la più importante risorsa strategica della quale potremo disporre per dare al Paese una prospettiva di sviluppo economico sostenibile ed un destino democratico di giustizia e solidarietà sociale.
In questa visione del bene comune, la vostra storia - la lunga e appassionante storia del Politecnico di Milano - che è così profondamente entrata nel patrimonio di valori dell'Italia moderna richiede oggi a voi, a noi tutti, di assumere una grande responsabilità. La responsabilità di saper educare e far crescere le nuove classi dirigenti che guideranno in futuro la nostra nazione, gli amministratori ai quali sarà affidata la cura della cosa pubblica, le famiglie professionali che determineranno le capacità competitive delle imprese, i talenti individuali che sapranno ridare slancio all'innovazione.
Questo processo formativo è sembrato interrompersi nel momento in cui, in anni anche recenti, più grave è divenuta la disarticolazione della nostra società ed enormi cambiamenti sociali hanno mutato i caratteri originali dello Stato nazionale. A noi, con il contributo della vostra competenza, spetta ora il compito di progettare un sistema educativo che sia in grado di rimettere rapidamente in moto il processo di costruzione sociale e di alimentazione del capitale umano e intellettuale.
Siamo preoccupati. I segnali di un decadimento che diventa ormai una grave minaccia per l'intero Paese sono numerosi e inconfutabili. Siamo un Paese che opera ormai prevalentemente sull'innovazione di secondo livello, utilizzando i prodotti della ricerca di altri. Le nostre università ricevono stimoli troppo deboli dal mondo delle imprese che ridimensionano o trasferiscono all'estero i propri laboratori. La mortalità formativa resta molto elevata (su 100 iscritti all'università se ne laureano poco più di 30, con il 95% di essi fuori corso). I nostri migliori studenti e i nostri migliori ricercatori emigrano troppo frequentemente. Permane il grave divario che ci separa dagli altri paesi dell'OCSE, dove il 21,5% della popolazione attiva è in possesso di un titolo equivalente alla laurea, contro il nostro 9,3%. Siamo agli ultimi posti per laureati scientifici e dottorati. Abbiamo appena 3,3 ricercatori per mille abitanti, rispetto al 5,3% dell'Unione Europa, ed una modesta incidenza della ricerca sul reddito nazionale prodotto ogni anno. Inoltre non investiamo a sufficienza nel settore high-tech, mentre altri paesi hanno già raggiunto livelli di investimento pari a un quarto del Prodotto nazionale lordo. Siamo, in una parola, sempre meno artefici del nostro destino.
Ma soprattutto stiamo pericolosamente impoverendo il lavoro di contenuti conoscitivi e tecnici, poiché soffriamo del più alto tasso di dispersione universitaria in Europa e della più bassa quota di laureati e diplomati sul totale della popolazione attiva fra tutti i paesi con i quali ci confrontiamo. Quale triste primato è il nostro che ci vede, unici nel novero dei paesi industriali, ad avere la maggioranza dei lavoratori con la sola licenzia media! In quarant'anni le università italiane hanno laureato tre milioni di studenti su 10 milioni di giovani iscritti. Si è formato così un vero esercito di dispersi dell'istruzione che ha rappresentato per il Paese un grave costo sociale. Non solo essi hanno prodotto minore ricchezza per la collettività, ma indirettamente hanno contribuito alla perdita di molte possibilità di creare in Italia quei "poli di eccellenza" - ad esempio, nella chimica avanzata, nelle biotecnologie e nell'informatica - che oggi determinano le graduatorie della competizione internazionale. A differenza di quanto altri paesi hanno saputo fare, noi non abbiamo infatti promosso un diverso e più proficuo rapporto tra università e imprese così come tra università e investitori privati che pure sarebbero interessati, se solo offrissimo loro un progetto di collaborazione possibile, a gettare i semi dell'innovazione all'interno delle nostre strutture educative e formative. Questi mondi, che altrove si sono incontrati, spesso con notevole successo, in Italia parlano ancora linguaggi diversi.
Dobbiamo fare riguadagnare identità sociale alla scuola e dobbiamo aiutare l'università a costruire la propria nuova identità. E' un obiettivo che non possiamo fallire. Il Paese ha bisogno di molto più sapere, di molta più cultura, di molta più formazione. Gli atenei italiani devono essere chiamati a dare risposte adeguate ad una crescente domanda di nuova istruzione e di nuova formazione e devono poter contare su strutture organizzative e su mezzi sufficienti per un'università di massa. Devono integrarsi ed adottare standard qualitativi che in molti casi non appaiono soddisfacenti. Se vorremo fare del capitale umano e intellettuale la risorsa strategica del Paese, l'università dovrà essere investita di nuove responsabilità e dovrà garantire più servizi e percorsi formativi di qualità agli studenti. Più opportunità di sperimentazioni, progetti di ricerca e corsi di laurea realizzati d'intesa con le migliori imprese, programmi e tecnologie di formazione a distanza, adeguati supporti alla didattica.
L'autonomia universitaria è indubbiamente un'opportunità, ma va attentamente governata. Ne è una prova il distacco crescente tra il forte aumento dell'offerta di corsi di laurea e gli insoddisfacenti risultati che si continua ad ottenere. A tale preoccupazione si aggiunge quella del problema del proliferare dei nuovi corsi, tremila, delle nuove lauree triennali. A fronte di troppe facoltà universitarie che producono tassi di disoccupazione crescente, aumenta la carenza dei profili professionali richiesti dal mercato del lavoro. Un handicap aggravato dalla perdurante scarsa internazionalizzazione degli studi universitari, dalla poca mobilità degli studenti sia tra le università italiane sia e soprattutto tra le nostre università e gli atenei europei, dalla modesta presenza di studenti stranieri nelle nostre università, dall'elevata età alla conclusione degli studi se confrontata con quella degli studenti di molti altri paesi, dalla percentuale di iscritti che conseguono una laurea in lieve aumento ma ancora troppo bassa, dal più lungo ciclo di studi universitari, dall'ampiezza del divario tra durata ufficiale degli studi come prevista dagli ordinamenti e tempo effettivamente impiegato per concluderli. E inoltre: dall'inadeguatezza delle aule, dei servizi di sostegno, delle biblioteche, delle tecnologie.
Lo sviluppo complessivo del sistema universitario rischia così di accompagnarsi ad una perdita di efficienza. Pensiamo, perciò, che l'autonomia universitaria vada governata sulla base di requisiti di qualità chiari e condivisi. Requisiti che dovranno regolare il sistema dei finanziamenti agli atenei affinché la loro vocazione a trasformarsi in un sistema universitario di massa non comprometta l'innovazione e l'eccellenza nella qualità della didattica e della ricerca.
Ci stiamo preparando ad un monitoraggio della qualità dei corsi di studio ed al controllo preventivo dell'adeguatezza delle risorse - docenti, attrezzature, aule, assistenza didattica - messe in campo dagli atenei. E abbiamo già aperto all'accesso libero degli studenti la nostra banca dati che consente un confronto trasparente tra università e singole facoltà quanto a numero di posti a sedere disponibili nelle aule, laboratori funzionanti in un ateneo, libri utilizzabili nelle biblioteche.
Al centro della nostra azione saranno infatti, sempre e comunque, gli studenti, i loro bisogni, i loro problemi, le loro aspirazioni. Nel delicato passaggio tra la scuola e l'università gli studenti sono soli. Noi dobbiamo aiutarli e accompagnarli nella scelta dell'università. Stiamo studiando modalità per rafforzare il pre-orientamento universitario nelle scuole. E pensiamo che sia necessario introdurre anche nelle università l'accreditamento del prodotto formativo e la certificazione della qualità dei servizi, così che gli studenti possano fare le proprie scelte sulla base di una chiara e completa informazione. Ma gli studenti sono soli anche dentro l'università. Dobbiamo affiancarli e sostenerli, con sistemi di tutoring organizzato, in modo continuativo lungo tutto il loro percorso di formazione superiore e aiutarli nella decisiva scelta del primo inserimento nel mondo del lavoro.
La storia del Politecnico di Milano è per noi ricca di insegnamenti. Fu questo Politecnico il precursore dell'autonomia universitaria, anticipando di 125 anni, sin dalla sua fondazione, la legge dello Stato che l'avrebbe un giorno sancita e resa norma universale. Un esempio, dunque, del rigore con il quale l'autonomia può diventare un'opportunità di eccellenza. E soprattutto un'opportunità per aprire l'università ad un rapporto stretto e produttivo con l'industria. Tanti sono i testimoni storici di questo rapporto: Eugenio Cantoni e l'industria tessile, Giuseppe Colombo e l'industria elettrica e poi Erba, Riva, Pirelli e Salmoiraghi. Senza naturalmente dimenticare Giulio Natta, che dalla sua cattedra di Chimica industriale al Politecnico di Milano ha scritto una memorabile pagina nella storia della scienza arrivando, grazie al sostegno determinante della Montecatini, a scoperte di grandissimo interesse industriale. Un Nobel della chimica al quale dobbiamo ancora oggi un senso profondo di gratitudine.
Il rafforzamento della ricerca in ambito universitario è oggi un'opportunità che va colta con tempestività di iniziative e lungimiranza politica. La nostra attenzione sarà rivolta a sostenere la presenza dell'Italia in alcuni settori ad alta tecnologia: biotecnologie, aeronautica, spazio, difesa, informatica, energia, telematica e scienza dei nuovi materiali. Pensiamo che si debba passare da un sistema di finanziamenti a pioggia ad un sistema mirato ed integrato che favorisca il formarsi di una "rete di eccellenze" universitarie. Concentreremo e monitoreremo i finanziamenti a nostra disposizione per quelle tipologie di ricerca che abbiano ricadute positive sul sistema produttivo. Ancora una volta l'esperienza fatta al Politecnico di Milano può servirci da utile indicazione. Dovremo puntare ad elevare in tutti gli atenei la capacità formativa dei docenti che saranno chiamati ad affiancare all'attività didattica una valida attività di ricerca, contribuendo in tal modo a diffondere nel Paese una cultura dell'innovazione e dello sviluppo ancor oggi troppo debole. Riducendo la dispersione di risorse, intendiamo anche perseguire l'obiettivo di un ringiovanimento della popolazione dei ricercatori, rapidamente invecchiata in questi anni, offrendo alle future generazioni di studenti motivazioni che possano rendere attrattivo e competitivo il nostro mercato. I risultati della ricerca realizzata nei laboratori universitari, come dimostra l'attività del Politecnico di Milano, dovranno, per esempio, essere valorizzati economicamente.
Questo progetto di rilancio della ricerca che ci vede impegnati con forte determinazione pone inevitabilmente il problema delle risorse e degli strumenti disponibili, che andranno progressivamente adeguati agli standard europei. Inoltre, potenzieremo nel comparto pubblico la funzione di committente della ricerca; semplificheremo le procedure di accesso ai fondi pubblici; velocizzeremo gli adempimenti burocratici. Ma tutto questo non potrà essere sufficiente per colmare i ritardi.
Il rapporto tra università pubblica e impresa privata è l'altro grande tema che ispirerà la nostra azione politica e programmatica. La ricerca può e deve essere "imprenditorializzata", come questo Politecnico è spesso riuscito a fare senza perdere la propria autonomia di indirizzo didattico e culturale. Non si tratta di rinunciare al ruolo di propulsore della ricerca e dell'innovazione che lo Stato ha sempre avuto in questo campo cedendo prerogative e funzioni a particolari interessi privati. Semmai, l'obiettivo deve essere quello di portare il capitale privato nelle strutture pubbliche. Pensiamo alla formazione di consorzi specialistici aventi la funzione di "incubatore" di progetti innovativi, in modo da facilitarne la valorizzazione industriale; consorzi che dovranno essere partecipati da università o enti pubblici, grandi aziende italiane e straniere, società di venture capital. Pensiamo alla formazione di distretti universitari high tech che sappiano promuovere un'aggregazione tra forze produttive di diversa natura. Pensiamo, in sostanza, a numerose iniziative che facilitino la nascita di un sistema integrato pubblico-privato di ricerca e sviluppo mediante collaborazioni, sinergie, trasferimenti di competenze e ricercatori.
Nella nostra azione, siamo ispirati da quanto il Politecnico di Milano ha già saputo fare in questa direzione.
Per esempio, nel rapporto che si è instaurato con le Fondazioni bancarie, alle quali abbiamo recentemente proposto modalità di intervento nel sistema educativo e formativo italiano che sembrano suscitare notevole interesse. Lo Stato può favorire un flusso di finanziamenti privati provenienti dalle Fondazioni e dalle imprese destinati a sostenere cattedre specifiche, borse di studio, alti studi per macro aree. Con la Fondazione Cariplo e la Fondazione di Piacenza e Vigevano, il Politecnico intrattiene da tempo un rapporto utile di sostegno di progetti mirati, in particolare per quanto riguarda l'edilizia universitaria e la creazione di strutture per il trasferimento tecnologico alle piccole e medie imprese. Altri strumenti e modi possono essere riproposti dal modello del Politecnico di Milano su scala nazionale. La formazione di consorzi inter-universitari con finalità di ricerca e di consorzi con enti privati per attività di ricerca e di formazione; oppure, le convenzioni e gli accordi con altri atenei. Sappiamo quanti casi di successo ha in tal senso realizzato il vostro Politecnico e siamo pronti a mettere questa vostra esperienza a fattor comune per il Paese.
Questo ci sembra, tra l'altro, il modo migliore per allacciare un rapporto anche con il mondo della finanza. Siamo pronti ad integrare l'esperienza fatta sul campo da atenei come il vostro con idee nuove che in altri paesi stanno trovando applicazione con successo; per esempio, stiamo studiando la possibilità di incentivare la collaborazione tra università e investitori privati mediante agevolazioni fiscali per quei fondi d'investimento che associno dipartimenti universitari in qualità di partners stabili nello sviluppo degli start up. Ne risulteranno probabilmente favorite una maggiore mobilità dei ricercatori, l'inserimento del personale di ricerca in attività imprenditoriali e l'aspirazione degli studenti a creare nuove imprese.
In un nuovo rapporto tra pubblico e privato nell'università e nella ricerca, il ruolo dello Stato assume connotazioni nuove. Il ruolo del sistema statale dovrà in futuro essere soprattutto quello di stabilire le linee programmatiche e le priorità strategiche; di attrarre investimenti; di promuovere la meritocrazia negli istituti di ricerca e valutare i risultati. Lo scenario che abbiamo di fronte impone un orientamento del tutto nuovo nel modo di concepire il problema dell'istruzione e della formazione dei giovani così come il modello di progettazione e conduzione della ricerca. Proponiamo un'autentica svolta culturale e politica. L'università autonoma ma capace di garantire standard didattici di qualità elevata e la ricerca aperta alla collaborazione tra pubblico e privato sono le due condizioni fondamentali per realizzare questa svolta e per dare all'Italia una prospettiva concreta di crescita economica e di stabilità sociale.



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