Intervento del ministro Tullio De Mauro
al vertice dei ministri europei dell'educazione sul tema
"Investire nelle competenze per tutti"

 

Parigi, 2 aprile 2001

Per oltre settanta anni, la scuola italiana è stata retta da leggi varate nel 1923-24 e pensate per un Paese caratterizzato da bassa scolarità e da un'economia a base agricola. Dagli anni cinquanta, profondi cambiamenti hanno trasformato l'economia italiana, la quota di popolazione adulta senza scuola è scesa ormai a pochi punti percentuali, il 75% dei giovani consegue il diploma superiore. Ma il sistema dell'istruzione era restato fermo nelle sue strutture fondamentali.

Dal 1996, il Sistema Formativo Italiano è stato oggetto di una riforma che ha riguardato tutti i suoi assi portanti. Una legge del febbraio 2000 ha delineato un unico sistema educativo pubblico (statale e paritario) dell'istruzione e della formazione, che parte dai 3 anni di età e giunge ai 18 anni.

Alla base di questa riforma c'è l'esigenza di adeguare il sistema stesso ai bisogni di una società avanzata e in continua trasformazione, nella prospettiva del lifelong learning.

Elemento costituente di questo processo è il raccordo, da un lato, tra scuola e formazione professionale e, dall'altro, tra la scuola stessa, il mondo del lavoro e tutti i soggetti coinvolti nei processi formativi non inclusi nel sistema scolastico formale.

Con riferimento al sistema scolastico e formativo gli aspetti di riforma correlati al lifelong learning riguardano:

·  il riconoscimento dell'autonomia amministrativa, didattica, organizzativa, di ricerca e sviluppo delle singole istituzioni scolastiche;

·  la ristrutturazione dei cicli scolastici;

·  la ridefinizione dei curricoli (definiti per la scuola dell'infanzia e di base, in via di definizione per la secondaria);

·  l'elevazione dell'obbligo scolastico a 15 anni;

·  l'istituzione dell'obbligo formativo fino a 18 anni per offrire ai giovani tre opportunità di scelta tra percorsi formativi considerati equivalenti (scuola, formazione professionale, apprendistato anche in via integrata);

·  la riforma, nel 1998, dell'Esame di stato conclusivo della scuola secondaria, che rilascia un certificato analitico delle competenze acquisite;

·  la riorganizzazione dell'apprendistato e la progressiva diffusione dei tirocini formativi e di orientamento;

·  l'istituzione, dal 2000, di un nuovo sistema di istruzione e formazione tecnica superiore, parallelo e integrato con l'università, che coniuga una forte formazione di base, soprattutto a carattere scientifico e tecnologico, con le specializzazioni richieste dal mercato del lavoro;

·  la riorganizzazione e il potenziamento dell'educazione permanente degli adulti, in attuazione degli orientamenti dell'Unione Europea, con l'istituzione, dal 1998, di centri territoriali per l'educazione degli adulti;

·  la riforma dei corsi di laurea, con il rafforzamento dell'autonomia didattica degli atenei e l'introduzione, dal 2001, delle lauree in sequenza con una laurea specialistica (altri due anni) e il dottorato di ricerca.

La recente riforma intende promuovere un vero e proprio "diritto all'apprendimento" come superamento e consolidamento del già affermato "diritto allo studio".

L'obiettivo in sostanza è quello di favorire un reale successo formativo che consenta a ciascuno -secondo le proprie dotazioni e le proprie effettive possibilità- non tanto di conseguire il titolo di studio, quanto, soprattutto, di acquisire la capacità di padroneggiare i contenuti dell'apprendimento. Le conoscenze trasmesse dalla scuola, acquisite e "metabolizzate", potranno essere strumento utile di governo e interpretazione dei fattori evolutivi della nostra società.
Due obiettivi primari sottendono alla ridefinizione dei curricoli:
1. la formazione alla cittadinanza intesa come educazione che consente di acquisire gli strumenti relativi all'assunzione di responsabilità nella vita sociale e civile;
2. la valorizzazione delle differenze come progetto consapevole di scoperta e di riconoscimento delle diverse culture e dei differenti e specifici bisogni di apprendimento.

Non a caso nella scuola riformata si parla di curricoli e non di programmi; i curricoli, dovendo realizzare le indicazioni relative agli obiettivi da raggiungere, dovranno tener conto dei diversi contesti.

Per garantire un innalzamento della qualità dell'insegnamento, tenuto conto della diversificazione dei bisogni dell'utenza e della partecipazione allargata di più agenzie formative, si pone l'esigenza di valutazione del sistema.

E' stato percio' creato ed è entrato in funzione un Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione.
Occorre, infatti, preventivamente considerare il contesto socio-economico da cui muovono gli allievi e in cui le scuole operano, le condizioni strutturali e organizzative interne, la disponibilità e la capacità d'uso delle risorse umane e finanziarie e ogni altro aspetto che possa esercitare una funzione propulsiva o frenante nel raggiungimento degli intenti educativi. In altre parole, la valutazione di sistema deve investire l'intero comparto dell'educazione scolastica e non limitarsi a coglierne alcuni aspetti, per quanto significativi.
In questo quadro le attività condotte dall'OCSE opportunamente monitorate dagli stati membri possono offrire un'utile base per i sistemi di governo delle politiche nazionali.

Due sono i rischi da evitare a nostro avviso.
Il primo è quello dell'autoreferenzialità del sistema scolastico. Il rapporto tra la scuola come sistema formale e i "mondi" non scolastici della formazione diviene, al riguardo, un elemento focale per l'efficacia del processo formativo.
In questo senso la nuova scuola dell'autonomia e dei curricoli valorizza in modo istituzionale gli apporti delle altre agenzie e le colloca in una visione unitaria integrata.
L'impegno all'attuazione del sistema integrato di istruzione, formazione e lavoro rappresenta uno strumento fondamentale per favorire lo sviluppo e la coesione sociale in tutte le sue dimensioni. Questo impegno è stato assunto nel nostro Paese nel quadro degli accordi tra il Governo e le Parti sociali ed è stato correlato al conferimento di ampi poteri autonomi alle istituzioni scolastiche e al trasferimento di poteri dello Stato alle Regioni e alle Autonomie Locali, anche in materia formativa. Tale integrazione assume carattere essenziale rispetto ad alcuni interventi di politica formativa quali l'istruzione e la formazione tecnica superiore, l'educazione degli adulti e l'obbligo formativo.
Un comune obiettivo di cooperazione potrebbe essere rappresentato dalla costituzione di gruppi integrati per la definizione delle aree formative indispensabili per l'alfabetizzazione funzionale della popolazione adulta, la determinazione di standard condivisi e riferiti ad indicatori internazionali che consentano di pervenire all'impianto di sistemi di certificazioni trasparenti in modo da permettere il riconoscimento di crediti maturati nell'ambito di ciascun paese membro.
In questo contesto andrebbe approfondito il ruolo dell'apprendimento informale come risorsa concorrente all'ampliamento delle conoscenze e delle competenze delle persone.
La strategia del sistema integrato può rappresentare un efficace strumento di inclusione sociale anche riguardo ai crescenti fenomeni migratori, attraverso lo sviluppo di politiche d'intervento che, nel rispetto delle diversità forniscano i supporti per il pieno inserimento delle persone nella vita attiva.

L'altro rischio da evitare, oltre a quello della autoreferenzialità, è quello di non sfruttare a pieno la grande opportunità offerta dalle Tecnologie per i nuovi obiettivi della formazione. Per evitare la "frattura digitale" generazionale e individuale occorre non solo rendere costante ed elevato l'investimento in tecnologie, ma adottare politiche organiche e coerenti di formazione, di incentivi e di supporto.
L'Italia ha impresso negli ultimi quattro anni una forte accelerazione all'innovazione tecnologica, perseguendo:

·  la padronanza strumentale e concettuale delle tecnologie da parte di tutti gli studenti;

·  l'estensione delle competenze informatiche nei curricoli tradizionali e una collocazione più organica, sistematica e progressiva, nell'ambito del riordino dei cicli, sia all'interno delle singole discipline sia con discipline specifiche;

·  un vasto piano di alfabetizzazione informatica dei docenti (oltre metà alfabetizzati e per un nono formati all'uso didattico attivo);

·  l'utilizzazione delle tecnologie al servizio della professionalità dei docenti, non solo nel momento della loro formazione, ma come strumento permanente per fornire loro materiali e servizi;

·  la progressiva estensione delle infrastrutture tecnologiche, con particolare riferimento alle reti, dentro e fuori dalle scuole.

Per quanto riguarda l'azione dell'OCSE in questo campo, che è tutta da apprezzare, si indicano due punti in cui l'analisi comparata potrebbe essere intensificata, per individuare le soluzioni di maggiore successo:

·  i modelli pedagogici e le soluzioni curricolari;

·  le politiche nazionali: a partire dallo studio sugli indicatori si potrebbero approfondire gli aspetti strutturali di tali politiche.

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