Enzo Biagi: "Sono con il presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi difende valori sostanziali"


"Invito giusto, quest'Italia
s'è affidata a un illusionista"



di CURZIO MALTESE

ROMA - Nove volte su dieci il suo programma, "Il Fatto", è il più visto delle reti pubbliche. La settimana scorsa ha sfondato quota 8 milioni. Ma al nuovo potere, pure devoto alla cultura di impresa, non gliene frega nulla. Enzo Biagi è troppo indipendente, è pericolosamente amato dal pubblico e quindi se ne deve andare.

Caro Biagi, la tua cacciata dalla Rai, è praticamente uno degli obiettivi centrati dei secondi cento giorni di governo. Hai realizzato?
"In effetti me lo ripetono ogni due giorni. Forse pensano che a 82 anni non ci senta più tanto bene. Comunque, il mio contratto scade a maggio. Alla mia età non mi scandalizzerei se qualcuno mi chiedesse di farmi da parte, di stare a casa a leggere i libri che non ho ancora letto. Basta aspettare pochi mesi".

Ma questi hanno fretta. Hai letto il diktat odierno di Schifani, responsabile di Forza Italia?
"Nella vita ci sono già i dispiaceri veri, i piccoli li evito. Che dice?".

Accusa "Il Fatto" dell'altra sera di essere stato fazioso. A discutere della crisi dell'Ulivo c'erano soltanto politici dell'Ulivo.
"Ma se era appunto un programma sulla crisi interna dell'Ulivo...".

Obiezione respinta. Secondo Schifani, puoi rimontare soltanto organizzando una puntata con ospiti della destra.
"Appena scoppia una crisi a destra, molto volentieri. Però Schifani ha una concezione della politica e della informazione puramente numeriche. Dovrebbe capire che se fosse ancora vivo Pajetta e io gli organizzassi un confronto, Schifani ne uscirebbe a pezzi, anche se si presentasse con un gruppo di amici e la scorta".

In quarant'anni ne hai viste tante di calate di lanzichenecchi a viale Mazzini. Questa in che cosa è diversa?
"E' diverso il periodo storico. Non avevo mai visto prima un simile grigiore, tanta mediocrità. Ancor prima che inquietante, è noioso".

All'estero sono molto colpiti dal conflitto di interessi, dal presidente del Consiglio che è editore unico della televisione. Agli italiani, secondo te, interessa meno?
"E chi lo sa? Evitano i sondaggi su questi argomenti. Certo, abbiamo tradizioni diverse. In America sono stati i giornalisti a far saltare i presidenti, qui è sempre il contrario. Il richiamo al modello americano va bene soltanto quando è retorica. Per molti colleghi, fra l'altro, l'editore unico è una comodità, semplifica molto il lavoro. C'è già stato un periodo addirittura ventennale...".

Le parole di Ciampi sull'importanza del pluralismo non sembrano rituali, come le consideri?
"Mi fanno un immenso piacere. Dimostrano che il presidente della Repubblica non è un super partes all'italiana, ma un arbitro che sa intervenire al momento giusto, quando
sono chiamati in causa valori fondamentali".

Avranno una conseguenza concreta?
"Questo non lo so. Negli ultimi vent'anni nessuno ha avuto la forza e il coraggio di intervenire sui monopoli televisivi. Si tratta di interessi di migliaia di miliardi all'anno. Berlusconi, che si scrive da solo le biografie, si presenta come il più grande imprenditore della storia. Ma quando uno ha per amico un presidente del Consiglio come Craxi, che ti garantisce il monopolio delle concessioni e molla i vertici internazionali per proteggere i tuoi interessi, diciamo che le cose riescono meglio. Per
tornare alla tua domanda, credo che gli italiani lasceranno fare al premier tutto quello che vorrà, almeno fino a quando dureranno le illusioni di nuovo boom economico e l'attesa di veder realizzati i miracoli promessi durante la campagna elettorale".

Metti che ti confermino, rifaresti "Il Fatto"?
"Mi piacerebbe tornare nelle piazze. Ormai è diventato tutto virtuale, si viaggia con l'ultimo sondaggio in tasca. Mi pare il momento di tornare a chiedere ai cittadini che
cosa ne pensano del governo, dell'opposizione, di Fiat, di Mediobanca o della Banca d'Italia".

Se anni fa ti avessero detto che sarebbe successo tutto questo, ci avresti creduto?
"Un amico me l'ha detto e non ci ho creduto".

Chi?
"Federico Fellini. Aveva previsto tutto, in "Prova d'orchestra", "Ginger e Fred". L'infantilismo di massa e l'autoritarismo, la dittatura della volgarità, questa mediocrità che avanza, corrompe e divora tutto".

("la repubblica" 9 febbraio 2002)

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