Direzione Generale degli Affari Generali e
del Personale
Divisione VII
COORDINAMENTO ISPEZIONE DEL LAVORO
Le novità introdotte dal legislatore con il D.Lgs.
25 febbraio 2000, n. 61 (lavoro a tempo parziale) e con la
legge 8 marzo 2000, n. 53 (sostegno della maternità e paternità)
pongono alcuni problemi interpretativi, sotto il profilo del regime
sanzionatorio, rispetto ai quali questo Ministero, coadiuvato dal gruppo
di studio istituito presso la Divisione VII di questa Direzione generale,
sentita la Direzione Generale dei rapporti di lavoro competente per
materia, ha individuato le soluzioni operative di seguito riportate.
Inoltre, viene esaminato il sistema sanzionatorio del lavoro notturno,
alla luce della nuova normativa introdotta con D.Lgs.
26 novembre 1999, n.532, in attuazione dell’art.17, comma 2, della
legge 5 febbraio 1999, n.25, nonché quello dettato dal
D.Lgs.4 agosto 1999, n. 345, recante norme in materia di protezione
dei giovani sul lavoro, e dal successivo D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 262
correttivo del precedente.
1. D.Lgs. 25 febbraio 2000 n. 61 : lavoro a tempo parziale
Le nuove disposizioni del D.Lgs.61/2000, in materia di lavoro a tempo
parziale, recepiscono la
direttiva 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sulla medesima
materia concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES. Partendo
dall’unanime riconoscimento della funzione economica e sociale del part-time
nell’ambito della flessibilità del tempo di lavoro, il decreto
legislativo abbandona per molti aspetti la rigidità della precedente
disciplina, ampliando le ipotesi di ricorso al part-time
nell’ottica di una politica legislativa volta a promuovere
l’occupazione contemperando gli interessi dei lavoratori con le esigenze
di competitività delle imprese.
La disciplina preesistente è stata quasi interamente innovata attraverso
l’abrogazione espressa dell’art.5 della legge n. 863/84,
dell’art.13, comma 7, della legge n.96/97 e dell’art.7, comma 1, lett.
a) della legge n.451/94 (art.11 D.Lgs.61/2000).
Sotto il profilo della punibilità, la tendenza alla liberalizzazione si
traduce nella quasi totale eliminazione delle fattispecie sanzionatorie,
avendo la nuova normativa previsto l’irrogazione di una sanzione
amministrativa soltanto per la mancata comunicazione alla Direzione
Provinciale del Lavoro territorialmente competente dell’assunzione a
tempo parziale mediante invio di copia del contratto entro 30 giorni di
calendario dalla stipulazione dello stesso (art.2, co.1), nella misura di
£. 30.000 per ciascun lavoratore interessato ed ogni giorno di ritardo.
Qualora la scadenza cada in un giorno festivo o comunque non lavorativo,
si applicano le regole generali sul computo dei termini previste dal
c.p.c., per cui il termine slitta al primo giorno lavorativo successivo.
In assenza di previsione contraria, è ammesso il pagamento in misura
ridotta ex art.16 della legge 689/81. Gli importi sono versati a favore
del Fondo Speciale per la Gestione dell’assicurazione obbligatoria per
la disoccupazione involontaria dell’INPS - Codice Tributo Gxx.
Per le violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore della
nuova disciplina fissata per il 15 aprile 2000, in base al principio tempus
regit actum sancito dall’art.1, comma 2, della legge 689/81 e
ribadito dalla Corte di Cassazione Civile. Sez. I, con sentenza n.132466
del 15 dicembre 1992, continuano ad applicarsi le sanzioni previste dalla
precedente normativa. Pertanto, gli eventuali procedimenti sanzionatori
pendenti ed in particolare quelli relativi alla violazione del divieto di
lavoro supplementare (sebbene espressamente abrogato dall’art.11 del
D.Lgs.61/2000) continueranno il loro corso, in quanto rientrano
nell’ambito di operatività dell’art.5, co.4, della legge n.863/84.
Si evidenzia, altresì, che l’art.3, comma 6, della nuova legge prevede
l’applicazione di una maggiorazione della retribuzione nella misura del
50% per le ore di lavoro supplementare eccedenti la misura consentita.
Tali importi dovranno essere, pertanto, assoggettati a contribuzione ex
art.1 della legge n.389/89.
2. Legge 8 marzo 2000 n. 53: disposizioni a sostegno della maternità e
paternità
La disciplina introdotta dalla legge n.53/2000 in materia di sostegno
della maternità e della paternità estende la tutela già prevista dalle
leggi nn.1204/71 e 903/77
ad ulteriori ipotesi, cui sono applicabili, almeno in parte, le sanzioni
previste dall’art.31
della legge 1204/71, così come modificato dal D.Lgs.n.566/94.
Infatti, la nuova legge, pur non introducendo un apparato sanzionatorio
autonomo rispetto a quello della previgente normativa, ad essa rinvia - in
talune ipotesi espressamente, in altre, com’è da ritenersi,
implicitamente - estendendo alle nuove fattispecie quanto disposto dalle
due sopracitate leggi.
Analizzando più dettagliatamente le singole disposizioni della legge
53/2000, va in primo luogo evidenziato che, mentre non sono state
individuate ipotesi sanzionatorie per i nuovi congedi parentali e
formativi di cui agli artt.4, 5 e 6, né per l’anticipazione del
trattamento di fine rapporto (art.7), né per la possibilità di
prolungare l’età pensionabile (art.8), deve invece ritenersi ricompresa
tra le ipotesi di illecito sanzionate, ai sensi dell’art.31 della legge
1204/71, la violazione di cui agli artt.3 comma 2 e 12 della legge
53/2000. In particolare, il secondo comma dell’art.3, nel riformulare il
disposto dell’art.7 della legge 1204/71 in materia di astensione
facoltativa, ne ha ampliato la portata, da un lato estendendo il periodo
entro il quale può essere validamente esercitato il relativo diritto (da
un anno ad otto anni di vita del bambino), dall'altro aumentando la durata
dell'astensione medesima da sei a dieci mesi, elevabili ad undici,
cumulativamente per entrambi i genitori. La sanzione per la relativa
violazione è prevista dall’art.31, comma 3, della legge 1204/71, che
espressamente punisce chi rifiuta, si oppone o ostacola l’esercizio dei
diritti di assenza dal lavoro di cui all’art.7.
L’art.12 della legge 53/2000, nell’inserire, dopo l’art.4 della
legge 1204/71, il 4 bis, che riconosce alla lavoratrice la facoltà di
astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del
parto fino ai quattro mesi successivi, si limita ad introdurre un
principio di flessibilità temporale, non modificando tuttavia
sostanzialmente la ratio legis, che rimane quella di tutelare la
lavoratrice per il periodo di interdizione obbligatoria dal lavoro.
Si precisa, peraltro, che, al fine di evitare rischi di elusione della
normativa posta a tutela della maternità, la lavoratrice che voglia
esercitare il diritto di opzione dovrà presentare istanza scritta con
allegata certificazione medica prima della scadenza del settimo mese di
gravidanza.
Pertanto, l’ispettore che in sede di accertamento riscontri la presenza
sul luogo di lavoro di una lavoratrice all’ottavo mese di gravidanza,
dovrà verificare che il datore di lavoro sia in possesso della suddetta
documentazione, come precisato nella circolare n.43 del 7 luglio 2000; in
caso contrario, applicherà le sanzioni già previste per l’inosservanza
dell’art.4 della legge 1204/71.
A conclusioni analoghe a quelle illustrate a proposito dell’art.12, si
deve pervenire in relazione all’ipotesi delineata dal nuovo art.6 ter
della legge 903/77, introdotto dall’art.13 della nuova legge, che
estende al padre lavoratore la tutela di cui all’art.10 della legge
1204/71, la cui sanzione è dettata espressamente nell’art.31, comma 3,
di quest’ultima legge.
Diversa soluzione deve prospettarsi con riferimento alle nuove ipotesi
d’illecito previste dall’art.6 bis della legge 903/77 (anch’esso
introdotto dall’art.13 della legge 53/2000), che ai commi 1, 2 e 3
estende al padre lavoratore il diritto di astenersi dal lavoro nei casi
espressamente disciplinati; ciò in quanto tale articolo si limita a
rinviare agli artt.6 e 15 della legge 1204/71, per la cui violazione non
è prevista alcuna sanzione, e pertanto non è possibile, in base al
principio di legalità dettato per gli illeciti di natura amministrativa
dall’art.1 della legge 689/81, ritenere applicabili le sanzioni di cui
all’art.31 della legge di tutela della maternità.
Sempre in base al principio di legalità sopra menzionato, sono invece
applicabili le sanzioni dell’art.31 alle ipotesi di violazione
dell’art.6 bis, co.4, della legge 903/77, che estende al padre
lavoratore le disposizioni di tutela dell’art.2 della legge 1204/71, in
quanto il rinvio esplicito all’articolo sopracitato comporta anche
l’applicazione delle relative sanzioni (art.31, co.2).
Tanto precisato, resta fermo che in tutte le ipotesi di violazioni che
risultano sprovviste di sanzione, le Direzioni Provinciali del Lavoro
interessate non mancheranno di informare i lavoratori della possibilità
di far ricorso alle procedure ordinarie in materia di controversie
individuali di lavoro per il riconoscimento dei propri diritti.
3. Decreto legislativo 26 novembre 1999, n. 532: disposizioni in
materia di lavoro notturno
Con D.Lgs
n.532/99 il Governo, in attuazione della delega conferitagli
dall’art.17, comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n.25 (legge
comunitaria), ha dettato una nuova disciplina del lavoro notturno,
ispirandosi ai principi sanciti dalla Direttiva n.93/104/CE del Consiglio
del 23/11/1993, già recepiti con la citata legge 25/99.
La peculiarità della nuova normativa consiste nell’aver considerato il
lavoro notturno come ulteriore fattore di rischio, ai fini della tutela
fisica dei lavoratori, da collocare, nell’ambito dell’organizzazione
del lavoro, quale elemento condizionante i processi di lavoro.
Al fine, quindi, di offrire una tutela particolarmente rafforzata sotto il
profilo della salute del lavoratore, a causa dei maggiori rischi che
potrebbe comportare l’esecuzione della prestazione di lavoro notturno,
il legislatore delegato ha in parte richiamato il sistema sanzionatorio
previsto dal D.Lgs.n.626/94, in tema di violazione degli obblighi di
informazione posti a carico del datore di lavoro, provvedendo, inoltre, a
stabilire una nuova sanzione amministrativa per la violazione dei limiti
temporali del lavoro notturno.
Sempre nell’ottica del rafforzamento della tutela prestata al lavoro
notturno, si inquadrano le modifiche apportate, in tema di lavoro notturno
delle donne, dall’art.17 della legge n.25/99, all’art.5, co.1, della
legge 903/77, e, in tema di lavoro minorile, dall’art.10 del
D.Lgs.n.354/99 all’art.15 della legge 977/67.
Alla luce della nuova normativa, appare opportuno individuare il sistema
sanzionatorio vigente, nel suo complesso, in considerazione del permanere
della competenza di codeste Direzioni provinciali del lavoro a vigilare
sull’applicazione di tale disciplina, rientrando la stessa nella materia
più generale dell’orario di lavoro.
3. 1. Doveri di informazione : art.9
Il legislatore pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di
informare i lavoratori notturni e i rappresentanti della sicurezza sui
maggiori rischi derivanti dallo svolgimento del lavoro notturno, ove
presenti (comma 1).
Con tale previsione, vengono ampliati gli obblighi informativi stabiliti
dall’art.21 lett. c) del D.Lgs.n.626/94, dovendosi pertanto ritenere
che, in caso di accertato inadempimento di tale obbligo, sia applicabile
la sanzione stabilita dall’art.89, co.2, lett. b) di quest’ultimo
decreto, per la violazione del citato art.21.
Il comma 2 dell’art.9 pone, inoltre, a carico del datore di lavoro,
l’obbligo di informazione dei lavoratori sui servizi per la prevenzione
e la sicurezza, nonché della consultazione dei rappresentanti dei
lavoratori per la sicurezza per le lavorazioni che comportano rischi
particolari di cui all’art.4, co.2, del D.Lgs.n.532/99.
Tale comma delinea in capo al datore di lavoro due distinti obblighi: da
un lato quello dell’informazione dei lavoratori sui servizi per la
prevenzione e la sicurezza, che, in assenza di riferimenti normativi
precisi, si ritiene debbano essere individuati in quelli previsti dagli
artt.12 e 15 del D.Lgs.n.626/94; dall’altro quello della preventiva
consultazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza in ordine
alla valutazione dei rischi particolari sopra richiamati.
Relativamente al primo obbligo, il legislatore ha ampliato la previsione
dell’art.21, co.1, lett. b) del D.Lgs.n.626/94 e, per effetto di tale
ampliamento, in caso di inadempimento si applicherà la sanzione stabilita
dall’art.89, comma 2, lett. b) dello stesso decreto.
Per ciò che concerne il secondo obbligo, invece, esso rientra nella
disposizione dell’art.4, co.5, lett. p) del D.Lgs.626/94, sanzionato
anch’esso dall’art.89, co.2, lett. b) sopra citato.
3.2. Comunicazione del lavoro notturno: art.10
Il datore ha l’obbligo di comunicare per iscritto, con periodicità
annuale, alla Direzione provinciale del lavoro l’esecuzione del lavoro
notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni
periodici, quando esso non sia previsto dal contratto collettivo. Tale
obbligo non risulta sanzionato.
Peraltro, per effetto del richiamo espresso dell’art.12 del
R.D.n.1955/23, sussistono, comunque, gli obblighi di comunicazione
relativi alla esposizione e comunicazione alla Direzione provinciale del
lavoro dell’orario di lavoro nelle sue articolazioni, comprese
ovviamente quelle relative al lavoro notturno. Pertanto, il mancato
adempimento degli stessi sarà punito con la sanzione amministrativa da £.
100.000 a £. 600.000, in applicazione dell’art.17 del citato regio
decreto.
3.3. Misure di protezione personale e collettiva : art.11
Il comma 1 dell’art.11 del D.Lgs.n.532/99 fa obbligo al datore di
lavoro di garantire durante il lavoro notturno "un livello di servizi
e di mezzi di prevenzione o di protezione adeguati" e di assicurare
"un livello di servizi equivalente a quello previsto per il turno
diurno".
Da tale previsione scaturisce l’obbligo per il datore di lavoro di
garantire, in relazione alle caratteristiche del lavoro notturno, i "servizi"
che, analogamente a quanto rilevato per l’art.9, si ritiene vadano
individuati in quelli previsti dagli artt.12 e 15 del D.Lgs.n.626/94; le
relative sanzioni sono quelle di cui all’art.89, co.2, lett. a) e b)
dello stesso decreto.
Per quanto invece attiene all’obbligo di predisposizione dei "mezzi
di protezione e prevenzione" individuali e collettivi, si osserva
che esso rientra nel campo di applicazione dell’art.4, comma 5, lett. b)
del D.Lgs.n.626/94; l’art.89, comma 2, lett. a) individua le relative
sanzioni.
Il comma 2 dell’art.11 D.Lgs.n.532/99 prevede, poi, espressamente
l’obbligo, per le lavorazioni che comportano rischi particolari e che
saranno elencate nel decreto ministeriale cui rinvia l’art.4, co.2, di
adeguarsi alle disposizioni degli artt.40 e segg. del D.Lgs.n.626/94, le
cui sanzioni sono contenute nell’art.89, co.2, lett. a) e b).
3.4. Sanzioni- Visite mediche – Art.12, comma 1, lett. a)
L’inosservanza degli obblighi previsti dall’art.5 del D.Lgs.532/99,
relativi all’obbligo di sottoporre i lavoratori notturni alle prescritte
visite mediche preventive e periodiche ovvero ad accertamenti sanitari in
caso di evidenti condizioni di salute incompatibili con il lavoro
notturno, è punita dall’art.89, co.2, lett. a), del D.Lgs.626/94.
3.5. Durata della prestazione – Art.12, comma 1, lett. b)
L’inosservanza dei limiti temporali di durata della prestazione
lavorativa notturna, legali o contrattuali, previsti dall’art.4 del
D.Lgs.532/99, è punita con la sanzione amministrativa da lire centomila a
lire trecentomila (lire centomila pagamento in misura ridotta ex art.16
legge 689/81, per ogni giorno e per ogni lavoratore adibito al lavoro
notturno oltre i limiti temporali).
3.6. Divieto di lavoro notturno delle donne: art.5, comma 1, legge
903/77, modificato dall’art.17 della legge n. 25/99
L’inosservanza del divieto di adibire le donne al lavoro dalle ore 24
alle ore 6, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al
compimento di un anno di età del bambino, è punita dall’art.16, co.2,
della legge 903/77, come modificato dall’art.26, co.49, del
D.Lgs.758/94, con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da
lire un milione a lire cinque milioni.
3.7. Tutela lavoro notturno dei minori : art.15 legge 977/67,
modificato dall’art.10 del D.Lgs.n.345/99
L’inosservanza del divieto di adibire al lavoro notturno i minori è
punita dall’art.26, comma 3 della legge 977/67, come modificato
dall’art.1, co.1 n. 3, del D.Lgs.n.566/94, con l’arresto non superiore
a sei mesi o l’ammenda fino a dieci milioni.
3.8. Prescrizione obbligatoria
In tutti i casi sopra individuati in cui l’inosservanza delle
predette norme si traduce in reato di natura contravvenzionale, punito
alternativamente con l’arresto o con l’ammenda, si applicano le
disposizioni del Capo II D.Lgs.n.758/94, relative alla procedura della
prescrizione obbligatoria di cui agli artt.20 e seguenti.
4. Decreto legislativo 4 agosto 1999 n.345: protezione dei giovani sul
lavoro.
Il D.Lgs.n.345/99, emanato in attuazione della direttiva 94/33/CE, in
un’ottica di rafforzamento della tutela dell’integrità psico-fisica
del minore, nel sostituire, all’art.2, la terminologia usata dal
legislatore del 1967, che distingueva tra "fanciulli" ed
"adolescenti", vieta, all’art.6, che modifica l’art.4 della
L.977/67, il lavoro dei "bambini", individuati nei minori che
non hanno ancora compiuto 15 anni di età o che sono ancora soggetti
all’obbligo scolastico.
Come si vede, dunque, la definizione di "bambino", preliminare
ai fini della verifica della legittimità dell’adibizione del minore al
lavoro, viene ancorata a due diversi requisiti: da un lato quello
dell’età anagrafica, dall’altro quello dell’adempimento
dell’obbligo scolastico.
In linea con tale impostazione generale, che ha tenuto conto, in via
prioritaria, di quanto disposto in materia di obbligo scolastico dalla
legge 20 gennaio 1999, n.9, "Disposizioni urgenti per l’elevamento
dell’obbligo di istruzione", gli artt.5 e 6 del suddetto decreto
prevedono due distinte fattispecie di reato diversamente sanzionate
dall’art.14, che ha modificato l’art.26 della legge 977/67.
L’art.5, che ha sostituito l’art.3 della legge 977/67, stabilisce che
l’età minima per l’ammissione al lavoro è fissata al momento in cui
il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non
può essere inferiore a quindici anni compiuti. La violazione di tale
norma è punita con la pena alternativa dell’arresto non superiore a sei
mesi o dell’ammenda fino a lire dieci milioni.
L’art.6, nel novellare l’art.4 della legge 977/67, vieta, salvo casi
particolari, l’adibizione al lavoro dei bambini. Tale reato è punito
con la pena dell’arresto fino a sei mesi.
Nonostante l’apparente equivalenza dei due precetti, la espressa
previsione di diversi regimi sanzionatori richiede un intervento
interpretativo che vada al di là del mero dato letterale, per fornire
agli ispettori i necessari strumenti operativi che consentano loro di
individuare, in sede di accertamento, quale sia la sanzione da applicare
nel caso concreto.
La nuova normativa, come si è già detto, àncora la nozione di bambino e
di adolescente, oltre che al requisito dell’età, a quello
dell’assolvimento dell’obbligo scolastico; si ritiene che i due
aspetti siano diretti al soddisfacimento di diversi interessi: quello
della tutela dell’integrità psico-fisica del minore il primo e quello
della tutela della crescita psico-intellettiva il secondo.
Se si ritenesse che, ai fini dell’ammissione al lavoro ai sensi
dell’art.5 debbano ricorrere congiuntamente i due requisiti,
dell’adempimento dell’obbligo scolastico e del compimento del
quindicesimo anno di età, la previsione contenuta nell’articolo
successivo sarebbe una mera duplicazione dell’identico principio e si
configurerebbe la previsione di un duplice trattamento sanzionatorio a
fronte di una identica violazione: sarebbe come dire che il bambino non può
essere ammesso al lavoro e, immediatamente dopo, che lo stesso minore non
può essere adibito al lavoro medesimo.
Pertanto, affinché la condotta criminosa di cui all’art.5 possa
assumere autonoma rilevanza, occorre ritenere che gli estremi del reato
siano integrati dall’ammissione al lavoro del minore che, pur avendo
assolto all’obbligo scolastico, non ha ancora compiuto il quindicesimo
anno d’età.
In tal caso, l’interesse del minore è sacrificato solo in parte dal
momento che la maturità psico-intellettiva dello stesso deve ritenersi
sussistente, avendo egli compiuto il ciclo di istruzione obbligatoria. La
mancanza, in quest’ipotesi, del solo requisito dell’età
giustificherebbe la previsione di un regime sanzionatorio meno rigoroso di
quello previsto dall’art.6 seguente.
Quest’ultima norma, invece, pone l’accento proprio sulla carenza del
requisito dell’assolvimento dell’obbligo scolastico, ritenuto dal
legislatore d’importanza preminente, come del resto ribadito anche dal
Ministero della Pubblica Istruzione nelle circolari applicative del
Decreto 9 agosto 1999 n. 323, Regolamento di attuazione della legge n.
9/99.
Il maggior rigore, dal punto di vista punitivo, dell’art.6 rispetto al
precedente, dimostrato dalla previsione della più grave sanzione
dell’arresto fino a sei mesi, con esclusione del ricorso alla
prescrizione obbligatoria, si giustifica, ad avviso della scrivente
Divisione, in quanto si riscontrerebbe nelle violazioni di cui trattasi il
difetto o di entrambe le condizioni - compimento di 15 anni e conclusione
del periodo di istruzione obbligatoria – o di quella – adempimento
dell’obbligo scolastico – ritenuta, come detto, fondamentale ai fini
del raggiungimento da parte del minore della maturità necessaria affinché
egli possa svolgere legittimamente attività lavorativa.
4.1. Sospensione dell’efficacia dell’art.7 del D. Lgs.345/99.
L’entrata in vigore del decreto legislativo 18 agosto 2000 n.262,
contenente disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo
n. 345/99,ha posto fine ad un delicato problema di successione di leggi
nel tempo.
Con decreto legge 22 febbraio 2000 n. 31 era stata differita fino al 20
maggio 2000 l’applicazione delle disposizioni di cui all’art.7 del
D.Lgs. 345/99 - nella parte in cui sostituisce i commi 1 e 2 dell’art.6
della legge 977/67 - nonché dell’art.16, co.1 lett. a), limitatamente
all’abrogazione dell’art.5 della citata legge, e lett. c), che vietano
l’adibizione degli adolescenti ad una serie di attività elencate
nell'allegato 1 del decreto legislativo citato. Di conseguenza,
l’entrata in vigore del citato decreto legge aveva determinato la
reintroduzione della disciplina, meno rigorosa sotto questo aspetto,
prevista dalla legge 977/67.
La sospensione dell’efficacia della nuova normativa era stata disposta
in vista della emanazione - che pareva essere immediata – del successivo
decreto legislativo, correttivo del 345/99 sotto il profilo del limite di
esposizione quotidiana dell’adolescente ai rumori.
Sennonché tale provvedimento è stato adottato solo nell’agosto del
2000, dopo che il citato decreto legge era decaduto, non essendo stato
convertito in legge nei termini, con la conseguenza che, ai sensi del
comma 3 dell’art.77 della Costituzione, ne sarebbero dovuti cessare gli
effetti con efficacia retroattiva e si sarebbe dovuta ripristinare la
situazione giuridica anteriore alla sua emanazione.
Tale conclusione, che avrebbe comportato la ripresa dell’efficacia delle
disposizioni di cui agli articoli 7 e 16 del D.Lgs. n. 345/99, non sarebbe
stata però priva di implicazioni sotto il profilo del principio di
legalità e di quello, ad esso connesso, della certezza del diritto, in
quanto l’ispettore chiamato a comminare la sanzione per una violazione
commessa sotto la vigenza del decreto legge non convertito avrebbe
incontrato delle difficoltà oggettive nella corretta individuazione della
disciplina normativa applicabile (L.977/67 o D.Lgs.345/99 ?). Infatti, nel
caso di fatti concomitanti ad un decreto legge poi decaduto, occorre
contemperare opposte esigenze costituzionali; precisamente, da un lato
viene in rilievo il principio di cui all’art.77 comma 3 Cost.,
dall’altro quello posto dall’art.25, co.2 Cost., in base al quale
"nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima del fatto commesso". Tale ultimo principio,
ribadito e precisato in materia penale dall’art.2 c.p. ed in materia di
illecito amministrativo dall’art.1 L.689/81, comporta non solo
l’applicabilità della legge vigente al momento della commissione
dell'illecito, ma anche, nel caso di specie, contenendo il decreto legge
disposizioni più favorevoli, l’irretroattività, a parere della
scrivente Divisione, della legge penale più sfavorevole (D.Lgs. 345/99 ).
Il disposto dell’art.4 del D.Lgs. 262/2000, nel sospendere
l’applicazione dell’art.7 del D.Lgs. 345/99 (nella parte in cui
sostituisce i commi 1 e 2 dell’art.6 della L. 977/67), nonché
l’abrogazione dell’art.5 della legge n. 977/67 fino alla data del 20
ottobre 2000, ha conseguentemente ripristinato, fino a tale data, il
corrispondente disposto della legge 977/67.
Si deve ritenere che questa norma sani il periodo pregresso dal momento
che, sostituendo integralmente l’art.16 del D.Lgs. 345/99, fa sì che
gli effetti retroagiscano alla data di entrata in vigore di tale ultimo
decreto.
Pertanto, nonostante l’emanazione del D.Lgs. 345/99, fino al 20 ottobre
2000, per gli aspetti sopra rilevati, continua a trovare applicazione la
legge n. 977/67 con la conseguenza che le condotte sanzionabili sono
quelle poste in essere in violazione degli artt. 5 e 6 nella loro vecchia
formulazione.
In concreto, qualora gli accertamenti ispettivi relativi a condotte poste
in essere fino alla data del 20 ottobre 2000 rilevino violazioni ai sensi
del D.Lgs. 345/99, non potrà essere irrogata alcuna sanzione; se però,
si tratta di accertamenti già conclusi e definiti con la trasmissione
della denuncia all’Autorità Giudiziaria, sarà cura di quest’ultima
adottare le determinazioni di competenza. Diversamente - sempre con
riferimento al periodo sopra citato (fino al 20 ottobre) - nel caso in cui
siano già state riscontrate o si riscontrino violazioni amministrative ex
artt.5 lett. h) e 26 L.977/67 si dovrà procedere alla contestazione e,
quindi, all’emanazione della relativa ordinanza ingiunzione. Ove gli
accertamenti ispettivi abbiano riscontrato o riscontrino, invece, una
condotta penalmente rilevante ai sensi degli artt.5 e 26 L.977/67 si dovrà
provvedere alla trasmissione del rapporto all’Autorità Giudiziaria.