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CORTE COSTITUZIONALE

Le sentenze sono in ordine di data.

CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza n. 373 del 2002
Concorsi interni riservati al 100% del personale interno - Illegittimità. Leggi sentenza
CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza  n. 145/2002
Pubblico impiego - Procedimento disciplinare - Disciplina prevista dall'art. 4,  legge 27 marzo 2001, n. 97 - Sospensione dal servizio decorso il termine di prescrizione del reato - Illegittimità - (Testo integrale Sentenza)
CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 11 giugno 2001 n. 189
Pubblico impiego - Rapporto di lavoro part time - Disciplina prevista dall'art. 1, commi 56 e 56-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 - Omessa previsione di una incompatibilità tra esercizio della professione forense e la condizione di pubblico dipendente - Questione di costituzionalità - Infondatezza. (Testo integrale Sentenza)
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 56 e 56-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) - sollevate dal Consiglio nazionale forense in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 97 e 98 della Costituzione - nella parte in cui rimuovono l’incompatibilità tra l’attività di dipendente pubblico part-time e l’esercizio di tutte le professioni intellettuali, e, più in particolare, nella parte in cui prevedono l’abrogazione parziale delle disposizioni che sanciscono l’incompatibilità tra esercizio della professione forense e la condizione di pubblico dipendente (art. 3 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578) in regime di part-time, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno.

Nell'elidere il vincolo di esclusività della prestazione in favore del datore di lavoro pubblico, infatti, il legislatore, proprio per evitare eventuali conflitti di interessi, ha provveduto a porre direttamente (ovvero ha consentito alle amministrazioni di porre) rigorosi limiti all'esercizio, da parte del dipendente che richieda il regime di part-time ridotto, di ulteriori attività lavorative e, in particolare, di quella professionale forense. Limiti che le ordinanze omettono, invero, di ponderare adeguatamente, solo ove si consideri che essi non vanno rinvenuti unicamente nel comma 56-bis dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996 (che contempla l'impossibilità di un conferimento di incarichi da parte delle amministrazioni pubbliche in favore del dipendente part-time e il contestuale divieto di esercitare il patrocinio in controversie in cui sia parte la pubblica amministrazione), ma anche nel comma 58 (che consente la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto di interesse), e nel comma 58-bis del medesimo articolo (il quale riserva alle stesse amministrazioni pubbliche la potestà di indicare le attività "comunque non consentite" in "ragione della interferenza con i compiti istituzionali").

Inoltre, il divieto posto dal comma 2-ter dell'art. 18 della legge n. 109 del 1994 (inserito dall'art. 9, comma 30, della legge n. 415 del 1998), il quale esclude che i pubblici dipendenti possano espletare, nell'ambito territoriale del proprio ufficio, incarichi professionali per conto delle amministrazioni di appartenenza, finisce per prevedere un divieto ancora più restrittivo di quello discendente dal comma 56-bis, interpretato, infatti, nel senso che quest'ultimo riguardi esclusivamente gli incarichi professionali che non trovino assegnazione in base a procedure concorsuali di scelta adottate dall'amministrazione (v. in tal senso la circolare 18 luglio 1997 della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica).

Per quanto riguarda poi i doveri propri della professione forense, non è dubbio che il diritto di difesa risulta garantito solo se l'avvocato, in piena fedeltà al mandato, è in grado di esercitare compiutamente il ministero tecnico a lui affidato ed in relazione a tale basilare principio, non sembrano, invero, porsi, per i professionisti legati da un rapporto di dipendenza con la pubblica amministrazione, in regime di part-time ridotto, particolari esigenze che non possano trovare soddisfazione, così come per l'opera di tutti i professionisti, in quella disciplina generale dell'attività da essi svolta, che giunge a contemplare anche il presidio, ove occorra, della sanzione penale (artt. 380 e 622 cod. pen.). 

 

CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 17 ottobre 2000 n. 426
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale - sollevate in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione - dell’art. 208, comma 2, lettera a), e comma 4, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), modificato dall’art. 109 del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), nella parte in cui consente di destinare a previdenza integrativa del personale di polizia municipale una parte dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal codice della strada.
(testo Integrale Sentenza)

 

CORTE COSTITUZIONALE - Ordinanza 24 luglio 2000 n. 342 - Pres. MIRABELLI, Red. ONIDA - (giudizio promosso con ordinanza emessa il 20 ottobre 1998 dal Consiglio di Stato, iscritta al n. 330 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 1999). (testo integrale ordinanza)

Pubblico impiego - Vigili del Fuoco - Trattamento economico - Mancata estensione dell'indennità prevista in favore del personale della Polizia di Stato - Questione di costituzionalità - Manifesta infondatezza.

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento agli articoli 3, 36 e 97 della Costituzione - degli articoli 16, secondo comma, e 43 della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), e dell’art. 2, quinto comma, della legge 20 marzo 1984, n. 34, nelle parti in cui non estendono al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco l’indennità ivi attribuita al personale della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo degli agenti di custodia e del Corpo forestale dello Stato.

Il Corpo dei vigili del fuoco è retto da uno specifico ordinamento, facente capo fondamentalmente alla legge 13 maggio 1961, n. 469 (Ordinamento dei servizi antincendi e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e stato giuridico e trattamento economico del personale dei sottufficiali, vigili scelti e vigili del Corpo nazionale dei vigili del fuoco), oltre che, per quanto ancora applicabili, alla legge 27 dicembre 1941, n. 1570, e al r.d. 16 marzo 1942, n. 699: ordinamento nel cui ambito ne sono individuate le funzioni, consistenti nella prevenzione e nella estinzione degli incendi e nello svolgimento, in genere, di servizi e soccorsi tecnici per la tutela della incolumità delle persone e la preservazione dei beni (cfr. art. 1 della legge n. 1570 del 1941; art. 1, primo comma, lettera a, della legge n. 469 del 1961), ed è specificamente disciplinato lo status del relativo personale (titolo III – artt. 14 e seguenti – della legge n. 469 del 1961).

Attesa la radicale differenza fra la disciplina del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e quello della Polizia di Stato, anche per quanto riguarda le fonti della relativa disciplina, e la diversità esistente, sotto il profilo strutturale e funzionale, tra le categorie di dipendenti messe a confronto, risulta improponibile e ingiustificata la pretesa di estendere, in nome del principio di eguaglianza, agli appartenenti al Corpo dei vigili del fuoco la attribuzione di una singola componente retributiva prevista dalle specifiche norme relative agli appartenenti alle forze di polizia.

 

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