CESARE PAVESE

 

 

LA TERRA E LA MORTE

(1945-1946)

 

 

 

Terra rossa terra nera,

tu vieni dal mare,

dal verde riarso,

dove sono parole

antiche e fatica sanguigna

e gerani tra i sassi –

non sai quanto porti

di mare parole e fatica,

tu ricca come un ricordo,

come la brulla campagna,

tu dura e dolcissima

parola, antica per sangue

raccolto negli occhi;

giovane, come un frutto

che è ricordo e stagione –

il tuo fiato riposa

sotto il cielo d'agosto,

le olive del tuo sguardo

addolciscono il mare,

e tu vivi rivivi

senza stupire, certa

come la terra, buia

come la terra, frantoio

di stagioni e di sogni

che alla luna si scopre

antichissimo, come

le mani di tua madre,

la conca del braciere.

 

        * * *

Tu sei come una terra

che nessuno ha mai detto.

Tu non attendi nulla

se non la parola

che sgorgherà dal fondo

come un frutto tra i rami.

C'è un vento che ti giunge.

Cose secche e rimorte

t'ingombrano e vanno nel vento.

Membra e parole antiche.

Tu tremi nell'estate.

 

     * * *

 

Anche tu sei collina

e sentiero di sassi

e gioco nei canneti,

e conosci la vigna

che di notte tace.

Tu non dici parole.

 

C'è una terra

che tace e non è terra tua.

C'è un silenzio che dura

sulle piante e sui colli.

Ci son acque e campagne.

Sei un chiuso silenzio

che non cede, sei labbra

e occhi bui. Sei la vigna.

 

E’ una terra che attende

e non dice parola.

Sono passati giorni

sotto cieli ardenti.

Tu hai giocato alle nubi.

E una terra cattiva –

la tua fronte lo sa.

Anche questo è la vigna.

 

Ritroverai le nubi

e il canneto, e le voci

come un'ombra di luna.

Ritroverai parole

oltre la vita breve

e notturna dei giochi,

 

oltre l'infanzia accesa.

Sarà dolce tacere.

Sei la terra e la vigna.

Un acceso silenzio

brucerà la campagna

come i falò la sera.

 

 * * *

 

 

Hai viso di pietra scolpita,

sangue di terra dura,

sei venuta dal mare.

Tutto accogli e scruti

e respingi da te

come il mare. Nel cuore

hai silenzio, hai parole

inghiottite. Sei buia.

Per te l'alba è silenzio.

 

E sei come le voci

della terra ‑l'urto

della secchia nel pozzo,

la canzone del fuoco,

il tonfo di una mela;

le parole rassegnate

e cupe sulle soglie,

il grido del bimbo ‑ le cose

che non passano mai.

Tu non muti. Sei buia.

 

Sei la cantina chiusa,

dal battuto di terra,

dov'è entrato una volta

ch'era scalzo il bambino,

e ci ripensa sempre.

Sei la camera buia

cui si ripensa sempre,

come al cortile antico

dove s'apriva l'alba.

 

 

* * *

 

 

Tu non sai le colline

dove si è sparso il sangue.

Tutti quanti fuggimmo

tutti quanti gettammo

l'arma e il nome. Una donna

ci guardava fuggire.

Uno solo di noi

si fermò a pugno chiuso,

vide il cielo vuoto,

chinò il capo e morì

sotto il muro, tacendo.

Ora è un cencio di sangue

e il suo nome. Una donna

ci aspetta alle colline.

 

* * * 

 

 

Di salmastro e di terra

è il tuo sguardo. Un giorno

hai stillato di mare.

Ci sono state piante

al tuo fianco, calde,

sanno ancora di te.

L'agave e l'oleandro.

Tutto chiudi negli occhi.

Di salmastro e di terra

hai le vene, il fiato.

 

Bava di vento caldo,

ombre di solleone

tutto chiudi in te.

Sei la voce roca

della campagna, il grido

della quaglia nascosta,

il tepore del sasso.

La campagna è fatica,

la campagna è dolore.

Con la notte il gesto

del contadino tace.

Sei la grande fatica

e la notte che sazia.

 

Come la roccia e l'erba,

come terra, sei chiusa;

ti sbatti come il mare.

La parola non c'è

che ti può possedere

o fermare. Cogli

come la terra gli urti,

e ne fai vita, fiato

che carezza, silenzio.

Sei riarsa come il mare,

come un frutto di scoglio.

e non dici parole

e nessuno ti parla.

 

    * * * 

 

Sempre vieni dal mare

e ne hai la voce roca,

sempre hai occhi segreti

d'acqua viva tra i rovi,

e fronte bassa, come

cielo basso di nubi.

Ogni volta rivivi

come una cosa antica

e selvaggia, che il cuore

già sapeva e si serra.

 

Ogni volta è uno strappo,

ogni volta è la morte.

Noi sempre combattemmo.

Chi si risolve all'urto

ha gustato la morte

e la porta nel sangue.

Come buoni nemici

che non s'odiano più

noi abbiamo una stessa

voce, una stessa pena

e viviamo affrontati

sotto povero cielo.

Tra noi non insidie,

non inutili cose –

combatteremo sempre.

 

Combatteremo ancora,

combatteremo sempre,

perché cerchiamo il sonno

della morte affiancati,

e abbiamo voce roca

fronte bassa e selvaggia

e un identico cielo.

Fummo fatti per questo.

Se tu od io cede all'urto,

segue una notte lunga

che non è pace o tregua

e non è morte vera.

Tu non sei più. Le braccia

si dibattono invano.

 

Fin che ci trema il cuore.

Hanno detto un tuo nome.

Ricomincia la morte.

Cosa ignota e selvaggia

sei rinata dal mare.

 

 

   * * * 

 

 

E allora noi vili

che amavamo la sera

bisbigliante, le case

i sentieri sul fiume,

le luci rosse e sporche

di quei luoghi, il dolore

addolcito e taciuto –

noi strappammo le mani

dalla viva catena

e tacemmo, ma il cuore

ci sussultò di sangue,

e non fu più dolcezza,

non fu più abbandonarsi

al sentiero sul fiume –

-         non più servi, sapemmo

di essere soli e vivi.

 

* * * * *

 

Sei la terra e la morte.

La tua stagione è il buio

e il silenzio. Non vive

cosa che più di te

sia remota dall'alba.

 

Quando sembri destarti

sei soltanto dolore,

l'hai negli occhi e nel sangue

ma tu non senti. Vivi

come vive una pietra,

come la terra dura.

E ti vestono sogni

movimenti singulti

che tu ignori. Il dolore

come l'acqua di un lago

trepida e ti circonda.

Sono cerchi sull'acqua.

Tu li lasci svanire.

Sei la terra e la morte.

 

Cesare Pavese

 

 

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