L'ULTIMO VIAGGIO |
I LA
PALA Ed
il timone al focolar sospese in
Itaca l'Eroe navigatore. Stanco
giungeva da un error terreno, grave
ai garretti, ch'egli avea compiuto reggendo
sopra il grande omero un remo. Quelli
cercava che non sanno il mare né
navi nere dalle rosse prore, e
non miste di sale hanno vivande. E
già più lune s'erano consunte tra
scabre rupi, nel cercare in vano l'azzurro
mare in cui tuffar la luce; né
da gran tempo più sentiva il cielo l'odor
di sale, ma l'odor di verde: quando
gli occorse un altro passeggero, che
disse; e il vento che ululò notturno, si
dibatteva, intorno loro, ai monti, come
orso in una fossa alta caduto: Uomo
straniero, al re tu muovi? Oh! tardo! Al
re, già mondo è nel granaio il grano. Un
dio mandò quest'alito, che soffia anc'oggi,
e ieri ventilò la lolla. Oggi,
o tarda opra, vana è la tua pala. Disse;
ma il cuore tutto rise accorto all'Eroe
che pensava le parole del
morto, cieco, dallo scettro d'oro. Ché
cieco ei vede, e tutto sa pur morto: tra
gli alti pioppi e i salici infecondi, nella
caligo, egli, bevuto al botro il
sangue, disse: Misero, avrai pace quando
il ben fatto remo della nave ti
sia chiamato un distruttor di paglie. Ed
ora il cuore, a quel pensier, gli rise E
disse: Uomo terrestre, ala! non pala! Ma
sia. Ben ora qui fermarla io voglio nella
compatta aridità del suolo. Un
fine ha tutto. In ira a un dio da tempo io
volo foglia a cui s'adira il vento. E
l'altro ancora ad Odisseo parlava: Chi,
donde sei degli uomini? venuto come,
tra noi? Non già per l'aere brullo, come
alcuno dei cigni longicolli, ma
scambiando tra loro i due ginocchi. Parlami,
e narra senza giri il vero. |