L'ULTIMO VIAGGIO |
XXIV CALYPSO E
il mare azzurro che l'amò, più oltre spinse
Odisseo, per nove giorni e notti, e
lo sospinse all'isola lontana, alla
spelonca, cui fioriva all'orlo carica
d'uve la pampinea vite. E
fosca intorno le crescea la selva d'ontani
e d'odoriferi cipressi; e
falchi e gufi e garrule cornacchie v'aveano
il nido. E non dei vivi alcuno, né
dio né uomo, vi poneva il piede. Or
tra le foglie della selva i falchi battean
le rumorose ale, e dai buchi soffiavano,
dei vecchi alberi, i gufi, e
dai rami le garrule cornacchie garrian
di cosa che avvenia nel mare. Ed
ella che tessea dentro cantando, presso
la vampa d'olezzante cedro, stupì,
frastuono udendo nella selva, e
in cuore disse: Ahimè, ch'udii la voce delle
cornacchie e il rifiatar dei gufi! E
tra le dense foglie aliano i falchi. Non
forse hanno veduto a fior dell'onda un
qualche dio, che come un grande smergo viene
sui gorghi sterili del mare? O
muove già senz'orma come il vento, sui
prati molli di viola e d'appio? Ma
mi sia lungi dall'orecchio il detto! In
odio hanno gli dei la solitaria Nasconditrice.
E ben lo so, da quando l'uomo
che amavo, rimandai sul mare al
suo dolore. O che vedete, o gufi dagli
occhi tondi, e garrule cornacchie? Ed
ecco usciva con la spola in mano, d'oro,
e guardò. Giaceva in terra, fuori del
mare, al piè della spelonca, un uomo, sommosso
ancor dall'ultima onda: e il bianco capo
accennava di saper quell'antro, tremando
un poco; e sopra l'uomo un tralcio pendea
con lunghi grappoli dell'uve. Era
Odisseo: lo riportava il mare alla
sua dea: lo riportava morto alla
Nasconditrice solitaria, all'isola
deserta che frondeggia nell'ombelico
dell'eterno mare. Nudo
tornava chi rigò di pianto le
vesti eterne che la dea gli dava; bianco
e tremante nella morte ancora, chi
l'immortale gioventù non volle. Ed
ella avvolse l'uomo nella nube dei
suoi capelli; ed ululò sul flutto sterile,
dove non l'udia nessuno: -
Non esser mai! non esser mai! più nulla, ma
meno morte, che non esser più! -
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