GOG E MAGOG

 

I

 

A mandre, come gli asini selvaggi,

in vano andava e ritornava in vano

Gog e Magog coi neri carriaggi;

 

e la montagna li vedea nel piano

errare, udiva di tra le tormente

di quelle fruste lo schioccar lontano;

 

ed un bramir giungeva, della gente

di Mong, come umile abbaiar di iene,

all'inconcussa Porta d'occidente.

 

 

II

 

Ché tra due monti grande era, di rosso

bronzo, una porta; grande sì, che l'ombra

ne trascorreva all'ora del tramonto

 

mezza la valle. Il figlio dell'Ammone

la incardinò per chiudere gl'immondi

popoli, e i neri branchi di bisonti:

 

la sprangò, chiuse. Ma ristette al sommo

dei monti: un chiaro strepere di trombe

giungea dalle Mammelle d'Aquilone.

 

 

III

 

V'era il Bicorne... E gli ultimi che, infanti,

aveano udito il gran maglio cadere

su le chiavarde, erano grigi vecchi;

 

e non partiva... E i figli lor, giganti

dagli occhi fiammei, dalle lingue nere,

o nani irsuti dai mobili orecchi,

 

erano morti; e d'ognun d'essi, i mille

erano nati, quante le faville

da un tizzo: ma il Bicorne era lassù.

 

 

IV

 

In alto in alto, a guardia dell'Erguene-

cun; e lo squillo delle sue diane

movea valanghe e rifrangea morene.

 

S'empiva, ogni alba, il cielo di poiane;

e l'Orda a valle, come nubi al suono

del nembo, nera s'addossava al Kane:

 

carri che rotolavano dal cono

delle montagne; un subito barrito

d'elefanti; una voce come tuono...

 

 

V

 

Ma meno udian di giorno quel tumulto

lassù; di giorno anche le genti chiuse

ruggìano, e il cibo dividean con l'unghie.

 

Vaniva il grido di lassù nell'urlo

della lor fame. Era, di giorno, tutto

al sangue, Alan, Aneg, Ageg, Assur,

 

Thubal, Cephar. Più, nelle notti lunghe,

s'udiva, quando concepìan, nel Yurte,

le loro donne i figli di Mong-U.

 

 

VI

 

La luna andava su per orli gialli

di nubi, in fuga: per l'intatta neve

stavano in cerchio mandre di cavalli:

 

le teste in dentro, immobili, tra il bianco,

stavano: a ora a ora un nitrir breve,

un improvviso scalpitìo del branco.

 

Ché tutta la montagna solitaria

muggìa. Temeva anche la luna, e lieve

balzava su, da nube a nube, in aria.

 

 

VII

 

O risplendea sul murmure infinito,

pendula. Cinto d'edere e d'acanti

l'Eroe, tolte le faci del convito,

 

scorreva in festa i gioghi lustreggianti,

e laggiù, dalle tonde ombre dei pini,

l'Orda ascoltava lunghi aerei canti;

 

udiva lunghi gemiti marini

di conche, e, tra il tintinno della cetra,

timpani cupi, cimbali argentini.

 

 

VIII

 

Gog e Magog tremava; e le sue donne

dissero: «Non ha madre Egli, cui dolce

gli sia tornare, pieno d'ambra e d'oro?

 

non figli, greggi? non fiorenti mogli

presso cui, sazio di narrar, si corchi?

Forse hanno a sdegno lui così bicorne!

 

Dunque e perché non scende Egli dal monte

né prendesi una dalle nostre torme,

che gli sia bestia, tra Gog e Magog?»

 

 

IX

 

Gog e Magog tremava... Uno dei nani

cauto trovò gli stolidi giganti.

«Noi moriamo, o giganti, ed Egli no.

 

Io che muovo gli orecchi come i cani,

intesi cose. Non c'è sempre avanti

Zul-Karnein. A volte a Rum andò.

 

Parte col sole. A un fonte va, di stelle

liquide, azzurro. Con le due giumelle

v'attinge vita. Ogni cent'anni un po'.»

 

 

X

 

Ora Egli un giorno (la Montagna tetra

parea più presso e, come scheletrita,

mostrava il bianco ossame suo di pietra)

 

per l'ombra, dove non sapea che dita

reggeano erranti lampade d'argento,

per l'ombra andava al fonte della vita.

 

E non più squilli di tra i gioghi, e il vento

soffiava in vano. La gran Porta un poco

brandiva, a tratti, con émpito lento.

 

 

XI

 

Gog e Magog tre dì, vigile, attese;

tre notti attese; e non udì, che a sera

la Porta a quando a quando brandir lenta.

 

Non c'era più sui monti... E l'Orda prese

la via dei monti. Andava l'Orda nera

formicolando sotto la tormenta.

 

All'alba mugliò lugubre un bisonte,

nitrì un cavallo, si spezzò la schiera...

Uno squillo correa da monte a monte.

 

 

XII

 

E dissero le donne: «Uomo da nulla

Zul-Karnein! Tornasti in fretta! O forse

non c'era al fonte sola una fanciulla?

 

non una tua sorella, che la secchia

abbandonò vuota sul fonte, e corse

ansando in casa alla tua madre vecchia?

 

Or fa, divino ariete, sonare

le trombe! Al suono delle tue fanfare

l'uom ci si desta, e poi... non dorme più.»

 

 

XIII

 

E gli uomini ulularono: «Ha bevuto

in Rum al fonte delle stelle azzurro!

Zul-Karnein è sempre ciò che fu.»

 

E lor fu in odio ogni altra vita, e il frutto

d'ogni altro ventre; e il rosso sangue munto

bevvero alle bisonti, alle zebù.

 

Né più sonava per la valle un muglio.

Non sonò più, Gog e Magog, che l'urlo

interminato delle sue tribù.

 

 

XIV

 

Ma sì, partì Zul-Karnein, nel fuoco

d'un vespro: per il monte erano stese

porpore cupe a margini di croco.

 

Nel cocchio d'oro folgorando ascese

l'Eroe; nell'ombra lontanò tra un gaio

ridere di berilli e di turchese,

 

Un balenìo di cuspidi d'acciaio,

un'eco d'inni che tremola ed erra

qua e là... Tacque infine irto il ghiacciaio.

 

 

XV

 

Tre anni attese il Tartaro, tre anni

spiò l'arrivo degli stessi draghi

dagli occhi d'oro sopra la montagna

 

tacita e sola. Il Tartaro guardava,

né già temeva, e più sentìa la fame

e l'ira, e con man d'orso per la valle

 

svellea betulle, sradicava ontani.

Ma vide gli occhi degli stessi draghi

la terza volta, e venne alla montagna.

 

 

XVI

 

A piè delle Mammelle d'Aquilone

giunsero cauti. E il vecchio nano astuto

con mani e piedi rampicò sui tufi.

 

E vide in cima un grande padiglione

come di tromba, e vi scivolò muto:

v'udì soffi, vi scorse occhi di gufi.

 

Un nido immondo riempiva il vuoto

di quella tromba. Un grande gufo immoto

v'era, due ciuffi in capo irti, da re.

 

 

XVII

 

Prese due penne il vecchio nano, e stette

sopra una roccia, ed agitò le penne,

e chiamò l'Orda, che attendeva: «A me,

 

Gog e Magog! A me, Tartari! O gente

di Mong, Mosach, Thubal, Aneg, Ageg,

Assum, Pothim, Cephar, Alan, a me!

 

A Rum fuggì Zul-Karnein, le ferree

trombe lasciando qui su le Mammelle

tonde del Nord. Gog e Magog, a me!»

 

 

XVIII

 

O stolti! Quelle trombe erano terra

concava, donde il vento occidentale

traeva, ansando, strepiti di guerra.

 

Rupperle disdegnando col puntale

de' lor pungetti, e dalle trombe rotte

gufi uscivan con muto batter d'ale.

 

Risero accorti, e sparsi per le grotte

bevvero sangue. Sopra loro un volo

muto, di sogni, e i gridi della notte.

 

 

XIX

 

Alla gran Porta si fermò lo stuolo:

sorgeva il bronzo tra l'occaso e loro.

Gog e Magog l'urtò d'un urto solo.

 

La spranga si piegò dopo un martoro

lungo: la Porta a lungo stridé dura-

mente, e s'aprì con chiaro clangor d'oro.

 

S'affacciò l'Orda, e vide la pianura,

le città bianche presso le fiumane,

e bionde messi e bovi alla pastura.

 

Sboccò bramendo, e il mondo le fu pane.