Myricae
Giovanni Pascoli



TRISTEZZE



I
PAESE NOTTURNO

Capanne e stolli ed alberi alla luna
sono, od un tempio dell'antico Anubi,
fosca rovina? Stampano una bruna
orma le nubi

su la campagna, e più profonda e piena
la notte preme le macerie strane,
chiuse allo sguardo, dove alla catena
uggiola un cane.

Ecco la falce d'oro all'orizzonte:
due nere guglie a man a man dipinge,
indi non so che candido. Una fronte
bianca di sfinge?



II
RAMMARICO

Chi questo nuovo pianto in cuor mi pone ?

Verso occidente, o dolce madre Aurora,
da te lontano la mia vita è corsa.
Il cielo s'alza e tutto trascolora;
passano stelle e stelle in lenta corsa;
emerge dall'azzurro la grand'Orsa,
e sta nell'arme fulgido Orïone.

Come più lieta la tua vista, quando
un poco accenni delle rosee dita;
e la greggia s'avvia scampanellando,
esce il bifolco e rauco i bovi incìta,
Canta lassù la lodola - apparita
ecco Giulietta, e piange, al suo balcone!-



III
SOGNO

Per un attimo fui nel mio villaggio,
nella mia casa. Nulla era mutato
Stanco tornavo, come da un vïaggio;
stanco, al mio padre, ai morti, ero tornato.

Sentivo una gran gioia, una gran pena;
una dolcezza ed un'angoscia muta.
- Mamma?-È là che ti scalda un po' di cena-
Povera mamma! e lei, non l'ho veduta.



IV
I GATTICI

E vi rivedo, o gattici d'argento,
brulli in questa giornata sementina:
e pigra ancor la nebbia mattutina
sfuma dorata intorno ogni sarmento.

Gia vi schiudea le gemme questo vento
che queste foglie gialle ora mulina;
e io che al tempo allor gridai, Cammina,
ora gocciare il pianto in cuor mi sento.

Ora, le nevi inerti sopra i monti,
e le squallide pioggie, e le lunghe ire
del rovaio che a notte urta le porte,

e i brevi dì che paiono tramonti.
infiniti, e il vanire e lo sfiorire,
e i crisantemi, il fiore della morte.



V
LA SIEPE

Qualche bacca sui nudi ramicelli
del biancospino trema nel viale
gelido: il suol rintrona, andando, quale
per tardi passi il marmo degli avelli.

Le pasce il piccol re, re degli uccelli
ed altra gente piccola e vocale.
S'odono a sera lievi frulli d'ale,
via, quando giunge un volo di monelli.

Anch'io; ricordo, ma passò stagione;
quelle bacche a gli uccelli della frasca
invidiavo, e le purpuree more;

e l'ala, i cieli, i boschi, la canzone:
i boschi antichi, ove una foglia casca,
muta, per ogni battito di cuore.



VI
IL NIDO

Dal selvaggio rosaio scheletrito
penzola un nido. Come, a primavera,
ne prorompeva empiendo la riviera
il cinguettio del garrulo convito!

Or v'è sola una piuma, che all'invito
del vento esita, palpita leggiera;
qual sogno antico in anima severa,
fuggente sempre e non ancor fuggito:

e già l'occhio dal cielo ora si toglie;
dal cielo dove un ultimo concento
salì raggiando e dileguò nell'aria;

e si figge alla terra, in cui le foglie
putride stanno, mentre a onde il vento
piange nella campagna solitaria.



VII
IL PONTE

La glauca luna lista l'orizzonte
scopre i campi nella notte occulti
e il fiume errante. In suono di singulti
l'onda si rompe al solitario ponte.

Dove il mar, che lo chiama? e dove il fonte,
ch'esita mormorando tra i virgulti?
il fiume va con lucidi sussulti
al mare ignoto dall'ignoto monte.

Spunta la luna: a lei sorgono intenti
gli alti cipressi dalla spiaggia triste,
movendo insieme come un pio sussurro.

Sostano, biancheggiando, le fluenti
nubi, a lei volte, che salìan non viste
le infinite scalèe del tempio azzurro.



VIII
AL FUOCO

Dorme il vecchio avanti i ciocchi.
Sogna un nuvolo di bimbi,
che cinguetta. Il ceppo al foco
russa roco.

Dorme anch'esso. A tutti i nocchi
sogna grappoli e corimbi.
Rosei pendono nell'aria
solitaria.

Bianchi i bimbi tra il fogliame,
su su, a quel roseo sorriso
vanno. Il ceppo occhi di brace
apre, e tace.

Ecco pendulo lo sciame
dal grande albero improvviso,
su su. Il vecchio nel cor teme,
guarda e geme.

Ogni bimbo al suo fiore alza
la mano e. . . scivola e va.
Sbarra il ceppo la pupilla:
crocchia e brilla.

E il vegliardo, al crocchiar, balza
nella rotta oscurità.
Gira lento gli occhi. Solo!
solo! solo!



IX
IL LAMPO

E cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì si chiuse, nella notte nera.



X
IL TUONO

E nella notte nera come il nulla,
a un tratto, col fragor d'arduo dirupo
che frana, il tuono rimbombò di schianto:
rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
e poi vanì. Soave allora un canto
s'udì di madre, e il moto di una culla.



XI
LONTANA

Cantare, il giorno, ti sentii: felice?
Cantavi; la tua voce era lontana:
lontana come di stornellatrice
per la campagna frondeggiante e piana.

Lontana sì, ma io sentia nel cuore
che quel lontano canto era d'amore:

ma sì lontana, che quel dolce canto,
dentro, nel cuore, mi moriva in pianto.



XII
I CIECHI

Siedono lungo il fosso, al solleone,
fuor dello stormeggiante paesello.
Passa un trotto via via tra il polverone,
una pesta, un alterco, uno stornello:

e da terra una grave salmodia
si leva, una preghiera, al lor cospetto.
- Il nostro pane - gemono via via:
il nostro, il nostro: tu, Gesù, l'hai detto.



XIII
DALLA SPIAGGIA

I

C'è sopra il mare tutto abbonacciato
il tremolare quasi d'una maglia:
in fondo in fondo un ermo colonnato,
nivee colonne d'un candor che abbaglia:

una rovina bianca e solitaria,
là dove azzurra è l'acqua come l'aria:

il mare nella calma dell'estate
ne canta tra le sue larghe sorsate.

II

O bianco tempio che credei vedere
nel chiaro giorno, dove sei vanito?
Due barche stanno immobilmente nere,
due barche in panna in mezzo all'infinito.

E le due barche sembrano due bare
smarrite in mezzo all'infinito mare;

e piano il mare scivola alla riva
e ne sospira nella calma estiva.



XIV
NOTTE DI NEVE

Pace! grida la campana,
ma lontana, fioca. Là

un marmoreo cimitero
sorge, su cui l'ombra tace:
e ne sfuma al cielo nero
un chiarore ampio e fugace.
Pace! pace! pace! pace!
nella bianca oscurità.



XV
NEVICATA

Nevica: l'aria brulica di bianco;
la terra è bianca; neve sopra neve:
gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco:
cade del bianco con un tonfo lieve.

E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera:
passano bimbi: un balbettio di pianto;
passa una madre: passa una preghiera.



XVI
NOTTE DOLOROSA

Si muove il cielo, tacito e lontano:

la terra dorme, e non la vuol destare;
dormono l'acque, i monti, le brughiere.
Ma no, ché sente sospirare il mare,
gemere sente le capanne nere:
v'è dentro un bimbo che non può dormire:
piange; e le stelle passano pian piano.




XVII
NOTTE Dl VENTO

Allora sentii che non c'era,
che non ci sarebbe mai più...
La tenebra vidi più nera,
più lugubre udii la bufera...
uuh...uuuh...uuuh...

Venia come un volo di spetri,
gridando ad ogni émpito più:
un fragile squillo di vetri
seguiva quelli ululi tetri...
uuh...uuuh...uuuh...

Oh! solo nell'ombra che porta
quei gridi... (chi passa laggiù?)
Ohl solo nell'ombra già morta
per sempre... (chi batte alla porta?)
uuh...uuuh...uuuh...



XVIII
LA BAIA TRANQUILLA

Getta l'ancora, amor mio:
non un'onda in questa baia.
Quale assiduo sciacquìo
fanno l'acque tra la ghiaia!

Vien dal lido solatìo,
vien di là dalla giuncaia,
lungo vien come un addio,
un cantar di marinaia.

Tra le vetrici e gli ontani
vedi un fiume luccicare;

uno stormo di gabbiani
nel turchino biancheggiare;
e sul poggio, più lontani,
i cipressi neri stare.

Mare ! mare!
dolce là, dal poggio azzurro,
il tuo urlo e il tuo sussurro.


MYRICAE   Pascoli-->Indice