Myricae
Giovanni Pascoli


IN CAMPAGNA



I
IL VECCHIO DEI CAMPI

Al soie, al fuoco, sue novelle ha pronte
il bianco vecchio dalla faccia austera,
che si ricorda, solo ormai, del ponte,
quando non c'era.

Racconta al sole (i buoi fumidi stanno,
fissando immoti la sua lenta fola)
come far sacca si dové, quell'anno,
delle lenzuola.

Racconta al fuoco (sfrigola bel bello
un ciocco d'olmo in tanto che ragiona),
come a far erba uscisse con Rondello
Buovo d'Antona.




II
NELLA MACCHIA

Errai nell'oblio della valle
tra ciuffi di stipe fiorite,
tra quercie rigonfie di galle;

errai nella macchia più sola,
per dove tra foglie marcite
spuntava l'azzurra vïola;

errai per i botri solinghi:
la cincia vedeva dai pini:
sbuffava i suoi piccoli ringhi
argentini.

Io siedo invisibile e solo
tra monti e foreste: la sera
non freme d'un grido, d'un volo.

Io siedo invisibile e fosco;
ma un cantico di capinera
si leva dal tacito bosco.

E il cantico all'ombre segrete
per dove invisibile io siedo,
con voce di flauto ripete,
Io ti vedo!



III
IL BOVE

Al rio sottile, di tra vaghe brume,
guarda il bove, coi grandi occhi: nel piano
che fugge, a un mare sempre più lontano
migrano l'acque d'un ceruleo fiume;

ingigantisce agli occhi suoi, nel lume
pulverulento, il salice e l'ontano;
svaria su l'erbe un gregge a mano a mano,
e par la mandra dell'antico nume:

ampie ali aprono imagini grifagne
nell'aria; vanno tacite chimere,
simili a nubi, per il ciel profondo;

il sole immenso, dietro le montagne
cala, altissime: crescono già, nere,
l'ombre più grandi d'un più grande mondo.



IV
LA DOMENICA DELL'ULIVO

Hanno compiuto in questo dì gli uccelli
il nido (oggi è la festa dell'ulivo)
di foglie secche, radiche, fuscelli;

quel sul cipresso, questo su l'alloro,
al bosco, lungo il chioccolo d'un rivo,
nell'ombra mossa d'un tremolìo d'oro.

E covano sul musco e sul lichene
fissando muti il cielo cristallino,
con improvvisi palpiti, se viene
un ronzio d'ape, un vol di maggiolino.



V
VESPRO

Dal cielo roseo pullula una stella.

Una campana parla della cosa
col suo grave dan dan dalla badia;
onde tra i pioppi tinti in color rosa
suona un continuo scalpicciar per via:
passa una lunga e muta compagnia
con fasci di trifoglio e lupinella.

Una fanciulla cuce ed accompagna,
cantarellando, dalla nera altana,
un canto che s'alzò dalla campagna,
quando nel cielo tacque la campana:
s'alzò da un olmo solo in una piana,
da un olmo nero che da sé stornella.



VI
CANZONE D 'APRILE

Fantasma tu giungi,
tu parti mistero.
Venisti, o di lungi?
ché lega già il pero,
fiorisce il cotogno
laggiù.

Di cincie e fringuelli
risuona la ripa.
Sei tu tra gli ornelli,
sei tu tra la stipa?
Ombra! anima! sogno!
sei tu . . . ?

Ogni anno a te grido
con palpito nuovo.
Tu giungi: sorrido;
tu parti: mi trovo
due lagrime amare
di più.

Quest'anno . . . oh! quest'anno,
la gioia vien teco:
già l'odo, o m'inganno,
quell'eco dell'eco;
già t'odo cantare
Cu . . . cu.



VII
ALBA

Odoravano i fior di vitalba
per via, le ginestre nel greto;
alïavano prima dell'alba
le rondini nell'uliveto.

Alïavano mute con volo
nero, agile, di pipistrello;
e tuttora gemea l'assïolo,
che già spincionava il fringuello.

Tra i pinastri era l'alba che i rivi
mirava discendere giù:
guizzò un raggio, soffio su gli ulivi;
virb... disse una rondine; e fu

giorno: un giorno di pace e lavoro,
che l'uomo mieteva il suo grano,
e per tutto nel cielo sonoro
saliva un cantare lontano.



VIII
DALL'ARGINE

Posa il meriggio su la prateria.
Non ala orma ombra nell'azzurro e verde.
Un fumo al sole biancica; via via
fila e si perde.

Ho nell'orecchio un turbinìo di squilli,
forse campani di lontana mandra;
e, tra l'azzurro penduli, gli strilli
della calandra.



IX
IL PASSERO SOLITARIO

Tu nella torre avita,
passero solitario,
tenti la tua tastiera,
come nel santuario
monaca prigioniera
l'organo, a fior di dita;

che pallida, fugace,
stupì tre note, chiuse
nell'organo, tre sole,
in un istante effuse,
tre come tre parole
ch'ella ha sepolte, in pace.

Da un ermo santuario
che sa di morto incenso
nelle grandi arche vuote,
di tra un silenzio immenso
mandi le tue tre note,
spirito solitario.



X
STOPPIA

Dov'è, campo, il brusìo della maretta
quando rabbrividivi ai libeccioli?
Ti resta qualche fior d'erba cornetta,
i fioralisi, i rosolacci soli.

E nel silenzio del mattino azzurro
cercano in vano il solito sussurro;

mentre nell'aia, là, del contadino
trebbiano nel silenzio del mattino.

Dov'è, campo, il tuo mare ampio e tranquillo,
col tenue vel di reste, ai pleniluni?
Pei nudi solchi trilla trilla il grillo,
lucciole vanno per i solchi bruni.

E nella sera, con ansar di lampo,
cercano il grano nel deserto campo;

mentre tuttora, là, dalla riviera
romba il mulino nella dolce sera.



XI
L'ASSIUOLO

Dov'era la luna? ché il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù . . .

Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù . . .

Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più? . . .);
e c'era quel pianto di morte. . .
chiù . . .



XII
TEMPORALE

Un bubbolìo lontano. . .

Rosseggia l'orizzonte,
come affocato, a mare:
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un'ala di gabbiano.



XIII
DOPO L'ACQUAZZONE

Passò strosciando e sibilando il nero
nembo: or la chiesa squilla; il tetto, rosso,
luccica; un fresco odor dal cimitero
viene, di bosso.

Presso la chiesa; mentre la sua voce
tintinna, canta, a onde lunghe romba;
ruzza uno stuolo, ed alla grande croce
tornano a bomba.

Un vel di pioggia vela l'orizzonte;
ma il cimitero, sotto il ciel sereno,
placido olezza: va da monte a monte
l'arcobaleno.



XIV
PIOGGIA

Cantava al buio d'aia in aia il gallo.

E gracidò nel bosco la cornacchia:
il sole si mostrava a finestrelle.
Il sol dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose; e piovve a catinelle.
Poi tra il cantare delle raganelle
guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.

Stupìano i rondinotti dell'estate
di quel sottile scendere di spille:
era un brusìo con languide sorsate
e chiazze larghe e picchi a mille a mille;
poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
di stille d'oro in coppe di cristallo.



XV
SERA D'OTTOBRE

Lungo la strada vedi su la siepe
ridere a mazzi le vermiglie bacche:
nei campi arati tornano al presepe
tarde le vacche.

Vien per la strada un povero che il lento
passo tra foglie stridule trascina:
nei campi intuona una fanciulla al vento:
Fiore di spina! . . .



XVI
ULTIMO CANTO

Solo quel campo, dove io volga lento
l'occhio, biondeggia di pannocchie ancora,
e il solicello vi si trascolora.

Fragile passa fra' cartocci il vento:
uno stormo di passeri s'invola:
nel cielo è un gran pallore di viola.

Canta una sfogliatrice a piena gola:
Amor comincia con canti e con suoni
e poi finisce con lacrime al cuore.



XVII
IL PICCOLO BUCATO

Come tetra la sizza che combatte
gli alberi brulli e fa schioccar le rame
secche, e sottile fischia tra le fratte !

Sur una fratta (o forse è un biancor d'ale ?)
un corredino ride in quel marame:
fascie, bavagli, un piccolo guanciale.

Ad ogni soffio del rovaio, che romba,
le fascie si disvincolano lente;
e da un tugurio triste come tomba
giunge una nenia, lunga, pazïente.



XVIII
NOVEMBRE

Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l'estate,
fredda, dei morti.



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