49. La mia malattia
I L'altr'anno, ero malato, ero lontano, a
Messina: col tifo. All'improvviso udivo spesso camminar pian piano, a
piedi scalzi. Era Maria, col viso tutt'ombra, dove un mio levar di ciglia
gettava sempre un lampo di sorriso. A volte erano i morti, la famiglia
nostra... Io pian piano mi sentia toccare il polso, e sussurrare: - Oh!
la mia figlia! sola! con nulla! con di mezzo il mare! -
II
Quelle sere, Maria non, come suole, pregava al mio guanciale, co' suoi
lenti bisbigli, con le sue dolci parole: dolci parole dette per gli
assenti al buon Gesù, dette per me: preghiere perché in pace riposi e
m'addormenti. Prega, e vuol ch'io ripeta. Quelle sere, nulla, o diceva:
«Dormi, ch'hai la voce debole; è meglio ora per te tacere, dormire;
fatti il segno della croce».
III Io pensava: - Ma dunque ella non
crede più, tanto? Che sarà della sua vita, un vilucchio avvoltato alla
sua fede? - E pensando, alla mente illanguidita io richiamava le
devozioni già dette con le mie tra le sue dita. E ricordai che tra quei
fiochi suoni che a un Angiolo bisbiglia che li porti su, c'era il
Requiem; c'era anche: Vi doni nostro Signore eterna pace, o morti!
IV Morti che amate, morti che piangete, morti che udivo camminar
pian piano nella mia, nella sua stanza a parete: che sempre in dubbio
d'aspettare in vano sempre aspettate con pupille fisse, come il mendico,
tesa ch'ha la mano, quelle preghiere; oh! sì, Maria le disse, quelle
preghiere, ma da sé, ma ebbre di pianto, ma di là... che non sentisse
suo fratello, che aveva alta la febbre...
|