41. L'ora di Barga
Al mio cantuccio, donde non sento se non le reste
brusir del grano, il suon dell'ore viene col vento dal non veduto borgo
montano: suono che uguale, che blando cade, come una voce che persuade.
Tu dici, E` l'ora; tu dici, E` tardi, voce che cadi blanda dal cielo.
Ma un poco ancora lascia che guardi l'albero, il ragno, l'ape, lo stelo,
cose ch'han molti secoli o un anno o un'ora, e quelle nubi che vanno.
Lasciami immoto qui rimanere fra tanto moto d'ale e di fronde; e
udire il gallo che da un podere chiama, e da un altro l'altro risponde,
e, quando altrove l'anima è fissa, gli strilli d'una cincia che rissa.
E suona ancora l'ora, e mi manda prima un suo grido di meraviglia
tinnulo, e quindi con la sua blanda voce di prima parla e consiglia,
e grave grave grave m'incuora: mi dice, E` tardi; mi dice, E` l'ora.
Tu vuoi che pensi dunque al ritorno, voce che cadi blanda dal cielo!
Ma bello è questo poco di giorno che mi traluce come da un velo! Lo
so ch'è l'ora, lo so ch'è tardi; ma un poco ancora lascia che guardi.
Lascia che guardi dentro il mio cuore, lascia ch'io viva del mio
passato; se c'è sul bronco sempre quel fiore, s'io trovi un bacio che
non ho dato! Nel mio cantuccio d'ombra romita lascia ch'io pianga su la
mia vita! E suona ancora l'ora, e mi squilla due volte un grido quasi di
cruccio, e poi, tornata blanda e tranquilla, mi persuade nel mio
cantuccio: è tardi! è l'ora! Sì, ritorniamo dove son quelli ch'amano ed
amo.
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