32. L'usignolo e i suoi rivali
Egli coglieva ed ammucchiava al suolo
secche le foglie del suo marzo primo (era il suo nuovo marzo), il
rosignolo, per farsi il nido. E gorgheggiava in tanto tutto il gran
giorno; e dolce più del timo e più puro dell'acqua era il suo canto.
Cantava, quando, per le valli intorno, cu... cu... sentì
ripetere, cu... cu... Ecco: al cuculo egli cedette il giorno, e
di giorno non volle cantar più. Non più di giorno. Ma la notte! Appena
la luna estiva, di tra l'alabastro delle rugiade, tremolò serena,
riprese il verso; e d'ora in poi soltanto cantava a notte; e lucido
com'astro e soave com'ombra era il suo canto. Cantava, quando, da non so
che grotte, sentì gemere, chiù... piangere, chiù...
All'assiuolo egli lasciò la notte, anche la notte; e non cantò mai più.
Or né canta né ode: abita presso il brusìo d'una fonte e d'un cipresso.
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