Ero Willie Metcalf.
Mi chiamavano «dottor Meyers»
perché gli somigliavo, dicevano.
Ed era mio padre, secondo Jack McGuire.
Abitavo nella stalla,
dormivo per terra
accanto al bulldog di Roger Baughman,
o a volte in una posta.
M’infilavo fra le zampe dei cavalli più ombrosi
senza che mi calciassero—ci conoscevamo.
Nei giorni di primavera vagavo per la campagna
per ritrovare la sensazione, che talvolta smarrivo,
di non essere una cosa separata dalla terra.
Mi capitava di smarrire me stesso, come in sonno,
sdraiato con gli occhi socchiusi nel bosco.
A volte parlavo agli animali—perfino ai rospi e ai serpenti—
qualunque cosa avesse occhi in cui guardare.
Una volta vidi una pietra al sole
che cercava di diventare gelatina.
Nei giorni di aprile in questo cimitero
i morti si raccoglievano tutti intorno a me,
e si facevano immobili, come fedeli in muta preghiera.
Non ho mai capito se fossi parte della terra
e i fiori crescessero in me, o se camminassi—
ora lo so.
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