Harry
Wilmans! Tu che sei caduto nella palude
vicino a Manila, seguendo la bandiera,
non sei stato ferito dalla grandezza di un sogno,
né ucciso da un’opera vana,
né spinto alla follia da sataniche insidie;
né torturato da nervi malati,
né hai trascinato grandi ferite in vecchiaia.
Non hai sofferto la fame, perché il governo ti nutriva.
Non hai dovuto nemmeno gridare «avanti»
a un esercito che guidavi
contro un nemico dal sorriso beffardo,
più tagliente delle baionette. Non ti hanno sbaragliato
invisibili bombe. Non sei stato respinto
da coloro per i quali sei stato sconfitto.
Non hai mangiato il pane insipido
che una miserabile alchimia ricava dagli ideali.
Tu sei andato a Manila, Harry Wilmans,
mentre io mi arruolavo nell’esercito inzaccherato
di giovani invasati dal volto raggiante,
che si slanciavano in avanti, e venivano respinti e cadevano,
malati, affranti, piangenti, spogliati della fede,
seguendo la bandiera del regno dei cieli.
Tu e io, Harry Wilmans, siamo caduti
ciascuno a suo modo, senza distinguere
il bene dal male, la sconfitta dalla vittoria,
né quale volto sorrida
dietro la maschera demoniaca.
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