Henry Phipps

 

Ero il sovrintendente della Sunday-school,
presidente fantoccio della fabbrica di carri
e dell’industria di scatolette,
agivo per conto di Thomas Rhodes e la cricca della banca;
mio figlio cassiere della banca,
sposato alla figlia di Rhodes,
i giorni feriali passati a far soldi,
e le domeniche in chiesa a pregare.
Ero dovunque una rotella nell’ingranaggio delle cose-come-sono:
padrone e schiavo del danaro, imbiancato
con la vernice della fede cristiana.
E poi:
la banca crollò. Mi ritrovai a guardare la macchina fracassata—
gli sfiatatoi delle ruote tappati col mastice e riverniciati;
i bulloni fradici, le barre spezzate;
e solo la tramoggia per le anime in condizione di funzionare ancora
in una nuova divoratrice di vita quando giornali, giudici e maghi della finanza
la volessero restaurare.
Fui scarnificato fino all’osso, ma poggiavo sulla rupe dei secoli,
e ora capivo il gioco, non più un babbeo,
e sapevo che «i giusti abiteranno la terra
e i giorni dei malvagi sono contati».
Poi all’improvviso, il dottor Meyers
mi trovò un cancro al fegato.
Non ero, dopo tutto, il prediletto di Dio!
E benché mi trovassi su un picco
al di sopra delle nebbie tra le quali ero salito,
e pronto per una vita più ricca nel mondo,
le forze eterne
mi smossero di lì con uno spintone.