Polvere della mia polvere,
e polvere con la mia polvere,
o bimbo, che moristi mentre entravi nel mondo,
morto della mia morte!
Che non conoscesti il respiro, nonostante gli sforzi,
e il cuore ti batteva quando vivevi con me,
e si fermò quando mi lasciasti per la vita.
È bene così, bimbo mio. Così non percorresti mai
la lunga, lunga strada che inizia coi giorni di scuola,
quando le piccole dita si fanno sfuocate dietro le lacrime
che cadono sulle lettere sbilenche,
e la prima ferita, quando il tuo piccolo compagno
ti abbandona per un altro;
e la malattia, e il volto della paura accanto al letto;
la morte del padre o della madre;
o la vergogna per causa loro, o la miseria;
poi, cessato il virgineo dolore dei giorni di scuola,
una natura cieca ti fa bere
alla coppa dell’amore, che tu sai avvelenata.
A chi avresti proteso il tuo viso di fiore?
Un botanico, fragile creatura? Quale sangue avrebbe gridato col tuo?
Puro o contaminato, non importa,
è sangue che chiama il nostro sangue.
E poi i tuoi figli—oh, che sarebbe stato di loro?
E quale il tuo dolore? Figlio! Figlio!
La morte è migliore della vita!
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