Eugene Carman




Schiavo di Rhodes! Vendevo scarpe e tela, 
farina e pancetta, tute, vestiario, tutto il giorno, 
quattordici ore al giorno, trecentotredici giorni l'anno 
per più di vent'anni. 
Dicevo «sissignora» e «sissignore» e «grazie» 
mille volte al giorno, e tutto per cinquanta dollari al mese. 
Abitavo in una fetida stanza di quella topaia del «Commercial». 
E costretto ad andare alla Sunday-school, ad ascoltare 
il reverendo Abner Peet centoquattro volte l'anno, 
per più di un'ora ogni volta, 
perché Thomas Rhodes dirigeva la chiesa 
oltre che il negozio e la banca. 
Così quel mattino mentre mi annodavo la cravatta 
d'un tratto mi vidi nello specchio: 
i capelli tutti grigi, la faccia una torta fradicia. 
Bestemmiai come un forsennato: Tu maledetto vecchio! 
Cane vigliacco! Pezzente schifoso! 
Schiavo di Rhodes! Tanto che Roger Baughman 
pensò che stessi litigando con qualcuno, 
e guardò sopra la tramezza giusto in tempo 
per vedermi stramazzare a terra. 
M'era scoppiata una vena del cervello.