La
Bovary c’est moi
IV
Lontano come la luna mi domando come puoi dirmi
se è stata quella davvero l’ultima volta.
Ma prima di cancellarti devo saperlo.
In verità non è stata una volta speciale
come altre che a lungo mi avevi guardata
perché nei tuoi occhi restassi – dicevi,
mentale inerme immagine presto dimenticata.
Toccare è più che vedere, sentire è più che pensare,
ti rispondevo – non mi guardare.
La fine vera non è la fine aspettata.
Dovessi tornare alla scuola e mi dessero un compito
in cui si ordinasse “descrivi l’ultima volta”
potrei raccontare soltanto che “dunque a fra poco”
mi disse – ma non sospettavo che fosse l’ultima volta.
Se è stata proprio l’ultima seppellisci
il nome della strada e la bocca che ti sfiorava.
Non dovrò più cercarti in chi ti ha veduto
nè ascoltare chi ti ha ascoltato – non tenterò
di toccare parole che ti hanno parlato.
Ma se non è stata l’ultima vieni a dirmelo.
VI
La cosa che affastello per molte notti
nel sonno che s’interrompe frequentemente
e più nel dormiveglia dell’alba fastidiosa
che domani è già oggi e porta una nuova cosa.
Eppure la certezza è che tu non sei presente
nell’attimo a noi ben noto – il NO
di altra cosa che altro non può aggiungersi:
la verità del dubbio che tu sia niente
pensiero della mia mente
ma veri i giorni gli anni che per sempre non ti avrò.
Inerme contro il niente m’interrogo se tu sei
gioco burla o passione irrevertibile
o un disegno sottile che mi sfianca o il vuoto
di tenerezza reciproco che è da riempirsi: aspetto tue parole ma
è luce di astro
già spento.
Vorrei poterti abolire abolendo me stessa come abolendo te stesso
tu mi
potresti abolire
per fare a tutti dire – di cosa mai parla questa pazza senza
pudore
senza il coraggio di morire per amore.
Da: Giovanni Giudici, Autobiologia, Milano, Mondadori, 1969
|