L'Azzurro
La serena ironia dell'immobile azzurro
schiaccia, indolentemente bella al pari dei fiori,
il poeta impotente che bestemmia il suo genio
attraverso un deserto sterile di Dolori.
Fuggendo ad occhi chiusi, io lo sento che guarda
con l'intenso vigore d'un rimorso atterrante
la mia anima vuota. Fuggir dove? E qual notte
gettare, a lembi, sopra quel disprezzo straziante?
Sali, o nebbia! Le ceneri tue monotone versa
con lunghi filamenti di bruma dentro i cieli
ad annegar la livida palude degli autunni,
e stendi un gran soffitto di silenziosi veli!
E tu, fuor dagli stagni letéi sorgi, e raduna,
a noi venendo, il fango e i canneti gialligni,
cara Noia! a tappare con instancabil mano
gli squarci azzurri aperti dagli uccelli maligni.
E poi, senza riposo, le tristi ciminiere
fumino! E una prigione di fuliggini immonde
spenga dentro l'orrore dei suoi strascichi neri
il sole che agonizza giallastro all'orizzonte!
Il Cielo è morto. Dona, o agognata materia,
l'oblio dell'Ideale crudele e del Peccato
al martire che viene a divider lo strame
su cui l'umano gregge, felice, è coricato.
Se il mio cervello alfine è vuoto, come il vaso
di belletto che giace buttato a piè d'un muro,
né ha più l'arte di ornare la singultante idea,
io voglio sbadigliare verso un trapasso oscuro
Vano sforzo! L'Azzurro vince. L'odo cantare
nelle campane. Voce s'è fatto, anima mia,
per più farei paura col suo trionfo tristo,
e dal vivo metallo esce in avemaria!
Esso si volve, antico, per la bruma e attraverso
l'agonia del tuo vivere come un ferro sicuro.
Dove fuggire? Ahi vana ribellione perversa!
Ossesso io sono. 0 Azzurro! Azzurro! Azzurro! Azzurro!
Brezza marina
Triste è la carne! e ho letto tutti i libri.
Ah, fuggire, laggiù, fuggire! Sento
che uccelli vi sono ebbri a star fra ignote
schiume e il cielo Nulla, né i giardini
specchiati in occhi e dal fondo affiorati,
tratterrà il cuore che già dentro il mare
si tuffa, o notti!, né il deserto lume
della lampada sopra il foglio vuoto,
difeso dal candore, e non la giovane
donna che allatta il piccolo. Andrò via!
Barca che culli il tuo alberame, alza
Per esotiche terre, presto, l’ancora!
Da crudeli speranze desolato,
un chiuso affanno crede ancora all’ultimo
addio dei fazzoletti! E forse gli alberi
che invitano tempeste, son di quelli
che un vento inclina sopra gli sperduti
naufragi, ormai senza alberi,
e senza isole fertili… Ma ascolta,
dei marinai, mio cuore, ascolta il canto!