Il cameriere
Veda
signor commissario, io lavoro in quell'albergo da vent'anni ormai. Ogni volta
che arriva qualcuno riesco a individuarne anche il carattere. Non mi crede,
vero? Eppure ci si abitua. Sapesse quanta gente ho visto in vent'anni! Alcuni
arrivano trafelati, hanno solo voglia di stendersi e dormire, altri entrano
guardinghi e mentre tu gli parli e gli dai spiegazioni, quelli si guardano
attorno come per capire dove ci si trova. Qualcuno si fissa a guardare il quadro
che sta di fronte alla porta. E' un quadro senza valore, dipinto da un artigiano
di una viuzza vicina che ce lo regalò una decina d'anni fa come compenso, si fa
per dire, per avergli permesso di parcheggiare varie volte la sua automobile nel
cortile dell'Hotel. Un tipo magro, con le guance asciugate dalla segatura, aveva
il pallino della pittura fino a quando un male pernicioso non se l'è portato.
Capisco, certo, sto divagando e Lei è interessato a che Le dica di quei due.
Strane figure, sa? Appena giunti mi è bastato un'occhiata per capire che
avrebbero dato problemi all'albergo, e cercai anche di dissuaderli
consigliandogli un albergo dall'altra parte della piazza. Comunicai alla donna
che non avevamo stanze se non per quella sola notte, ma non vollero sentirmi, e
scelsero di restare. Appena li accompagnai in camera, non mi fu possibile
evitare di vederli che si abbracciavano e baciavano, e sospiravano come due
pazzi. Sembrava che volessero fare l'amore lì, davanti a me, incuranti della
mia presenza. Non mi ascoltavano, e mentre io gli mostravo il difettuccio della
finestra.... si perché non si apre molto agevolmente, e bisogna tirarla con
forza dopo aver abbassato il saliscendi superiore. Dicevo che mentre mostravo a
quei due come operare per evitare frastuono inutile che avrebbe potuto risultare
fastidioso per gli altri ospiti dell'albergo, loro due erano già sdraiati sul
letto, e continuavano ad abbracciarsi e a mugolare. Uscii in tutta fretta dalla
camera, non senza prima aver chiesto se avessi dovuto fargli preparare il tavolo
nella sala ristorazione, ed ecco che finalmente l'uomo mi degnò di attenzione,
minima, sia ben chiaro, e mi rispose che desideravano farsi servire il pranzo
direttamente in camera. Sorrisi, ovviamente, annunciandogli che sarei ritornato
di lì a poco con il menu, ma quello con un'occhiata non proprio rassicurante, e
facendomi sentire di troppo, mi comunicò che avrebbero chiamato loro. Salutai,
un po' imbarazzato per quella situazione.. si, la signora era già mezzo
svestita ed io ero ancora in piedi presso la porta, perciò mi precipitai ad
uscire. Forse nemmeno se ne dovettero accorgere che ero uscito chiudendomi la
porta alle spalle. Si, si, deve credermi signor commissario, io chiusi la porta
e scesi in fretta le scale, sa? Lei non mi crede, è evidente da come mi scruta
che non crede una sola parola di quello che le ho detto! Si, è vero, come mi
avete detto poco fa, che io avevo assistito alle loro..come dire, carezze. Ecco,
si carezze. Oh, io non sono un guardone, non mi consideri male per quello che ho
fatto. Mentre armeggiavo con la finestra, avevo notato lo sguardo perso sul tappeto
della camera di quegli occhi neri come l'inferno. Io ne rimasi ipnotizzato,
signor mio, e non riuscivo a togliermela di dosso con quegli occhi. Quando
ritornai da basso, al mio solito posto, cominciai a sentire uno strano senso di
disagio. Non riuscivo a star fermo, le mie gambe cominciarono a saltellare
nervosamente mentre ero seduto.... un'impazienza, un'agitazione cominciò ad
impadronirsi di me. I miei occhi vagavano nel vuoto quadro della donna
stagliantesi contro la parete di tufo scuro. Non avevo mai visto con quegli
occhi quel quadro, sa? Fu allora che cominciai a vederne il profilo aguzzo della
popolana vestita di stracci. Chissà, forse un'allegoria della libertà con
quella sua gonnella alzata sui fianchi tondi, forse in quelle vesti nascondeva
la forza di mille braccia non visibili. Cominciò ad attrarmi come se fosse una
calamita, i miei occhi si erano fermati più a lungo, e ritornavano anzi
continuamente alle sue vesti tratteggiate da una mano grossolana. Veramente non
erano le vesti che vedevo, ma ciò che immaginavo contenessero, fino a dovermi
credere matto per quella mia attenzione malaticcia alla tela... poi compresi, o
mi parve di comprendere, che le vesti di quella donna nascondevano quelle carni
che avevo intuito trovarsi in quegli istanti, si proprio in quegli istanti, ad
essere toccate, strette, usate da quell'uomo. Come potevano occhi simili
appartenere ad un corpo che si faceva toccare da un simile uomo? Il pensiero, ad
un certo punto, come un fulmine mi abbagliò completamente: lei godeva! Oh,
signor mio, deve credermi, non ho mai assaporato tanto dolore tutto insieme. Fu
come un fiume in piena che travalica gli argini dopo una pioggia insistente su
per i monti, che rotola a valle con la sua sabbia, le sue pietre e i suoi
tronchi strappati alla resistenza delle rive, fu come essere travolto dal crollo
di una diga: dovevo alzarmi, le mie gambe saltellavano già da tanti minuti per
portarmi al piano superiore, ed io dovevo dare a loro la libertà di portarmici.
Lo spettacolo che mi si offrì a guardare la scena fu tale che rimasi di sasso.
Ero bloccato contro il muro della toilette della camera affianco, da dove,
attraverso una piccola fessura in alto, si poteva sbirciare di sbieco attraverso
la porta a soffietto della toilette della camera di quei due. Li vedevo, vedevo
le piante dei loro piedi rivolte verso di me, e lei, si proprio lei, con gli
occhi chiusi in un'espressione estatica. Dio mio, non avrei potuto vedere di
peggio. Scappai giù per le scale appena mi riebbi, e cominciai a macerarmi in
un dolore sordo che mi annebbiava la mente. Ero giunto al termine del mio turno,
e sperai che uscire, passeggiare nell'aria un po' afosa che si andava formando
nel primo pomeriggio potesse rimettere ordine fra le mie sensazioni. Fu vano.
Mia madre si accorse del mio stato di agitazione e credendo che fosse finalmente
l'amore per una donna che veniva a portarle via lo scapolo per riportarle un
padre di famiglia, ne fu visibilmente contenta. Io no. Io mi trovavo in
uno stato angoscioso. Uscii, passeggiai sfidando il vento sul lungomare, per
molte ore fino a quando fu buio. Non mi ero reso conto del tempo trascorso,
affogato dai miei pensieri. Quali pensieri? Io non so che pensieri, mi creda,
pensavo, ma senza pensare, stancavo le gambe camminando a passo sostenuto avanti
e indietro come un cavallo in un recinto. Col buio, si col buio decisi di andare
verso la piazza e l'albergo. Giunto sotto i balconi dell'albergo, per non farmi
riconoscere dai miei compagni di lavoro, passai dall'altra parte della piazza e
mi voltai: lei era lì, appoggiata ai vetri della finestra e mi fissava. Tremai
a sentirmi osservato da quegli occhi. Ha visto si? ha notato il grosso lampione
della piazza che illumina di notte direttamente la finestre dell'albergo? quella
luce mi permetteva di vedere, a cento metri di distanza, gli occhi di quella
creatura indecifrabile. Fu troppo anche per me, girai sui tacchi, e attraverso
il dedalo dei vicoletti mi riportai verso il porto. Poco prima del lungo mare,
davanti ad una saracinesca abbassata di un'officina meccanica, una donna mi
chiamò scotendomi d'improvviso dai miei pensieri vuoti. Grassa, ma giovane, con
riccioli rossi e occhi cerchiati di rimmel mi indicava una porta vicino alla
saracinesca. Entrai, seguendola, e mi ritrovai su per le scale del vecchio
palazzo. Lei procedeva silenziosa sei o sette gradini avanti, e io vedevo le sue
natiche mollicce ondeggiare e stendersi ad ogni gradino che saliva. Si fermò al
secondo pianerottolo, si voltò verso di me e mentre mi sorrideva aprì la
porta. No, non ricordo nulla, nulla di nulla fino a quando alcuni uomini
vociando per la scale hanno forzato la porta e sono entrati puntandomi le torce
elettriche addosso. Mi hanno accecato. Mi ero abituato al buio, e i miei occhi
cominciavano a penetrare le ombre mettendo in risalto lentamente l'ammasso di
carne sul pavimento. Ma, signor commissario, io non mi sento di averlo fatto,
non sono stato io, non l'io che sono ora. Il suo modo di fissarmi, sempre gelido, sempre statuaria la sua faccia, mi fa star male, sa? Io non so, non credo di averlo fatto, e se pur l'avessi fatto.... no, non è possibile e non ci crederei nemmeno se ne rivedessi la scena da un nastro. Io non ho fatto un bel nulla, mio caro commissario! E, poi, mi dica dove sono finiti i miei vestiti. Quelli che indosso non sono miei, non ricordo di averli indossati mai, da dove vengono? Oh, io comincio ad aggrovigliarmi nei miei pensieri, come se un filo
inestricabile li avvolgesse, senza via d'uscita sono piombato in questo mare d'incertezze. Eh, facile per Lei continuare a fissarmi con quegli occhi di ghiaccio e con quel suo disteso grugno. Lei non era lì quando sono intervenuti i suoi uomini: lì c'ero io! Cosa? Di cosa parlate, ditemi, ditemi che destino m'avete riservato, ditemi quale disgrazia ho guadagnato che non so d'aver meritato, par-la-te-mi!
Va bene, va bene vi seguo, non è necessario tenermi così strettamente il braccio, sapete? Non saprei uccidere nemmeno una mosca senza pensare al dolore che quella bestiola proverebbe, non sono pericoloso, lasciate che vi segua senza strattoni. Che dolore alla nuca, e come è terribile non potersi nemmeno toccare il punto che duole, con queste pastoie alle mani puoi solo grattarti la pancia.
Ho trascorso l'intera nottata nell'interrogatorio, è così che hanno definito quel supplizio; lasciatemi stare, abbiate pietà dell'incoscienza.
Ora voi mi direte che sono sicuramente un fallito e un malato, ma se vi dicessi che io non ne sapevo un bel nulla? Già, già, le persone per bene si comportano in un certo modo e basta, ed io non sono una persona per bene se ho salito le scale di quella povera disgraziata, eh? E' questo che volete dirmi? Mi
guardate come se fossi un reietto, che dico, un relitto d'uomo, ma non c'è compassione nei vostri occhi che continuano a scrutare l'assassino! Ma voi lo sapete bene, tutti e due, che non ammazzai nessuno e che per questo mi misero in libertà il giorno dopo. Mi ritrovai io stesso coinvolto in un affare di cui nulla sapevo e nulla avrei potuto sapere. Mi abbracciaste come si abbraccia un figliolo perduto e ritrovato, e piangevate lacrime calde di gioia per avermi potuto abbracciare, ma bastati sono appena dieci giorni dall'accaduto che già cominciate a guardarmi in cagnesco, facendomi colpevole di chi sa che cosa. Già, le persone per bene! Come se tutte le persone per bene si astenessero dal frequentare qualche donnetta, ogni tanto! E poi, eh, io nemmeno ebbi occasione di coricarmi con quella disgraziata, forse per divino volere non mi fu data questa possibilità.... no, non può essere, perché per divino volere non muore un cane, né una puttana!
Voi mi accusate di essere stato uno sporcaccione, un uomo poco pulito, e forse mi accusate anche, specialmente tu, papà, di essere stato da meno di un uomo. Gli uomini, lo dici sempre, non vanno a donnine! Forse hai ragione, ma adesso che è successo tutto questo pasticcio, vorrei uscire fuori da questa vergogna che mi assale come un nero fiume di melma, come una fogna che mi fagocita ininterrottamente. Ebbi solo la colpa di non capire, di non sapere ciò che facevo... no, no, non fare quell'espressione che ti conosco bene, non farla per carità, o sarebbe meglio che tu non mi ascoltassi per nulla. Chissà se mi ascolti mai! Io ritornerò al mio lavoro, forse ritornerò... io voglio ritornare al mio lavoro! Ma, come dici sempre tu, madre mia, i clienti dell'albergo mi riconoscerebbero dalla foto che è apparsa sulla gazzetta, non ci farei una bella figura, questo è sicuro. Lascerò trascorrere un'altra settimana, mi farò crescere la barba, sperando di dare meno nell'occhio. E tu non seguirmi e smettila una volta per tutte di presiedere a tutte le mie telefonate o, peggio ancora, origliarle! Vi vergognate di me, lo so, lo sento e lo vedo stampato sui vostri volti affranti e diffidenti, lo intuisco dai vostri sguardi di traverso, dalle vostre occhiate furtive e mute.
Credo che uscirò di casa, lo farò, lo farò perché tanto sono libero.... ma già, libero per i codici, non certo libero per la società. La condanna peggiore siete voi, voi che non capite ciò che nemmeno io comprendo, eppure mi condannate oltre ogni legge e ogni comma. Voi continuate a sentirmi malato, si malato! Malato di giovinezza forse? E' una malattia la giovinezza? Che giovinezza, che giovinezza, direte voi! Una vecchia giovinezza, la giovinezza dei vecchi che esplode come una diga in frantumi stravolgendo le poche certezze faticosamente conquistate.
Ed ora eccomi qui, dopo 45 anni di apparente spensierata giovinezza. Voi che ne sapete? avete voi guardato nelle mie notti buie? E vedeste, per caso, quegli occhi? Io li vidi, e sentii l'anima gelarmi fin nelle midolla! Ah, voialtri, voialtri che ne potete sapere, come potete immaginare ciò che non saprete mai? In quegli occhi è come se vi fosse un filo di stelle che riconduceva ad uno ad uno, punto per punto, tutti gli uomini, tutte le donne del mondo. Ecco cos'erano quegli occhi: la femmina cosmica, erano Eva e Nanà, erano S.Teresa ed erano Calipso, erano tutte ed erano una.
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