I - Dalle origini alla formazione del Libero Comune
(In via di ultimazione)


STORIA DI SAVONA
STORIA DI SAVONA
STORIA DI SAVONA
STORIA DI SAVONA

L’insediamento ligure che esisteva sul promontorio del Priamar sin dall’età del bronzo entra in declino già all’inizio del secondo secolo a.C., non tanto in seguito a ritorsioni romane contro la Saona alleata degli sconfitti cartaginesi, quanto perché il nascente nodo stradale – portuale di Vada Sabatia esclude il porto savonese dalle grandi vie di comunicazione e quindi da ogni sviluppo commerciale.
Di contro, nella seconda metà del III secolo d.C., il declino del mondo economico romano occidentale colpisce prima i centri commerciali come Vado, per cui dopo il IV secolo, in concomitanza con le invasioni barbariche e con la decadenza delle grandi strade romane, Savo sembra tornare ad assumere una certa importanza. Gli scavi, anche recentissimi, nell’area del Priamar confermano infatti una nuova, consistente occupazione di tale sito dalla metà del IV alla metà del VII secolo, la distruzione da parte di Rotari del 643 – con conseguente abbandono pressoché totale del sito per circa centocinquanta anni – ed il ritorno della popolazione tra VIII e IX secolo. L’occupazione longobarda vede come centro principale ancora Vado, sede del vescovato. Secondo la tradizione è proprio nella piana di Vado che i Longobardi sono sconfitti dai Franchi di Carlo Magno, che nel 774 distruggono la città. Da questa distruzione dei Vadi, già in decadenza, trarrebbe ulteriore forza la ripresa di Savona, al cui ripopolamento contribuisce il fenomeno (della durata di oltre due secoli) di convergenza verso la Liguria dei profughi cristiani incalzati dall’avanzata musulmana. La Liguria e Savona appaiono infatti rifugio sicuro proprio in ragione dell’asprezza del territorio.
Il Castellum Saonensis entra a far parte del patrimonio dei vescovi di Vado forse già in epoca longobarda, nella prima metà del secolo VIII, tuttavia ancora nell’864 (forse sino all’882 o anche oltre) la sede vescovile risulta essere Vado, nonostante l’importanza di Saona sembri ormai prevalente.
Con il trasferimento sul Priamar del vescovato inizia di fatto il lungo processo di emancipazione savonese dall’autorità feudale Aleramica. Infatti la potenza della grande feudalità viene ridimensionata dallo sviluppo dell’autorità dei vescovi, favorita dagli Ottoni, da Enrico II e dai loro successori ed accresciuta nel corso della lotta per le investiture. Quando i vescovi si trasferiscono nella sede di Savona, la città prende nuova forza sotto la loro protezione; affluiscono genti dal contado e si sviluppa l’economia, venendo a costituirsi una nuova classe sociale di piccoli nobili, funzionari, proprietari – a volte per l’usurpazione di terre feudali – e uomini di mare, questi ultimi particolarmente propensi a ritenersi fuori dallo jus feudi: sono questi gli elementi che vanno a costituire la Compagna, forma di associazione temporanea e rinnovabile costituita dai cittadini più importanti, che a Genova troviamo sin da prima del 1099; da un insieme di Compagne rionali si evolve la Compagna Comunis, e col tempo ai cittadini si aggiungeranno gli abitanti dei dintorni, poi anche gli stessi feudatari saranno chiamati a giurare l’abitacolo. Raggiunge la piena efficienza dopo il 1130, ma già dalle origini il vescovo la vede come un alleato da contrapporre al potere feudale, e quindi vi aderisce e la favorisce.
Parallelamente a questa evoluzione istituzionale, Savona svolge notevoli attività commerciali, militari e politiche sia in Italia che in Oriente, ed i rapporti con le maggiori città liguri sembrano relativamente buoni, tanto che agli inizi del XII secolo gli atti di alcuni re accomunano Genova, Savona, Noli, Albenga nella concessione di privilegi fiscali.
Nel settore economico, uno degli avvenimenti più significativi è la concessione del privilegio di battere moneta fatta al Comune di Genova, nell’anno 1139, dall’imperatore Corrado III.
Nel 1153 assistiamo ad un atto fondamentale nei rapporti tra Genova e Savona: la firma di una convenzione in base alla quale il popolo di Savona, di fatto, si obbliga a sottomettersi ai voleri del Comune di Genova e ad osservare le leggi e le condizioni da questi imposte. Tali patti sembrano perseguire il duplice scopo di legare politicamente Savona e di ostacolarne il commercio.
Forse uno dei motivi che inducono i Savonesi a tale perniciosa acquiescenza è la necessità di appoggiarsi a Genova per scrollarsi di dosso il dominio marchionale, ma certamente la forza della metropoli ha grande peso (non è provato, ma sembra plausibile che condizioni così pesanti possano essere state imposte solo con minacce; nessun capitolo della convenzione fa pensare ad un atto liberamente stipulato). Le condizioni imposte sono talmente pesanti nei confronti di Savona da causare l’insorgere tra le due città di un astio mai più sopito, nonostante alcuni periodi di tregua.
Forse non è un caso che proprio in questo periodo il Comune genovese attraversi una grave crisi finanziaria (vale anche ora la massima che i Genovesi sono ricchi, ma Genova è povera) da cui si risolleva solo a prezzo di ingenti sforzi e compromessi.
In questo quadro si inserisce Federico I, il Barbarossa, che porta avanti il suo progetto di accentramento (e conseguente imposizione di tributi) incontrando la resistenza di chi ha prosperato in assenza del potere centrale. Federico deve venire a patti con chi gli resiste solo passivamente per aver ragione di chi si ribella apertamente. Genova riesce perciò ad evitare lo scontro giostrando abilmente le sue esigenze con i desideri dell’imperatore; cavilla sul fatto che è città di mare e come tale trae ricchezze da paesi fuori dall’Impero, del quale contribuisce alla difesa rendendo sicuri i mari: non è quindi tenuta ad altre contribuzioni. Ottiene convenzioni vantaggiose concedendo solo lo stretto necessario. Va ricordato che, anche se i Genovesi si dividono in due partiti, come il resto d’Italia, tra loro mai ci saranno veri guelfi e ghibellini, qui chiamati tali solo per gioco storico: a Genova la sola cosa che conta sono gli interessi dei cittadini influenti. Non ci sono due fazioni politiche, ma un certo numero di consorterie nobiliari, ciascuna gelosa delle sue prerogative e che cambia politica secondo l’opportunità del momento. In questo quadro Genova ottiene dal Barbarossa la “districtio” (da cui conseguono diritti legali di predominio) sull’intera Liguria, e tale atto pone ulteriori basi giuridiche al destino di dipendenza di Savona, ribadito da vari successivi rinnovi della convenzione del 1153.
A questo proposito sembra opportuno citare l’opinione di uno storico contemporaneo, il Pistarino, secondo il quale il predominio genovese non si sarebbe verificato se il potere imperiale non fosse passato in mani tedesche: «L’Impero in mani franche avrebbe significato il predominio dell’asse politico–economico occidentale che, per la più breve via di mare o per terra, attraverso Chieri, Asti, Alba, fa capo a Savona. L’Impero in mani tedesche segnò invece l’affermazione dell’asse politico–economico che dal centro–Europa, attraverso Milano, venne a gravitare su Genova, mentre la più tarda formazione della monarchia in Francia trovò il proprio sbocco sui mari del sud, in Provenza e Linguadoca». Egli nota come la prodigiosa resistenza di Savona nel conflitto plurisecolare con Genova, che non fu possibile ad altri centri rivieraschi come Albenga e Ventimiglia [1], abbia alla base una vigorosa vitalità che si appoggia ad un proprio impero marittimo, una rete di economia e commerci a grande raggio [2]. Considerazioni che sono condivise dal Varaldo, il quale osserva però come tale rete non si sarebbe probabilmente sviluppata se Savona non avesse usufruito dell’effetto trainante di Genova nell’apertura dei mercati. Per contro, l’apporto savonese ha contribuito all’affermazione della stessa Genova. Nonostante le limitazioni imposte dalla rivale, Savona rimane il porto naturale del Piemonte nord-occidentale, e come tale sfrutta la sua posizione e mantiene con esso una efficiente rete di collegamenti stradali, mostrandosi altresì abile – quando l’occasione lo consente – nell’utilizzare l’appoggio dei Francesi.
Quindi Genova, che si attesta senza troppa fatica nella Riviera di Levante, trova maggiori difficoltà ad affermare la supremazia nel Ponente, per la presenza sia di feudatari che estendono i loro possessi molto all’interno – dove Genova non vuole e non può arrivare – sia di città di antica tradizione preromana e romana, come Savona, Albenga, Ventimiglia, in pratica da tempo autonome e che resistono all’usurpazione genovese, avente come solo diritto il diploma del Barbarossa. Per questo il controllo genovese si riduce alla tutela degli interessi vitali – monopolii commerciali: il più importante è quello del sale – con limitazione della sovranità delle città federate in cambio di una molto generica protezione.
Questa fa comodo solo a Noli, stretta tra due vicini scomodi come Savona e Finale, che infatti ottiene l’indipendenza dai feudatari, nel 1193, con l’aiuto interessato dei Genovesi, che intendono fare del nuovo Comune un freno per Savona.
 Il processo di formazione istituzionale del libero comune, iniziato nel 1179….

Dal 1179 troviamo atti mediante i quali il marchese Enrico, trattando col Comune savonese da pari e non con rapporto sovrano–vassalli, cede gradualmente, per un corrispettivo in denaro, i diritti sul territorio. Anche i suoi figli (Ottone ed Enrico II, subentrati nel 1182 al padre anziano ed impegnato come plenipotenziario imperiale) continuano tale politica, ponendo gradualmente termine ad ogni contenzioso, fino a che, nel 1191, possiamo ritenere completata la costituzione del libero Comune. Infatti, con atto del 10 aprile, Ottone del Carretto vende per 1.500 lire genovesi tutti i restanti possessi e diritti, da S. Pietro di Carpignana ad Albisola ed al giogo, eccettuata la Castellania di Quiliano. La vendita avviene nella vecchia chiesa di San Pietro, accanto alla torre del Brandale.
Il Comune si affretta ad inviare ambasciatori all’imperatore Enrico VI, per chiedere la protezione imperiale e la ratifica dei vecchi e nuovi acquisti. Questi riceve la città sotto la sua protezione con diploma del 18 novembre 1191, mediante il quale conferma tutte le prerogative, ed in particolare convalida il recente contratto, investendo a perpetuità il Comune stesso nomine legali feudi [3].

Il 22 novembre 1192 il marchese Ottone cede i diritti portam et ripam che ancora vanta su Savona, e vende per 5.000 lire genovesi il castello, la villa e la curia di Quiliano, come pure di Vezzi, ed i diritti che ha su Albisola. Tra le proprietà cedute il Bosco di Savona, il quale rimane del Comune fino alla capitolazione del 1528.
Nel 1193 compare a Savona il primo podestà: Henricus Detesalve, genovese, podestà e console. Tale fatto segna il pieno formarsi del Comune giuridico.
Nel 1197 viene iniziata la costruzione di un grande porto artificiale, con molo di ampie dimensioni, che si presume ultimato intorno al 1224 (verrà anche chiamato “porto del Piemonte”, ed alla manutenzione concorrono i paesi delle Langhe).
Nel 1202 è podestà Ugo del Carretto, figlio di Ottone. In aprile viene rinnovata, con clausole ancora più restrittive, la convenzione con Genova, ribadendo così i vincoli che il diploma di Enrico VI del 1191 sembrava aver allentato.
Nel frattempo la quarta crociata, iniziata nel 1202 senza i Genovesi, nel 1204 si risolve – sotto l’impulso dei veneziani – in un’azione contro Costantinopoli che rovescia l’Impero Greco instaurando l’Impero Latino di Baldovino di Fiandra; la conseguenza è l’insediamento di possessi veneziani in tutto l’Egeo, che pongono in scacco il commercio orientale genovese. La reazione della Repubblica procede per vie traverse, a mezzo di “corsari” il cui principale esponente è quell’Enrico di Malta che si impadronisce di Creta – non ancora occupata dai Veneziani, anche se teoricamente spetta loro – e la fortifica poderosamente. Venezia, alleatasi nel 1206 con Pisa, non può concludere nulla in Sicilia, ma dopo cinque anni riesce ad estromettere da Creta gli occupanti.
Il Comune savonese continua in questi anni sia la politica di espansione territoriale, mediante l’acquisto di terre e diritti da vari piccoli feudatari e castellani, sia i tentativi di sciogliersi legalmente dai vincoli genovesi; a tal fine cerca di ottenere l’aiuto imperiale. Dal 1209 è Imperatore Ottone IV, che il 18 novembre, con diploma da Lucca, ratifica e conferma tutti gli atti di cessione al Comune di Savona fatti dai vari feudatari dal 1191 in avanti, e concede piena libertà di navigazione, esclusa ogni restrizione da chicchessia imposta.
Nel 1212 Genova entra in guerra aperta con Venezia, ed il conflitto si concluderà solo nel ’18 con un trattato che, seppur poco favorevole ai Genovesi, riapre loro i porti del Levante. In quello stesso anno i Genovesi favoriscono il giovane Federico, che passa in Germania per contendere ad Ottone la corona imperiale. Lo scopo, dopo l’acquisizione della corona di Germania, viene raggiunto entro pochi anni, visto che nel 1219, alla morte di Ottone, viene acclamato Imperatore; scende in Italia per l’incoronazione nell’agosto del ’20.
Federico II, nonostante in quello stesso anno confermi l’autorità di Genova su tutta la Riviera, già nel 1221, dopo essere intervenuto a mezzo di un suo legato per dirimere la contesa con Noli [4] sui diritti di passaggio attraverso la valle del Quazzola (che viene dichiarata via pubblica), soddisfatto della buona disposizione dei Savonesi ad eseguire i suoi ordini (e probabilmente per limitare l’influenza di Genova, che ormai gli è ostile) [5], riafferma i privilegi di Savona. Proseguendo questa linea politica, il 25 marzo 1222 egli prende sotto protezione, da Brindisi, città e chiesa di Savona, proclamandone la piena libertà di commercio e giurisdizione, in terra ed in mare, e sciogliendo ogni precedente restrizione e soggezione, da chiunque e comunque imposte (evidente il riferimento a Genova).

 

 

[1]       Le terre a cui Genova impone convenzioni sono soggette a molti vincoli, particolarmente stretti per quelle che, mal sopportandoli, possono creare problemi. Così, se la Repubblica occasionalmente largheggia in privilegi verso alcuni centri particolarmente fidati – come Noli, che in pratica è creatura di Genova, sua protettrice naturale –, è molto attenta con quelli potenzialmente pericolosi, a cui impone podestà e guarnigioni, oltre a diverse limitazioni commerciali e militari ed alla rinuncia in suo favore alla gabella del sale. A volte la capacità genovese di far rispettare le convenzioni è puramente teorica, anche per motivi interni. Sono i tre principali centri del Ponente a creare maggiori problemi, come ovvio in quanto la presenza di porti e di attivi commerci si scontra precocemente con gli interessi genovesi. Mentre Savona regge molto a lungo – e nel Trecento e Quattrocento attraversa i momenti di massimo fulgore –, Albenga e Ventimiglia (forse le più battagliere contro Genova, anche per reazione ad una debolezza intrinseca maggiore) cedono presto, trasformandosi lentamente in borghi episcopali. Al loro declino contribuisce notevolmente – oltre alle frequenti rappresaglie genovesi, che a volte oltrepassano i termini dei ripetuti saccheggi per giungere alla distruzione quasi totale – il graduale interramento dei porti, quasi scomparsi a fine Trecento.

[2]     Secondo il Pistarino la concessione della districtio segna il destino di Savona, ed il fatto che questo tardi a realizzarsi fino al XVI secolo costituisce motivo di sorpresa: «Considero un vero prodigio, come indice d’una vitalità formidabile, la tenace sopravvivenza savonese, dopo di allora, ancora per quasi quattro secoli, grazie al vigore delle forze endogene, alla funzione che Savona riuscì ad esercitare nei confronti del retroterra piemontese, all’abilità con cui seppe utilizzare l’appoggio contingente della Francia…». I motivi della disfatta finale di Savona, tradizionalmente imputata a Genova, vanno perciò cercati più a monte, ad esempio nell’esigenza di costruire stati più vasti, che in Liguria opera per Genova contro Savona come in Lombardia favorisce Milano contro Pavia. In apparenza, al momento della formazione delle tre grandi marche, nel X secolo, i due centri partono da situazioni analoghe, e forse il vantaggio – almeno sotto l’aspetto della posizione e della “bontà” del porto – è per Savona. Anche Heers considera la posizione geografica di Savona migliore di quella genovese.

[3]     Anche il Comune di Genova ottiene formalmente il possesso della città solo nel 1191, con diploma di Enrico VI .

[4]     A proposito delle controversie tra Savona e Noli, che sembra inizino già intorno al 1132 (ben prima della formazione giuridica dei due Comuni – 1191 e 1193 – anche se proprio negli anni intorno al 1190 assumono carattere più rilevante), si possono esporre alcune considerazioni. In primis, notiamo come sia Savona che, soprattutto, Noli usufruiscano dell’aiuto di Genova per liberarsi dalla presa dei signori feudali. Naturalmente la Repubblica ha interesse ad indebolire i Del Carretto, che costituiscono al momento ancora un forte antagonista, e l’aiuto ai Comuni rivieraschi va interpretato in questa ottica. Savona avrebbe probabilmente raggiunto lo stesso il suo obiettivo, per Noli questo sembra improbabile. L’indipendenza dal feudo Carrettesco, conseguente alla costituzione del Comune, taglia Noli fuori dalle vie verso l’interno che passano per Finale, come pure dalle spiagge finalesi, che usava come cantieri (Verzellino, Delle memorie particolari, I, 183). Spotorno è preclusa perché appartiene al vescovo di Savona. La stessa Savona controlla Vezzi, che pure non è certo una via agevole per l’entroterra. Alla luce di questa situazione geografica, tutt’altro che favorevole allo sviluppo di un porto commerciale (lo stesso Dante cita Noli come località di difficile accesso per via di terra: essa è praticamente priva delle vie di comunicazione verso l’entroterra che sono indispensabili ad una città portuale), la sopravvivenza di Noli come entità autonoma si spiega soltanto con la funzione di spina nel fianco di Savona, che serve a Genova per infastidire e controllare una pericolosa concorrente commerciale e che pertanto la Repubblica sostiene incondizionatamente ogni qualvolta la vede minacciata dalle forze savonesi. Ovviamente, l’unico sbocco possibile per i traffici nolesi è l’antica via Æmilia Scauri, che risale la valle Quazzola (che viene definita la valle dei Tre ponti, dai superstiti ponti romani che scavalcano il torrente «fuit aliquando discordia inter Communitates Saone et Nauli de quodam loco rivo valle, qui et quae vulgo dicitur trium pontium in quo rivo, in qua valle et loco dicebant Naulenses esse stratam et viam publicam seu stragetum quoddam per quam sibi esse ius eundi affirmabant. Contra Saonenses cognoscendo dictam vallem et locum trium pontium quantum ad dominum et proprietatem atque possessionem ad Civitatem Saone pertinere, prohibeabant et prohiberunt Naulenses in dictis loco et valle uti, ita quod nullo modo ibi apparebant». Belloro, I Vadi Sabazii, 21), così come per usufruire di questa via di traffico è necessario disporre dell’approdo di Vado, ed altrettanto evidentemente l’unica, sia pur disagevole, via terrestre di comunicazione tra queste zone e Noli è il territorio del Segno. Così si spiegano le aspre liti per Segno e per il diritto di transito lungo la valle Quazzola, nelle quali Noli è sempre sostenuta, spesso anche a torto, da Genova, che è garante della sua indipendenza in quanto essa le è utile come freno per Savona. Noli applica con successo quella politica – darsi ad un padrone lontano che non ha molte pretese e garantisce una certa autonomia piuttosto che ad uno vicino ed invadente – che anche Savona cerca di attuare a più riprese, qualche volta anche con successo. Quando, nel 1238, Savona sembra raggiungere l’indipendenza da Genova, questa si adopera addirittura per provocare la scissione della chiesa nolese dalla diocesi di Savona, ottenendo dal Papa la creazione di una diocesi autonoma.

[5]     La politica di Federico tende a sopprimere ogni diritto feudale in favore del regno e Genova, che ha approfittato della precedente debolezza del re, ne fa presto le spese, con la cancellazione di tutti i suoi privilegi in Sicilia. La cosa viene subita senza grandi traumi perché colpisce anche Pisa e non intacca la libertà di commercio – che anzi favorisce – ma Genova non sopporta la richiesta di sudditanza, che invece i Pisani non rifiutano. Federico si lega sempre più a Pisa, ma la rottura aperta coi Genovesi viene solo con il rifiuto apposto alla formale richiesta di omaggio, dopo la vittoria imperiale di Cortenuova del 1237.

 


II - Il basso Medioevo: Duecento e Trecento


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