MOLLUSCHI

 

 

Dopo gli artropodi, quello dei molluschi é il phylum animale che raggruppa il maggior numero di specie viventi: oltre 80.000, a cui potremmo aggiungere quasi 40.000 specie fossili. Alcune specie sono terrestri, sempre però legate ad ambienti umidi, molte vivono nelle acque dolci o salmastre, la maggior parte popola però le acque marine di tutto il mondo.

 


CLASSE GASTEROPODI

È la classe più numerosa, comprende quasi la metà di tutte le specie di molluschi viventi. In questi molluschi la testa è generalmente distinta dal resto del corpo, che poggia su una vasta superficie muscolare espandibile (il piede) con cui l'animale si sposta strisciando sul terreno: quasi tutti i gasteropodi sono provvisti di una conchiglia dorsale, (fragile e leggera nelle forme terrestri, spessa e massiccia in quelle marine) che racchiude e protegge i visceri: nella maggior parte delle forme acquatiche l'apertura della conchiglia (la bocca) viene protetta da un opercolo quando l'animale vi si ritira. L'apertura boccale, che a volte si prolunga a proboscide, è dotata di una struttura caratteristica, la radula, provvista di numerosi dentelli o piastre, per mezzo della quale il mollusco "raschia" il cibo animale o vegetale di cui si nutre. Sul capo vi sono quasi sempre dei tentacoli, che portano sia gli occhi sia organi tattili. Quasi tutti i gasteropodi sono ermafroditi, ma incapaci di autofecondarsi a causa dei diversi periodi di maturazione di spermi e uova nei singoli individui: la riproduzione, dunque, richiede in genere l'incontro e l'accoppiamento di due individui con gonadi mature di segno opposto. Nei gasteropodi marini lo sviluppo dei nati è sempre indiretto, e passa attraverso alcuni stadi larvali planctonici, tra cui la trocofora già incontrata negli anellidi.

SOTTOCLASSE  PROSOBRANCHI

 

Comprende i gasteropodi più noti, quelli, per intenderci, le cui conchiglie sono spesso ambitamente ricercate dai collezionisti del settore malacologico. Impossibile fare una rassegna, sia pur approssimata, delle innumerevoli specie presenti nei mari tropicali, mi limiterò a citare le più note e quelle che possono maggiormente interessare l'acquariofilo. La famiglia più nota ai collezionisti e agli acquariofili è senz'altro quella delle cipree (Cypraeidae), presente con alcune specie anche nel Mediterraneo ma enormemente diffusa in tutti i mari tropicali, soprattutto nell'Oceano Indo-Pacifico. La conchiglia di questi molluschi è splendidamente lucida e levigata, grazie all'ampio mantello che la ricopre spesso interamente mantenendola sempre liscia e pulita: il mantello è una struttura cutanea, molto spessa nei cipreidi ma presente in tutti i gasteropodi, che strato dopo strato accresce in spessore e in ampiezza la conchiglia, inizialmente prodotta da una ghiandola del guscio. Le conchiglie dei cipreidi sono molto apprezzate dai collezionisti, e a seconda della rarità e della bellezza possono raggiungere quotazioni assai elevate, come nel caso di Cypraea leucodon (oltre 8 milioni di lire!). Il cipreide più comune e familiare (con la sua conchiglia vengono perfino realizzati oggettini ricordo di dubbio gusto) è sicuramente Cypraea tigris, un gasteropode abbondante in tutto l'Indo-Pacifico e il Mar Rosso, la cui conchiglia screziata di marrone e nero ha una lunghezza media intorno agli 8-10 cm. Questo cipreide è molto adatto ad essere allevato in acquario, vive a lungo e riesce anche a riprodurvisi: non è particolarmente esigente per ciò che riguarda i valori fisico-chimici dell'acqua e non necessita neppure di un forte movimento dell'acqua pur sostando spesso, come tutti i gasteropodi, nei pressi del getto di rientro del filtro. Dal punto di vista alimentare può essere considerata specie onnivora, dimostra tuttavia una certa preferenza per le sostanze di origine animale, anche in parziale decomposizione, che trova sul fondo, ma in mancanza di meglio può nutrirsi, raschiandole con la radula, di alghe incrostanti vetri e rocce: come molti cipreidi può a volte costituire un pericolo per i celenterati sessili, anemoni in particolare. Assolutamente innocui per gli altri invertebrati sono invece i molluschi del genere Lambis, le cui specie più note sono Lambis lambis e Lambis scorpio: la loro dieta infatti è prevalentemente vegetariana, e oltre a nutrirsi delle alghe incrostanti questi molluschi accettano in acquario anche verdura bollita, che divorano a gran morsi con la radula posta alla sommità di una specie di proboscide estroflessibile. Si tratta però di molluschi assai meno eleganti dei cipreidi, pur possedendo ugualmente una bella conchiglia: mentre infatti le cipree si spostano sul fondo e lungo le pareti e le rocce con andatura leggera e regolare, le Lambis sono costrette ad avanzare a sbalzi, allungando prima il voluminoso "piede" e poi trascinando di scatto in avanti la pesante conchiglia. Sono pressoché incapaci di aderire perfettamente ad una superficie verticale come le cipree, inoltre spesso restano bloccati a lungo tra rocce e madrepore incastrandovisi con la loro ingombrante conchiglia: insomma, alla lunga anche questi gasteropodi si rivelano quantomeno fastidiosi, se non pericolosi, per gli invertebrati sessili dell'acquario. La famiglia Muricidae comprende numerose specie, la maggior parte ascritte al genere Murex, diffuse nei mari caldi e nel Mediterraneo: tutti i murici sono carnivori, spesso anche attivi predatori in quanto aggrediscono altri molluschi, soprattutto bivalvi, producendo loro un foro caratteristico nella conchiglia. Alcune specie (Murex palmarosae, Murex ramosus ecc.) giungono ogni tanto vive dall'Oceano Indiano per il mercato acquaristico: si tratta di invertebrati non difficili da allevare e, con un po' di fortuna, anche da riprodurre. Un cenno particolare merita la famiglia Conidae, che annovera molte specie nei tropici, alcune delle quali velenose e in grado di costituire un serio pericolo anche per l'uomo. La radula di questi molluschi è in comunicazione, per mezzo di un condotto, con un bulbo velenifero in grado di produrre una sostanza neurotossica molto potente, che viene inoculata al momento del morso: alcuni Conus giungono più o meno casualmente sul mercato acquaristico italiano, e anche se non tutte le specie sono velenose occorre comunque trattarli con cautela, anche perché con un semplice esame esterno non è sempre agevole riconoscere una specie dall'altra. La Famiglia Haliotidae comprende le cosiddette "orecchie di Venere", la cui conchiglia piatta e semicircolare ricorda suggestivamente la forma di un orecchio. Tale conchiglia, che in alcune specie può raggiungere i 30 cm di lunghezza, è composta principalmente di calcite ed aragonite, ed è percorsa da una serie di fori lungo il margine superiore: la superficie esterna è ricoperta da concrezioni di ogni genere (alghe, spugne, anellidi, ecc.), quella interna, occupata dall'animale in vivo, possiede invece una splendida colorazione dovuta alla madreperla che la riveste. Nei mari tropicali (Oceano Indiano, Pacifico, Mar dei Caraibi) sono presenti numerose specie, tra cui ricordiamo le belle Haliotis rufescens e Haliotis puicherrima, nonché la grossa Haliotis gigantea: tutte sono prevalentemente fitofaghe, si nutrono cioè di sostanze vegetali.

 

 

CLASSE BIVALVI

 

Come indica il nome si tratta di molluschi racchiusi in una conchiglia composta da due valve, articolate tra loro: dal punto di vista evolutivo sono considerati più specializzati dei gasteropodi. Le valve della conchiglia sono mantenute chiuse dall'azione attiva di forti muscoli dorsali, per cui quando il mollusco muore la conchiglia si apre passivamente: il corpo dei bivalvi è compresso lateralmente, ricoperto dal mantello che spesso si salda ai margini lasciando però sempre due fessure laterali per l'entrata e l'uscita dell'acqua ed una fessura centrale per la fuoriuscita del piede, che contrariamente ai gasteropodi non ha importanza nella locomozione, quanto piuttosto per l'affossamento nella sabbia o nel fango. I bivalvi sono organismi filtratori, e l'acqua che entra ed esce dalla loro cavità interna, oltre all'ossigeno necessario per la respirazione, serve loro anche come veicolo di cibo, sotto forma di microorganismi planctonici (soprattutto fitoplancton), che viene filtrato dall'unico paio di branchie. Alcuni bivalvi sono ermafroditi, la maggior parte delle specie mostra però sessi separati, anche se il dimorfismo sessuale è quasi mai rilevabile esternamente; i gameti maschili (spermi) vengono espulsi nell'acqua circostante, e giungono alle uova degli individui femminili tramite l'acqua filtrata: la fecondazione avviene dunque all'interno del mollusco, che successivamente espelle le forme larvali (veliger) planctoniche, che dopo un certo periodo si fissano al substrato metamorfosandosi e divenendo così tipici organismi bentonici. Abbiamo già parlato delle tridacne, a proposito della loro associazione simbiotica con le zooxantelle: aggiungeremo che le modifiche strutturali cui accennavamo, tendenti a far sì che le alghe vengano esposte nel miglior modo possibile alla luce, consistono principalmente nella rotazione del mantello del mollusco e delle valve della conchiglia di 180° rispetto al resto del corpo (visceri, piede, testa), di conseguenza sifoni e margini del mantello vengono a trovarsi in posizione dorsale, direttamente esposti alla radiazione luminosa. Le tridacne sono i maggiori bivalvi viventi: gli individui più grandi misurano fino a cm 140 di lunghezza, per un peso complessivo che può avvicinarsi ai kg 300. Le loro caratteristiche valve dai bordi ondulati sono note anche ai non collezionisti e malacologi, e con le più grandi e massicce sono state addirittura realizzate delle acquasantiere da chiesa. La famiglia Tridacnidae, comprendente una mezza dozzina di specie, è diffusa nell'Indo-Pacifico, ove è oggetto di intensa pesca da parte delle popolazioni locali: nel 1969, ad esempio, furono pescati in una sola località della barriera corallina australiana quasi 200.000 esemplari. Data la grande importanza economica che questi molluschi rivestono, negli ultimi anni sono stati portati avanti con successo esperimenti di fecondazione artificiale e di allevamento a ciclo completo, resi ancor più interessanti dal fatto che questi bivalvi non sembra necessitino di cibo supplementare oltre a quello costituito dalle zooxantelle: se, come è auspicabile, si uscirà presto dalla fase sperimentale a quella pratica di allevamento, di ciò potrà indubbiamente giovarsi in un prossimo futuro anche il mercato acquaristico, che attualmente dipende per l'approvvigionamento di pesci ed invertebrati marini quasi esclusivamente da prelievi in natura effettuati da pescatori professionisti. Pur essendo minuscole (!) alla nascita, le tridacne crescono, in condizioni ottimali, con discreta velocità: Tridacna squamosa, ad esempio, misura a due anni dalla nascita quasi cm 7 di lunghezza, con un accrescimento medio annuo di circa cm 2-4, mentre la specie tipica, Tridacna gigas, può raggiungere un accrescimento annuo tra gli 8 e i 12 cm. Non esistono dati sicuri sulla longevità di questi molluschi, ma è molto probabile che possano vivere per diverse decine di anni. Dopo quanto detto, è facile comprendere come la sopravvivenza delle tridacne in acquario non dipenda tanto dal cibo supplementare eventualmente fornito (è dubbio comunque che tale cibo, di qualunque si tratti, venga effettivamente assimilato), quanto piuttosto dall'intensità luminosa a disposizione, che dev'essere paragonabile quantomeno a quella richiesta dai coralli ermatipici: le tridacne sono inoltre assai sensibili ad un sia pur limitato deterioramento delle condizioni ambientali, e richiedono anche un buon movimento dell'acqua. Le tridacne, grazie soprattutto alle alghe simbionti, possiedono a volte colori sgargianti, ma la palma del mollusco bivalve più bello spetta forse a Lima scabra, diffusa in particolare nel Mar dei Caraibi dove colonizza sia le scogliere coralline sia le praterie di alghe e fanerogame. Al pari di molti altri bivalvi, questa specie è provvista di speciali ghiandole secernenti una sostanza filamentosa, il bisso, con la quale il mollusco si fissa al substrato: una volta insediatosi, socchiude le valve e lascia fuoriuscire i tentacoli, rossi come il resto del corpo. Questi tentacoli servono al bivalve per "sondare" l'ambiente circostante: assai sensibili, se toccati o stimolati da vibrazioni inducono l'animale a richiudersi rapidamente entro le valve. Grazie a questi tentacoli sensitivi, Lima scabra riesce spesso a sfuggire ai mortali nemici dei bivalvi, le stelle marine: infatti questi molluschi sono in grado di evitare il contatto diretto con la stella (la cui forza delle braccia ha facilmente ragione della loro resistenza), con un comportamento che ha dell'incredibile per un mollusco bivalve. I tentacoli riescono infatti a "sentire" la presenza di una stella fino ad una distanza di oltre cm 20: immediatamente il mollusco si stacca dal substrato e si allontana rapidamente a scatti grazie alla propulsione prodotta da una veloce sequenza di apertura-chiusura delle valve. Lima scabra può vivere anche abbastanza a lungo in acquario (fino a 2 anni), le eventuali difficoltà di mantenimento sono legate soprattutto all'alimentazione: come quasi tutti i bivalvi essa si nutre esclusivamente di microscopiche particelle in sospensione (alghe unicellulari, batteri, protozoi ecc.) quasi mai presenti in quantità sufficiente nei nostri acquari. Per soddisfare le esigenze alimentari di questi molluschi occorre dunque fornire un'alimentazione supplementare, costituita dai soliti mangimi naturali ed artificiali adatti agli organismi filtratori e microfagi, cibi in parte già citati. Uno dei bivalvi più noti, assai apprezzato in culinaria, è senza dubbio il Mitilo o Cozza, comunissimo in tutta l'area mediterranea. Pochi però sanno che la nostra poco appariscente cozza ha un parente tropicale molto attraente: si tratta di Perna viridis, dell'Indo-Pacifico, che si distingue dalle cozze nostrane soprattutto per il bel colore verde, in diverse tonalità, delle valve. Questa specie vive benissimo in acquario, arrivando anche a riprodurvisi, richiede però un costante apporto di sostanze alimentari in sospensione per un'adeguata crescita. Concludo con un cenno ai nemici dei bivalvi, piuttosto numerosi data l'appetibilità di questi organismi, le cui robuste valve non sempre riescono a difendere dai predatori specializzati: in prima fila le stelle marine, molte delle quali si nutrono quasi esdusivamente di bivalvi, quindi molluschi gasteropodi (es. murici) e cefalopodi (polpi), crostacei (gamberi ed aragoste in particolare) e alcuni pesci dalla dentatura robusta quali i pesci palla e i pesci balestra.Come indica il nome si tratta di molluschi racchiusi in una conchiglia composta da due valve, articolate tra loro: dal punto di vista evolutivo sono considerati più specializzati dei gasteropodi. Le valve della conchiglia sono mantenute chiuse dall'azione attiva di forti muscoli dorsali, per cui quando il mollusco muore la conchiglia si apre passivamente: il corpo dei bivalvi è compresso lateralmente, ricoperto dal mantello che spesso si salda ai margini lasciando però sempre due fessure laterali per l'entrata e l'uscita dell'acqua ed una fessura centrale per la fuoriuscita del piede, che contrariamente ai gasteropodi non ha importanza nella locomozione, quanto piuttosto per l'affossamento nella sabbia o nel fango. I bivalvi sono organismi filtratori, e l'acqua che entra ed esce dalla loro cavità interna, oltre all'ossigeno necessario per la respirazione, serve loro anche come veicolo di cibo, sotto forma di microorganismi planctonici (soprattutto fitoplancton), che viene filtrato dall'unico paio di branchie. Alcuni bivalvi sono ermafroditi, la maggior parte delle specie mostra però sessi separati, anche se il dimorfismo sessuale è quasi mai rilevabile esternamente; i gameti maschili (spermi) vengono espulsi nell'acqua circostante, e giungono alle uova degli individui femminili tramite l'acqua filtrata: la fecondazione avviene dunque all'interno del mollusco, che successivamente espelle le forme larvali (veliger) planctoniche, che dopo un certo periodo si fissano al substrato metamorfosandosi e divenendo così tipici organismi bentonici. Abbiamo già parlato delle tridacne, a proposito della loro associazione simbiotica con le zooxantelle: aggiungeremo che le modifiche strutturali cui accennavamo, tendenti a far sì che le alghe vengano esposte nel miglior modo possibile alla luce, consistono principalmente nella rotazione del mantello del mollusco e delle valve della conchiglia di 180° rispetto al resto del corpo (visceri, piede, testa), di conseguenza sifoni e margini del mantello vengono a trovarsi in posizione dorsale, direttamente esposti alla radiazione luminosa. Le tridacne sono i maggiori bivalvi viventi: gli individui più grandi misurano fino a cm 140 di lunghezza, per un peso complessivo che può avvicinarsi ai kg 300. Le loro caratteristiche valve dai bordi ondulati sono note anche ai non collezionisti e malacologi, e con le più grandi e massicce sono state addirittura realizzate delle acquasantiere da chiesa. La famiglia Tridacnidae, comprendente una mezza dozzina di specie, è diffusa nell'Indo-Pacifico, ove è oggetto di intensa pesca da parte delle popolazioni locali: nel 1969, ad esempio, furono pescati in una sola località della barriera corallina australiana quasi 200.000 esemplari. Data la grande importanza economica che questi molluschi rivestono, negli ultimi anni sono stati portati avanti con successo esperimenti di fecondazione artificiale e di allevamento a ciclo completo, resi ancor più interessanti dal fatto che questi bivalvi non sembra necessitino di cibo supplementare oltre a quello costituito dalle zooxantelle: se, come è auspicabile, si uscirà presto dalla fase sperimentale a quella pratica di allevamento, di ciò potrà indubbiamente giovarsi in un prossimo futuro anche il mercato acquaristico, che attualmente dipende per l'approvvigionamento di pesci ed invertebrati marini quasi esclusivamente da prelievi in natura effettuati da pescatori professionisti. Pur essendo minuscole (!) alla nascita, le tridacne crescono, in condizioni ottimali, con discreta velocità: Tridacna squamosa, ad esempio, misura a due anni dalla nascita quasi cm 7 di lunghezza, con un accrescimento medio annuo di circa cm 2-4, mentre la specie tipica, Tridacna gigas, può raggiungere un accrescimento annuo tra gli 8 e i 12 cm. Non esistono dati sicuri sulla longevità di questi molluschi, ma è molto probabile che possano vivere per diverse decine di anni. Dopo quanto detto, è facile comprendere come la sopravvivenza delle tridacne in acquario non dipenda tanto dal cibo supplementare eventualmente fornito (è dubbio comunque che tale cibo, di qualunque si tratti, venga effettivamente assimilato), quanto piuttosto dall'intensità luminosa a disposizione, che dev'essere paragonabile quantomeno a quella richiesta dai coralli ermatipici: le tridacne sono inoltre assai sensibili ad un sia pur limitato deterioramento delle condizioni ambientali, e richiedono anche un buon movimento dell'acqua. Le tridacne, grazie soprattutto alle alghe simbionti, possiedono a volte colori sgargianti, ma la palma del mollusco bivalve più bello spetta forse a Lima scabra, diffusa in particolare nel Mar dei Caraibi dove colonizza sia le scogliere coralline sia le praterie di alghe e fanerogame. Al pari di molti altri bivalvi, questa specie è provvista di speciali ghiandole secernenti una sostanza filamentosa, il bisso, con la quale il mollusco si fissa al substrato: una volta insediatosi, socchiude le valve e lascia fuoriuscire i tentacoli, rossi come il resto del corpo. Questi tentacoli servono al bivalve per "sondare" l'ambiente circostante: assai sensibili, se toccati o stimolati da vibrazioni inducono l'animale a richiudersi rapidamente entro le valve. Grazie a questi tentacoli sensitivi, Lima scabra riesce spesso a sfuggire ai mortali nemici dei bivalvi, le stelle marine: infatti questi molluschi sono in grado di evitare il contatto diretto con la stella (la cui forza delle braccia ha facilmente ragione della loro resistenza), con un comportamento che ha dell'incredibile per un mollusco bivalve. I tentacoli riescono infatti a "sentire" la presenza di una stella fino ad una distanza di oltre cm 20: immediatamente il mollusco si stacca dal substrato e si allontana rapidamente a scatti grazie alla propulsione prodotta da una veloce sequenza di apertura-chiusura delle valve. Lima scabra può vivere anche abbastanza a lungo in acquario (fino a 2 anni), le eventuali difficoltà di mantenimento sono legate soprattutto all'alimentazione: come quasi tutti i bivalvi essa si nutre esclusivamente di microscopiche particelle in sospensione (alghe unicellulari, batteri, protozoi ecc.) quasi mai presenti in quantità sufficiente nei nostri acquari. Per soddisfare le esigenze alimentari di questi molluschi occorre dunque fornire un'alimentazione supplementare, costituita dai soliti mangimi naturali ed artificiali adatti agli organismi filtratori e microfagi, cibi in parte già citati. Uno dei bivalvi più noti, assai apprezzato in culinaria, è senza dubbio il Mitilo o Cozza, comunissimo in tutta l'area mediterranea. Pochi però sanno che la nostra poco appariscente cozza ha un parente tropicale molto attraente: si tratta di Perna viridis, dell'Indo-Pacifico, che si distingue dalle cozze nostrane soprattutto per il bel colore verde, in diverse tonalità, delle valve. Questa specie vive benissimo in acquario, arrivando anche a riprodurvisi, richiede però un costante apporto di sostanze alimentari in sospensione per un'adeguata crescita. Concludo con un cenno ai nemici dei bivalvi, piuttosto numerosi data l'appetibilità di questi organismi, le cui robuste valve non sempre riescono a difendere dai predatori specializzati: in prima fila le stelle marine, molte delle quali si nutrono quasi esdusivamente di bivalvi, quindi molluschi gasteropodi (es. murici) e cefalopodi (polpi), crostacei (gamberi ed aragoste in particolare) e alcuni pesci dalla dentatura robusta quali i pesci palla e i pesci balestra.

 

 

CLASSE CEFALOPODI

 

Sono in assoluto i molluschi più grandi, comprendono forme a tutti note quali i polpi (da non confondere con polipi, già incontrati nei celenterati) o piovre, i calamari, e le seppie. Strutturalmente sono assai diversi dai molluschi sinora descritti, ma tale eterogeneità è solo apparente: ad esempio i tentacoli, caratteristica anatomica più appariscente dei cefalopodi, altro non sono che una modificazione del piede dei gasteropodi e dei bivalvi, di cui dunque sono omologhi. La maggior parte dei cefalopodi oggi viventi è provvista di 8 tentacoli, ognuno provvisto più o meno estesamente di ventose: tali tentacoli servono soprattutto per il reperimento del cibo, per l'abbraccio durante l'accoppiamento e, nei polpi, anche per lo spostamento sul fondo. Nei maschi una delle braccia ha inoltre la funzione di organo copulatore, trasformandosi con la maturità sessuale in ectocotile. Nessun cefalopode è ermafrodita, i sessi sono sempre separati e, negli individui maturi, è a volte evidente il dimorfismo sessuale. Quasi tutti i cefalopodi sono capaci di mutamenti cromatici sorprendenti per rapidità ed estensione, grazie ai cromatofori (cellule contenenti pigmento) sparsi sulla loro pelle. Alcuni cefalopodi sono bentonici (polpi), altri pelagici (seppie, calamari), tutti comunque si spostano immagazzinando acqua nella cavità del mantello ed espellendola violentemente, dandosi così una notevole spinta: in seppie e calamari questo è l'abituale mezzo di locomozione, i polpi invece vi ricorrono in genere se spaventati o se devono comunque spostarsi velocemente, altrimenti si spostano sul fondo usando le braccia come leve. E pressoché impossibile imbattersi, nei negozi di acquariofilia, in seppie e calamari tropicali, mentre di tanto in tanto vengono importati polpi dai tropici: si tratta di alcune specie del genere Octopus (cui appartiene anche il polpo mediterraneo, Octopus vulgaris) e soprattutto del magnifico Hapalochlaena maculosa, diffuso nel sud del Pacifico, nei mari asiatici ed australiani. La colorazione base di questo polpo è marroncina con ocelli e strie violacee sparse un po' ovunque, va ricordato però che essa è estremamente variabile, ed infatti si può dire che in questo polpo ogni cambiamento d'umore corrisponde ad una mutazione di colore, spesso rapidissima, dovuta alla veloce espansione e contrazione dei cromatofori presenti nel tegumento. Al pari degli altri polpi, H. maculosa è provvisto di un solido e temibile "becco" corneo, in grado di lacerare le prede catturate in natura: crostacei di ogni tipo, pesci bentonici, molluschi bivalvi e gasteropodi. Questa specie è ritenuta velenosa, e in Australia pericolosa anche per l'uomo: occorre quindi maneggiarla con cautela, evitando possibilmente il contatto diretto con l'animale. In cattività H. maculosa va allevato in acquari ampi e ben coperti, per evitare spiacevoli fughe, e possibilmente dedicati solo a questa specie: conviene ospitare esemplari singoli o coppie, in quanto anche l'aggressività infraspecifica è piuttosto marcata. In acquario possono essere nutriti inizialmente con prede vive (bivalvi, granchiolini, gamberetti), successivamente con pezzetti di pesce e polpa di mollusco e di gambero: l'assunzione del cibo avviene quasi sempre di sera, tuttavia dopo un certo periodo di acclimatazione Hapalochlaena maculosa si mostra discretamente attivo anche di giorno.