I  COLORI  DEI  PESCI

 

 

SABATO pomeriggio, shopping in centro. Tra una vetrina e l’altra, all’improvviso vi trovate di fronte una persona vestita esattamente come voi: stessa camicia, stessa giacca, stessi vivacissimi colori. Come reagite? Probabilmente con un sorriso divertito. Oppure cambiate marciapiede per evitare l’imbarazzo. Ben difficilmente vi scaglierete contro il “sosia” aggredendolo a parole. Sareste presi per eccentrici ma, anche così facendo, somigliereste molto a un pesce della barriera corallina. Per due motivi: sfoggiate colori vistosi e ne fate un pretesto per litigare. Tra le madrepore, infatti, più si è colorati, più si riesce ad attirare l’attenzione, meglio si mettono in chiaro questioni di vario tipo. Territoriali, per esempio: e allora è lite. O sentimentali: a volte la livrea nuziale dei maschi che per noi è un pugno in un occhio, significa “Ragazze, eccomi qua". E ancora, con un accorto uso dei colori, in mare si può ingannare o addirittura uccidere. Konrad Lorenz, il grande etologo austriaco che passava ore e ore con il naso schiacciato contro il vetro del suo acquario per decifrare il codice sommerso dell’arcobaleno, chiamava i pesci dei coralli "plakatfarben", cioè poster a colori o meglio ancora cartelloni pubblicitari. Ma con quale tecnica la natura ha stampato questi poster?

Tavolozze viventi. Il segreto di Chaetodon semilarvatus e Zebrasoma flavescens, un pesce farfalla e un pesce chirurgo gialli come limoni, si chiama xantina; Priacanthus e Myripristis murdjan, scarlatti predatori notturni, hanno in comune con il labride aranciato Cheilinus fasciatus una sola cosa: l’eritrina. Zeppi di melanina sono invece i piccoli Dascyllus trimaculatus, folletti corallini quasi del tutto neri. Xantina, eritrina, melanina: in una parola i pigmenti, cioè le sostanze responsabili dei colori negli animali. A essi aggiungiamo la guanina, componente essenziale degli acidi nucleici delle cellule, che nei pesci, grazie alla sua struttura cristallina, crea il bianco, le iridescenze e il blu. Nel derma (il tessuto connettivo che, con l'epidermide, forma la pelle) dei pesci, pigmenti e guanina sono contenuti all’interno di cellule specializzate: cromatofori per i primi, iridofori per la seconda. È proprio la loro combinazione, come tra le tessere di un mosaico, a produrre le svariate tonalità e i bei colori dei pesci corallini.

I COLORI DEI PESCI

Le cellule cromatiche dei pesci, tuttavia, hanno anche altre prerogative. Per esempio quella di fare impazzire gli ittiologi che, negli anni passati, avevano il compito di classificare le specie tropicali marine: alle voci mar Rosso, Caraibi, oceano Pacifico e Grande Barriera australiana i fogli erano pieni di correzioni, di disegni di uno stesso pesce corredati da due o tre nomi scientifici, di punti interrogativi. Il motivo di tutto ciò sta nella principale caratteristica dei cromatofori: muovere i pigmenti al loro interno e quindi, con nuove combinazioni, far cambiare il colore nel corso dei mesi, dei giorni o anche di pochi secondi. Fino a renderli irriconoscibili. Gli scienziati distinguono due tipi di cambiamenti: morfologici e fisiologici. Nei primi, dovuti a un aumento o a una diminuzione di certi cromatofori o della quantità di pigmento che contengono, si hanno variazioni cromatiche lente, graduali e irreversibili. Così molti pesci corallini hanno una livrea giovanile del tutto diversa da quella che assumeranno una volta adulti, tanto che sembrano appartenere a un’altra specie. È il caso del Pomacanthus imperator (lo potete vedere nella prima foto), in cui i giovani presentano strisce bianche su fondo blu cupo: nel giro di poche settimane assumeranno i colori “da grandi”, più vivaci e con disegni più complessi. È un po’ come, in un adolescente, la comparsa della prima barba o il cambiamento di voce: basta un’estate. In questi pesci, tuttavia, il cambiamento di colore non rientra nell’ambito dei caratteri sessuali secondari, e il fenomeno è tuttora da chiarire. Paragonabili a signore che si truccano e si struccano sono invece i pesci capaci di cambiare fisiologicamente la loro livrea: in pratica, in seguito a stimoli di natura nervosa od ormonale, i cromatofori di questi animali hanno la possibilità di concentrare oppure disperdere la quantità di pigmento in essi presente. Risultato: in determinate situazioni e con grande rapidità la pelle scolorisce, in altre la tinta si accentua oppure mutano i disegni; poi tutto torna alla normalità. Così gran parte delle cernie tropicali come Plectropomus maculatus (seconda foto), Epinephelus e Cephalopolis quando sono spaventate o comunque in una situazione di disagio diventano a strisce; il piccolo pesce damigella Dascyllus carneus corteggia la femmina aiutandosi con un deciso accentuarsi del viola sulla pinna dorsale; Naso lituratus (terza foto) e i rossi Priacanthus quando cala la notte indossano un abito a pois.

 

Mettersi in mostra: perche? “Si fece una scoperta, che non ci si aspettava, intorno a quasi tutti i pesci corallini i cui colori ricordano un cartellone o una bandiera, ‘colori pubblicitari’ per intenderci: è assolutamente impossibile tenere in un acquario di dimensioni ridotte più di un individuo della stessa specie”. È un’osservazione che chiunque abbia un acquario marino può verificare: essere vestiti uguali nei pochi centimetri quadrati di una "stanzetta” di vetro è una provocazione mortale e presto il più debole ne farà le spese. Si ritorna all’esempio iniziale, a quel comportamento che tra uomini sarebbe ridicolo e discutibile, e tra pesci è regola di vita: rivendicare il proprio territorio tanto più prepotentemente quanto più si è colorati. Ma il linguaggio dell’arcobaleno non si esaurisce qui. Ci sono pesci tropicali molto colorati ma non particolarmente aggressivi. Prendiamo per esempio gli stranissimi pesci cofano, parallelepipedi viventi in cui ogni “faccia” è un’opera d’arte; o i famosi pesci palla: loro che cosa se ne fanno dei colori?

La banda degli onesti. La risposta più attendibile è frutto dell’appetito di un pesce e dell’intuizione di un ittiologo. Per mesi infatti l’americano J.E. Reighard osservò il comportamento in natura di Lutjanus griseus, vorace predatore degli ambienti corallini, individuandone il boccone preferito: Atherina laticeps, qualcosa di simile ai “latterini” che troviamo in pescheria. Il Lutjanus che lo scienziato si portò in acquario ebbe così a disposizione ogni giorno i suoi due o tre pesciolini fino a quando, una mattina, arrivò la sorpresa: Reighard liberò nella vasca un Atherina colorato artificialmente di rosso con particolari sostanze chimiche, sgradevoli al palato. Solito scatto del predone, solita aggressione, ma inevitabile, disgustato rigetto. Bastarono pochi giorni al Lutjanus per non cascarci più: rosso era ormai sinonimo di “disgustoso”. E i latterini amari, dal canto loro, dovevano la vita proprio al loro nuovo abito scarlatto. Guarda caso, pesci cofano e compagni hanno carni tossiche, oltre che amare. I loro colori sarebbero quindi un avvertimento: “Vuoi mangiarmi? Attento...”. “Onestà” per salvare la pelle, insomma.

Tanti motivi per imbrogliare. La notizia si diffuse lo stesso giorno in cui, nell’aprile di qualche anno fa, gli italiani cominciarono a guidare con le cinture di sicurezza allacciate: qualcuno aveva “inventato” le magliette con una banda trasversale nera, nella speranza di gabbare i vigili. Fu poco più di uno scherzo. Sott’acqua, invece, piccoli imbrogli del genere possono salvare la vita. Con disegni, macchie e ocelli al punto giusto è facile ingannare un predatore esattamente come un vigile urbano distratto. È il caso dei pesci che, secondo alcuni studiosi, fanno di tutto per nascondere alla vista i propri occhi, organi a cui il nemico punta più facilmente. Come? Coprendoli con mascherine scure, come alcuni Pomacanthus, oppure addirittura simulandone di finti nella zona della coda. Ma c’è chi va oltre. Calloplesiops altivelis è un meraviglioso pesce d’acquario scuro a pois bianchi, con ampie pinne e una macchia nera ben delimitata all’altezza del peduncolo caudale. Non è un animale velenoso: se un predatore lo prende di mira non gli resta che cercar scampo tra i coralli o in qualche antratto. Ma gli ittiologi hanno notato che, in questi casi, Calloplesiops non si infila del tutto nel rifugio ma lascia sporgere la parte posteriore del corpo. Risultato: l’aggressore fa dietrofront. E ha i suoi buoni motivi: il fondoschiena del pesce, con le pinne chiuse e il falso occhio scuro, è simile al muso minaccioso della murena a puntini bianchi Lycodonthis meleagris. Quanto basta per scoraggiare chiunque.

Hai successo? E io ti imito. Labroides dimidiatus, un piccolo labride azzurro con una larga fascia nera che va dall’occhio alla coda, è un”estetista" a tempo pieno. La sua clientela è numerosissima: pesci farfalla, pesci angelo, pesci balestra e pappagallo si recano ogni giorno nei pressi della sua tana, si adagiano pazientemente su un fianco e si lasciano piluccare con cura dal padrone di casa, che divora ogni parassita. Cernie e murene spalancano addirittura le enormi bocche per permettere a più Labroides di entrarvi e tirare a lucido denti e gengive. Quella striscia nera su fondo azzurro è insomma una garanzia, un marchio di fiducia. Ma qualcuno ne approfitta. Si chiama Aspidontus taeniatus, appartiene alla famiglia dei Blennidi come le nostre bavose e solo l’occhio dell'esperto lo distingue da un Labroides: uniche differenze, una bordatura nera sulla pinna dorsale e due grossi denti canini. Il “cliente" che se lo trova di fronte così si fida e si presta alle cure: ma quello, fulmineo, strappa al poveretto un brandello di pelle e scompare fra le madrepore. Il vocabolario dei colori fra i pesci corallini è dunque molto più complesso di quanto si possa immaginare:dietro ogni segno, ogni sfumatura, ogni stria c’è un messaggio. A volte gli scienziati si sono spinti molto in là per cercare a tutti i costi un’interpretazione, attirando le critiche di chi, di fronte a un prodigio naturale, si limitava a dire “è bello e basta”. Capitò anche a Konrad Lorenz. “L’arcobaleno”, rispondeva, “non è diventato nè meno bello nè meno commovente per il fatto che abbiamo imparato a capire le leggi che lo determinano”.