L' ACQUA DOLCE : IMPARIAMO A CONOSCERLA

 

 

Pur senza correre il rischio di trasformare un hobby istruttivo e rilassante come l'acquariofilia in una sorta di laboratorio chimico, è indispensabile conoscere l'acqua in cui vivono i nostri pesci e le nostre piante, almeno nei suoi principi chimici basilari. La gamma di test reperibili in commercio è varia e presenta anche kit a un solo reagente liquido o basati sull'impiego di compresse o di strisce colorimetriche. Dedicare del tempo alla misurazione di questi parametri non è un'azione superflua o riservata solo agli acquariofili esperti, ma necessaria e fondamentale per l'allestimento e il mantenimento di qualsiasi acquario.

 

Così come sgorga dalle condutture domestiche, l'acqua potabile non è adatta alla nostra vasca. Essa è generalmente arricchita di cloro, in concentrazioni fino a 0,1-0,2 mg/l: questo gas, importante per la potabilità, è però molto tossico per tutti gli organismi acquatici. Già aprendo il rubinetto se ne sente il caratteristico odore: il cloro è infatti per fortuna molto volatile, evapora spontaneamente in breve tempo se si ha cura di smuovere la superficie dell'acqua con una pompa o un aeratore. Se c'è la necessità di adoperare subito l'acqua del rubinetto, è opportuno trattarla con un biocondizionatore liquido per acquari: il biocondizionatore, grazie alla presenza di sostanze come il sodio tiosolfato e "leganti" chimici come l'EDTA, elimina istantaneamente il cloro e "lega", rendendoli innocui per pesci e piante, eventuali metalli pesanti tossici (piombo, rame, zinco, cromo) ceduti all'acqua dalle condutture. Pur se "stagionata" o trattata con un biocondizionatore, l'acqua di rubinetto può non essere ancora adatta al nostro acquario. Nella maggioranza dei casi, infatti, essa sarà caratterizzata da un pH alcalino (7-8), una durezza elevata e un alto valore di conduttività dovuto ad una forte presenza di sali. Questi valori sono ben tollerati da alcuni pesci che in natura vivono in acque con caratteristiche non troppo diverse: è il caso ad esempio di molti Pecilidi (guppy, molly, platy, gambusia, ecc.), dei Ciclidi africani dei laghi Malawi e Tanganica, di numerosi pesci d'acqua salmastra (previa aggiunta di sali marini), del pesce rosso con le sue innumerevoli varietà e di pochi altri. Lo stesso vale per i pesci più comuni in commercio che, pur originari di acque con valori dissimili dalle nostre, sono riprodotti da svariate generazioni in cattività e mostrano quindi una grande capacità di adattamento. Molte specie però, pur vivendovi apparentemente bene e a lungo, non si riproducono nell'acqua di casa nostra. Quando se ne riesce ad ottenere l'accoppiamento, spesso le uova non si schiudono e vengono attaccate da funghi e muffe a causa soprattutto di pH e durezza troppo elevati. Quanto alle piante, eccetto poche specie "calcifile" (come quelle dei generi Elodea e Ceratophyllum), la maggioranza di esse mal tollera i valori eccessivi dell'acqua di rubinetto, cui reagisce con crescita stentata e scarsa risposta alla fertilizzazione.

 

Il cosiddetto pH
E' uno dei parametri ambientali più importanti per la vita acquatica. Esso esprime il rapporto tra gli ioni H+ (a reazione acida) e OH- (a reazione basica): più in generale, possiamo dire che misura la concentrazione degli ioni idrogeno nell'acqua (pH è l'abbreviazione del latino pondus
Hydrogenii, letteralmente "peso dell'idrogeno"). Il pH si misura su una scala di valori da 1 a 14: esattamente al centro della scala (7) esso si dice neutro, al di sopra basico o alcalino, al di sotto acido. Nelle acque dolci da cui provengono i nostri pesci da acquario il pH è compreso generalmente tra 5 e 8.1 valori più bassi si misurano nelle pozze di acqua piovana colonizzate dai "killi" annuali (Aphyosemion, Nothobranchius, Pterolebias, ecc.), nonché nei corsi d'acqua che ricevono un continuo apporto di fogliame e altri detriti vegetali acidificanti dalle foreste circostanti, come il grande fiume Rio Negro o gli innumerevoli torrenti che scorrono nelle foreste pluviali tropicali. I valori più alti (alcalini) si osservano in certi grandi laghi africani (Malawi, Tanganica) e nella maggioranza di fiumi e laghi di casa nostra, nonché nelle acque salmastre presso la foce dei fiumi. Il pH è strettamente correlato alla durezza carbonatica (°dKH), costituita da carbonati e bicarbonati di calcio e magnesio: un KH elevato (oltre 4-5°) fa da "tampone basico" al pH, impedendo che scenda sotto la neutralità; viceversa, acque con KH basso (sotto 3°) hanno di solito un pH acido ma piuttosto instabile.
In un sistema "chiuso" e abbastanza instabile come l'acquario il pH può variare sensibilmente nel tempo. La presenza di materiale calcareo (ghiaia, rocce), ad esempio, può far aumentare sensibilmente il KH e con esso il pH in acqua dolce, mentre in vasche particolarmente ricche di piante l'attività fotosintetica può causare forti sbalzi di pH tra il giorno e la notte. Occorre dunque tenere costantemente sotto controllo il pH, le cui brusche variazioni possono causare seri danni ad animali e vegetali. Nei pesci, ad esempio, esso agisce sul sottile muco protettivo che ricopre corpo e branchie: sbalzi di pH danneggiano questo muco favorendo l'insediamento di parassiti o, a livello branchiale, causando forti difficoltà respiratorie. Un valore di pH alcalino (7,5 e oltre) danneggia invece le piante, riducendo la CO2 disponibile per la fotosintesi e ostacolando l'assimilazione osmotica di nutrienti dall'acqua.
Anche se non è richiesta una precisione da laboratorio, i misuratori di pH per l'acquario devono essere affidabili e ben collaudati: basti pensare che la differenza di un grado deve essere in realtà moltiplicata per dieci, vale a dire che un'acqua con pH 8 avrà una basicità dieci volte superiore a un pH neutro, rispetto al quale un pH 6 sarà dieci volte più acido! I più diffusi test per la misurazione del pH in acquario si basano sul viraggio di colore di un campione d'acqua prelevato dalla vasca cui si aggiunge uno specifico reagente liquido (gocce), in polvere o in compresse da sciogliere. Il campione trattato va poi confrontato su una scala colorimetrica: ad ogni colore corrisponde un determinato valore di pH. Tutta l'operazione è molto semplice e dura pochi minuti, perché sia sufficientemente precisa è necessario che sia effettuata subito dopo il prelievo del campione. Un po' meno precise ma ancor più semplici e rapide da usare sono le strisce di plastica a viraggio di colore, usa e getta, moderne eredi delle classiche cartine al tornasole: sono utili in caso di emergenza o per effettuare misurazioni in acquari particolarmente stabili e ben avviati, in cui le variazioni di pH siano davvero minime e ci si limiti dunque a verificare di tanto in tanto che tutto sia nella norma. Vi sono poi i misuratori elettronici di pH, portatili o fissi, sofisticati strumenti di costo elevato il cui utilizzo è giustificato in casi particolari: ad esempio, negli acquari con folta vegetazione e in cui si somministra regolarmente CO2, il cui flusso può in tal caso essere regolato da un pHmetro elettronico tramite un'elettrovalvola. In acquari appena avviati il pH va misurato frequentemente, anche più volte a settimana. In seguito è comunque opportuno misurarlo con regolarità, almeno una volta a settimana.

 

La durezza
E' uno dei parametri ambientali più importanti da misurare e tenere sotto controllo in acquario. In acquariofilia si misurano due tipi di durezza: la durezza totale (composta da solfati, carbonati e bicarbonati sia di calcio che di magnesio) e la durezza carbonatica o temporanea o parziale (determinata essenzialmente da carbonati e bicarbonati di calcio e magnesio). La scala più diffusa tra gli acquariofili italiani è quella tedesca (che ha da molti anni soppiantato quella francese): la durezza totale tedesca si indica con dGH (deutsche Gesamt-Hàrte), mentre la durezza temporanea con dKH (deutsche Karbonat-Hàrte). Generalmente, in riferimento alla durezza totale l'acqua si classifica come:
• tenera, se inferiore ai 7°dGH;
• media, se compresa tra i 7 e i 14°dGH;
• dura, tra i 14 e i 21 °dGH;
• molto dura, se al di sopra dei 21° dGH.
I più diffusi test per la misurazione della durezza in acquario sono ancora oggi quelli a reagenti liquidi. Il loro funzionamento è molto semplice: con un'apposita provetta di plastica graduata si preleva un piccolo campione d'acqua dalla vasca da testare, quindi si versa goccia a goccia il reagente nella provetta, fino a quando il campione d'acqua prelevato assume una determinata colorazione. Il numero di gocce del reagente necessarie ad ottenere il viraggio di colore equivale alla durezza dell'acqua espressa in gradi tedeschi (es.: 8 gocce = 8°dGH o 8°dKH). Da alcuni anni sono apparsi in commercio anche i test a strisce colorimetriche, ancora più semplici da usare: basta immergere per pochi secondi in acqua l'estremità della striscia di plastica con il tamponcino reagente, quindi estrarla e attendere qualche minuto che il tamponcino viri di colore. La colorazione ottenuta va poi confrontata sull'apposita scala colorimetrica corrispondente ai diversi gradi di durezza. Rispetto ai test liquidi, quelli a strisce sono più rapidi e pratici, ma anche più cari visto che le strisce sono "usa e getta" e valide ognuna per una sola misurazione. Salvo diversa indicazione del produttore, entrambi i tipi di test sono impiegabili indifferentemente sia in acqua dolce che marina.
L'acqua delle nostre condutture domestiche ha, salvo qualche eccezione, una durezza da media ad alta, generalmente superiore a 7-8°dKH e 20°dGH. Si tratta di valori ben sopportati (se non graditi) da diversi pesci d'acqua dolce, come la maggioranza dei Pecilidi, i Ciclidi dei grandi laghi africani, le specie d'acqua salmastra, ecc. Eccetto poche specie dette "calcifile" (come quelle dei generi Elodea, Egeria e Ceratophillum), le piante da acquario non sopportano valori elevati di durezza, al pari del resto di molti pesci (Caracidi, Ciclidi sudamericani, ecc.) che, pur magari adattandosi a vivere in acque "dure", non vi si riproducono se non con estrema difficoltà e con notevoli perdite di uova e avannotti. Una durezza carbonatica sui 4-5°dKH e una totale intorno a 10°dGH sono valori ottimali per la maggioranza dei pesci e delle piante tropicali d'acqua dolce. Nelle vasche in cui si fa impiego di acqua decalcificata e demineralizzata per tenere su valori relativamente bassi pH e durezza, quest'ultima (sia la totale che la carbonatica) va misurata con regolarità, settimanalmente negli acquari da poco allestiti e un paio di volte al mese in quelli ben avviati. Soprattutto la durezza carbonatica assume una particolare importanza negli acquari d'acqua dolce, sia perché fa da "tampone" alle oscillazione del pH (è bene per questo che il suo valore non scenda sotto i 2-3°dKH), sia perché insieme al pH stesso determina il quantitativo di CO2 da erogare per mantenere questo gas su livelli ottimali per le piante.

Prima di introdurre i pesci, bisogna aspettare che nell'acquario si insedi un'adeguata flora batterica, altrimenti si può assistere a pericolosi fenomeni di "acqua opaca" accompagnati da nitriti elevati e carenza di ossigeno.

 

Impianto per la produzione casalinga di acqua demineralizzata con osmosi inversa.

La conduttività o conduttanza specifica
Le soluzioni acquose sono definite "conduttori di seconda specie" (per distinguerle dai metalli, definiti "conduttori di prima specie") in quanto in esse il passaggio di elettricità avviene mediante conduzione ionica (e non elettronica, come nei metalli), cioè con trasporto di materia: questo significa che tanto maggiore sarà il numero di ioni presenti (sali, acidi o basi disciolti) in una soluzione acquosa, tanto più alta sarà la sua conducibilità. Il valore della conduttività sarà quindi correlato alla quantità (e alla qualità) di sali disciolti in un'acqua e questo permette la sua applicazione per il controllo delle acque nei processi chimici, nell'industria alimentare, tessile, metallurgica e cartaria, oltre che negli impianti di trattamento delle acque inquinate. Per l'appassionato acquariofilo la caratterizzazione dell'acqua mediante la misura della sua conduttività può risultare estremamente utile in moltissime situazioni. Essa trova applicazione nei cambi parziali d'acqua, nella determinazione della salinità, nel dosaggio di fertilizzanti e oligoelementi, nella ricostituzione di acque dure (ad esempio per i Ciclidi dei grandi laghi africani), nella valutazione dello stato delle membrane per la produzione di acqua di osmosi e dell'esaurimento delle resine a scambio ionico per la produzione di acqua deionizzata, nell'allevamento e nella riproduzione di specie delicate come i Discus. Al valore della conduttività di un'acqua contribuiranno tutti gli ioni presenti nell'acqua stessa, da quelli che definiscono la sua durezza carbonatica (KH) e totale (GH), a quelli (come gli ioni nitrato e fosfato, ad esempio) prodotti dai processi biologici, fino a quelli volutamente aggiunti sotto forma di concimi, oligoelementi, condizionatori e altri additivi. In tal senso la conducibilità può essere considerata tra quelle caratteristiche "globali" di un'acqua (un altro esempio è il potenziale
redox), il cui valore non è facilmente correlabile a un singolo parametro ma dipende da un certo numero di essi, tra cui la temperatura.


Ammoniaca, nitriti e nitrati
In acquario i principali ceppi batterici deputati a svolgere alcuni stadi della trasformazione dell'azoto inorganico sono quello dei Nitrosomonas e quello dei Nitrobacter (batteri nitrificanti). Parlando di azoto inorganico ci si riferisce a molecole contenenti azoto, idrogeno, ossigeno o qualsiasi altro elemento della tavola periodica, ma non il carbonio, elemento che caratterizza invece le sostanze cosiddette organiche. L'azoto nell'acquario si trova sotto forma di ione ammonio (NH4+), ione nitrito (NO2-) e ione nitrato (NO3-). I batteri Nitrosomonas sono responsabili della trasformazione dell'ammonio in nitriti, mentre i secondi, i Nitrobacter, attaccano i nitriti trasformandoli in nitrati. L'ammonio, in una vasca avviata, viene introdotto soprattutto con le feci dei pesci e attraverso la decomposizione del materiale organico animale e vegetale. Lo ione ammonio, di per sé innocuo, diventa pericoloso per i pesci in condizioni di alcalinità (pH maggiore di 7), poiché in queste condizioni si "deprotona" trasformandosi in ammoniaca (NH4+ NH3+H+); da qui, l'importanza della completa trasformazione dell'ammonio in sostanze prevalentemente innocue: i nitrati. Ciò avviene solo in presenza di ossigeno molecolare e, se l'ossigeno disciolto in acqua diventa troppo poco, il processo di nitrificazione può bloccarsi. Nel primo stadio di trasformazione si formano i nitriti: questi, a differenza del loro precursore, sono tossici a tutti i valori di pH poiché, legandosi all'eme dell'emoglobina al posto dell'ossigeno, generano la metemoglobina provocando anossia nell'animale intossicato. Ecco spiegato perché, in caso di eccessivo tasso di nitriti, i pesci "boccheggiano" affannosamente in superficie. Un rimedio per ridurre la tossicità dei nitriti, in caso di emergenza, è quello di aggiungere del comune sale da cucina (NaCl) all'acqua, in quanto lo ione cloruro sposta il nitrito dall'eme dell'emoglobina, ripristinandone le normali funzioni di trasportatore di ossigeno. Anche il blu di metilene, grazie al suo potere antimetemoglobinemico, combatte questo tipo di intossicazione. Va sottolineato che, in un acquario ben funzionante, raramente accadrà che compaia un eccesso di nitriti senza che vi sia un grossolano malfunzionamento del filtro od una noncuranza da parte nostra, mentre è fisiologico che i test rivelino valori generalmente misurabili di nitrati. Nel secondo stadio, i nitrati prodotti sono invece poco tossici e, in vasche che non ospitino organismi particolarmente delicati, possono accumularsi temporaneamente in acqua fino a valori intorno ai 100 mg/l e più senza gravi conseguenze. Superato di molto tale limita inizia comunque a presentarsi qualche accenno di tossicità, e con-centrazioni nell'ordine dei centinaia di milligrammi per litro causano indebolimento, ulcerazioni e disfunzioni nella crescita e nel metabolismo. Inoltre, lo ione nitrato è molto legato al metabolismo delle alghe superiori e non, per cui, onde evitare problemi di eutrofizzazione, è meglio tenere la sua concentrazione sempre al di sotto dei 20 mg/l, grazie a regolari cambi d'acqua o all'ausilio di una folta e rigogliosa vegetazione, che ne consumerà discrete quantità per la crescita, abbinata ad un moderato popolamento ittico.