Richiesta di denaro

I briganti hanno bisogno, per la loro attività, di denaro che se lo procurano con sequestri.

"Allorchè fui catturato erano presenti mio figlio Antonio, Agostino Di Salvo di Domenicantonio, Maria Di Guglielmo mia cognata ed Alessandro Di Tore, tutti di qui. Lo scopo per cui fui catturato si fu quello di voler surrocare del denaro, essendomi data imposta una taglia pel riscatto, taglia che fortunatamente non ho pagata".

La richiesta viene fatta immediatamente: "...io piangendo mi avvicinai a loro supplicandoli di non maltrattarlo ed essi mi risposero d'andarmene del resto m'avrebbero uccisa ed uno di questi... mi disse che vendesi la mia masseria col territorio e gli portassi due paia mutande e mille ducati nel bosco di Castiglione e che avrebbero lasciato in libertà il mio merito ", dichiara la moglie del sequestrato.

A volte la somma del riscatto viene comunicata tramite i testimoni del sequestro: "Lasciava detto (a Nicola Maria di Marco) che si fosse fatto sapere alla moglie (del sequestrato) che avesse mandato 800 ducati... e così avrebbe riavuto il marito".

Una testimone del sequestro (Teresa Terlizzi), mentre si reca in un suo terreno per trasportare i covoni di grano in paese, viene avvicinata dal brigante Pasquale di Tore e le dice: "fammi il favore di dire a Donato Di Guglielmo che io mi ho preso il suo figliolo, e che lo porto meco nel bosco Monticchio, che perciò mi venisse a trovare se vuole libero il figlio".

Le somme vengono consegnate quasi sempre dai familiari: "La detta somma di ducati 250 fu portata dai medesimi nostri parenti Raffaele Frieri e Filippo Di Guglielmo"; il "...riscatto dovettero per mezzo delle loro famiglie far tenere ai malfattori delle somme di denaro, avendo mandata la famiglia del primo ducati 48 , quella del secondo ducati 50 e quella del terzo ducati 60".

A S. Angelo dei Lombardi un certo Gregorio Cicalese di Nocera (Salerno), agente di Nicola Amora mentre si reca nella masseria di costui, detta di S. Vito, distante circa tre miglia dal capoluogo, nelle vicinanze dell'Ofanto, nel territorio di Morra, dove si è inoltrato per la caccia, viene sequestrato da due briganti a cavallo. "Vuolsi che il sig. d'Aurora per liberare il suo agente abbia spedito ai malviventi il chiesto riscatto di £ 200 ed una giumenta; stantechè verso le 7 pom. dello stesso giorno il Cicalese era lasciato libero e ritiravasi in S. Angelo".

Non mancano casi di richieste di riscatto tramite gli intermediari indicati dagli stessi malviventi (1).

Il motivo del sequestro e la quantità del riscatto richiesto vengono, quasi sempre, comunicati anche al prigioniero: "Strada facendo mi dissero che allora mi avrebbero lasciato quando la famiglia avrebbe rimesso la somma di ducati 400".

In pochi casi i briganti non fanno conoscere ai prigionieri o ai loro familiari le loro intenzioni: "Ignoravasi il motivo per lo quale i malfattori catturavano, e poi rilasciarono il Di Guglielmo"( 2). "Ignoro", racconta un ragazzo "le cause per la quale fui catturato, né so se i miei parenti avessero mandato denaro per farmi rilasciare.

I briganti mai mi parlarono di riscatto che avessero mandato a chiedere, od avessero ricevuto da mio padre".

I soldi dei riscatti non servono solo per le attività delle banda ma anche per i singoli componenti le bande. Infatti il ferocissimo capobanda Antonio Andreottola di Bisaccia viene ucciso nel Bosco Castiglione, alle ore 17 del 22 novembre 1863, dai "briganti suoi consorti Canio Scoca di Calitri e Francesco Gentile di Bisaccia in seguito di briga sorta fra loro nel riparto delle somme ricattate agl'infelici contadini Domenico Solimine, e Francesco Strazzella ambo di Bisaccia".

La rissa e l'uccisione del brigante avviene alla presenza dei sequestrati costretti a trascinare il cadavere in un luogo lontano dal bosco e dove viene lasciato esposto alla vista dei taglialegna di Calitri fino al giorno della liberazione degli stessi (mattino del 25 novembre) (3).

Lo stesso Crocco, a S. Andrea presso l'Arcivescovo, scende davanti "all'episcopio con coppi di danaro, che per la loro forma con fondamento è da ritenersi che siano stati somministrati dallo stesso Arcivescovo, e con quel danaro fu pagata tutta quella canaglia di gente ritenuta e chiamata truppa di Francesco" (4).

(1) Dichiarazione resa agli inquirenti da Generoso Cella fu Pasquale calzolaio di Andretta, d'anni 25:
"II capobanda Pasquale Di Tore detto Callarulo di Andretta mi chiamò a se e mi disse: Oeh!! Veni ca, andate da D. Antonio Tellone ( canonico e fratello del ricattato) e dilli che mandasse subito domani mattina senza meno e vedesse da Francesco Voncolocchio o alcun altro persona che sa il luogo, che si no accide il fratello". "Non conosco con certezza il perché che il brigante abbia proposto per tal imbasciata Francesco Di Guglielmo detto Voncolicchio e non un altro però devo dire che il buon senso vuole che si abbia a sospettare che il detto individuo sia in relazione coi briganti ed i sospetto s'aggrava perché tiene un suo nipote nominato Carmine Di Guglielmo che fa patte della stessa banda Callarulo che ricattò Pasquale Tellone".

(2) Il ragazzo viene rilasciato dopo il versamento di 400 ducati. La somma viene versata dal padre.

(3) II manipolo di masnadieri è composto da Antonio Andreottola, da Canio Scoca, da Francesco Gentile, dal sagrestano dì Calitri, da un tale Liberto, denominato il prete di Cairano, da Salvatore il Conzese, e da un certo Gennaro di Cairano, che l'ucciso diceva essere suo cognato, e dalla sua druda cugina di quest'ultimo. Dopo l'uccisione del capobanda la comitiva si riduce a cinque individui.

(4) Processo a carico di Mons. D. Gregorio De Luca, Arcivescovo della Diocesi di Conza e Campagna, ed altri per la cospirazione ed attentati contro la sicurezza dello Stato del 1861 - Cenno storico - Archivio di Stato di Avellino, Gran Corte Criminale, b. 85.

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