Celebrazioni duecentocinquantesimo anniversario della fondazione

Con il patrocinio del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi

Accademia di Belle Arti di Venezia

DIPARTIMENTO TECNICHE E RESTAURO BENI ARTISTICI MODERNI E CONTEMPORANEI

Dal decalogo Edwards alla Carta del Restauro

Pratiche e principi del restauro dei dipinti

Atti della giornata di studi tenuta alla Accademia di Venezia il 03 ottobre 2000

a cura di Vanni Tiozzo

Pubblicato grazie al contributo della REGIONE VENETO, L.49/1978

Pubblicazione reperibile presso:

Casa Editrice Il Prato, via Turazza 19, 35128 PADOVA - tel. 049-8078534

Editori della rivista trimestrale: PROGETTO RESTAURO

Ó 2001 - Padova.

http://www.ilprato.com/acquisti.htm

 

Sommario

Presentazione Regione

Presentazione Direttore

Introduzione

Dal decalogo Edwards alla Carta del Restauro. Pratiche e principi del restauro dei dipinti.

Giovanna Nepi Scirè, Soprintendente per i Beni Artistici e Storici di Venezia

Riflessioni in margine al "risarcir i pezzi lacerati e mancanti ..." di Pietro Edwards

Anna Maria Spiazzi. Soprintendente per i Beni Artistici e Storici del Veneto

Le indagini diagnostiche da Pietro Edwards alle Carte del Restauro

Paolo Bensi, Accademia di Belle Arti Ligustica-Genova, docente Storia Tecniche Pittoriche.

Riflessioni sull’Edwards e brevi note su alcune esperienze del laboratorio fiorentino

Marco Ciatti. Opificio Pietre Dure di Firenze, docente Storia Tecniche Restauro

Restauro e Accademia

Vanni Tiozzo. Accademia Belle Arti Venezia, docente Restauro

Dal decalogo Edwards alla Carta del Restauro. Pratiche e principi del restauro dei dipinti.

Giorgio Bonsanti, Università degli Studi di Torino, Docente Storia e Tecniche del Restauro

 

Appendice documentaria su Accademia e restauro:

trascrizione di trentasei documenti (qui uno ad esempio)

 

 

Presentazione del Presidente della Regione del Veneto

L’attenzione della Regione del Veneto nei confronti di quella straordinaria scienza della restituzione – culturale e fisica – dell’opera d’arte che è il restauro non è riservata ad occasioni episodiche od eventi speciali, ma data da tempo.

Una prima ricognizione storica della nostra presenza in questo campo così delicato della salvaguardia dei beni culturali è stata, tuttavia, fatta solo recentemente ovvero nell’occasione della mostra da noi promossa lo scorso anno in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini: "Da Paolo Veneziano a Canova. Capolavori dei musei veneti restaurati dalla Regione del Veneto. 1984-2000".

Quella iniziativa - che ha consentito con autorevolezza di dare rilievo pubblico sia ad uno dei principali compiti scientifici e culturali dei musei, la conservazione, sia all’azione della Regione quale ente che, in virtù della L.R. 50/1984, contribuisce economicamente al restauro delle opere d’arte conservate nei quasi trecento musei veneti - ebbe quale fonte di ispirazione il ricordo di Rodolfo Pallucchini e delle sue mostre ( "I capolavori dei musei veneti" e "Cinque secoli di pittura veneta") organizzate all’indomani degli effetti devastanti del secondo conflitto mondiale anche sulla memoria racchiusa nel patrimonio delle nostre opere d’arte. Avviandoci verso il nuovo secolo, abbiamo, dunque, giudicato importante guardare al passato e comprendere, e far comprendere, che esso si tutela grazie a due azioni principali: conoscere e conservare.

Anche la giornata di studio, della quale qui si raccolgono gli atti, ha assunto quale bussola etica e deontologica il guardare al passato per migliorare il presente e costruire il futuro. Nel ricordo di Pietro Edwards (1744-1821), l’Accademia di Belle Arti di Venezia ha voluto avviare una riflessione non solo su pratiche e principi del restauro dei dipinti ma, più in generale e più profondamente, sullo ‘stato dell’arte’ del settore del restauro e sulle potenzialità ancora oggi non completamente espresse della professione di restauratore.

Un tema di grande attualità in questo momento in cui si stanno verificando vivaci coincidenze di interesse: la promulgazione di una legge, la cosiddetta Merloni ter, che ha riacceso il dibattito sulla definizione e la qualità delle imprese di restauro; il passaggio alla giurisdizione universitaria delle Accademie di Belle Arti, con il loro ricco patrimonio di documenti e di competenze. Infine, il ruolo importante delle Regioni sempre più chiamate, anche in sede di coordinamento nazionale, ad impegnarsi nel settore delicato della formazione degli operatori della cultura; un impegno che, evidentemente, deve andare al di là dell’intervento nel campo di nostra competenza della formazione professionale di mano d’opera qualificata per guardare in prospettiva ad una crescita nell’ottica della ricerca e della documentazione.

Il Veneto dal ricco e particolare patrimonio artistico non presenta ancor oggi quel centro di ricerca, di studi e di formazione sul restauro che già Pietro Edwards, con cui ci si è confrontati in questo convegno, riteneva indispensabile ai suoi tempi proprio in considerazione della singolare particolarità tecnica dell’arte veneta. Godiamo, tuttavia, della felice situazione di una sempre proficua collaborazione tra gli enti che, per le loro diverse competenze, sono chiamati alla salvaguardia e alla tutela delle nostre opere d’arte, vero patrimonio dell’umanità. L’invito che ci viene dal ricordo dello Edwards è quello di non sprecare l’occasione di questa coincidenza di intenti.

Il nostro auspicio è, dunque, quello di vedere i frutti di quella coincidenza non solo nel conservare quello straordinario bene comune che è la memoria della nostra identità culturale, ma anche nella proposta di una progettualità altrettanto comune che porti alla crescita professionale dei nostri restauratori.

Presidente della Regione del Veneto

On. dott. Giancarlo Galan

In questo anno 2000, che è il duecentocinquantesimo dalla fondazione dell'Accademia di Venezia e insieme vede il passaggio, lungamente atteso, delle Accademie di Belle Arti italiane alla giurisdizione del Ministero della Ricerca Scientifica e dell'Università, una giornata di studi in onore di Pietro Edwards (1744-1821), pittore, restauratore e professore Accademico, assume un significato particolare.

Coinvolgendo in questo evento le maggiori istituzioni nazionali interessate alla tutela dei beni culturali, l'Accademia di Venezia intende infatti ribadire la continuità nel presente del suo interesse a formare operatori qualificati nel campo del restauro.

Negli ultimi decenni, la struttura didattica delle Accademie italiane ha molto ampliato la propria offerta formativa, accostando alle discipline tradizionali, quali la pittura, la scultura e le tecniche connesse, nuovi insegnamenti a carattere tecnico-scientifico. Questo ventaglio di saperi, in cui l'esperienza pratica delle tecniche tradizionali si associa allo studio delle discipline storico-critiche e insieme all'uso delle moderne tecnologie, è oggi, nel panorama della formazione universitaria, una caratteristica privilegiata delle Accademie di Belle Arti, ed è insieme il migliore contributo che esse possono portare alla formazione di quella complessa figura di operatore teorico-pratico, investito di cruciali responsabilità, che è il restauratore.

Evocando la figura di Edwards nell'ambito di un'Accademia di Belle Arti non si intende pertanto riproporre il modello anacronistico del pittore-restauratore; tanto più che nemmeno il pittore oggi è più legato esclusivamente agli strumenti tradizionali, ma utilizza per la sua espressività le più innovative risorse tecnologiche.

L'Accademia di Venezia, in particolare, avviando la sperimentazione di un corso di Diploma quadriennale in Pittura con indirizzo restauro, diretto dal Prof. Vanni Tiozzo, ha da tempo potenziato le attrezzature tecnico-scientifiche in uso nell'insegnamento del restauro, ed ha attivato collaborazioni con altre realtà universitarie, mutuando un insegnamento di Chimica del Restauro dalla Facoltà di Scienze Matematiche e di Fisiche Naturali dell'Università di Ca' Foscari.

Ci si augura dunque che questa giornata di studi possa non essere che la prima di una serie, e che inauguri una collaborazione armonica e un dibattito costruttivo tra tutte le realtà istituzionali interessate alla tutela del nostro patrimonio culturale e alla formazione di operatori altamente qualificati.

IL DIRETTORE

ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA

(prof. Riccardo Rabagliati)

Introduzione

Questi atti vogliono essere un primo tassello per un rapporto più esaustivo che il Dipartimento di Tecniche e Restauro dell'Accademia veneziana vorrebbe intendere, unitamente alle altre competenze del restauro e delle tecniche artistiche.

Lo scopo scientifico è quello di un dibattito che sappia non ignorare la cultura offertaci dal passato, per meglio valorizzare le competenze oggi impegnate nel settore. Tutto ciò, non rivolto specificatamente alla domanda, ampiamente dibattuta oggi, di quale debba essere il profilo formativo del restauratore, ma tendente ad un più armonico rapporto del restauro con la cultura e l'attività artistica.

Le grandi attenzioni per la ricerca sui lapidei, ad esempio, non possono essere giustificate come semplice interesse per i "grandi numeri" economici, ma quale testimonianza di un interesse intrinseco che parta da Istituti Universitari a cui competono le specifiche conoscenze disciplinari.

Il nocciolo delle conoscenze nell'ambito artistico tradizionale, pigmento legante e vernici, consta, per lo più, di ricerche documentali o di analitica spinta, e viene difficilmente interpretato tecnicamente, il che è testimoniato, con probabilità, proprio dallo squilibrio delle risorse e delle professionalità coinvolte nelle ricerche; fatto dovuto, forse, al confino delle Accademie nell'alveo del Ministero della Pubblica Istruzione.

Il Dipartimento delle Tecniche e del Restauro, della Accademia di Belle Arti di Venezia, ha l'ambizione di sviluppare proprio le ricerche tecniche su tale settore, partendo magari da "banali" prove che, supportate dalle conoscenze del passato, possono offrire un nuovo e più preciso contributo alla conoscenza dei materiali con i quali operare correttamente al presente e, si spera, anche per il futuro.

Nel clima di aperta collaborazione, sulla quale si confida, poniamo a disposizione, di tutti gli interessati, le trascrizioni delle parti più interessanti del carteggio di Edwards presente nell'archivio della nostra Accademia; in gran parte inedito e comunque di difficile reperibilità.

In ultima, un grazie alla Regione Veneto per il sostegno economico alla presente pubblicazione.

IL DIRETTORE DIPARTIMENTALE

DIPARTIMENTO TECNICHE E RESTAURO BENI ARTISTICI MODERNI E CONTEMPORANEI

(Vanni Tiozzo)

Vanni Tiozzo

Accademia Belle Arti Venezia

Restauro e Accademia.

Scorrere le documentazioni di restauro, presenti in Accademia a Venezia, impressiona per quantità e qualità tuttavia, pur essendo diverse le pubblicazioni estrapolate, assai limitati sono gli studi rapportati con l'oggi.

In questo modesto contributo prendo in considerazione due soli documenti per porre in evidenza questa argomentazione:

Si tratta di un contratto tra la pubblica amministrazione ed alcuni professori per il restauro di tutte le pubbliche pitture, mediante il quale venivano fissate le norme per l’esecuzione dei restauri pubblici;

E' una circolare ministeriale che rappresenta il più importante documento ufficiale di sintesi delle norme e delle prassi del restauro contemporaneo.

Per la settecentesca Accademia veneziana, l’abilitazione al restauro era elemento fondamentale nella tutela delle opere d'arte pubbliche, tanto da essere indicata al primo punto del documento ed esservi più volte ripresa. L'argomento restauratori era tracciato con tale selettività da portare ad indicare un numero massimo di sette persone per tutti i pubblici restauri; inoltre, è bene ricordare, che questa restrizione muoveva già da una situazione di selettività precedentemente definita dal Collegio. Tanta severità non era certo data da intenzioni di sperimentazione, ma frutto di una consapevole politica nella gestione delle Arti; politica tendente a rifuggire a restauri di varia ed incerta esecuzione, pur se offerti. Con questa considerazione vediamo tracciato e sviluppato anche il delicato aspetto della formazione; è infatti implicito che la formazione del restauratore doveva muovere dalla migliore conoscenza delle tecniche artistiche, impartite dalla stessa Accademia, a cui doveva seguire un perfezionamento specifico per l'apprendimento delle tecniche e della filosofia del restauro da effettuare in seno alla stessa Accademia con la verifica dell'ispettore ai restauri. L’attenzione per la "preparazione tecnica e critica" dei restauratori è evidenziata anche dal documento del 1820, nel quale Edwards, a fronte del diffondersi della tecnica "foresta" che si imperniava sul disegno ed il successivo riempimento cromatico, sviluppa il primo progetto di una scuola di restauro nella consapevolezza dell'importanza della specifica conoscenza tecnico-pittorica della scuola veneta.

La sperimentazione di materiali e sistemi applicativi, è un altro argomento centrale nel documento settecentesco. Qui viene evidenziata l’importanza della puntuale conoscenza dei materiali in relazione alla loro applicazione, prevedendo che le scelte sull’impiego ed il controllo siano affidate solamente al capo restauratore, congiuntamente con l'ispettore, massimi esponenti della conoscenza e dell’esperienza. In questo contesto anche la dicitura a lui solo cogniti ....segreti è individuabile come forma di attenta moderazione delle sperimentazioni più avventurose, proprio perchè era previsto lo scambio di informazioni tecniche tra tutti i membri dell’impresa, in un clima di collaborazione, e sempre con il controllo finale dell’ispettore e del professore anziano. Quanto l'indicazione circa i segreti sia da mettere in rapporto con il rispetto professionale di ciascuna compagine, è testimoniato dall'esortazione a controlli concreti, evitando "odiose pedanterie".

Oltre alle delicate indicazioni su operatori e ricerca, il documento dispone pure di una normativa metodologica su quanto eseguibile alle opere d’arte. Nell’articolato relativo agli obblighi dei professori, veniva definito chiaramente l’importanza prioritaria della materia originale, questo anche in quelle situazioni limite, in cui fosse stato indispensabile eseguire interventi integrativi per il recupero della composizione (unità potenziale); interventi fatti, però, con la chiara indicazione che la materia pittorica originale non doveva essere intaccata, nemmeno quando questo potesse eliminare alterazioni cromatiche o formali. Non a caso l'ispettore veniva esortato a vigilare sull’integrità della materia, in modo particolare nella fase di pulitura; indicazione della consapevolezza del rischio reale di irreversibilità nelle varie operazioni. Infatti, questa particolare specificazione non può essere confusa col senso estetico per opere "patinate", in quanto subito appresso viene richiesta la pulitura completa dell'opera, sempre a patto che questa non pregiudichi la stratificazione originale. Quanto il rispetto della materia fosse importante è testimoniato dalla sua posizione prioritaria sia negli obblighi dei professori che degli ispettori.

Data la centralità del rispetto della materia originale dell'opera, nell'allora impostazione del restauro, è ovvio che la reversibilità, dei materiali e degli interventi fosse un elemento altrettanto importante del documento. Il documento, per definire questo importantissimo aspetto del restauro, non usa articolazioni di possibile varia interpretazione, ma una pragmatica definizione che impone l'impiego dei soli prodotti di cui si conoscano le modalità di rimozione. A tal proposto si deve precisare che, la richiesta della consapevolezza sulla rimozione dei materiali, non era una aleatoria indicazione disattesa dalla prassi in quanto è noto come l’Edwards ed i professori fossero contrari all’impiego dei beveroni che allora si stavano diffondendosi in Italia dall’oltralpe; autentica consapevolezza che le impregnazioni non sono mai totalmente controllabili ne asportabili.

Sorprendente è pure come venga tracciato l'importanza del rispetto della cosiddetta istanza estetica dell’opera d’arte: il divieto al sormonto della materia originale, affrontato così decisamente, di fatto porta alla condizione della riconoscibilità dell’intervento attraverso l’individuazione del contorno fisico della integrazione, oltre che della sua stessa materia, essendo questa eseguita a vernice. Un'esemplificazione emblematica, è rappresentata dalla integrazione della Adorazione dei Magi di Bonifacio Veronese, nella sala degli stucchi di Palazzo Ducale a Venezia, dove si scorge con facilità, ma senza disturbo, l'integrazione del volto del Remagio anziano. Ancora più sorprendente è rilevare che questo rispetto dell’istanza estetica dell’opera non fosse inconscia sensibilità, ma autentica consapevolezza disciplinare; così infatti viene dimostrato dalla definizione di non integrabilità per quelle lacune che investivano intere composizioni, contrariamente alle lacune riguardanti investivano solo delle parti marginali per cui era prevista l’integrazione. Quest’ultima parte sarà poi omessa nel documento approvato in via definitiva, a dimostrazione di un divario conoscitivo tra i pittori-restauratori e i Riformatori allo studio.

Sorprendente risulta ancora l'importanza che il trattato settecentesco da alla documentazione dei lavori di restauro: questo compito veniva assegnato alle descrizioni dell'ispettore. Il rifuggire dalla descrizione operata dal restauratore, deve essere considerata una sottile forma per ottenere una relazione tendenzialmente più oggettiva che soggettiva; non essendo l'ispettore l’artefice del restauro, inoltre era una forma indiretta d'obbligo al controllo. Quanto queste documentazioni siano ancora oggi utili, per le loro dettagliate descrizioni è testimoniato, ad esempio, dalla referta sul soffitto di Paolo Veronese nella sala della Bussola di Palazzo Ducale, datata 8 ottobre 1778.

La Carta del Restauro 1972 è qui posta a confronto con il documento settecentesco, in quanto rappresenta il più completo documento del Novecento a normativa nei restauri. Il documento del 1972 era stato ideato come norma legislativa, poi fu promulgato come circolare ministeriale; ciò potrebbe sembrare una limitazione, ma nel contesto, in cui il Ministero per i Beni e le Attività Culturali controlla ogni operazione di restauro, è evidente il medesimo rilievo. Questo documento si occupa in generale di tutte le discipline del restauro -architettura, archeologia, dipinti, sculture- e pone inoltre, con le sue appendici, indicazioni specifiche per i vari settori. Qui, il nostro interesse va alla appendice "C", relativa alle opere pittoriche, che definisce una normativa metodologica su quanto eseguibile alle opere d’arte.

Risulta da subito evidente come il documento ruoti intorno ad un predominio della istanza estetica nell’opera d’arte, concetto caro a Cesare Brandi, ed è in questa chiave che vengono infatti vietati tutti i completamenti. Viene ammessa solamente l’integrazione di parti di dimensioni ridotte che non investano figure, e questa deve essere eseguita in modo riconoscibile per la netta perimetrazione oppure per l’impiego di un diverso materiale; quindi, per tutte quelle mancanze non integrabili, viene indicata la soluzione di utilizzare parti neutre o con in vista il supporto originario. Si tratta di una ripresa di intuizioni del Cavalcaselle e del Botti, ma in chiave decisamente poco convinta tanto da non tentare nemmeno di chiarire il concetto di dimensioni ridotte o figure.

Le indicazioni più relative alla materia, quelle di pulitura, sembrano essere impostate principalmente sull’istanza estetica, in relazione all’aspetto assunto dall’opera nel suo passaggio storico. Vengono qui vietate le rimozioni di vecchie integrazioni, la rimozione della patina e delle vernici antiche, mentre è consentita la rimozione degli elementi di falsificazione. Purtroppo il concetto di patina ,,,, è ancora oggi tutt’altro che definito. Il termine è tuttora usato per definire la semplice alterazione delle vernici o i sedimenti, oltre che l’alterazione dell’essudato, in un contesto di assimilazione estetica di elementi tecnicamente decisamente ben definibili e diversi. Ancora meno chiaro è, poi, cosa individui la vernice antica, giungendo, quindi, ad una palese inapplicabilità della norma rispettando patina e eventuali vernici antiche.

Un palese riferimento al rispetto della materia originale emerge in questo documento nelle indicazioni sulla pulitura, qui viene fissato che non si debba mai giungere allo smalto del colore e, quindi, bisogna fermarsi prima del termine delle stratificazioni sovrapposte; è poi l’allegato che si spinge a definire procedure tecniche, come quelle che la pulitura deve essere eseguita con la continua verifica visiva del restauratore e che gli eventuali mezzi chimici debbano essere "volatili".

Che il documento verta principalmente su elementi di valutazione estetica è confermato nelle indicazioni di consolidamento dove, nell’indicare la loro ammissibilità, viene chiesto semplicemente che queste non abbiano a procurare sensibili alterazioni cromatiche e o materiche sull’immagine. Altre precisazioni circa il consolidamento, hanno caratteristiche così poco realistiche da risultare inutili, a dimostrazione di una grossa lacuna tecnica degli organi preposti. Mi riferisco all’ammissione di impregnazioni, purchè ciò non si rilevi all’esame pinacoscopico della superficie, o il preferire i fissativi minerali reversibili per i dipinti murali.

Anche il delicato ed importantissimo aspetto della reversibilità degli interventi, sembra essere condizionato dal predominio dell' "istanza estetica" sulla "matericità" dell’opera ed a questo sembra riferirsi l’indicazione che è consentito qualsiasi intervento, purchè non renda impossibile nuovi interventi. La differenza tra la definizione usata, non renderà impossibile, e una più precisa alternativa, quale "agevoli", non può sfuggire nell’inevitabile interpretazione della norma. Ecco che, in questo contesto, non è possibile cogliere il mancato uso del termine "reversibilità" quale consapevolezza di un limite tecnico, per cui il più delle volte è impossibile rimuovere le sostanze introdotte, ma si percepisce invece una disattenzione per gli aspetti tecnico materiali dell’opera.

La sperimentazione di materiali, oltre che dei rispettivi sistemi applicativi, è sorprendentemente ben definito nel documento e questo può far sembrare esistente una certa attenzione alla materia. Per questo ufficio viene indicata una unica figura istituzionale, l’Istituto Centrale per il Restauro, come chi debba svolgere ricerca sperimentazioni e controllo. L’intento è dunque, analogamente al Settecento, di limitare le applicazioni improvvisate o ignare di consimili esperienze negative. Quindi, solo a questo Istituto, compete la definizione di nuove metodologie o l’impiego di nuovi materiali. In merito bisogna precisare che questo aspetto era sapientemente collegato alla catalogazione delle modalità d’intervento da effettuarsi nell’intero ambito nazionale, onde avere una conoscenza più approfondita dei vari problemi e quindi una ricerca ed una sperimentazione consapevole.

La documentazione sui lavori è un altro importante elemento di questa codificazione del restauro ed anche se non viene specificato, chi personalmente debba eseguirla, è ben indicato che questa deve convergere in un'unica catalogazione degli interventi a livello nazionale, presso l’I.C.R., come forma di approfondimento e controllo metodologico. Nel contesto vengono lungamente illustrate ed esortate le ricerche scientifiche, quando consapevolmente utili.

Circa la abilitazione e la formazione della figura che deve materialmente intervenire sull’opera d’arte, il restauratore, nulla viene indicato nel documento novecentesco; evidentemente, l’aspetto è ritenuto ininfluente a riguardo le caratteristiche degli interventi.

Il raffronto dei due documenti mi porta alla considerazione che entrambi hanno una rilevante importanza scientifica pur muovendosi da impostazioni concettuali opposte; dal rispetto della materia, il primo, e dal rispetto dell'immagine, il secondo. Interessante sarebbe, quindi, poter confrontare alcuni risvolti applicativi per formulare delle ipotesi sulle prospettive.

La ristretta organizzazione operativa del Settecento veneziano, oltre al pragmatismo delle norme, assicurava una corrispondenza certa tra intenti progettuali dell'ispettore e operatività nei restauri; nel contesto attuale dobbiamo confrontarci con una realtà articolata, caratterizzata da innumerevoli soggetti che producono un coro di espressioni operative. Talvolta nella variegata pluralità, in eco a ricerche scientifiche, si giunge anche ad autentiche disaffezioni verso le poche indicazioni operative contenute nella Carta del Restauro, ciò senza che venga avvertita la necessità di mettere in discussione il documento al quale tutti dichiarano rifarsi. Certamente non è qui in discussione la qualità dei restauri, ma è evidente come una tale prassi possa portare ad una elevata soggettività di intervento; cioè proprio l'esatto contrario di quanto fosse preoccupazione dell'Edwards, ma anche, forse, dello stesso Brandi. Eccone alcuni esempi.

La "Carta del Restauro" impone di escludere i mezzi di pulitura che tolgano visibilità all’operatore: invece vengono praticati metodi di pulitura con impacchi di polpa di carta, quindi coprenti e che impediscono l’osservazione di quanto si va facendo e questo è avvenuto sin dagli stessi anni del documento,,.

Il documento impone che i mezzi chimici di pulitura siano volatili: poi, però, vengono impiegati dei "supportanti" al fine di portare ad agire in superficie per più tempo nei dipinti ad olio,,.

Sempre lo stesso documento impone che non devano essere visibili in superficie i consolidamenti: invece, già nel 1968, veniva eseguita l'impregnazione degli affreschi interni di G.B.Tiepolo a palazzo Labia a Venezia con Paraloid b72 ; una applicazione il cui effetto di opaco incupimento giallognolo è ancora rilevabile in superficie; operazione che fu subito imitata su "ogni" altra superficie murale, talvolta anche per saturare i colori ad imitazione del patinato. La lunga esperienza anche negativa con gli acrilici non sembrerebbe aver suggerito cautele per l’applicazione dei più giovani alchil-alcossi-silani; oggetto di sperimentazione estrema e sono presto giunti a prassi. Eppure il Forni aveva usato chiare parole dissuasive, circa le resine sui dipinti murali, lo reputava il maggiore danno possibile proprio anche per le conseguenti difficoltà operative.

Riscontrate le varie problematiche e i tempi di rilevamento delle stesse per quanto riguarda le impregnazioni di sostanze organiche, come è possibile sentirci più sicuri se a queste sostituiamo delle impregnazioni minerali? Le modalità applicative e la successione delle diverse sostanze sono ancora empiriche, in quanto indicano una conoscenza probabilmente non completamente sviluppata. L’Idrossido di Bario, gli alluminati, gli ossalati, solo per citare in modo sommario alcune sostanze impiegate, fanno parte di metodi la cui azione è stata riletta in alcuni casi anche dopo un trentennio di applicazioni.

Sia l’impregnazione organica, che quella minerale, è applicata su fior fiore di opere d’arte e in due centri principali, Firenze e Roma, con apparente disinteresse per come opera il corrispondente, quasi ci fosse un patto di non interferenza.

Ma pure il restauro di opere "da cavalletto" non sfugge ad una certa irrequietezza nei procedimenti e nei materiali. I sistemi "alternativi" di consolidamento e foderatura delle tele,,,, che prevedono impregnazioni resinose del verso, sono senz'altro utili per quelle opere sensibili all’umidità (quali le contemporanee), ma la loro utilità è quanto meno dubbia per le opere tradizionali, ossia la maggioranza di quelle circolanti in Italia, per la perdita di igroscopicità del verso; ciò porta ad una limitazione delle future possibilità di intervento.

Tutte queste nuove procedure, e materiali, sono supportate da una ampia letteratura scientifica, della quale, tuttavia, non possiamo ignorare la generale autoreferenzialità nonchè l'assenza di sperimentazioni comparative.

In merito al delicato problema della reversibilità dei materiali, la scienza ci ha già più volte fuorviato, evidenziando a posteriori, due distinti concetti di reversibilità, quella ipotetica chimica e quella reale, cioè attuabile fattivamente nello specifico contesto, per lo più non coincidenti. E questo testimonia della tendenza ad ignorare le questioni tecnico-materiali nell'attuale processo di progettazione e verifica dei restauri. Il non comprendere come sia difficile – quando non impossibile - l’estrazione di un qualsiasi materiale una volta impregnato in un manufatto poroso, rende l’idea di come il disinteresse tecnico, unito ad una presunzione chimica, abbiano talvolta spinto a realizzazioni fallaci e spesso irreversibili. A volte si tende a colpevolizzare il prodotto impiegato, che di fatto viene sostituito ogni ventennio, ignorando la modalità applicativa. Inserire un materiale nuovo in modo diffuso, sulla totalità della materia dell’opera d’arte, può essere un’operazione agevole dal punto di vista progettuale ed economico, ma è decisamente infelice se si ignorano gli effetti a scadenza più o meno lunga sul manufatto. L’idea che tutto quanto viene impiegato, non assolutamente indispensabile alla immediata conservazione, sia di fatto dannoso, per quanto banale possa sembrare, è oggi molto lungi dall’essere condivisa.

Ovviamente, dal contesto conservativo esula l’integrazione pittorica, in quanto questa insiste sopra l’opera e quindi asportabile senza pregiudizio alcuno per l’originale; tuttavia è proprio sull’integrazione che si da più spazio nella Carta del Restauro, a conferma dell'indirizzo e delle preoccupazioni estetizzanti delle norme.

La teoria di Brandi ha certamente il merito di aver cercato una uscita dalla grossa frattura ottocentesca, tra restauro "amatoriale" e restauro "conservativo" con la scoperta del "neutro" nelle lacune. Elemento che si rivela certamente non neutrale, nell’equilibrio della composizione. Brandi giunse anche astutamente ad un tentativo di astrazione di queste lacune, con l’adozione di un dislivello tra opera e lacuna in cui questa simulasse un "inconscio" supporto. Ma queste sparpagliate e ingombranti "figure", già provate da Cavalcaselle e da Botti, hanno spinto Brandi pure ad auspicare un primo processo di ricostituzione dell’insieme, in cui l'intervento, seppure riconoscibile, non doveva essere individuato alla distanza utile per cogliere l’opera. La linea di demarcazione nella scelta tra queste due possibilità di intervento, a neutro od a integrazione, non deve essere risultata perfettamente chiara se il "brandianesimo" ha poi disseminato ovunque la più varia casistica di neutri. Umberto Baldini, continua lo sforzo di Brandi nel tentativo di superare anche il criticato artifizio dell’ideale supporto, le prime esperienze erano circoscritte alle dorature ed a pochi artisti "primitivi", ma recentemente possiamo ammirare delle notevoli integrazioni anche in rilevanti interventi "pubblici". Talvolta questi interventi sono più nitidi, come sulla Incoronazione della Vergine di Lorenzo Monaco degli Uffizzi e talvolta lo sono meno, come nel Cenacolo vinciano. Nel primo viene riproposta in modo nitido la figura di un angelo, mentre nel secondo vengono riproposti, con un abbassamento tonale che riproduce anche l’ipotetica erosione, interi volti e mani. Forse stiamo convergendo sulla prima stesura dei professori veneziani, circa la integrabilità delle singole parti di una composizione.

Ma dove il divario è assoluto, tra la situazione antica e quella contemporanea, è nella differente individuazione dei requisiti del restauratore, oltre che nella definizione dei materiali e delle tecniche. Fin troppo selettiva quella settecentesca decisamente inesistente quella novecentesca; evidentemente, oggi questo è ritenuto un aspetto ininfluente nel restauro delle opere d’arte.

Non può quindi essere un caso, se oggi tutti sono ipoteticamente autorizzati ad intervenire su un’opera d’arte. La attuale legislazione, prevede che debbano essere invitati agli appalti delle pubbliche pitture tutti coloro che ne facciano richiesta, prescindendo dalle loro specifiche capacità. Questo grazie alla mancanza del regolamento pertinente che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali avrebbe dovuto redigere per articolare l’ambito dei lavori pubblici (dopo questo convegno e prima della pubblicazione degli atti è stato formulato un regolamento ministeriale, ma si può dire che nulla sia cambiato, essendo sempre previsto il metodo acritico della gara economica, tra una illimitata schiera di restauratori priva di distinzioni professionali).

Coerente è, quindi, che anche la "autorizzazione" per restauri delle opere non appaltate pubblicamente nasca talvolta dal vaglio di un progetto più in funzione di un "formulario di espressione" piuttosto che di un "metodo di operare". Pur riferite ad altri tempi, possono ancora fare impressione alcune parole di Alessandro Conti sui restauri di stato e sulle relative pubblicazioni.

Il raffronto tra teoria di impostazione e gli effetti di queste due normative non può essere considerato inutile, per la sola considerazione che il mondo Veneto di un tempo fosse più semplice di quello attuale. I punti trattati, nel documento del diciottesimo secolo, sono tutti ancora fondamentali per il cosmos del restauro e indicano una coscienza ed una conoscenza, il cui merito non può essere sbrigativamente additato ad una sola figura, pur se rilevante. Tutto questo insiste pesantemente per indicarci le pressanti necessità odierne, relativamente alla scelta dei restauratori e alla loro formazione, nonchè alle sperimentazioni, al controllo dei materiali e delle tecniche di intervento.

NOTE:

Testo: 36

Data: 1820, agosto, 1;

Oggetto: Instituzione di una formale pubblica scuola di restauro;

Localizzazione: - Archivio Accademia Belle Arti di Venezia, Busta " Copia Atti del Collegio dei Pittori, 1689/1798";

- Biblioteca Seminario Patriarcale di Venezia, B.a Edwards n.2, ms.912/64;

Pubblicato: - Basile G. (a cura di), Pietro Edwards - Piano pratico per la generale custodia delle pubbliche pitture - Instituzione di una formale pubblica scuola pel ristauro delle danneggiate pitture, Min.BB.CC. I.C.R., Roma, 1994, pagg. 29-46;

INSTITUZIONE DI UNA FORMALE PUBBLICA SCUOLA PEL RISTAURO DELLE DANNEGIATE PITTURE

La instituzione di una formale pubblica scuola pel ristauro delle danneggiate pitture è argomento affatto nuovo agli studi delle Accademie, ed onorevolissima si è anco perciò la riverita commissione proveniente all’umilissimo sottoscritto da questa R. Accademia di Belle Arti che lo incarica di esporre il piano di siffatta Scuola considerata ne’ suoi principali aspetti giusto alle ricerche dell’Eccelso Presidio onde riconoscer si possa:

I La necessità di una tal provvidenza

11 Le istruzioni teoretiche e pratiche costituenti gli esercizi della nuova Scuola

III La disciplina esteriore di essa

IV La parte economica o sia il dispendio necessario per questo Istituto

La sola enunciazione di questi sommi capi previene la tolleranza del Governo con la idea che non è possibile discuterne la importanza e ridurli a sufficiente chiarezza confinandosi dentro i limiti di un ‘assai concisa esposizione, a facilitar la quale però si divide tutto l’assunto in quattro Sezioni corrispondenti alle quattro prefate domande contenute nel riverito Presidiale dispaccio 6 Maggio 1819 N. 696.

SEZIONE I°

Necessità di una Scuola di Ristauro

Tre sono i principali motivi che reclamano questo provvedimento: il guasto sempre maggiore al quale soggiacciono le pitture per la irresistibile azione del tempo, la minacciata mancanza di operatori bene istruiti nell’arduo esercizio dell’arte ristauratoria e la importanza di assicurarsi contro le cattive pratiche di questo mestiere.

Solo che si consideri l’indole del misto complicatissimo che costituisce la parte materiale del dipinto, composta bene spesso di principi eterogenei tenuti artificialmente in coesione contro le loro naturali affinità; e si rifletta poi che scorsi sono tre secoli dall’epoca più felice di quest’arte risorta; si comprende che poche possono essere le sue produzioni preservate sino ai giorni nostri dalla sterminatrice azione degli anni. Comunque però sia comune a molti corpi la legge che gli assoggetta ad una più o meno sollecita dissoluzione, è in particolar modo da rimarcarsi che i discapiti delle pitture non procedono di pari passo in tutti i periodi della loro sussistenza, ma che la rapidità del danno si aumenta viemaggiormente negli anni più tardi della loro durazione, quasi quasi direbbesi con la stessa legge osservata nella discesa dei gravi. Quindi avviene che quando un dipinto ha cominciato a manifestare la sua decadenza se non si accorre a ripararnelo con prontezza, si accelera ben presto la sua rovina sino alla intiera perdita.

Che se questa è la generale condizione delle pitture in qualsiasi region collocate, quanto più sensibili esser devono i malori di quelle situate in un’atmosfera umida e pregna di sali dissolventi, quale è la nostra di Venezia, assenta dallo Saun* come notabilmente infesta alle Pitture?

Di un tale deterioramento si avvide il fu Veneto Senato; e con suo Decreto 3 settembre 1778 prevenne lo esterminio al quale già s’incamminava il tesoro delle superbe tele che formavano l’ornamento più cospicuo della pubblica maestà nei Ducali Palazzi di S. Marco e di Rialto; ed a questo fine ordinò il generale ristauro di quegli esemplari, dandone la direzione al rispettoso autore dello Scritto presente sotto la cui scorta si occuparono di continuo per ben vent’anni tre principali artisti e quattro alunni col nome di assistenti sino al cessare di quella Repubblica, quando poco mancava al compimento del gran lavoro. Scioltasi per le vicende politiche quella Scuola, mancarono poscia di vita cinque de’ suoi individui ed un altro ne fu invitato a Roma con la propria famiglia, dove trattando l’arte qui appresa si sostiene in fortuna. Di quell’Instituto pertanto non rimane in Venezia che l’assai noto Professor Baldissini, molto avanzato in età, ed il fu Direttore qui sottoscritto, ancora più vecchio.

Altri operatori di ristauro sono comparsi nel sin qui corso intervallo, ma di essi o non si ebbero tante esperienze che bastino ad assicurare la pubblica fiducia, o riuscirono solo per minute operette, e per quadrettini che richieggono piuttosto talento pazientissimo che fondata intelligenza dell’arte. Una eccezione dovrebbe farsi riguardo al professor Antonio Floriani, menzionato nell’altro Accademico Rapporto 20 dicembre 1818 ed indicato allora come quegli che nello stabilirsi la nuova scuola associar si potrebbe al Baldissini. Fattosi riflesso però dalla Presidenza che la sua istituzione come pittore fu formata sopra principi assai diversi da quelli del Baldissini e che diverse pur sono anco le di lui abitudini nell’esercizio esecutivo dell’arte, riconobbe che la unione di due artisti di massime e di pratiche differenti, lungi dal promuovere gli avanzamentì dei comuni discepoli, introdurrebbe soltanto dei scismi e delle confusioni e Le parve perciò di dover mutare consiglio, differendo i suggerimenti da umiliarsi per la scelta d’altro soggetto, allorché sieno superiormente approvate le idee generali del qui rassegnato argomento. In tanta deficienza di mani sicure, ed in tanto accrescimento continuo di bisogni noi dunque resteremmo in breve nella deplorabile alternativa o di dover abbandonare a certa rovina le periclitanti nostre pitture o di doverle affidare ad artisti non solo di niuna fama, ma effettivamente di debolissima e falsa educazion nel mestiere o per lo meno non espenimentati in così vasti dipinti quali sono nella massima parte quelli che dovremmo pensar di salvare. E di fatto non si potrebbe declamar abbastanza contro l’errore di molti pretesi ristauratori, e di non pochi presuntuosi dilettanti che senza il buon fondamento di cognizioni teoretiche, e senza il corredo di una sicura pratica nel maneggio dei colori, credono che per essere provetto in quest arte basti aver il secreto di qualche menstruo da usarsi nella politura dei quadri, e saper applicare ad essi indistintamente foderature, stucchi, vernici, con poche altre operazioni di sola materialità e non di rado eseguite a contrassenso rispetto alla diversa esigenza dei casi. Di buon grado si accorda non essere necessario che il ristorator di pitture sia dalla natura, e dallo studio, fornito di quella elevatezza di genio che costituisce il sublime ed il grande nelle Bell’Arti; o possegga il dono di una ricca fantasia creatrice di copiose invenzioni, anzi neppure si vuol richiedere ch’Egli sia così dotto nel general del disegno e del colorito, da potersi riguardare qual maestro in ciascuna di queste facoltà, ma d’altronde non si può conceder poi che possa con isperanza di riuscita felice dedicarsi al ristauro chi appena o forse niente vi fu iniziato, chi non istudiò mai, o non seppe mai conoscere ciò che distingue il carattere intrinseco, ed i meccanici modi esecutivi delle varie scuole e dei differenti loro Autori; e chi alla fine privo di ogni intima conoscenza degl’ingredienti adoperati da esso, non può almeno giustificare i suoi metodi con la esperienza di molti e molti anni, nel lungo corso dei quali l’acquisto di un tal qual tatto pratico può alcuna volta supplire al difetto di regolari teorie, non solo in questo riguardo ma in altri più dilicati ancora. Senza un sufficiente capitale di siffatte cognizioni, e neppur col suffragio di una veterana esperienza, con quale altra scorta il ristoratore imperito risolverà i dubbi di un contorno quasi cancellato da fatali erosioni, ovvero in gran parte seppellito da invincibile annerimento? Come si dirigerà nel caso di dover alquanto rianimare le tracce smarrite di teste, di mani, di piedi, di abbujate drapperie, o di offuscato paesaggio allorchè la cospicuità di queste parti esige particolarmente che ne sia conservato il gusto dominante nel vario stil de’ Maestri sì per le forme e per la espressione e sì per la scelta local delle tinte? Altre non frivole riflessioni potrebbero farsi a fine di comprovare con evidenza maggiore la necessità di ben regolata scuola per un esercizio quanto difficile in se stesso, altrettanto oggimai divenuto indispensabile, se non che superfuo e quasi irriverente verso la penetrazione dell’Eccelso Governo sarebbe l’aggiungere altre prove alle già fin qui addotte onde rendere più sensibile la somma importanza di un tale Istituto.

SEZIONE II°

Instruzioni teoretiche e pratiche della nuova Scuola.

Ad una semplice divisione in due parti, essenziali ambedue, sembra che ristringer si possa la educazione degli alunni ristauratori: agli studi che preceder devono l’esercizio pratico; ed alla pratica effettiva dell’Arte. La prima parte degli studi che chiameremo preparatori, comprende il disegno, ed il maneggio del colore; ma l’uno e l’altro retto con avvertenze e modi particolarmente tendenti ad instituire l’alunno per gli oggetti del suo nuovo destino a questa professione. Dicesi nuovo perché rarissimo si crede il caso di un giovine che sino dal suo primo prendere in mano la matita confini la propria determinazione a voler divenire soltanto ristauratore di pitture; ma per contrario questo partito suol essere preso dallo studente allorché, dopo molti tentativi, si persuade o almeno entra in grave apprensione di non poter mai arrivare a distinguersi come artista inventore. Quindi è che fissar volendo un sistema di scuola pei ristauratori si può cominciar dal supporre in essi un discreto avanzamento nell’esercizio del disegno fino al punto di passabilmente intendere le principali proporzioni, non che l’anatomia esteriore del corpo umano, e di aver frequentato con qualche profitto la stanza del nudo, ai quali passi si arriva solamente dopo un corso di studj elementari diversi. Fin qui l’alunno trova in pronto nella nostr’Accademia ogni occorrente sussidio per questo tirocinio comune a tutti i discepoli che si avviano nella pittura; ma giunto con qualche plausibilità ad un tal segno, è d’uopo che volendosi dedicare al ristauro (sospesi gl’interminabili studi delle statue delle invenzioni, della espressione, con tante altre parti fondamentali o ausiliarie dell’arte) il Professore Accademico di pittura eserciti lo studente facendogli eseguire primieramente molteplici copie in disegno tratte da buone pitture di autori differenti, ed in particolare dagli antichi migliori, dei quali gli farà specialmente copiare teste, mani e piedi, perché nelle opere anco scelte dei vecchi maestri queste parti ritengono alquanto dello stil secco spettante alla seconda, e terza epoca dell’arte, e assai di rado coincidono con l’artificio ideal delle statue; in luogo di che sono imitate quasi sempre dal naturale, con una accuratezza che neppure ammette i minimi accidenti della cute; ciocché fuori da poche eccezioni si può riguardare come modo caratteristico di quei tempi. Sarà poi a merito del Professor Direttore lo introdurre il giovine incipiente a riconoscere le tendenze dei vecchi autori a certe particolari fisionomie, ed anche ad alcuni loro difetti direm così abituali; di maniera che avvenendosi poscia nel bisogno di risarcire uno di questi antichi, non si creda permesso di nobilitare con le fattezze del Veronese le austere faccie del Carpaccio; nè di rammorbidire alla Guidesca la scarna e non leggiadra mano in una Vergine del Bellino. Si disse che questi alunni si devono primieramente occupare nelle copie in disegno tratte da buone pitture antiche, e dicendosi buone si capisce abbastanza che non si parla delle aride produzioni che di poco sorpassarono gli albori delle rinascenti bell’Arti; e dicendosi primieramente ben s’intende che non viene escluso dalle applicazioni degli studenti medesimi il disegno sopra gli esemplari del tempo più felice per la pittura, ma che si vuoi solo indicare la preferenza che in senso di ordine metodico dar si deve agli antichi maestri per due importanti ragioni la prima, perché è necessario che avanti di passare, non direm già alla intelligenza degli astrusi e reconditi misteri del bello ideale, o artificiale che piaccia chiamarlo, ma soltanto alla imitazione pratica di ciò che si produce sotto questi nomi, l’occhio e la mano dell’alunno si esercitino intorno al vero puro e semplice della natura, per poscia erigervi sopra l’altro più sublime lavoro della richiesta idealità, che solo assai di rado può esigersi dal ristauratore; la seconda, perché dall’abitudine ad una esecuzione meccanica diligentissima e precisa si perviene senza grave stento alla disinvoltura ed alla leggerezza di finimenti fugaci; ma dalla consuetudine a questi secondi modi non si entra che assai difficilmente nel cammino della rigida esattezza tanto raccomandata pel professor di ristauro. Oltre ai disegni delle parti individuali studiate prima dappresso i buoni antichi naturalisti, e prese poi dalle opere dei susseguenti maestri, devono questi discepoli copiare in disegno qualche intiero quadro stonato appartenente all’epoca del gusto migliore; ed altresì qualche paesaggio fornito di ricca fronda. Un tal esercizio congiunto alle operazioni del Professor Direttore addestrerà il giovine a formarsi una idea del partito generale che conservasi nel tutto-insieme di ogni complicata invenzione; gli farà conoscere gli artificj ed i ripieghi usati dall’Autore per interrompere le masse senza toglierne la reciproca loro coincidenza; assuefarà l’occhio suo all’armonia che risulta dal concerto delle tinte locali col chiaroscuro; e lo abiliterà per quanto è possibile a risolvere i dubbj cagionati da tenaci lordure e dall’oscuramento naturale dei vecchi dipinti, articolo che assai di frequente pone il ristauratore in penosissime angustie: dalle quali riflessioni si rende evidente il motivo che induce ad ordinare per questi alunni lo studio sopra le composizioni storiche dipinte anziché sopra quelle moltiplici che trar si potrebbero dalle stampe. Queste si credono essere le tracce principali che rispetto al disegno devono calcarsi dagli studenti avviati nella nuova scuola; se non che rimane a dirsi qualche cosa circa la condotta materiale dei prefati disegni; imperciocché quanto a quelli istituiti per l’oggetto di far bene comprendere le forme, il carattere, l’espressione, ed anche gli accidenti nell’estremità del corpo umano, o di alcun’altra singola parte di un originale, si vuole che sieno eseguiti nella grandezza medesima degli esemplari; sieno formati a schietti e diligenti contorni che con ragionevole gradazione distinguano gli andamenti principali dagli intermedj od accidentali, senza ommettere qualsisia di questi ultimi, specialmente nel copiare gli antichi; e siano poi terminati con giusto e polito, ma leggerissimo chiaroscuro; sbanditi affatto que’ tanto elaborati tratteggi che imbarazzano ed annojano anche il più ben disposto giovinetto, soffocano nel primo sviluppo le scintille del di Lui genio e dividono a lenti stentatissimi sorsi la serie de’ suoi studi; con che tolgono ad esso il sommo vantaggio di poter mettere in frequente contatto i risultati successivi delle sue occupazioni: facendogli anzi miseramente perdere dietro ad un frivolo meccanismo quel prezioso tempo in cui si dovrebbe cercar soltanto d’imprimere nella nuda sua immaginazione le forme schiette ed espressive del vero, non seccato da fittizie attrattive. A fine pertanto di esemplificar con chiarezza lo stile esteriore nel quale si vorrebbe che eseguiti fossero questi disegni, diremo che devono essere condotti alla Mantegnesca; non già copiati dai troppo rari disegni o pitture di quell’eccelso maestro, ma bensi maneggiati per quanto è possibile con la leggerezza e precisione usata da esso anche nelle sue stampe, qualunque siasi l’Autore da cui vengano tratti. Quanto poi alle copie di composizioni stonate saranno queste ridotte in dimensioni proporzionalmente minori degli originali, non però impiccioliti sino alle misure dette da macchiette; e siccome questo secondo esercizio si riferisce all’oggetto di abilitar lo studente a comprendere il partito general di ogni quadro, e gli effetti concertati della luce e dell’ombre, con altre analoghe osservazioni, è necessario perciò che le masse non meno che gli accidenti del chiaroscuro, e delle mezze tinte, siano lavorati con repliche e finimenti maggiori del fin qui detto per l’altr’ordin di copie, anche si ottenga un risultato bastevolmente prossimo alla intenzion dell’Autore per quello che con termini d’arte chiamasi avanti e indietro degli oggetti, lume riservato ovvero diffuso, rinforzi locali e rilievo; ma tutto questo attenendosi ad una temperata graduazione di forza, lontana per lunga mano dal faticoso progetto di ridurre il proprio disegno alla vigoria di una fresca stampa di Edelinck o di Morghen; impresa che quanto può esser utile e conveniente per quegli che dedicar si vuole all’arte laboriosa d’incidere in rame; altrettanto si crede inopportuna per il discepolo ristauratore e di grave danno altresì per ogni studente di pittura. Il corso intiero delle surrifenite applicazioni al disegno può compirsi in un anno e mezzo di assiduo esercizio, o forse in due anni riguardo a qualche più ottusetto talento. Assuefatta la vista e la mano del giovine a seguire fedelmente l’orme degli autori ad esso proposti in quella parte che imitar si può disegnando, dovrassi allora introdurlo a trattare i colori, facendogli prima copiare ad olio qualche lucida, e ben intelligibile porzione di buon dipinto, per poscia farlo passare al maneggio degli altri colori temprati a vernice, che devono essere quasi i soli da permettersi all’ottimo ristauratore quando sia indispensabile la repristinazione di qualche parte perduta. Non è però necessario che quest’ordine di artisti possegga quella piena e magistral padronanza nell’uso del pennello alla quale aspirar deve un pittor d’invenzione. Il più frequente bisogno di adoprar colori nel ristauro di pitture si ristringe all’obbligo di risarcire qualche porzione caduta o consunta del vecchio dipinto, e della quale sussiste la continuazione, in guisa che sono additate le tracce di quel che si deve rimettere, onde togliere la interruzion del complesso. Ciò non di meno ad assai cose devesi por mente anche in questo importante articolo dell’arte, se vogliasi riuscirvi perfetto, poiché è di mestieri conoscere i diversi modi meccanici usati variamente dagli automi nella materiale esecuzione delle opere loro, cominciando dall’indagare ed imitare ancora in alcuni casi la preparazione del fondo usato da essi; rimarcare quali abbozzi sieno eseguiti a color pieno, e quali a leggero, se questo o quel maestro collocasse le tinte locali in tutta la loro forza e vaghezza sin dal principio dell’opera (ciocché si troverà quasi unicamente in qualche antico) ovvero se la prima posizione fosse di languidi colori con pochissime ombre; qual esemplare sia terminato d’impatto e quale a colpi risoluti e distinti; quale con velature e rinforzi superficiali, e quale con colore tutto di corpo. Né si creda che impossibile o difficilissimo sia il far prossimamente cognizione delle imprimiture, degli abozzi, e quasi di tutto quello che rimane coperto dagli ultimi finimenti del dipinto; imperciocché, sebben accada di non poter giungere a tali scoperte sopra qualsisia quadro, sono però anche troppe le pitture di tutte l’età, e di tutti gli stili, corrose a sito a sito, abrase e spolpate per diversi strati della respettiva loro profondità a cagione di accidentali sventure, nonché di temerari lavacri adoperati da ignoranti custodi e talor pur anco da imperiti artisti; di modo che l’occhio dell’osservatore intelligente può discernere in esse tutto il materiale artificio col quale furon condotte. A queste osservazioni potrà il professor direttore aggiungere tutte l’altre, alle quali nell’atto pratico degli insegnamenti gli sembrerà opportuno di chiamar l’attenzione del discepolo. Esecutivamente poi è necessario ch’egli lo eserciti a copiare capellature, ali, piume e frondi; tutti oggetti che richieggono una particolare scioltezza di mano, alla quale fa non poca resistenza la viscosità dei colori temprati a vernice; e quindi sogliono esser questi i luoghi topici che manifestano il ritocco più che altrove. Quanto ai panni non è che assai raro il caso di doverne rimettere pezzi molto lunghi, e mancanti affatto degli indizj da seguirsi; ma poiché talora può incontrarsi anche questo grave bisogno, è di mestieri prepararne il rimedio nella opportuna istruzione del ristauratore, facendogli rimarcare, 1°: che i panni e le pieghe di assai autori antichi, anco dei molto elaborati, variano pochissimo la qualità delle stoffe a differenza dei moderni, che distinguono spesse volte la lana dalla seta, il raso dal velluto, e così d’altre tali manifatture; laddove nei primi la maggior varietà consiste nella diversa sottigliezza del panno ed in qualche introduzione di veli broccati e trasparenti; in secondo luogo, che le pieghe degli antichissimi, detti trecentisti, sono generalmente parlando povere, semplici, e condotte quasi a cammelli con pochissimi accidenti; terzo, che in seguito le drapperie vanno via via divenendo più ricche, angolose, cariche di minute pieghuzze, acconciate a mano con artificio scoperto sopra fantocci vestiti di carta bagnata, ovvero di pezza intrisa di creta sciolta nell’acqua; per lo che non si riuscirà ad imitar bene quel modo di faldeggiare, se prima di accingersi a risarcire il pezzo mancante non se ne sarà fatto almeno uno schizzo in disegno, copiando dal vero quella porzione di pieghe così preparate come or ora si è detto; quarto, che i panneggiamenti delle opere più squisite del miglior secolo sono nel tutt’insieme imitate dalla verità sì per l’indole diversa del drappo, che pel generale suo andamento; ma sempre con modi più o meno liberi secondo il vario stil degli autori; intorno alle quali differenze avrà il professor direttore largo campo ad utilissime lezioni, ed a palmari confronti di una massima stessa eseguita con modificazioni diverse, mostrando al discepolo che, a cagion di esempio, tanto Raffaele che Tiziano cercano di far conoscere la positura e la forma principale delle membra coperte; ma le pieghe del primo sono precise, involgono quasi dappresso la persona, e fanno in certo modo discernere la estensione ed il taglio del panno; laddove il falcheggiar del secondo (salva la convenienza del soggetto) inclina, direm così, alla grandiosità senatoria, determina la massa ed il primario girare del drappo che veste agiatamente il corpo senza lasciar in dubbio i suoi movimenti; ma contrappone in qualche sito le frappe trinciate ed incerte di una stoffa, o di un pannolino, alle spaziose andature di un altro vestimento del quale per il solito non risolve la figura, fuorché negli abiti di obbligato costume. Simili paragoni fra molti maestri gioveranno mirabilmente ad imprimere nello spirito dello scolaro le diversità caratteristiche delle maniere ch’ei dovrà un giorno imitare; studio importantissimo per il ristauratore, specialmente negl’incontri, però non frequenti, di larghe necessarie repristinazioni alle quali non deve cimentarsi con ardire, senza che prima ne abbia per lo meno preso gli indizj dal naturale. Sino a questo punto la educazion dell’alunno richiede piuttosto la scorta di un dotto professor di pittura anziché di un pratico esecutor di ristauro, poiché a vero dire il fondo razionale di ambedue le professioni varia soltanto in questo, che l’una ha per soggetto la imitazione delle cose vedute secondo le proprie percezioni; e lo scopo della seconda si è quello di dover seguire le trame delle percezioni altrui; ciocché dimostra che l’ottimo ristauratore deve prima ‘essere buon copista. Meno di un anno non si può assegnare per l’esercizio del colorito al giovine studente prima di farlo passare alla stanza del ristauro, dove con le istruzioni, sorveglianza ed esempio di un esperimentato professor di quest’arte comincierà ad esercitarsi nelle diverse opere della ristaurazione. Ivi pertanto apprenderà i modi di fermare il colore cadente secondo la moltiplice varietà delle circostanze, e prima di ogni altra operazione; il trasporto del dipinto da un fondo ad un altro quando più non si possa conservare il fondo vecchio; le avvertenze di tante sorti che aversi devono per le foderature e molti altri lavori materiali, tutti precedenti a quello della giudiziosa politura del quadro, spesse volte difficilissima e quasi sempre decisiva riguardo al buon esito di tutto il ristauro; la diversità dei mestrui da usarsi, e il grado di concentrazione al quale questi ridur si devono rapporto alla natura ed alla tenacità delle sporchizie che offuscano il colore; quando si possa tentare di togliere dal quadro le vernici vecchie e quando sia miglior partito il lasciarvele; quali diligenze richieggansi per la applicazione e ripetizione delle stuccature: sì rispetto alle differenti qualità dell’impasto, che rispetto alla eguaglianza di superficie che dopo essere dipinti devono avere col rimanente della pittura tanto nel senso della sua planizie che in quello della sua lucentezza ad opera terminata. Di tutte queste prime parti del ristauro quella che più dell’altre addimanda intelligenza pittorica si è la politura del quadro; lavoro che nel suo andamento dev’essere di continuo accompagnato da viste d’arte, riguardo all’armonia generale dell’opera, all’effetto dell’avanti e indietro, alla superficialità delle mezze tinte, delle ultime svelature, e dei rinforzi locali, specialmente nelle teste di scuola Veneta o lombarda, i quai piccoli tratti assai di leggeri si confondono con gli imbrattamenti esteriori; articolo importantissimo egualmente che l’altro riguardante la tenuità del colore, che nella pratica di alcuni autori copre sottilmente l’abbozzo. Di un’altra seria osservazione poi deve far gran conto il ristauratore nell’atto di nettare una vecchia pittura ad olio. Parlando in generale le masse delle ombre più forti, ed altresì quelle di certi panni nel cui misto entra poco o niente di biacca, sogliono in questi vecchi dipinti oscurarsi intrinsecamente, nè vi è speranza (li ravvivarli col nettamento, eccettuato qualche colore metallico ossidato nel corso degli anni. I sughi poi e le vernici adoperati pel ristauro di siffatte pitture, lungi dal diminuire la tenebrosità di quegli oscuri ne accrescono la vigoria; quindi se l’operatore comincia e prosegue il nettamento dell’opera dal pulire le parti luminose e quelle di mezza tinta, purgando le une e le altre sino, direm così, allo stato di quadro nuovo, ne risulta infine un gravissimo sconcerto fra lumi sommamente acuti ed oscuri profondi, senza intermedia gradazione di tuoni; ciocché poscia induce la necessità di ammorzare con le così dette pattine artificiali le porzioni più brillanti e cospicue di tutto il quadro, e di raddolcire con colore di corpo l’aspro contrasto delle ombre coi lumi; tutti espedienti di non felici conseguenze, e da usarsi soltanto quando il tempo ha corrosa effettivamente la superficie del dipinto nelle parti più luminose dell’opera. Conviene adunque che il maestro della scuola pratica additi al non ancora esperto discepolo da qual sito debba intraprendere la politura di questa o di quella pittura; se possa nettarla egualmente in ogni luogo ovvero debba contentarsi di lasciarvi a sito a sito come un sottil velo dell’accidentale suo affumicamento; quali tentativi sieno da instituirsi a fin di conoscere se possibil sia di rianimar senza nuovo colore i luoghi più oscurati; con molte altre avvertenze tutte relative a questo importante articolo della politura, al qual pure si riferiscono i diversi metodi pel nettamento delle pitture a tempera forte antica; escludendo quelle che non si devono assoggettare ai pericoli di questa operazione. Al difficile, penoso e spesso, come si disse, decisivo lavoro della politura segue l’applicazione di una leggera vernice, onde riconoscere si possano i tuoni delle tinte che accompagnare dovrannosi negli stucchi o nelle parti consunte in superficie, ed anche per determinare il grado dei mezzi lumi da introdursi nelle masse totalmente annerite. Talvolta però questa prima vernice dev’essere preceduta da una preparazione del dipinto troppo assorbente ed atto a lasciar passare la vernice medesima sopra il gesso della imprimitura, la quale perciò si annerirebbe con grave danno del dipinto. Tutte le operazioni fin ora descritte (altre pure men generali se ne omettono) non ancora comprendono articolo alcuno riguardante l’uso del pennello e dei colori pel coprimento degli stucchi, pel risarcimento delle porzioni abrase o perdute, per la preparazione più o meno lucida delle tinte che si devono poscia velare, per la imitazione del diverso maneggio usato dagli autori nel respettivo modo di dipingere, e per la necessità di dover talvolta armonizzare con le pattine accennate di sopra le porzioni discordanti dell’opera. Anche l’ammannimento dei colori che adoperar si devono negli ora indicati lavori di pennello, esige speciali attenzioni: le biacche, le terre, e generalmente tutti i colori detti di corpo non devon essere temprati con olio eccettuati alcuni casi particolari che lungo sarebbe il descrivere: le lacche però non si debbon temprar con vernice ma bensì con olio e così pure qualche altro colore artificiale; cognizioni anche queste che lo studente acquistar deve alla scuola di pratica. Infine poi l’indole e l’applicazione dell’ultima vernice richiede delle particolari avvertenze non meno circa le sue qualità, che riguardo alla sicurezza di applicarla senza guastare tutto quello che si era prima fatto sopra il quadro stesso, ma sarebbe un non voler finire giammai la presente se, oltre alle cose genericamente finora indicate, s’intraprendesse discorso sopra tutt’i casi particolari di quest’arte, onde render evidente la connessione della sua pratica effettiva con gli studj preparatori che abbiamo descritti pel suo tirocinio. D’inutile tedio però riuscirebbe alla sapienza del governo questa dilucidazione con ogni altro più minuzioso ragionamento tendente a dar chiara contezza della parte scientifica e dell’esercizio pratico che costituiscono l’ottimo ristaurator di pitture; argomento sopra del quale non era possibile sorvolare più leggermente senza mancare di ossequio agli oggetti del superiore comando.

SEZIONE III°

Discipline per la Scuola di Ristauro

In seguito della stessa riverita commissione devesi ora esporre il piano disciplinale che si crede opportuno per il suggerito nuovo istituto, salve le alterazioni che si riconoscessero convenienti ad opera posta in corso. Già sul principio di questa dissertazione si annunciò che gli studj preparatorj da noi prescritti in linea di disegno e di colorito suppongono un discepolo passabilmente avanzato nelle cognizioni elementari dell’arte; e che sopra queste prime basi dovrà il professor accademico di pittura occuparlo poscia nei peculiari esercizi da noi stabiliti qui addietro ed ai quali dovrà conformarsi come a canone inalterabile di questa scuola, eccettuato il caso di qualche alunno che di già fosse bene inoltrato in quel genere di applicazioni. Giunto l’alunno a sufficiente capacità nei due studj di disegno e di colorito rispetto a ciò che si richiede pel ristauratore, si unirà una commissione composta di tre pittori (non compreso il maestro accademico, che sarà presente ma senza voto) e di due ristauratori, tutti cinque accademici, e a questa commissione l’alunno presenterà gli ultimi saggi appartenenti a ciascuna divisione de’ suoi studj, con la data di ogni saggio e col riconoscimento del Professore maestro. La idoneità dello studente per passare alla sala o stanza della pratica sarà decisa sopra gli esami dei suddetti saggi, previa la lettura di quanto si è qui avanzi dettato riguardo agli esercizj del disegno e del colore; e l’approvazione del candidato, ovvero il di lui rimando a nuovo studio di quelle parti nelle quali fosse riconosciuto troppo imperfetto, dipenderà dai voti della commissione dietro ai metodi da stabilirsi nel proposito, e da rassegnarsi con altri minuti articoli relativi alla esecuzione del piano allorché ne sia superiormente sanzionata la massima generale. La sala del ristauro avrà due professori maestri di quest’arte ai quali si darà un doppio incarico, quello cioé di eseguire tutte le ristaurazioni dei quadri accademici, come pure degli altri che il Governo ordinasse di ristaurare a sue spese; e quello di addestrar nella pratica i giovani inviati dalla commissione, impiegandoli secondo la loro abilità e con prudenza, in ogni sorta di lavoro spettante a ristauro; ed instruendoli ancora degli ingredienti, delle preparazioni, e dei metodi che qualche debol artista spaccia come misterj dell’arte. Arrivato l’incipiente ad un plausibil grado di pratica secondo il giudizio dei due ristauratori maestri, inviteranno essi la Commissione a destinare un quadro dei non più facili da ristaurarsi; e sopra lo stato di esso si estenderà un ben precisato processo verbale, che rimarchi tutti i bisogni di quell’opera in ogni senso; di modo che consegnandosi poscia al nuovo ristauratore, si possa formare un giusto giudizio comparativo fra i danni ne’ quali si trovava e le riparazioni che vi saranno state applicate; troppo irragionevole essendo la pretesa che, ad onta di qualsivoglia più desolata rovina del dipinto, si possano ridur sempre li suoi risarcimenti ad egual perfezione. Questo lavoro sarà eseguito negli stessi locali assegnati per la scuola di pratica: il solo giovine artista potrà mettervi mano, ma non gli sarà disdetto chiederne l’altrui consiglio, costume che sarebbe da desiderarsi anco riguardo ai più maturi professori di questa e di ogni altra divisione della pittura, onde fossero un pò meno ritrosi in fatto di consultazioni ricercate ad opportuno momento, piuttosto che riservarsi a chiederle fintamente a quadro già per l’ultima volta verniciato. Giunto al suo termine il ristauro di questa opera, ne sarà dalla Commissione stessa pronunciato giudizio in iscritto, il quale riuscendo approvativo servirà di testimonianza favorevole all’operatore pel caso di aspirare a ristauri di pubblica ordinazione. Tutto il di più che aggiungere si potrebbe in ordine ad ulteriori esperimenti ed alla formale regolarità delle decisioni sarà discusso con chiarezza qualora venga superiormente accolto in generale il progetto, come poco fa si è detto in altro proposito. A fine di prevenire gli accidenti pei quali la scuola di pratica potrebbe restare senza maestro, si disse che due dovranno essere questi professori; ma la loro occupazione sarà soltanto alternativa eccettuate le occasioni di dover dar opera a molti lavori ad un tempo; circostanza che si può rinnovare assai di sovente, poiché essendovi gran numero di pitture in urgenza di riparazione, sarebbe desiderabile che il Governo vi tenesse occupati di continuo ambedue li maestri a ciò destinati. Nella sala o nelle stanze assegnate per il ristauro vi dovrà essere tutto l’occorrente di utensili per il mestiere, compresi quelli per far acque mordenti, a compor vernici, con ogni altro ordigno grosso o minuto che abbisognar possa in varia sorta di casi. Due stabili serventi altresì vi devono essere addetti al ristauro, uno cioè per le operazioni di facchinaggio, come sono macinare i colori, prima ad acqua e poi a secco sino alla impalpabilità, portar acqua, inoliare i terrazzi, sopressare e calcar le foderature delle tele, trasportar sabbia, fare e disfare controtelaj, tenere sbarazzati e politi i locali, con altri lavori simili, in tutti i quali non essendo talora egli solo bastante, dovrà essere aiutato da qualche altra provvisoria figura, oltrecché dall’altro stabile impiegato. Quest’ultimo però avrà le sue più particolari incombenze per l’immediato servigio dei Professori maestri e pei discepoli; preparerà di giorno in giorno le loro tavolozze sempre con colori freschi; proibita con severità la pratica di tenerne impastata una larga copia per l’uso di molti giorni ancorché si riponessero dentro vasetti o vesciche; darà mano alla preparazione delle colle, delle acque mordenti e delle vernici, alle provvisionali foderature di carta ed all’amovimento di essa, con altre simili operazioni meccaniche da eseguirsi però sempre dietro la scorta dei Professori maestri, ed alle quali dovranno per qualche tempo prestarsi anco gli alunni che fossero passati nella scuola di pratica, essendo necessario che con l’esercizio proprio acquistino ancora queste facili e brevi cognizioni di fatto. Il suddetto servente adunque dovrà stare quanto più assiduamente sarà possibile al servizio dei maestri nelle ore della loro applicazione al lavoro a fine che non siano distratti per piccoli bisogni, ed ambedue gl’impiegati poi coglieranno gli intervalli vuoti d’altre faccende per somministrare qualche servigio agli alunni riguardo ad oggetti della scuola. Sarà determinato un orario per l’intervento e stazione de’ Professori, ed uno diverso pei serventi; e gli uni e gli altri si daranno in nota all’arrivo loro nella scuola. Un professore accademico di Pittura ben istrutto di ciò che si appartiene a ristauro, dovrebbe visitare questa Sala con frequenza giornaliera e non breve dimora, ed ivi sorvegliare secondo il bisogno tutte le operazioni, accudendo alla osservanza anche della buona disciplina con la conveniente autorizzazione diretta ad impedire ed a correggere i disordini che potessero introdursi. Ma siccome l’apposito impiego di un tale soggetto richiederebbe uno stipendio relativo alle di Lui qualità come artista ed all’assiduità della sua occupazione, così qualora non piacesse all’Eccelso Governo di approvare questa spesa, sarà di mestieri appigliarsi al metodo, ben che imperfettissitno, delle visite praticate da una Commissione Accademica, formalità forse utile solamente al decoro dell’Istituto.

SEZIONE IV0

Dispendi, o sia Parte Economica.

Prima di entrare nei particolari di questo articolo, è d’uopo riflettere che la idea del nostro piano nasce da una speculazione tendente a ritrarre un secondario importantissimo profitto dalla indispensabile spesa che già incontrare si deve per un altro fine.

La provvidenza pubblica ormai ha dimostrata una efficace determinazione di accorrere con liberali sussidi a salvare dal minacciato deperimento il prezioso capitale di tante esimie pitture, ricchezza ed onore del Sovrano, e della Nazione.

Quindi se con questo medesimo esborso, o forse con qualche insignificante aggiunta, supplir si potesse non solo al più sicuro buon esito degli stessi bramati ristauri, ma pur anco al sostenimento della suggerita scuola, pare al certo che quanto ad economico esame non si potesse opporre alcuna valida obbiezione al rassegnato divisamento. Ora in due soli modi si sogliono effettuare i contratti per questo genere di fatture che suppongono scelta occulatissima di operatori, ed esclusione di concorsi per via di asta: o si stabilisce coi prescelti artisti il singolo prezzo di ogni opera che si consegna ad essi per la ristaurazione; ovvero invitato il Professore alla casa di un privato proprietario, si convengono insieme per una congrua diaria, oltre al separato pagamento delle spese materiali attinenti al lavoro. Il primo metodo, generalmente considerato, non soddisfa, per vero dire, tutte le viste di una prudente cautela, trattandosi di un mestiere che può di leggieri nascondere le sue negligenze, o li suoi errori, e che non può essere giudicato in confronto dello stato primiero, perché quello più non esiste quando il ristauratore riconsegna il quadro al suo padrone. Se l’artista ha posto mano a molti lavori con obbligazione di tempo prescritto, si corre pericolo ch’ei ne tolga a qualcuno una necessaria porzione con sacrificio dell’opera: se per una di queste commissioni non è stretto a termine preciso, è probabile ch’ei serbi per essa le sole ore della noia o della stanchezza cagionategli dagli impegni più premurosi. Talora nel progresso di un ristauro s’incontrano delle difficoltà non prevedute nè calcolate dall’operatore all’occasione del contratto, e quindi egli si trova nell’arduo bivio di trascurare la esattezza del lavoro, o di perder forse la metà del profitto ch’ei se ne attendeva; atto di virtù, per verità, non così frequente come lo è il suo contrario, quello cioè di ripetere l’intiero prezzo convenuto ma non meritato per la fattura, che nella sua esecuzione riuscì di facilissimo compimento. Bene spesso si stabilisce di pagare a parte le spese materiali dell’opera giusto a polizza da prodursi in fine, articolo ancor questo quasi tutto fiduciario, e non di rado cagione di qualche scontento. Queste sono le obbiezioni principali che seco porta il contratto anteriormente stabilito, per ogni singolo ristauro che si consegna alla fede ed alla casa del ristauratore.

Più cauto senza dubbio si è il metodo di accordarsi con l’artista per una determinata diaria, facendolo operare sotto gli occhi del proprietario; poiché se questi non intende l’arte quanto è di mestieri per gìudicarne, ad opportuno momento può con facilità valersi delle altrui consultazioni; ed oltre ciò è poi certo che l’operatore non ha interesse alcuno che lo stimoli a negligentare il lavoro; nè può trascurarlo per attendere ad altre commissioni fuorché nelle ore non obbligate al suo patto. È vero però che i ristauri eseguiti a queste condizioni costano qualche volta più che gli altri lasciati all’arbitrio del Professore, ma ciò di ordinario accade primieramente per la civile condiscendenza del Padrone, che ad oggetto di affezionarsi il buon umore dell’artista largheggia con liberalità nel di Lui trattanimento, e fa mostra di non badare alle sue frequenti dissipazioni domestiche. In secondo luogo poi le prime ore più preziose del mattino che il Professore impiegar dovrebbe sopra l’opera da ristaurarsi vengono impiegate da esso in moltissime materialità, come sono quelle di stemperarsi i colori, preparar la tavolozza, pulire i penneli, e gli altri utensili necessari al lavoro con assai altre occorrenze da rinnovarsi ogni giorno e da ripetersi anche nel corso della giornata; oltre a quelle di ammannire e distender colle, sgrossare stuccature, allestir fodere, e cento altri bassi bisogni che non solo rubano all’impiego nobile un quarta parte del tempo, ma talvolta stancano l’operatore e lo svogliano sino alla noia, e costano poi in proporzione di quanto importa la convenuta diaria. Per siffatte ragioni il prezzo dei ristauri eseguiti in casa del proprietario possono ammontare a dispendio maggiore degli altri affidati alla libera occupazione dell’artista; ma in compenso di ciò l’opera quasi sempre riesce più perfetta.

Da queste premesse ne scende la conseguenza che dunque per il più sicuro, e miglior pubblico servizio si deve addottare quest’ultimo metodo, chiamando i professori di ristauro ad operare con orario stabile, e con fissato stipendio, nel locale dell’Accademia destinato per questi lavori. Ivi si trovano i soggetti che con fondata intelligenza d’arte sorvegliar, e consigliare potrebbero gli operatori almeno nei frequenti casi di perplessità, ed atti sarebbero a ben giudicare se il ristauro nel suo andamento camminasse possibilmente a dovere rispetto all’anterior condizione di ogni dipinto: ivi pure trovar si dovrebbe tutto il material occorrente al mestiere, compresi colori, colle, liquori mordenti, vernici, ecc; tutto scelto e preparato all’ordine e direzione dell’artista ristautarore, ma con la rigorosa osservanza delle pratiche già indicate più sopra ed ivi finalmente vi dovrebbero essere le opportune figure dì servizio che risparmiar facessero al Professore tutte le ore pattuite per il costoso suo personale impiego.

Ferma pertanto essendo, come si è detto, la massima decretata pel ristauro delle R. Pitture a pubbliche spese, ferma pure la verità fin qui discussa, che il miglior piano disciplinale di questa ristaurazione si è quello di concentrarne l’esercizio nel locale dell’accademia, ecco già stabilita senza ulteriore e peculiare dispendio anco la stanza per la pratica degli alunni ristauratori; e quindi è di tutta evidenza che fattasi astrazione dal costo delli ristauri la spesa veramente propria per questa essenzialissima parte della loro educazione ridurrebbesi a zero. A tale asserzione si vorrà forse opporre che appoggiar dovendosi al professore di ristauro anco la situazione degli allievi spediti alla di Lui stanza, sarà egli alla necessità d’impiegare una parte del suo tempo in questi ammaestramenti, ciocché ritardarà i di Lui propri lavori, e li renderà di costo maggiore.

L’obbiezione però è di sola apparenza. Per quanto assidua immaginar si voglia l’applicazione di un artista ad opera d’ingegno insieme, e di diligenza, non è da credersi ch’ei durar possa per otto ore continue al suo telonio senza alzarsi dalla sedia, o discendere dal palco per sollevarsi alcun poco. In questi intervalli d’altronde ad esso necessari, deve essere di grande ajuto al suo spirito la compagnia di qualche scolaro verso cui rivolgersi a fin di vedere e correggere ciò che questi va facendo; per lo che dalle indispensabili distrazioni di questo professore si ricava un profitto. Ma concedendosi pure che la istruzion dei discepoli imponesse talvolta qualche consumo di tempo, è poi certo che questo sarebbe con usura risarcito dall’opera degli stessi allievi, ai quali si dovrebbero assegnare alcune faccende che sino ad un certo punto non esigono tutta la perizia del provetto maestro; come digrossare tenaci antichi redipinti; fermare coi glutini convenienti, e coi prescritti metodi le porzioni di colore smosso; adattare qualche ripezzo di tela con le opportune cuciture, e col giusto riscontro delle fila; imitare sopra gli stucchi la maglia del tessuto vicino; con altre tali fatture di tedioso lavoro, e lungo impiego di tempo. Non è pertanto da dubitarsi che gli scolari, lungi dall’accrescere il dispendio delle ristaurazioni, possano anzi diminuire indirettamente l’aggravio, e che la scuola del ristauro dopo il corso degli studi ed esercizi suggeriti nella seconda sezione di questo scritto non apportarebbe per se stessa la più piccola spesa.

Noi parleremo fra poco intorno al costo dei ristauri come di argomento isolato al quale crediamo che accorrere si debba con generosa mano ancorché accolto non venga il consiglio per la qui meditata scuola. Di questa sola però ragionando adesso, non si trova che quanto al suo particolare dispendio altro ve ne possa essere di veramente suo proprio da quello in fuori di una rimumerazione all’accademico Professor di Pittura per lo speciale avviamento degli alunni ristauratori nelle peculiari loro applicazioni del disegno e del colorito relativo a quella singolar professione. Una tale ricompensa peraltro non deve essere di gran rilievo trattandosi di occupazione analoga a quelle naturali del suo istituto, benché alquanto varia nei modi, cosicché sembra che un’aggiunta di 600 franchi al solito suo annuale stipendio possa riguardarsi come sufficiente compenso per l’accresciuto suo incarico.

A questo solo articolo si ristringe tutto l’esborso da impiegarsi direttamente per la nuova scuola. Qualche altra eventuale, e non calcolabile spesetta potrebbe incontrarsi per decoro dell’istituto anzicché per necessità, come a cagion di esempio sarebbe la frivola somministrazione di colori a vernice presi dall’elaboratorio o sia sala dei restauri e corrisposti agli incipienti pei primi loro tentativi nel maneggio di queste mestiche; ma di queste minuzie non si crede che far debbasi conto alcuno in una impresa di tal fatta.

Resta dunque da esaminarsi adesso in concreto la spesa propria dei ristauri, dalla quale prende occasione il nostro progetto per la scuola.

Tutte le più importanti operazioni di tal sorta fin ora eseguite sopra quadri dell’Accademia furono pagate dietro precedente consulto a premio stabilito per ogni pezzo, eccettuati alcuni acconciamenti quasi provvisori; e da tali esperienze si è potuto dedurre che i buoni riputati ristauratori conteggiano di ritrarre dalle loro fatture un utile netto di circa undici franchi per giorno.

La stessa cosa rilevasi anche da molti privati che fanno ristaurar quadri, come altresì dalla ingenua dichiarazione di qualcuno fra questi professori. Ed in vero, omessa la lunga serie di esempi che allegar si potrebbero quali prove palmari di quanto diciamo, si adduce soltanto quello della celebre tavola di Tiziano rappresentante l’Assunzion della Vergine, lavoro che non abbisognava nè di foderature nè di soppresse per caducità di colore, nè di altri materiali e dispendiose operazioni, e fu spedito in novantatre giorni dal Professor Baldissini per il convenuto prezzo di zecchini cento. Si noti però ch’eglì potea lavorare a tutto suo agio perché non aveva prescrizione di orario, e che dovette impiegare buona parte del suddetto tempo negli apprestamenti di suo servizio; non avendo assistente stabile che gli preparasse colori, tavolozze, stucchi ecc.. ma supplì ad ogni cosa con le sue mani; di maniera che se ben si calcola quanto vantaggio apporti la disciplina per una obbligata misura di occupazione, quanto risparmio dì tempo, e quanto scanso di noia si ottenga sottraendo all’operatore singolarmente applicato i motivi di servile fastidio, si comprende che con questo diverso sistema l’opera che costò novantatre giorni forse ne avrebbe costati appena sessanta: quindi servendosi al Baldissini la diaria di undici franchi egli avrebbe riscosso solo zecchini sessanta; e non è poi possibile che le spese materiali, e quelle del servizio per due mesi avessero assorbito gli altri quaranta zecchini che gli si sono esborsati.

Aggiungasi che stando ai risultati di questo conteggio, ci vorrebbe almeno un anno e mezzo per eseguire col metodo vecchio sei ristaurì simili al suaccennato eseguito dal Baldissini in tre mesi di lavoro; laddove col piano qui suggerito queste medesime opere sarebbero terminate dentro di un anno; e perciò se anche costassero tutto quello che si pagarebbe per esse in dieciotto mesi, si guadagnerebbe sempre assai riguardo al disbrigo di tante periclitanti pitture bisognose di riparazione.

Ecco pertanto il preciso dell’annuo dispendio che s’incontrarebhe durante il corso dei purtroppo indispensabili ristauri:

1° L’impiego alternato di due ristauratori che operar dovessero a vicenda tre giorni di seguito per ciascuno, importa fra tutti due franchi trecento e trenta al mese, cioeché ammonta in un anno a Fchi 3960

2° Le spese per colori, vernici, colle, fodere, ecc., esclusi solo i pennelli che si possono lasciare a peso dei due impiegati, si conteggiano a circa due annui Fchi 600
3° Salario all’assistente in ragione di £ 75: al mese importa ad annui Fchi 900
4° Salario per l’uomo da grosso, conteggiato a £ 60 al mese ammonta ad annue Fchi 720
Annua somma per li ristauri Fchi 6.180

Prima di dar cominciamento ai lavori sarà necessario preparare il locale che si destinerà per essi, fornendo di tutti gli utensili occorrenti alle diverse opere dei ristauratori; e questa spesa preparatoria ascenderà forse a franchi cinquecento per una sol volta.

L’annuo dispendio assolutamente necessario per soli ristauri resta dunque nei prefati 6180 franchi, coi quali giusta le ragionevoli supposizioni sovraesposte si farebbe un lavoro che a metodo vecchio ne costerebbe 6.600: quindi aggiunti alla spesa delle ristaurazioni anche li 600 franchi da passarsi in via di annua gratificazione al Professor di Pittura per la sua particolar assistenza verso gli alunni della nuova scuola, vi sarebbe un accrescimento in tutto di soli 180 franchi, somma per verità da non calcolarsi in confronto della utilità risultante dalla istituzione della nuova scuola.

Non vi è dubbio pertanto che rispetto a conteggio economico produr mai si possano gravi obbiezioni contro il piano proposto; ma quanto ad esattezza e perfezion di lavoro, se questo anche non fosse sorvegliato con occhio ben instrutto dal principio sino alla fine in tutti i periodi del suo andamento, non vi sarebbe differenza alcuna fra l’uso men cauto di rimettersi alla sola capacità, ed alla onoratezza del ristauratore che lavora nella sua propria casa, e la pratica di far eseguire i ristauri nei locali dell’Accademia. È vero che l’operatore assicurato della utilità propria mediante la convenuta diaria non ha stimolo d’interesse che lo ecciti a trascurar l’opera con negligenza; ma questa medesima sicurezza può anche indurlo talvolta all’eccesso contrario di una lentezza viziosa e correggibile. La presenza dell’Accademia potrebbe impedir questo ed altri mali, oltre al promuovere assaissimi beni per la riuscita felice delle ristaurazioni; essendo ormai anche troppo dimostrato dalla esperienza che per allontanare non meno gli abusi, che gli sbagli ne’ quali si può incorrere anche dai più positivi e ben intenzionati professori di quest’arte soggetta ad infiniti equivoci, si richiede la frequentissima soprastanza di chi con mente fornita di dottrina in pittura, e non istancata dalla diuturnità di un tedioso lavorio, possa consigliare questi artisti, ed avvertirli in tutti i casi di dubbio, o di errore, e presieda pur anco alla osservanza della necessaria disciplina sopra molti particolari. Ma i lunghi ragionamenti che si richiederebbero per rendere sensibile la difficoltà di questo necessario espediente diretto a togliere il pericolo di una impresa che altrimenti resterebbe solo raccomandata a se stessa, consigliamo lo scrivente a rimettere questo importante articolo al zelo, ed alla sapienza del Governo che ben ne comprenderà tutti i dilicati rapporti.

Se meno interessante e men geniale fosse il soggetto al quale tende l’attuale discussione economica, o meno liberali fossero i sentimenti manifestati dal Sovrano a favore delle Bell’arti, luogo forse vi sarebbe ad una obbiezione contra il conteggio rassegnato qui avanti intorno al costo de’ ristauri; potendosi opporre che sebben vero sia che col metodo delle diarie e delle altre provvidenze fin qui suggerite si eseguirebbe in un anno tutto il lavoro per il quale altrimenti si richiederebbero almeno dicciotto mesi; e sia pur anco dimostrato che la massa totale delle ristaurazioni giunta al suo termine costerebbe la somma stessa occorrente per un egual numero di opere eseguite a metodo vecchio; è però vero ancora che la spesa medesima divisa in un lungo corso di anni riuscirebbe meno gravosa di quello che sarebbe se si esaurisse tutta a un terzo meno di tempo; ovvero a dir più chiaro, che il dispendio di annue lire 4.400 continuato a cagion di esempio per nove anni, sarebbe molto meno sensibile che quello di Lire 6.600 continuato, per soli anni sei. A tale difficoltà si ritiene che nel caso nostro (Come si disse) non siavi bisogno di contrapporre alcuna risoluzione. Ciò non di meno trattandosi di assai facile risposta si può farne cenno; ma prima si vuol ricordare quel che si espose da principio in questo medesimo scritto parlando del rapido deterioramento al quale soggiacciono le pitture quando sono già inoltrate nel cammino di una riflessibile degradazione; per lo che s’ingannerebbe quegli che avendo un quadro da potersi ben ristaurare adesso con la spesa di cento franchi, credesse di poter sempre conseguire lo stesso buon effetto, e di restare nel confine della stessa spesa, anche differendo quel ristauro per tre o quattr’anni. Quindi vi è assai, forse ragion di concludere che quanto più in lungo si protrasse il soccorso richiesto dalle danneggiate nostre pitture, tanto più si accrescerebbe la difficoltà delle operazioni, e per conseguenza se ne aumenterebbe il dispendio oltre le misure calcolate da prima. Quello però che annulla intieramente le prefata obiezione in quanto sembrasse di dover per essa rigettare il proposto sistema, si è che piacendo di preferire l’annua diminuzione dell’esborso al più sollecito, e più sicuro riparo dei bisognosi dipinti, basterebbe ordinare che nei mesi di Novembre, Dicembre, Gennaio e Febbraio, non si operasse intorno ai ristauri di pubblica ragione, ed ecco risparmiata con ciò solo la terza parte dell’annua spesa senza punto alterare i metodi e le discipline del proposto piano. Esaurito anche sotto quest’ultima vista tutto quello che allo scrivente parve di dover porre in piena luce rispetto al costo annuale delle pittoriche ristaurazioni, e della nuova scuola per questo necessario mestiere, fa d’uopo prevenire un quesito che di ragione si deve attendere dalla prudenza del Governo, e consiste nel volersi conoscere a quanta lunghezza di tempo debba estendersi la commendabilissima opera del ristauro e della sua scuola. Per ben rispondere a tale inchiesta convien distinguere il bisogno di pieno ristauro nel quale si trovano adesso queste nostre pitture separando d’alle accidentali esigenze che posson occorrere in seguito. Quanto alla durata della prima laboriosa intrapresa, è cosa evidente per se stessa che una tal opera deve avere il suo termine. Se non che essendovi incertezza rispetto al numero, allo stato intrinseco, alla qualità, ed alle circostanze varie dei dipinti da riattarsi, manca la scorta conducente ad un ragionevol giudizio di approssimazione riguardo al remoto confine di questi lavori, e perciò sembra che il Saggio Governo potrebbe fissare intanto un periodo non interrotto di dieci anni per tali ristauri più gravi; riservando allo spirar di quest’epoca le sue determinazioni se non ancora fossero per intiero compiti. Nè qui si vuol tacere, che comunque debbono sempre ristaurarsi prima le pitture più pregiudicate, passando di mano in mano alle men bisognose di riattamento, sarebbe assai disiderahile che sorpassar si volesse il riflesso del maggior annuo dispendio, e si tenessero senza interruzione occupati continuamente li due professori di ristauro, onde si compissero in cinque anni i lavori che con l’impiego alternativo dei professori stessi ne richiederebbero dieci; ritardo che per qualche dipinto potrà forse riuscire di grave discapito. Quanto poi agli eventuali racconciamenti minuti che di tanto in tanto possono abbisognare parzialmente in progresso di tempo, si crede che senza alcuna instituzione di apposita provvidenza, possa la loro spesa comprendersi con tutte le altre spettanti al mantenimento della suppellettile accademica. Nel corso degli anzidetti dieci anni, ed anche dei soli cinque vi è tutta la ragion di supporre che col nostro metodo si saranno formati degli ottimi ristauratori, e che nelle private scuole di questi si potranno andar educando dei buoni allievi; ciò non di meno sarà necessario tener sempre in vigore nell’Accademia l’esercizio di quegli studi che preceder devono la pratica del ristauro, come si espose qui avanti nella seconda sezione; e non essendovi più in attualità lavori pubblici per la scuola di pratica, potranno dopo questo tirocinio inviarsi li giovani alla stanza di uno de’ già esaminati ed approvati ristauratori. Cessato dunque il regolare lavoro nei locali dell’Instituto resterà ferma la sola scuola per gli studi preliminari suddetti, e resterà ferma pur anco l’aggiunta degli annui franchi 600 allo stipendio del professor di Pittura, unico esborso fisso, ma per vero dire assai tenue se si considera la importanza dell’oggetto al qual si destina.

CONCLUSIONE

Sebbene con inevitabile prolissità siensi nei fin ora tenuti discorsi svolte forse abbastanza, a rischiarare le parti principali del suggetto superiormente demandato agli esami dell’Accademica Presidenza, ciò non di meno, a fin di evitare il maggior tedio di così lunga lettura, fu di mestieri talvolta passare in silenzio sopra qualcuno dei riflessi che possono per se stessi emergere dalla evidenza delle cose premesse; certo essendo che alla penetrazione dell’Eccelso Governo non isfuggirà quel molto che aggiungere si poteva onde veppiù comprovare i proposti assunti. Cosi a quanto si disse intorno alla necessità di aver fra noi la nostra propria scuola di ristauro, necessità dimostrata dal sempre crescente bisogno dei periclitanti nostri dipinti; dallo scarso numero di artisti dedicati con apposita e ben esercitata instituzione a soccorrerli; e dall’agevole introducimento dei fallaci metodi che si possono insinuare nella pratica di questo mestiere, risulterà senza meno il grave indecoro nazionale, ed il pericolo ai quali andrebbesi incontro se costretti dalla mancanza di operatori propri dovessimo invitarne dei forestieri, bene spesso non molto conoscitori degli stili e dei modi escutivi usati dai Veneti Capi-Scuola, e assai di rado esperti quanto occorre nella riattazione di vaste pitture, come sono in gran parte le nostre. Facile sarà similmente da riconoscersi che nello esporre la preventiva generale idea degli studi, delle occupazioni, e delle discipline di una Scuola affatto nuova, e forse non mai tentata neppur altrove, non si potevano individuare tutte le modificazioni, e le aggiunte, alle quali posson dar motivò l’esperienza, ed il vario concorso delle circostanze. Quindi all’avvedutezza del Saggio Governo punto non sembrerà strano se nel corso effettivo di questa instituzione (approvato che siane il progetto) si trovarà di dover accrescere, diminuire, od alterare in qualche parte gli articoli relativi all’ammaestramento degli alunni nei particolari esercizi del disegno, e del colorito che più convengono al ristauratore di pitture, oltre a quanto concerne le moltiplici operazioni attinenti alla pratica dell’arte; nè si sorprenderà delle mutazioni parziali che fossero in seguito consigliate dal fatto per la miglior disciplina esteriore della scuola. Che se più diffusi di quanto sarebbesi desiderato riuscirono i ragionamenti intorno all’aggravio economico di tutta la impresa, ciò avvenne appunto perché parve che sopra questo particolare non si dovesse scorrere lasciando addietro le rischiarazioni dei dubbi che potessero insorgere a scapito dell’umiliato piano; ed anco perché si è creduto di dover palmarmente dimostrare che il considerabile dispendio da incontrarsi non derivarebbe dallo stabilimento di una scuola pei ristauratori di pitture, ma che prestar dovendosi con generosità alla indispensabile, e da tanti nobili motivi reclamata opera di questo ristauro, si potesse al tempo stesso, e con assai tenue aggiunta di spesa, ottenere l’intento rilevantissimo di educare una classe necessaria di artisti che manca tuttavia di regolare e ben sorvegliata instituzione. Forse l’amore verso le belle arti, e lo zelo pei progressi di questa R. Accademia in ogni studio dì esse, avranno sedotto lo scrivente facendogli erroneamente riguardar come utili, e ben dedotti i suoi divisamenti; che enunziati sarebbersi con più di prontezza, se combinazioni avverse di salute, e la difficoltà del soggetto del tutto nuovo, non avessero fatto contrasto al di lui buon volere. Gli inganni però nei quali fosse incorso non possono aver triste conseguenze, poiché tutte le idee concepite intorno al comamdato argomento vengono assoggettate alla Sapienza dell’Eccelso Governo che rettificherà i male immaginati consigli, ad onta dei quali rimarcherà peraltro il fervore pei vantaggi nazionali, e la rispettosa obbedienza che in ogni sua parte diressero lo scritto presente.