ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA - SCUOLA DI RESTAURO

Vanni Tiozzo

Riflessioni sul restauro dell’Arte Contemporanea,

(in "Progetto Restauro", n.20, nov.01, Ed. Il Prato, Padova 2001, p.40-45)

Lucio Fontana, Concetto Spaziale (1952), Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea, Torino.

(Prima del restauro) "Uno degli elementi di ferro. Si evidenzia la profondità e la diffusione della corrosione, provocata dal contatto con il suolo. "

Foto e didascalia tratta da: Rosanna Maggio Serra, Chiudere e riaprire un museo. Dodici anni di lavoro nella Galleria Civica D'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, in "Arte Contemporanea. Conservazione e restauro", Nardini Editore, Firenze 1994, [pp.085-100] p.296.

Lucio Fontana, Concetto Spaziale (1952), Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea, Torino.

(Durante il restauro) "Gli otto elementi durante la sabbiatura."

Foto e didascalia tratta da: Rosanna Maggio Serra, Chiudere e riaprire un museo. Dodici anni di lavoro nella Galleria Civica D'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, in "Arte Contemporanea. Conservazione e restauro", Nardini Editore, Firenze 1994, [pp.085-100] p.296.

 

Molto si è parlato di restauro dell’arte contemporanea e numerose sono state le occasioni di dibattito(1) ma probabilmente questo è ancora un argomento in cui si possono sviluppare considerazioni logiche.

Che cosa debba essere il restauro è ormai chiarito da cinque secoli di attività e documentazioni oltre che dai preziosi saggi di Cesare Brandi e, perché no, di Alessandro Conti. Dal primo prendiamo una sommaria definizione: "S’intende per restauro qualsiasi intervento volto a rimettere in efficienza un prodotto dell’attività umana."(2) Presa così questa frase potrebbe risultare sibillina in quanto confondibile con il termine "riparazione", operazione acritica, un termine che nel settore dell’arte non è mai stato utilizzato nemmeno dai più accaniti sostenitori dello scientismo. Lo stesso saggio citato sviluppa il concetto di restauro con la definizione dell’opera d’arte, riprendendo Dewey(3), legando il valore materiale al valore immateriale, critico, della lettura. "Un’opera d’arte, non importa quanto vecchia e classica, è attualmente e non solo potenzialmente un’opera d’arte quando vive in qualche esperienza individualizzata. In quanto pezzo di pergamena, di marmo, di tela, essa rimane identica a se stessa attraverso gli anni. Ma come opera d’arte essa viene ricreata ogni volta che viene sperimentata esteticamente". Il restauro di un’opera d’arte si configura come il "ripristino" di qualcosa che, pur materia, si caratterizza per l’interferenza con gli elementi che sono propri della percezione che ogni cultura sperimenta in essa. Il restauro pone in essere delle operazioni tecniche che hanno una valenza critica ed estetica mediante la loro configurazione: un’arte nell’arte. Ma perché questo sia realmente possibile bisogna che le culture precedenti abbiano avuto la consapevolezza di leggere l’opera in modo soggettivo e non oggettivo. Il restauro è infatti una delle tante fasi della lettura di un’opera, una fase importante perché ha dei risvolti materiali sulla stessa opera, ma pur sempre una fase di lettura. Da questa convinzione alla considerazione che il restauro deve essere "riconoscibile" e "reversibile" il passo è breve proprio per la soggettività che dovrebbe avere l’intervento. Il primo aspetto di questa affermazione è decisamente meno definito del secondo in quanto soggettivo, legato cioè alla conoscenza ed alla sensibilità del fruitore.

Riconoscibile per Pietro Edwards, parametro fuor di gelosie, poteva essere un intervento a vernice su un dipinto ad olio proprio in ragione della delicata differenza materica dei due leganti che si traduce in termini di trasparenza delle stratificazioni.

Non riconoscibile per molti altri potrebbero essere anche le stesse righe, così come altra configurazione pittorica che nel restauro si volesse adottare, utilizzate per rendere intellegibile la materia pittorica integrativa.

Reversibile invece è un aspetto oggettivo dell’intervento di restauro: o lo è o non lo è. Si badi bene che questo però non è un dato chimico, come spesso si equivoca, ma è un dato tecnico. Quasi tutto, oggettivamente, è reversibile chimicamente, però tutt’altra cosa è vedere se un qualcosa sia reversibile in un determinato contesto senza alterare quest’ultimo.

La reversibilità nel restauro, ricordo, non è una consapevolezza del nostro secolo, l’accademico veneziano Pietro Edwards lo aveva già ben chiaro e posto come obbligo specifico dei restauratori. "S’impegnano poi che non si useranno nei Quadri ingredienti che non si possano più levare ne vernici che incrudeliscano il colore, ma ogni cosa necessariamente addoperata, sarà facilmente amovibile da ogn’un ch’intenda l’arte." (4)

Reversibilità, soprattutto, e riconoscibilità sono dunque due aspetti importanti dai quali non si può prescindere nel restauro.

L’arte contemporanea, come qualunque altra, non può essere sottratta alla "filosofia" del restauro nel momento in cui intendiamo intervenire su di essa. Giorgio Bonsanti, sempre vigile circa le problematiche dibattute o si rifuggiate nel mondo del restauro e dell’arte, ha acutamente individuato nel convegno di Prato del 1994 questa omogeneità d’ambito. "Può capitare anche questo: tenere un convegno su un determinato argomento o soggetto, per poi concludere paradossalmente che questo argomento non esiste, almeno come ambito specifico."(5). Questo inevitabile riconoscere il restauro del contemporaneo come un restauro a tutti gli effetti dovrebbe essere monito di autentica riflessione operativa a quanti intendano intraprendere il restauro dell’arte contemporanea. Materiali esecutivi diversi impongono difformi materiali integrativi ma non impostazione metodologica assecondata ad altri principi.

Non tutti sembrano tuttavia essere concordi con queste considerazioni ed è probabilmente per questo che di restauro di arte contemporanea non è sbagliato parlare, questo a prescindere se le diversificazioni siano consapevoli o inconsapevoli.

Una prima serie, macroscopica, di episodi che mi hanno spinto a questa riflessione mi è stata data dall’interessante primo volume che Heinz Althofer(6) ha dedicato appositamente al restauro delle opere d'arte contemporanea. Qui, nelle tavole esemplificative(7), troviamo, a titolo d'esempio, che l’integrazione viene eseguita secondo criteri di omogeneità piuttosto che di reversibilità: olio su olio,(8) e acrilico su acrilico(9). Una omogeneità, tra materiali d’esecuzione e d’integrazione, non casuale visto che è ripetuta più volte e che investe anche l’analogo aspetto della verniciatura di dipinti la cui pigmentazione è legata a resina(10).

Ma questa casistica datata è tutt’altro che isolata e mi è tornata a mente leggendo il recente intervento effettuato sulla Maternità di Pascale(11), un’opera pigmentata realizzata con acetato di polivinile e resine alchidiche, dove l’integrazione, a "rigatino", è stata effettuata con pigmenti stemperati in resina acrilica, il "mitico" Paraloid B72. Qui il caso è diverso in quanto non è identico il legante tra opera e integrazione tuttavia la loro affinità non rende difficile intuire in futuro una certa difficoltà a rimuovere questi interventi senza interagire direttamente con il legante dello strato originario, soprattutto nelle "parti della veste bianca .. irreversibilmente ingiallite.", dove "Per attenuarne l'alterazione sono state ritoccate a velatura.". Ossia in quelle parti in cui la prossima relazione di restauro userebbe sicuramente il termine di "ridipinture".

Pino Pascale, Maternità (1964), l'opera prima del restauro, Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. Foto tratta da: Silvana Bonfili, Maria Grazia Castellano, L'intervento di restauro su Maternità di Pino Pascali, in "Bollettino ICR. Nuova serie", n.2, 2001, [pp.145-153] p.146.

Pino Pascale, Maternità (1964), l'opera dopo il restauro, Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. Foto tratta da: Silvana Bonfili, Maria Grazia Castellano, L'intervento di restauro su Maternità di Pino Pascali, in "Bollettino ICR. Nuova serie", n.2, 2001, [pp.145-153] p.150.

 

In questo contesto acquista apprezzamento anche l’ormai famoso intervento su Concetto spaziale(12), un’opera eseguita nel 1952 da Lucio Fontana in metallo verniciato e conservata al Museo Rivoli di Torino, condotto con la sabbiatura e la verniciatura dei pezzi. L’estremo apprezzamento sta nell’essere intervento senza equivoci teso a valorizzare l’istanza progettuale rispetto all’istanza materiale dell’opera. L’intervento, difficilmente ascrivibile al restauro in quanto poco discosta da ciò che definiamo comunemente con il termine "copia", può essere condivisibile proprio nelle casistiche più estreme, anche se sarebbe preferibile tenere l’opera nella sua nuova configurazione di rudere e realizzare delle copie ex novo. Così come in passato è stato fatto per il Cenacolo vinciano. Tuttavia, questa estrema operazione perde valore e diventa addirittura allarmante se non è consapevole così come, nel caso del Museo torinese, lo stesso Bonsanti(13) ha acutamente avanzato qualche sospetto alla lettura delle parole del curatore: "il principio generale cui il Museo si è attenuto, è stato quindi quello di rispettare il più possibile l’esistente, pulendo, consolidando, riconnettendo parti eventualmente disgregate in modo da recuperare al massimo materiali e congegni".

E indiscutibile che questi interventi siano, di fatto, per nulla o scarsamente reversibili; che le opere così trattate potranno essere liberate da questi interventi solamente con altri interventi ancor più invasivi, ed ecco che viene subito alla mente una affermazione che fu espressa ai primi del Settecento: "Che l’autore ritocchi la sua opera ancora fresca per correggerla e per accordarla è un dovere, ma metter mano nelle opere altrui insigni alterata dal tempo è un deformarle, il che è peggio che distruggerle. Un quadro disaccordato e guasto dagli anni sia ritoccato da mano esperta, per un momento farà buona comparsa, ma di lì a poco diverrà peggio di prima perché le nuove tinte cambiano e discordano colle vecchie. Si ricorre perciò a un altro medico che promette più miracoli quanto più è ignorante, costui applica nuovi topici, e indi a poco l’ammalato peggiora. Eccoci al ciarlatano il quale spietatamente scoria, impiastra, strofina, raschia, lava, rimpiastra, invernicia, e addio quadro, questa bell’arte ha fatto progressi in ragione della decadenza delle belle arti."(14) Allora veniva additato al restauro in generale dei problemi che erano legati alla mancata reversibilità dei materiali impiegati, una precisa consapevolezza tecnica che arriverà, come abbiamo visto, mezzo secolo dopo con l’Edwards. Ma anche oggi, che questa consapevolezza risulta verbalmente scontata, può tornare ad essere coinvolta la stessa praticabilità del restauro quando questa dovesse essere tecnicamente ignorata.

Le settecentesce parole del Milizia non sono molto dissimili, nel loro intento, da chi oggi disconosce animatamente il restauro dell’arte contemporanea. Penso, ad esempio, a Achille Bonito Oliva(15) e ad Alberto Burri(16) che in più occasioni hanno espresso il loro dissenso al restauro dell’arte contemporanea. Ma come possiamo escludere che questo dissenso si fondi sulla percezione, anche inconscia, delle accennate incongruenze nella traslazione alle caratteristiche tecniche di un numero sempre più crescente di opere d’arte che basano sulla tridimensionalità e sulle materie plastiche la loro natura?

Tutto ciò non è per me problema di restauro ma di come il restauro è impostato. Prescindere dalla effettiva reversibilità, di fatto, ci porta fuori dal restauro o indietro di almeno tre secoli.

Concluderei con una considerazione di comune buon senso, il buon intervento è tale fin tanto che le nostre conoscenze ci consentano d’essere realmente consapevoli circa la reversibilità del nostro intervento; proprio come avevamo sentito esortare l’Edwards. Quando non si è certi della reale possibilità di asportazione del proprio intervento, molto meglio sarebbe, umilmente, astenersi.

L’astensione all’intervento non esclude però, anzi dovrebbe spronarla, una seria ricerca e sperimentazione su modelli in base ai quali sia poi possibile effettuare interventi in grado di soddisfare i citati principi del restauro. Importante potrebbe essere pure una precisa documentazione fotogrammetrica nella collezioni delle opere d’arte contemporanea, indispensabili nell’integrazione di opere tridimensionali per uscire dalla soggettività. Più pertinente alle argomentazioni è comunque la ricerca su materiali "deboli" per l’integrazione delle opere realizzate in materia sintetica affinché queste ultime non patiscano danno nella rimozione degli interventi effettuati.

Con un intervento(17) eseguito sulla Colomba di Tancredi, del Museo Palazzo delle Albere a Trento, ho dovuto riscontrare l’effetto negativo dello strato "protettivo" su di un’opera particolarmente debole e la ambigua e difficile rimozione di questo, operazione indispensabile per diminuire l’instabilità fisica della pigmentazione; qui l’integrazione è stata condotta ad acquerello lasciato a nudo, con buona pace di quanti vorrebbero attrezzare il restauro delle opere per le più audaci vicissitudini.

Tancredi, Colomba, (1958) 370x600 cm, vinilico su muro, poi strappato e portato su tela, Museo Provinciale D'Arte Palazzo delle Albere, Trento.

 

L’importanza di quanto duri un restauro è marginale se raffrontata a quanto possa durare l’opera d’arte oggetto del restauro. Ma questo è ancora tutto un altro argomento che coinvolgerebbe il restauro nel suo complesso.

 

NOTE:

(1) Heinz Althofer, Il restauro delle opere d'arte moderne e contemporanee, Firenze 1991; AAVV, Conservare l'arte contemporanea, Firenze 1992; Giovanna Scicolone, Il restauro dei dipinti contemporanei, Firenze 1993; Angelucci Sergio (a cura di), Arte Contemporanea. Conservazione e restauro, Firenze 1994; Di Martino Enzo (a cura di), Conservazione e restauro dell'arte contemporanea, Venezia 1996;
(2) Cesare Brandi, Teoria del restauro, Roma 1963, 2° Torino 1977, p.3.
(3) John Dewey, Art as experience, New York, 1934: ci si riferisce, per comodità di raffronto, alla traduzione italiana di Maltese, Arte come esperienza, La Nuova Italia, Firenze 1951, p. 130
(4) Pietro Edwards, Capitoli che privatamente vi propongo alla considerazione degli EE.mi Rif.ri dello Studio di Padova per l’effettuazione del Ristauro generale dei Quadri di pubblica ragione, loro commesso con decreto dell’ E.mo Senato 6 Giugno 1771, Archivio Accademia BBAA Venezia, Archivio, Busta "Copie di Atti riguardanti il Collegio dei pittori 1689/1798", 6 luglio 1777.
(5) Giorgio Bonsanti, Non il restauro dell’arte contemporanea ma il restauro contemporaneo dell'arte, in "Il Giornale dell'Arte", n.128, 1994.
(6) Heinz Althofer, Il restauro delle opere d'arte moderne e contemporanee, Firenze, 1991.
(7) Hiltrud Schinzel e Manfred Huisgen, Danni Tipici e proposte di intervento, in Heinz Althofer, Il restauro delle opere d'arte moderne e contemporanee, Firenze, 1991, pp. 159-192.
(8) Hiltrud Schinzel e Manfred Huisgen, Danni Tipici e proposte di intervento, in Heinz Althofer, Il restauro delle opere d'arte moderne e contemporanee, Firenze, 1991, p. 176, [pp. 159-192]. Proposta di restauro all'opera di Hans Arp, Costellation 1975, 1975.
(9) Hiltrud Schinzel e Manfred Huisgen, Danni Tipici e proposte di intervento, in Heinz Althofer, Il restauro delle opere d'arte moderne e contemporanee, Firenze, 1991, p. 179, [pp. 159-192]. Proposta di restauro all'opera di Camille Graeser, Completare-addizionale, 1965.
(10) Hiltrud Schinzel e Manfred Huisgen, Danni Tipici e proposte di intervento, in Heinz Althofer, Il restauro delle opere d'arte moderne e contemporanee, Firenze, 1991, [pp. 159-192] p.170 (Proposta di restauro all'opera di Jannis Kounellis, Senza titolo, 1960), p.179 (Proposta di restauro all'opera di Camille Graeser, Completare-addizionale, 1965.)
(11) Silvana Bonfili, Maria Grazia Castellano, L'intervento di restauro su Maternità di Pino Pascali, in "Bollettino ICR. Nuova serie", n.2, 2001, p.145-153.
(12) Rosanna Maggio Serra, Chiudere e riaprire un museo. Dodici anni di lavoro nella Galleria Civica D'Arte Moderna e Contemporanea di Torino, in "Arte Contemporanea. Conservazione e restauro", Firenze 1994, pag.085-100, foto pp.295-297.
(13) Giorgio Bonsanti, Non il restauro dell’arte contemporanea ma il restauro contemporaneo dell'arte, in "Il Giornale dell'Arte", n.128, 1994.
(14) Francesco Milizia, Dizionario delle belle arti del disegno, Bassano 1717, torno II, p.200
(15) Achille Bonito Oliva, Ma l’artista di oggi non è eterno. Attorno all'arte contemporanea esiste un atteggiamento troppo sacrale e protettivo. Il restauro, per esempio, ne è una prova, in "Repubblica" del 1 marzo 2000, p.50.
(16) Alessandra Lazzaris, La gran risata di Alberto Burri, in "TITOLO", n. 24, Autunno 1997, articolo 06.
(17) L’opera di notevoli dimensioni, 370x600 cm, è stata realizzata nel 1958 su un soffitto del ristorante "La colomba", successivamente staccata e trasportata su tela, presentava notevoli problemi di adesione dello strato pigmentato, a lavabile, sul sottostante fondo a tempera. L’intervento è stato eseguito nel 1987.