Con Patrocinio di: PROVINCIA DI VARESE / COMUNE DI ANGERA

 

AUTOMI

MERAVIGLIE MECCANICHE FRANCESI E TEDESCHE DEL XIX E XX SECOLO

 MUSEO DELLA BAMBOLA E DELLA MODA INFANTILE

ROCCA BORROMEO - 21021 ANGERA (VA)

www.borromeoturismo.it

 

A cura di Marco Tosa

Accademia di Belle Arti di Venezia

"Tutte le cose sono artificiali, poiché la natura è l’arte di Dio." Thomas Browne, Dei sogni, "Religio Medici" (1642).

 

 

Marco Tosa, Ingranaggi, molle, bambole e robot: breve storia degli automi

(testo pubblicato, 2002 diritti riservati©)
 

Il gioco del creatore.

La volontà di animare figure antropomorfe di vario tipo, di renderle più simili all’uomo, quasi a riprodurre il mito della genesi, ha radici che si perdono nella notte dei tempi.

Poeti, scrittori, scienziati, inventori in ogni epoca hanno da sempre immaginato e descritto creature artificiali dalle molteplici fisionomie e caratteristiche.

L’uomo moderno, posto al centro del proprio universo di conoscenza come assoluto protagonista e padrone rispetto al mondo che lo circonda, in funzione della ragione e del presunto concetto di dominio che da essa ne deriva, chiuso nell’incomunicabilità è isolato nella solitudine che lo accompagna, sempre più accentuata dalle barriere tecnologiche che lo allontanano dalla madre natura, dalla quotidianità e dagli antichi equilibri biologici ai quali appartiene inevitabilmente.

L’idea di potenza e dominio, l’ossessione d’affermare il proprio controllo assoluto su tutto l’esistente, il sistema imperante del mercato, che impone leggi e regole incuranti d’ogni riflessione su principi quali rispetto e salvaguardia, hanno da sempre aumentato la consapevolezza individuale, rafforzando un ego disperatamente alla ricerca dell’immortalità, unico vero limite drammaticamente frustrante con il quale convivere.

Ecco allora l’inevitabile confronto con i miti, gli dei d’ogni tipo che tutte le religioni del mondo inventano, narrano e tramandano. Dio, o chi per esso, con il suo soffio divino può dare la vita, animare l’inanimato. L'uomo, sua creatura, può solo imitare tale miracolo, trasformandolo in un gioco, il "gioco del creatore": spesso con la tecnica, ogni volta che vuole con i sogni.

In quest’ambiziosa prova, destinata in ogni caso ad un successo parziale, l’ingegno chiede soccorso alla tecnologia e alla ricerca scientifica, anche se come unico scopo vogliono solo stupire, suscitare meraviglia; quanto basta comunque per ricordare la semi-divinità umana.

Dare "vita" a creature inanimate, prodotte più o meno artigianalmente, ad un insieme di meccanismi metallici, è così fatto circoscritto, emblema della sfida tra uomo e uomo più che tra uomo e Dio, prova tangibile di quel primigenio barlume di trascendenza, mentre in alto, o dove si preferisce, divinità sole, lontane e irraggiungibili, osservano probabilmente divertite questi giochi d’imitazione.

 

Creature fantastiche.

Scrittori di fantascienza hanno immaginato un mondo in cui i robot, "figli" degli uomini, sostituiscono le persone in ogni genere d’occupazione e comportamento.

Dal mitico Golem narrato da Gustav Meyerink, capostipite di questa generazione di "androidi", agli uomini meccanici rudimentali più semplici e privi d’intelligenza, pensati per adempiere al lavoro gravoso, fino al ciclo dei raffinati robot di bell’aspetto e dai sentimenti ineffabili raccontati da Isaac Asimov, agli umanissimi replicanti assassini- ma solo per proteggere la loro sopravvivenza- del film di Ridley Scott, "Blade Runner", alla simpatica coppia di robot della saga cinematografica di "Guerre Stellari", questo smisurato esercito ha interagito con la nostra immaginazione modificando il modo di percepire la vita quotidiana, ma, soprattutto, cambiato la concezione del futuro infondendo fiducia verso grandi aspettative.

Con l'avvento del computer gli automi e i robot hanno incorporato enormi possibilità di sviluppo e di sofisticazione, di concrete possibilità di realizzazione.

La cibernetica per prima ha individuato la grande importanza che ha il problema di affrontare il legame profondo esistente tra comunicazione, cioè come riceviamo e interpretiamo le informazioni dall’esterno, e controllo, ovvero come usiamo tali informazioni per comandare i nostri arti, e quindi la gestualità. Grazie agli studi della cibernetica, e grazie al fatto che fotocellule, relè, motori elettrici stavano diventando oggetti a buon mercato, nel dopoguerra molti ricercatori si divertirono a inventare miriadi di creature cibernetiche, automi basati sulla percezione del mondo esterno e sul principio di retroazione. La cibernetica nasceva con l’idea di ricostruire artificialmente i riflessi nervosi degli esseri viventi, mentre l’intelligenza artificiale avrebbe tentato di ricreare i pensieri astratti, il ragionare; questi due approcci si integrano sinergicamente nel tentativo di creare robot antropomorfi intelligenti: forse la vera grande sfida, iniziata secoli fa, comincerà finalmente ad attrarre l’attenzione degli Dei.

 

La storia antica.

Il termine greco autòmaton significa " che si muove da se".

I greci conoscevano, quindi, quelle macchine che riproducevano i movimenti e, talvolta, l’aspetto di corpi animati. La necessità di dare movimento apparentemente o realmente autonomo ad oggetti di questo tipo, portò gli ingegni del tempo a osservare alcune forze fisiche esistenti in natura, il moto delle acque, del vento, la forza del fuoco, il potere del calore, e alle successive considerazioni sulle loro possibili applicazioni sotto il diretto controllo dell’uomo.

Herrone di Alessandria, (285-222 a.C.), celebre nella scienza della meccanica, scrisse sull’arte di fabbricare gli automi. Grazie a complesse macchine mosse da una forza idraulica o pneumatica, egli riuscì a costruire figure che si muovevano, fra i suoi automi vi furono anche degli uccelli che cantavano azionati dalla pressione dell’acqua. Inventò un carretto eccezionale consistente in una specie di bottiglia di ferro appoggiata su quattro ruote e munita di un piccolo fornello per riscaldare l’acqua contenutavi. Con l’ebollizione il vapore, fuoriuscendo dal collo, spingeva avanti il giocattolo.

Antesignani dell’età moderna, per concezione progettuale e caratteristiche, furono anche alcuni giocattoli fabbricati per stupire: Gellio racconta che Archita costruì" un oggetto di legno in forma di colomba, e questa colomba volò; è evidente che essa era accuratamente equilibrata mediante contrappesi…" (Gellio, Le notti antiche, X, 12, 9.)

Questi ingegnosi "giocattoli" erano conosciuti e apprezzati anche dai romani; ne abbiamo una testimonianza verso il terzo secolo avanti Cristo da Petronio, che nel Satyricon scrive sulle tante meraviglie della cena di Trimalcione: " Entrò nella sala del banchetto un servo. Portava tra le mani una figurina d’argento, fatta in maniera tale che tirando o allentando un filo, gli arti e le vertebre, si muovevano da tutte le parti. Trimalcione la posò sulla tavola e azionando il meccanismo le fece assumere varie posizioni." ( Petronio, Satyricon, 34.)

La studiosa Antonia Fraser citando la raccolta di fiabe indiane di Somdeva, che pure essendo dell’undicesimo secolo comprende brani anteriori, parla di bambole mosse da meccanismi: una intrecciava ghirlande, un’altra attingeva acqua, la terza danzava e la quarta pare che addirittura parlasse.

 

La molla innovativa.

Circoscrivendo lo studio all’area geograficamente e culturalmente più vicina a noi, sappiamo che in Europa immagini mobili d’ogni tipo costituirono sempre una grande attrattiva durante le fiere, sia nel Medioevo sia nei secoli precedenti, grazie al loro indubbio potere fascinatorio, specie se destinato alle folle semplici e curiose che affollavano i grandi mercati.

Durante il Medioevo Bernardino Baldi creò automi che si muovevano azionati da un sistema idraulico, Leonardo da Vinci stupì la Milano di Ludovico il Moro con figure mobili antropomorfe e animali e macchine fantastiche, ma il vero sviluppo degli automi si ebbe durante il XVI secolo, quando i maestri orologiai di Augusta e Norimberga realizzarono piccoli orologi da tavolo con scene, tratte dalla commedia italiana o dalla mitologia classica, che si muovevano meccanicamente. L’utilizzo dei marchingegni funzionanti con moto idraulico e pneumatico fu così sostituito con lo stesso meccanismo adottato per gli orologi. L’impiego della molla gettò le basi dell’innovazione tecnica in questo settore, grazie a quell’ingegnosa invenzione il movimento era garantito con regolarità e durata certamente maggiore rispetto ai sistemi precedenti, permettendo inoltre una migliore facilità d’uso.

Fritz Saxl nel suo saggio: " Costumi e feste della nobiltà milanese negli anni della dominazione spagnola", descrive la bambola meccanica del XVI secolo, oggi al Kunsthistorische Museum di Vienna: "Si ha notizia certa che il Marchese del Vasto fece conoscere a Carlo V un ingegnere lombardo, Giovanni Torriano da Cremona, il quale costruiva bambole di questo tipo. Tra queste figure, per esempio, una dama che danza al ritmo di un cembalo: ed è più che probabile che anche quella di Vienna sia da porsi in relazione con il Torriano. I movimenti sono caratterizzati da una combinazione di grazia e solennità: i piedi si spostano lentamente, la figura sembra librarsi. La forma del corpo viene completamente occultata dalla sottana. Al contrario , mani e testa si muovono con agio ed eleganza. Al suono della musica, modulata con le mani sensibili ed aggraziate, la testa descrive nel suo moto un arco grazioso. In questo modo un congegno meccanico riproduce lo stile di una donna di società del tempo, per i suoi stessi limiti enfatizzandone, alla maniera di una caricatura, le caratteristiche."

Antonia Fraser riferisce ancora che nel 1632 la città di Augusta fece dono al re Gustavo Adolfo di una splendida composizione del costo di ben 6500 talleri, opera di Philip Hainhofer: si trattava di due bambole, una dama e un cavaliere, che si tenevano per mano danzando grazie ad un meccanismo celato all’interno. Sontuosamente vestite, con preziosi abiti di seta ricamati di gemme, erano consideraste quanto di meglio potesse offrire la produzione tedesca dell’epoca.

Agli inizi del Settecento un noto predicatore viennese, Abraham a Santa Clara, parlava di " bambole così abilmente congegnate che diventavano animate e si muovevano da sole, spinte da prodigiosi meccanismi".

Corvinus, nel 1716, descriveva " le costose ed ingegnose bambole che manifestano actiones mediante meccanismi celati", specialità di Augusta e Norimberga, " che stanno rapidamente diffondendosi nel mondo intero".

 

Il secolo delle meraviglie.

Bisogna arrivare a epoche relativamente recenti, si parla del XVIII secolo all’incirca, perché si possano trovare testimonianze concrete di queste "creature" o "automi", tralasciando almeno in parte la pura mitologia e le descrizioni tramandate dai documenti antichi.

E’ questo un secolo che vide le corti più importanti d’Europa crescere in splendore e ricchezza, conducendo una vita apparentemente spensierata all’insegna del divertimento e dell’eccentricità, intente alla ricerca di oggetti tra i più incredibili e stupefacenti, in una sorta di gara tra ingegno, meraviglia e stupore.

Nel trionfo delle arti e dell’artigianato, destinati ad abbellire dimore imperiali e regge principesche, palcoscenici ideali per la vita di corte, scienza e tecnica in continuo sviluppo appaiono ancora velate di mistero e spesso confuse con la magia, e si prodigano per inventare automi, meraviglie meccaniche, oggetti destinati a diventare doni prestigiosi per re e imperatori.

E’ il secolo in cui Jacques de Vaucanson passò alla storia per aver realizzato tra il 1737 e il 1741 una serie di automi che si muovevano grazie ad un sistema di pesi, canne e leve. La sua creazione più celebre raffigurava un suonatore di flauto in grado di eseguire con il suo strumento undici melodie differenti. Riscosse invece anche un grande successo popolare un’anitra capace di imitare perfettamente i movimenti reali dell’animale, di beccare del grano e, tramite una soluzione chimica, di "eliminarlo" in maniera del tutto simile a quella naturale.

I più celebri e straordinari oggetti di questo genere giunti fino a noi sono gli automi di Pierre Jaquet- Droz, costruiti tra il 1768 e il 1774 da questo orologiaio svizzero e dal figlio, oggi visibili al Musée d’Histoire di Neuchatel. Si tratta di tre personaggi, due bambini e una giovane donna. Il primo, chiamato Charles, rappresenta uno scrivano, può scrivere, infatti, un messaggio lungo fino a quaranta lettere, andare a capo, lasciare spazio, intingere la penna d’oca nel calamaio. Il secondo, Henry, detto il disegnatore, può eseguire quattro diversi schizzi a matita: un bambino con una farfalla, un ritratto di Luigi VX, i profili di Giorgio III e della moglie Charlotte di Mecklenberg e, per ultimo, un cagnolino.
Il terzo automa è forse il più affascinante: si tratta di una vezzosa giovane intenta a suonare un organetto a canne. Realizzato nel 1773 da Henry-Louis Jaquet-Droz è in grado di eseguire cinque melodie differenti seguendo con gli occhi la tastiera. Inoltre "respira" tramite un sistema di mantici che le fa alzare e abbassare il petto, e compie tutta una serie di movimenti del capo che ne accrescono l’effetto di notevole realismo. Il suo nome è Marianne, a ricordo della giovane e defunta moglie di J. Droz.

Sono oggetti così vicini al reale da superarlo ed entrare in una dimensione quasi onirica; questo per l’eterno ripetersi del gesto, di quell’azione progettata, calibrata e misurata al centesimo che distrugge con la maniacale volontà imitativa della realtà, attraverso il suo esistere meccanico, il sogno dell’uomo come "creatore", capace di ricopiare e mettere in scena la vita ma non di infonderle lo spirito, la coscienza d’esistere.

Altri nomi celebri giungono dal passato, ma purtroppo non vi sono più le fantastiche creature a testimoniare tanta meraviglia.

A Wolfgang von Kempelen si deve, nel 1778, la realizzazione di un celebre automa giocatore di scacchi; si racconta che nel 1809 Napoleone perdesse una partita giocando con quest’androide, forse l’imperatore non era un buon giocatore, ma certamente non era al corrente che all’interno della scatola atta a contenere il meccanismo, vi era un uomo, attento ad osservare le varie mosse del gioco tramite un sistema di specchi, e quindi ad indirizzare la risposta corretta dell’automa.

Tra i pezzi storicamente memorabili, va menzionato il Suonatore di Salterio, costruito nel 1780 dai tedeschi Roentgen e Kintzing per la regina Maria Antonietta, il cui brano musicale fu composto da Gluck.

 

Automi e industria.

Dalla metà del XIX secolo, gli automi divennero sempre di più prodotti di diffusione per la ricca borghesia, abbandonando per sempre quella nicchia di mercato che li aveva visti protagonisti come oggetti unici, rari ed eccezionali.

Prodotti in serie più o meno numerose e a volte numerati, secondo il costo, la complessità del soggetto e del meccanismo, erano ispirati ai soggetti più vari tratti dal repertorio della vita quotidiana. Pubblicizzati dalle fabbriche produttrici con cataloghi sempre aggiornati, corredati da disegni precisi con le didascalie dettagliate sui movimenti eseguiti dal soggetto descritto, sul tipo di materiale e sulle musiche del carillon, prezzi e misure, ebbero vasta diffusione nell’ambito del mercato europeo e d’oltreoceano.

Durante l’ultimo quarto del XIX secolo gli automi misero in movimento un’infinita serie di scenette che prendevano spunto dal mondo circense, degli equilibristi e dei clown, da quello degli animali, questi ultimi a loro volta umanizzati in atteggiamenti e abitudini, passando poi a considerare gran parte di quei modi di fare stereotipati tipici dell’infanzia, e vezzosi, caratteristici dell’universo femminile, fino ad alcune affascinanti immagini fantastiche e poetiche.

Quello che oggi si recupera, guardando tali straordinari oggetti giunti fino a noi, è l’immagine di un universo che ci appare veramente distante, fatto di convenzioni esteriori, di rigidità morale scandita spesso con motti e gestualità codificate, che scade sovente in un concetto di buon gusto discutibile che, sebbene non sia mai disgiunto da quello del cosiddetto bon ton, non rappresenta certo canoni di raffinatezza ed eleganza tradizionali.

Il periodo di maggiore sviluppo per l’industria degli automi europei fu tra il 1880 e il 1920, quando i costruttori tedeschi, francesi e svizzeri ne esportavano in tutto il mondo in grande quantità. Se i tedeschi privilegiarono l’economia e la semplicità, scenette prevalentemente a soggetto infantile, meccanismi spesso manuali e con poche variazioni, i francesi diedero grandissima importanza agli automatismi più complessi, ad abiti raffinati, legati alla storica tradizione della moda parigina, impreziositi da accessori stravaganti.

Gli automi "industriali" più belli furono realizzati a Parigi, durante la seconda metà dell’ottocento, da veri artisti del settore come Alexandre Nicolas Théroude, Blaise Bontems, Gustave Vichy, Rolullet &Decamps, Jean Marie Phalibois, Léopold Lambert, Louis Renou. destinati ad un preciso settore di mercato costituito più dagli adulti delle classi abbienti che dai bambini.

I soggetti antropomorfi prediligevano l’impiego di teste sempre molto raffinate, ricercate nei lineamenti e nella scultura dai caratteri volutamente espressivi, per sottolineare la tematica proposta dall’automa. Tali teste erano realizzate in cartapesta, facili da modellare e dipingere, leggere, semplici per inserire marchingegni atti a far muovere occhi, palpebre, labbra.

Fu impiegata anche la porcellana biscuit, per teste realizzate a stampo o a colaggio, montate su automi più commerciali e destinati ad essere fabbricati in serie numerose. In questi esemplari spesso le teste recano il marchio di famose fabbriche di bambole dell’epoca, che fornivano anche altre parti di porcellana per il completamento dell’automa come braccia e avambracci.

I corpi, generalmente, erano semplici e rudimentali, destinati in alcuni casi a contenere il meccanismo per il movimento, anatomicamente ben definiti nella silhouette, fatti di cartone e cartapesta, con rinforzi di legno nelle parti sottoposte a sforzo, sovente lasciati al grezzo e dipinti solo nelle parti visibili, destinati successivamente a scomparire, coperti da abiti più o meno ricchi ed elaborati.

Quando la parte meccanica e il carillon non erano collocati dentro al corpo, venivano sistemati in una scatola che fungeva anche da base d’appoggio, da qui partivano i vari tiranti che, nascosti all’interno degli arti, permettevano il movimento. La maggior parte degli automi ottocenteschi accompagnava il movimento con arie musicali di carillon, spesso tratte da note opere liriche oppure da melodie più popolari e ballabili, comunque adatte al soggetto e all’azione rappresentata.

La storia dell’evoluzione degli automi non è separabile da quella che coinvolge direttamente le bambole, infatti, già dalla prima metà dell’ottocento, i fabbricanti di bambole rivolsero la loro attenzione alla messa a punto di particolari tecnici e meccanici volti ad attribuire alla pupattola alcune di quelle funzioni primarie tipiche ed inconfondibili dell’essere umano. Nel tentativo di umanizzare il più possibile questi simulacri, per avvicinarli maggiormente alla sfera affettiva del bambino e, contemporaneamente, farne anche un prodotto in grado di divertire gli adulti, tramite ingegnosi brevetti si imitarono voce, gesti, atteggiamenti che in una crescente gara a colpi di pubblicità, novità e sorprendenti effetti, gettarono le basi del mercato moderno del giocattolo inteso come bene di consumo sempre più diffuso.

L’affermazione di questi nuovi concetti, destinati a trasformare irreversibilmente il processo produttivo artigianale ottocentesco verso quello prettamente industriale odierno delle multinazionali del giocattolo, segna la definitiva scissione tra due modi essenzialmente differenti di interpretare i balocchi, i modelli educativi che rappresentano e lo stile di vita che ne può derivare.