ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI VENEZIA - SCUOLA DI RESTAURO

Vanni Tiozzo

Accademia e Restauro, tradizioni e innovazioni. Recensione

L’Accademia di Belle Arti di Venezia ha accettato di buon grado la proposta di collaborazione della Soprintendenza per i Beni artistici e Storici del Veneto; collaborazione che è stata inquadrata nelle attività previste per il 250° anniversario della fondazione, a ricordo di due figure care a questa antica istituzione ed entrambe legate affettivamente a Possagno: l'illustre allievo Antonio Canova e la cara direttrice, recentemente scomparsa, Elena Bassi.

Il Corso di Restauro Pietro Edwards dell’Accademia veneziana ha preso parte con il restauro di due interessanti dipinti, nella totale gratuità economica, unendo formazione e produzione, teoria e pratica, così come gli è ora consuetudine e così come secolarmente aveva provveduto.

Il restauro è qui didatticamente caratterizzato nella impostazione del minimo intervento, ossia di ciò che fosse strettamente indispensabile alla immediata conservazione ed alla corretta lettura dell’opera, in voluta antitesi con l’affaccendata routine, d’eco consumistico, che vede l’esecuzione di qualsiasi intervento che non abbia immediate controindicazioni, nell’utopico convincimento che tutto ciò sia effettivamente proficuo alla conservazione.

Questa posizione vuol essere soprattutto una riflessione su aspetti da sempre latenti nella cultura del restauro: il rispetto dell’opera originaria, anche nei suoi valori materiali, e la consapevolezza dell’alterazione dei materiali di restauro, problema che è sicuramente estetico, ma anche di materia e di effettiva conservazione.

Già nel Cinquecento questo concetto aveva avuto espressione autorevole in una forma che nella sua essenzialità comprendeva sia l’aspetto estetico che quello materiale: Sarebbe meglio tenersi le cose fatte da uomini eccellenti piuttosto mezzo guaste che farle ritoccare a chi sa meno. (1)

La problematica convivenza di materiali stagionati e materiali freschi non era stata certamente intuizione isolata se la ritroviamo in molte trattazioni. Il fatto che sia per lo più rivolta agli aspetti esteriori, i ritocchi, non può autorizzarci a considerare l’aspetto della materialità come non rilevante, soprattutto se ricordiamo come, allora più che oggi, la forma non sia altro che la manifestazione della materia. A confortarci in questo giudizio giunge questa pesante affermazione che evidenzia con efficace sinteticità la sequenza di deterioramento di un’opera: Che l’autore ritocchi la sua opera ancora fresca per correggerla e per accordarla è un dovere, ma metter mano nelle opere altrui insigni alterate dal tempo è un deformarle, il che è peggio che distruggerle. Un quadro disaccordato e guasto dagli anni sia ritoccato da mano esperta, per un momento farà buona comparsa, ma di lì a poco diverrà peggio di prima perché le nuove tinte cambiano e discordano colle vecchie. Si ricorre perciò a un altro medico che promette più miracoli quanto più è ignorante, costui applica nuovi topici, e indi a poco l’ammalato peggiora. Eccoci al ciarlatano il quale spietatamente scoria, impiastra, strofina, raschia, lava, rimpiastra, invernicia, e addio quadro, questa bell’arte ha fatto progressi in ragione della decadenza delle belle arti.(2) Una visione catastrofica, non certo condivisibile alla lettera perché, se vera, oggi non esisterebbero più opere d’arte. Tuttavia, deve essere, anche oggi, occasione di riflessione sulla percezione della alterazione dei materiali, siano essi ritocchi, per mano esperta, o impregnazioni, per mano di ciarlatano.

La stessa foderatura, metodologia più che testata nella sua prassi tradizionale, che si rinnova ininterrottamente sin dal Seicento (3) sul verso dei dipinti su tela, deve indurci a qualche perplessità nella sua consuetudine acritica, per via della potenziale perdita di morfologia materica dell’opera nel suo insieme –rimozione delle giunture, schiacciamenti di pennellate, spianamento in genere, ma anche per la sconosciuta alterazione di materiali recenti che, talvolta, vengono impiegati.

(Figura 1) - Maganza (scuola), Donna con monili, Vicenza, Museo Civico. Particolare della antica foderatura con residui di sabbia. Foderatura conservata con l’attuale restauro effettuato dal Corso di Restauro della Accademia di Belle Arti di Venezia nel 2001.

Negli anni Novanta, del secolo appena scorso, veniva formulato un attento compendio del dibattito sulle foderature, tra tanti, questo risulta utile a comprendere la diversità delle opinioni che, ancor oggi, sembrano viziati da antagonismi culturali – anglosassoni e mediterranei – per l’imposizione di una propria metodologia piuttosto che dalla volontà di verificare gli esiti sulle opere in un quadro organico di sperimentazioni: Questa situazione di generale insicurezza si è manifestata durante il congresso ICOM del 1975 a Venezia. In seguito a vive discussioni sull’argomento si è pensato che la cosa migliore fosse una pausa di meditazione, rimandando di tre anni qualsiasi intervento di foderatura. Questo intervallo naturalmente non è stato osservato,…. Spesso si è discusso se fosse un bene o un male l’assunzione delle materie sintetiche nell’ambito del restauro. La risposta a questa domanda si potrà trovare solo nel XXI secolo.(4)

Testimonianza di un certo disagio che si protrae nello specifico sono pure le parole di Bonsanti, tra i pochi italiani che dibattono nel contesto internazionale sui problemi tecnici del restauro: Ma la rintelatura, operazione da troppi considerata di routine, produce ancor oggi danni diffusi e devastanti. La si applica ed effettua quasi che il restauro fosse operazione da catena di montaggio. Premesso che un concetto del genere nel restauro proprio non deve albergare, in particolare per la rintelatura si tratta a parere mio dell’operazione potenzialmente nociva che tuttora viene eseguita con più incoscienza.(5)

Purtroppo non troviamo in questo dibattito un equilibrio tra le varie voci in campo, così numerose ed animate quelle anglosassoni e così poche e tecnicamente poco motivate quelle italiane. Il tutto nella scarsa comprensione della oggettiva differenza tecnica costitutiva delle opere d’arte presenti in questi due "mondi".

Proprio quest’ultime voci, non sembrano nemmeno valutare adeguatamente i rischi relativi alle alterazioni dei nuovi materiali, la cui conoscenza data da pochi decenni. Disagio tecnico, o paure di provincialismo, hanno diffuso anche in Italia l’impiego di queste metodologie innovative senza autentiche riflessioni sulla loro effettiva opportunità: È così che anche da noi, assai precocemente si e posto attenzione alle ricerche dell’austriaco Gustav Berger operante negli Stati Uniti, l’inventore del Beva, adesivo diffusissimo nel restauro, o dell’indiano W. R. Mehra, che lavora in Olanda.(6)

Questo atteggiamento diplomatico, ma anche equivoco, non poteva che avere immediato riflesso anche nella operatività generale, soprattutto per quei molti che confondono le "ricerche" con l’innovazione delle metodologie d’intervento, nella sottovalutazione dei rischi relativi a una precoce diffusione e non focalizzando a pieno il problema nella sua dimensione tecnica ed ancor peggio quando questa innovazione viene assunta come metro di professionalità.

Questa riflessione ci è suggerita da alcuni interventi, per certi versi scarsamente comprensibili, in cui l’applicazione di tecniche di foderatura d’innovazione è fatta su dipinti tradizionali,(7) quali, esemplificazione tra altri, la Cena in Emmaus di Veronese(8) o le tele vaticane di Pietro da Cortona ad Urbino,(9) anche se quest’ultimo caso può trovare una certa comprensibilità nella particolare collocazione dell’opera.

Questa stessa riflessione è infatti supportata dal fatto che le caratteristiche di questi illustri interventi non risultano episodiche, ma sono già divenute oggetto di formazione tecnica, ossia temi per corsi di restauratori al fine di diffondere le nuove tecniche di foderatura,(10) di Mehra in questo caso. L’episodio non può sottrarci dal ricordare un nefasto episodio sorto con il contributo degli organi di tutela, il metodo Pettenkofer,(11) e poco importa se tale contributo è attivo come un tempo, o silente, come oggi.

Il disagio nello sviluppare questa riflessione sta nella personale constatazione di innumerevoli casi di totale assenza di controindicazioni conservative del metodo cosiddetto tradizionale "mediterraneo", Colla e Pasta.(12) Oltre alle numerose fodere che ogni restauratore si trova a rinnovare senza incontrare particolari problemi, ci è significativo, e ci permettiamo di ricordarlo, il caso della foderatura del 1783 sul dipinto San Marco fra Sant'Andrea e San Francesco, di Andrea Busati dei depositi delle Gallerie dell'Accademia, rimasta per 212 anni senza controindicazioni sino all’ultimo restauro del 1995. Inoltre fu per noi grande il piacere d’aver potuto rispettare una foderatura analoga, con le caratteristiche tracce di sabbia, in un restauro eseguito nell'A.A.2000-01 da questo stesso Corso di Restauro su una tela raffigurante una Donna con monili, riferita all'ambito del Maganza, del Civico Museo di Vicenza. Questa foderatura, era ancora in buono stato, nonostante l'opera evindenziasse segni di un susseguirsi di ampie percolazioni d'acqua che avrebbero dovuto ammalorarla. Infatti putrescibilità e igroscopicità sono gli argomenti più utilizzati per indicare i limiti del metodo tradizionale, sottovalutando che l’omogeneità materiale con la stessa opera portano comunque questi elementi ad essere nocivi, a prescindere dai materiali di foderatura.

(Figura 2) - Maganza (scuola), Donna con monili, Vicenza, Museo Civico. Insieme del verso. Evidenti le ampie alterazioni dovute a infiltrazioni d’acqua che non hanno dato luogo a putrescenza.

Ecco che questa colonizzazione culturale, per molti versi affine a quella in atto nell’alimentazione collettiva e nella percezione mediatica, progredisce sempre più ed a questo proposito trovo lungimiranti le parole di un altro critico nostrano: Verso il 1960 inizia il momento più critico che il restauro abbia mai attraversato, tecnicamente, da quando si sostituì a semplici pratiche di manutenzione e adattamento: le industrie chimiche sollecitano 1’adozione dei loro materiali sintetici; la tecnica ed il comportamento dei materiali antichi sono sempre meno noti, sia ai restauratori (che raramente, hanno ormai una formazione di artista) che ad ispettori e direttori lavori, sui quali grava spesso disprezzo idealista per la manualità e per la materialità dell’opera d’arte (rispetto all’immagine se non alla fotografia da cui si fanno le attribuzioni); inoltre, come tutti, sono bombardati da assuefazioni ed immagini diffuse dai mass media.(13)

Il Dipartimento di Tecniche e Restauro dell’Accademia veneziana da noi diretto ha quindi ritenuto didatticamente proficuo effettuare dei banali test comparativi su campioni di tela trattati con i collanti usati nei più diffusi metodi di foderatura, cercando di far opportunamente comprendere la distinzione tra sperimentazioni e interventi sull’opera.

(Tabella 1) Prove di peso, flessione e separazione di alcuni collanti per foderatura.

L’applicazione dei collanti è stata fatta per tutti i campioni(14) su un unico tipo di tela, pattina, prescindendo dalle specifiche dei vari metodi (che richiederebbero tele differenti) proprio per evidenziare le caratteristiche dei collanti.

I collanti analizzati sono stati cinque: due varianti di colla di pasta(15),(16); quella a freddo(17); il Beva(18); la Cera-resina(19).

Le prove che si intendevano effettuare erano molto semplici, ma utili a comprendere le variazioni fisiche che si generano in un’opera d’arte con l’impiego dei materiali di restauro. Ovviamente si è ben avvertito che tali prove avevano interesse relativo, in quanto eseguite in condizioni termo igrometriche costanti(20); viceversa sarebbero state realmente indicative solo se estese a condizioni estreme, freddo e caldo, così come spesso si susseguono sulla maggior parte delle opere d’arte.

Si è eseguita la verifica dell’incremento di peso, in quanto elemento di sforzo fisico all’insieme dell’ipotetica opera.(21)

È stata fatta una prova di flessione dell’insieme, doppia tela e collante, per verificare la alterazione delle caratteristiche fisiche dell’opera.(22)

Si è eseguita una prova di coesione del collante, onde verificare la differente possibilità di distacco e rimozione delle tele dalle opere.(23)

Le nostre prove hanno evidenziato una rilevante differenza di caratteristiche e di comportamenti fisici in relazione ai collanti, con l’evidenza che nessuno di essi presentava le migliori caratteristiche su tutti i parametri considerati positivi: leggerezza, flessibilità, facilità di separazione. La colla di pasta tuttavia ha evidenziato un più equilibrato quadro di caratteristiche positive, in quanto è da considerarsi preoccupante lo sforzo necessario a separare le tele applicate con collante sintetico utilizzato nel metodo a freddo, così come pure l’enorme incremento di peso del metodo a cera-resina.

Ecco dunque ritornare il concetto che nessun procedimento di restauro può realmente intendersi come migliorativo delle condizioni conservative dell’opera, se non a seguito di impellenti deficit conservativi della stessa.

Dopo questa doverosa premessa, circa l’impostazione che abbiamo inteso dare didatticamente al nostro fare restauro, sarà meglio tornare ai due dipinti oggetto dell’intervento; questi, di proprietà dell’Istituto Cavanis Canova di Possagno (Treviso)(24), sono stati realizzati ad olio su tela e raffigurano il "Ritratto di Canova", di Rudolph Suhrlandt di cm. 104x140, e il "Ritratto di G.B.Sartori Canova", di Angelo Balestra datato 1859 di cm.75x107. Nel corso dei lavori nel dipinto dello Suhrlandt, oltre la firma già rilevabile, si è resa evidente anche la data, "1811", appena sotto la firma.

(Figura 3) - Rudolph Suhrlandt , Ritratto di Canova, Possagno, già Istituto Cavanis ora deposito alla Gipsoteca, olio su tela cm. 104x140, datato 1811.

(Figura 4) - Angelo Balestra, Ritratto di G.B.Sartori Canova, Possagno, Istituto Cavanis, olio su tela cm.75x107, datato 1859.

Nonostante i soli quarantotto anni che corrono tra l'esecuzione delle due opere, queste si presentano tecnicamente molto differenti e dimostrano il passaggio da una tradizione artigianale ad una industriale, testimonianza di un importante momento nella storia delle tecniche, relativamente alle modalità di preparazione del supporto e della stesura della pigmentazione.

Il primo dipinto presenta una tela di lino grossa, impregnata con olio, ed una preparazione colorata composta da gesso, colla, olio e terre coloranti, che è stata stesa liquida quel tanto da lasciare trasparire in superficie la trama della tela. Morfologia che continua a risultare evidente, anche attraverso il consistente strato di pigmentazione.

La seconda opera ha una tela sottile, decisamente non "ingrassata", su cui poggia una preparazione bianca e rigida, composta da più colla e meno olio; quest’ultima è stesa perfettamente liscia, senza lasciare trasparire i rilievi della tela e su cui è poi stesa una pigmentazione molto sottile.

Il dipinto dello Suhrlandt ha messo in evidenza con la riflettografia I.R. un pentimento particolarmente pronunciato sul braccio della statua, già parzialmente visibile al naturale, ma con questa tecnica di indagine è stato evidenziato anche il bordo inferiore e i particolari dei dettagli pittorici sottostanti.

Questo ritrovamento è ulteriore testimonianza di una tecnica di costruzione pittorica che parte da una tonalità media, data dalla cromia della preparazione, su cui modellare, in chiaro ed in scuro, l'intera composizione, la quale trova realizzazione materica e affinamento progettuale direttamente sulla tela, lavorando con spessori materici che si sovrappongono per coprire le varie tonalità sottostanti e che, talvolta, si susseguono anche in elementi figurativi discordanti, i cosiddetti ripensamenti, i quali si ritrovano stratificati con naturalezza così come tutte le altre campiture cromatiche.

L’altra opera, il "Ritratto di G.B.Sartori Canova", è realizzata con un preciso riporto disegnativo su di una superficie bianca e liscia che sarà usata e riempita cromaticamente come un qualsiasi foglio di carta, qui ogni campitura cromatica va a riempire una singola parte, senza costituire base materiale ed armonica dell'insieme. Si crea dunque una netta separazione materiale tra preparazione e pigmentazione, la prima resa molto rigida dal collante e la seconda più plastica e con olii, che è anche causa di quelle screpolature così caratteristiche dei dipinti realizzati in questo periodo. Tali forme di degrado si configurano come grandi scaglie con raggio di curvatura ampio e con marcate e rigide separazioni, tali da intravederne la sezione. Inoltre la tela si presenta così debole, nei confronti della rigidità della preparazione, da dare luogo a deformazioni dimensionali notevoli; questo, sia in condizioni normali, ma in modo talvolta traumatico in presenza delle condizioni termoigrometriche necessarie ad una foderatura tradizionale a colla di pasta. In questi casi si può giungere a deformazioni tali da portare a collasso l'intera stratificazione del dipinto, con la conseguente rovina dell'opera.

(Figura 5) - Angelo Balestra, Ritratto di G.B.Sartori Canova, Possagno, Istituto Cavanis. Particolare delle screpolature e delle cadute di colore e preparazione

(Figura 6) - Rudolph Suhrlandt , Ritratto di Canova, Possagno, Istituto Cavanis. Particolare delle lesioni dovute al lancio di oggetti appuntiti.

In questi casi la manualistica ottocentesca prevedeva la drastica snervatura della tela originale(25), affinché non deformasse la parte dipinta; altre pratiche prevedevano l'impregnazione con resine della tela(26), ma questo portava, oltre a problemi adesivi del collante di fodero, ad una alterazione cromatica dell'opera per l'inevitabile saturazione dello strato bianco di preparazione. In questi particolari casi, possono risultare quindi allettanti le tecniche di foderatura alternative alle tradizionali: quella di Gustav Berger(27) o quella a freddo di Raj Mehra(28). Detta tecniche, tuttavia, scontano quelle perplessità che abbiamo già indicato circa la loro limitata sperimentazione, soprattutto se paragonata alle esperienze tradizionali. Trenta o cinque anni possono sembrare molti ad un contemporaneo, ma sono di fatto nulla in confronto alle normali aspettative di vita di un'opera d'arte.

Il progetto iniziale prevedeva infatti la foderatura del dipinto "Ritratto di G.B.Sartori Canova" proprio con la tecnica di Berger, in virtù della sua funzione di consolidante e la maggiore sperimentazione rispetto la tecnica di Mehra ed alla minore invasività, nei confronti della colla di pasta, in questo specifico contesto materico, per così dire non "tradizionale".

Ma questa scelta iniziale non era una scelta preferenziale assoluta rispetto al metodo, ma relativa allo specifico contesto applicativo.

Lo stesso progetto prevedeva la foderatura con il metodo tradizionale, a colla di pasta, del dipinto "Ritratto di Canova", ritenendo indispensabile mantenere la igroscopicità del verso onde non precludere in futuro la possibilità d'esecuzione di interventi di consolidamento, utili per la buona conservazione delle spesse stratificazioni siccative dell'opera. Certi che la scelta del metodo di foderatura tradizionale, proprio per la sua secolare esperienza ed assenza di controindicazioni, fosse in questo caso il più rispettoso ed opportuno. Poco infatti ci trova concordi l'allarme, che spesso viene rivolto a tale metodo di foderatura circa la sua putrescibilità proprio in ragione di quanto indicato nella precedente nota, oltre che la consapevolezza delle attuali disponibilità di anti-fermentativi.

Veniamo ora alla descrizione dello stato conservativo delle due opere.

Il telaio ligneo, nonostante fosse stato realizzato con sistema di escursione angolare, si trovava completamente ritirato e non riusciva più a garantire la corretta tensione della tela. I cunei lignei avevano completamente perso la loro funzione espansiva, per la perdita delle loro caratteristiche meccaniche a seguito di una rilevante aggressione di insetti xilofagi.

La tela risultava essere molto allentata, presentando vistosi avvallamenti e deformazioni della superficie; questa era già degenerata in alcuni squarci, tutti rattoppati con vistose deformazioni nel dipinto di Sartori Canova. Sempre nel medesimo dipinto, all'intrinseca debolezza del supporto, vi era da imputare la presenza, sul retro della tela, di infossature che corrispondevano ai cretti del colore. Si deve aggiungere, che le caratteristiche di queste ultime ci indicavano come durante il processo di polimerizzazione la forza di contrazione del legante fosse stata superiore alla resistenza del tessuto che, di consistenza troppo esigua, non ha saputo contenere il formarsi delle ampie conche, dette "scodelle". Le insufficienti caratteristiche meccaniche del supporto, avevano determinato anche un rapido cedimento allo sforzo da "creep" provocando la formazione di conche e la conseguente precaria stabilità del film pittorico.

Proprio per le accennate differenze di preparazione il dipinto del Balestra presentava maggiori screpolature e queste erano caratterizzate dal tipico andamento radiale e da numerose cadute della stessa, con conseguente perdita di pigmentazione. Il degrado accennato, con le relative mancanze, deve aver avuto luogo già da molto tempo, dati i numerosi ritocchi stesi sopra a piccoli rattoppi, soprattutto nella mantella del prelato, testimonianza di un precedente intervento di restauro che doveva mimetizzare il degrado.

Pure la stratificazione di preparazione dello Suhrlandt presentava delle piccole mancanze, tuttavia queste sembravano essere semplicemente in relazione alla scarsa tensione della tela, oltre che ad urti accidentali, oggetti appuntiti, infierenti per lo più sul volto.

Lo stato conservativo del supporto e della preparazione nei due dipinti era tale da considerare la foderatura come operazione ineluttabile, progettualmente era infatti prevista, sia pure con i distinguo tecnici già accennati, per via della enorme differenza di materiali tra i due dipinti.

A seguito delle screpolature presenti nella preparazione, nel dipinto del Balestra la pigmentazione originale accusava una fitta rete di fenditure, che rendevano frammentarie tutte le stesure cromatiche, ne seguiva anche una notevole sollecitazione meccanica ai bordi dei cretti della pigmentazione, a causa della notevole deformazione del tessuto.

Tali deformazioni erano avvertibili agevolmente con una luce scorciata, nonostante il notevole strato di vernici ed alcune sovrapposizioni a ridipintura, stratificazioni che purtroppo assecondavano questa tendenza di degrado, per via della maggiore coesione statica presente sulla superficie esterna della pigmentazione rispetto alla sua interna. Infatti la pigmentazione originale, di esiguo spessore, scontava una debole adesione alla stratificazione di preparazione in gesso ed in più parti si erano manifestate screpolature della pigmentazione, da cui traspariva la colorazione biancastra del fondo.Numerose erano quindi le piccole mancanze del brano pittorico originale, le quali erano celate da ossidazioni e ridipinture.

Nel dipinto del Balestra erano infatti presenti delle cospicue riprese pittoriche, stese ad olio e con mano incerta, che si rilevano come ridipinture proprio per la loro ampia fuoriuscita dal perimetro effettivo della lacuna. Queste insistevano soprattutto sul drappo bruno, alle spalle del prelato, sulla mozzetta, sul trono ed a ridosso la firma.

Un forte fenomeno di ossidazione delle spesse stratificazioni di vernice, unitamente ad una considerevole sedimentazione, privavano i due dipinti della loro originaria timbrica cromatica. La stessa loro impostazione spaziale e chiaroscurale, risultava menomata da questo offuscamento superficiale. Queste varie stratificazioni soprammesse alla pigmentazione, conferivano al dipinto del Suhrlandt una tonalità scura tendente al neutro, mentre a quello del Balestra una forte tonalità calda, quasi marrone a testimonianza dell'uso di vernice di gommalacca.

Questo intervento di restauro, conscio dell’importanza di dette opere, come d'ogni altra, è stato impostato in un’ottica critica per cui fosse possibile eliminare gli elementi di degrado e di cattiva presentazione con la minima interferenza materica. Purtroppo, il restauro è sempre un intervento fisico sull’opera, talvolta utilizzando materie di cui si conoscono i parziali risvolti negativi, tal’altra con pratiche più recenti dalle caratteristiche accattivanti, ma di cui si ignora molto di quanto il tempo potrà mutarle.

Tuttavia il dipinto del Balestra, proprio per la sua specifica realizzazione materiale, di cui già s'è parlato, non trova delle metodologie di intervento testate così come per i dipinti più antichi, per interderci quelli eseguiti sino alla seconda metà del XVIII secolo. Gli interventi tradizionali, a colletta e colla di pasta, per questi particolari dipinti creano più traumi che vantaggi, e gli interventi innovativi sono sperimentati al più dal 1971; difficile quindi considerarli testati sufficientemente da essere ritenuti completamente affidabili. Pertanto era forte l'attenzione per potere eseguire, su questo come su altri dipinti simili, la minore quantità di interventi e la minore immissione di materiali possibile. Attenzione, questa, legata, oltre alla stabilità degli stessi, alla precisa volontà di conservare in toto quella ricchezza materica della superficie, come i rilievi della pennellata e la sua "grassezza", evitando quindi micro-screpolature dovute a schiacciamento o riscaldamento.

Questi minuti elementi materici sono talvolta sofisticate ricerche estetiche che, giustamente, si devono definire "elementi pittorici", purtroppo, non sempre sufficientemente compresi e rispettati dalla critica e dagli interventi di restauro, forse proprio perché ormai troppo spesso abituati a percepire le opere in patinate riproduzioni fotografiche.

Per cui nel corso dei lavori si sono eseguite delle attente verifiche circa la consistenza del tessuto per ovviare, se possibile, alle operazioni di foderatura. Ciò in considerazione del fatto che è sempre meglio evitare qualsiasi intervento, che non sia strettamente necessario alla conservazione, soprattutto se consideriamo che un dipinto foderato non può più essere conservato senza fodera.

L'intervento di restauro ha avuto inizio con la rimozione dei dipinti dal luogo originario ed al loro trasporto, prima nel laboratorio della Soprintendenza per i Beni Artisti e Storici del Veneto a Verona - in cui si sono eseguite le indagini radiografiche a cura del laboratorio diretto dalla Dott.ssa Gabriella Delfini Filippi con l'operatore Sig. Giorgio Bianconi - e poi nel laboratorio del Corso di restauro dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Un’altra analisi radiografica, è stata eseguita nel laboratorio dell’Accademia di Belle Arti di Venezia sul dipinto raffigurante il Sartori, proprio per ottenere una migliore indicazione tecnica dell’esecuzione.

Qui si è da prima eseguita una attenta documentazione fotografica dello stato di conservazione, con la stesura degli appunti utili a redigere una puntuale relazione.

La ricognizione dello stato conservativo, è poi proseguita con le più tradizionali tecniche diagnostiche.

Venne eseguita la fluorescenza da ultravioletto colore dei dipinti, per individuare le eventuali riprese pittoriche e la loro consistenza organica, con documentazione fotografica delle osservazioni. Una evidente tonalità scura ha confermato la natura di ridipinture di alcune stesure anomale, già precedentemente ipotizzate come tali, sull'opera del Balestra. Sempre la stessa tecnica ha evidenziato, con la particolare fluorescenza giallo chiaro, la notevole quantità di vernice soprammessa alla materia pittorica.

Le analisi preliminari sono proseguite con l'osservazione riflettografica mediante videocamera a frequenza infrarosso dalle selezioni a 715, 850, 1000 nm e con ricezione attiva sino 1100 nm. Questa tecnica consente generalmente di individuare eventuali differenti morfologie ad alto contrasto, sotto pigmentazioni parzialmente trasparenti a tale frequenza. Interessante talvolta è rilevare l'eventuale disegno preparatorio, tuttavia, in questo caso è emerso solamente un maggior dettaglio nel pentimento presente sul braccio teso nella statua del dipinto dello Suhrlandt.

L'intervento vero e proprio ha avuto inizio con un consolidamento localizzato dei singoli distaccamenti delle stratificazioni di preparazione dal supporto di tela, mediante iniezioni di resina acrilica, Plexisol P550, al fine di assicurare in modo efficace le situazioni di più immediato pericolo. In seguito, con lo stesso fine, ma diversa modalità, si è operato una stesura generalizzata, condotta dal recto, di resina naturale, Damar, per ammorbidire e rendere più coese le stratificazioni di preparazione e, quindi, consentire di eseguire le conseguenti prove di tensionamento con maggiore sicurezza.

Assicurate ed ammorbidite le stratificazioni originali, senza aver steso la velinatura per non irrigidire il tutto, si è eseguita una prima prova di tensionamento della tela, controllata con dinamometro e calibro, al fine di verificare la reale necessità dell’intervento di foderatura. Foderatura che, comunque, sarebbe stata eseguita in due distinte modalità - proprio per le diverse caratteristiche tecniche dei due dipinti - ampiamente trattate, ma che fu da subito messa in discussione per la volontà di evitare, per quanto possibile, anche il minimo trauma alla stratificazione pittorica, oltre che l’alterazione della consistenza materiale del verso.

La prova di tensionamento ha evidenziato una discreta capacità della tela originale di sostenere lo sforzo di tensionamento, non avendo dato segno di collasso sino allo sforzo utile per la tenditura, 5000 gr su 20 cm., con una deformazione di 3,25 mm.. Il dipinto dello Suhrlandt ha però dimostrato segni di deformazione eccessiva nelle parti rivoltate, a causa dell’ossidazione delle chiodature che avevano deteriorato la fibra del tessuto, mentre buona era la consistenza dello stesso in tutta la parte centrale. L’opera del Balestra aveva invece due piccole toppe di ispessimento in gesso, ma queste non avevano causato irrigidimenti o tensioni superficiali.

La prova di tensionamento al dipinto del Balestra è stata effettuata dopo l’intervento di pulitura, per la spessa stratificazione di vernice ossidata che irrigidiva notevolmente la stratificazione originale e quindi la avrebbe notevolmente indebolita.

Dato l’esito positivo delle prove di tensionamento, si è ritenuto di soprassedere all’intervento di foderatura, sempre invasivo, e procedere invece con interventi più limitati e circoscritti quali, nel dipinto Suhrlandt, l'applicazione di sole fasce di rinforzo laterali per consentire una corretta fermatura della tenditura.

Sul dipinto dello Suhrlandt si è dunque operata la velinatura del recto con carta giapponese, per assicurare la protezione della stratificazione pigmentata durante le conseguenti operazioni tecniche e si è eseguita l’asportazione della tela dalle strutture di intelaiatura, quindi si sono predisposte delle strisce di tela di lino fitta (simile all’originale, con circa 18 fili ordito/trama x centimetro ed un peso 290 gr/m2), pre-ventivamente impregnata su di un verso con collante "Beva 371" ed applicate con stiratura a temperatura di 50 °C. La scelta del collante è stata fatta in relazione alle migliori caratteristiche di flessibilità e di adesione rispetto i collanti tradizionali, anche in base alla parzialità della operazione che ricordiamo essere limitata ai soli bordi a contatto con il telaio ligneo.

Sempre per evitare la foderatura, si sono "cicatrizzati" gli strappi della tela mediante immissioni materiche localizzate ed aventi analoghe caratteristiche di sezione e meccaniche. Si è quindi operato l’inserimento nel lacero di fibre di lino e resina acrilica (Primal ac 33) addensata con acido poliacrilico (CARBOPOL) portando il tutto a pH neutro.

Nel frattempo venne curata la sistemazione dei telai mediante pulitura della essenza lignea, trattamento antitarlo, consolidamento con polimeri acrilici, sistemazione della estensibilità mediante applicazione di paraffina sulle corsie di scorrimento e realizzazione di nuovi cunei lignei per l'espansione. Poi si è posto nuovamente il dipinto sul telaio e si è curata l'asportazione della velinatura protettiva.

Liberata la superficie dipinta, si è passati ad impostare la pulitura della stessa. Per fare questo si è proceduto con una messa a punto di una tecnica esecutiva che fosse in grado di dare la migliore efficacia con il massimo rispetto della pigmentazione originale, verificando l'esecuzione di piccoli saggi con lo stereoscopio e con la lampada di Wood. Il susseguirsi delle prove relative al Test di Feller(29), hanno evidenziato che la migliore dissoluzione si otteneva con la miscela n. 12; si è quindi condotta la pulitura generale con una soluzione di etanolo (60%) e trementina (40%), il tutto asciugato con cotone e ripassato con trementina. Questa soluzione non è stata ovviamente in grado di rimuovere le ridipinture presenti sul dipinto del Balestra, per le quali non risultava attiva nessuna delle miscele del Test di Feller e per la cui rimozione si è dovuto impiegare una soluzione mista più aggressiva e parzialmente basica (40% etanolo 10% ammoniaca 50% di trementina); il tutto prontamente rimosso con trementina e cotone.

(Figura 14) - Angelo Balestra, Ritratto di G.B.Sartori Canova, Possagno, Istituto Cavanis. Particolare con i saggi di pulitura

A separazione dalla successiva parte integrativa, si è steso sulla stratificazione pigmentata originale una leggera verniciatura a garanzia di buona reversibilità dell'intervento.

La stuccatura delle mancanze di stratificazione preparatoria, è stata realizzata con colletta e gesso di Bologna addizionato ad una minima quantità d'olio di lino.

L'integrazione pittorica delle piccole mancanze ed abrasioni della stratificazione pigmentata, è stata condotta con pigmenti ad acquerello successivamente accordati a vernice. Il tutto è poi terminato con una leggera verniciatura finale onde uniformare il riflesso, con moderazione per non limitare la percezione delle caratteristiche materiche delle opere.

 

Si ringraziano:

- Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Veneto nelle persone dei Soprintendenti, la dott.ssa Filippa Aliberti Gaudioso e la dott.ssa AnnaMaria Spiazzi, nonchè il Direttore, la dott.ssa Gabriella Delfini Filippi, per avere promosso l’iniziativa e per l’estrema perizia ed interesse nel verificare i lavori.

- L’Istituto Cavanis Canova di Possagno, nella persona del Rettore, il Padre Diego Dogliani, per la solerte adesione alla iniziativa.

- L'Accademia di Belle Arti di Venezia nelle persone del Presidente, il Prof.arch. Amerigo Restucci e del Direttore, il Prof. Riccardo Rabagliati, per avere appoggiato l’iniziativa, nonchè tutti gli allievi del Corso di Restauro i quali hanno partecipato con entusiasmo.

 

NOTE:

1) Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori et architettori, Firenze 1550, ed.anast. 19xx, p.xxxx. Espressione usata in merito ad una Circoncisione del Signorelli restaurata dal Sodoma.

2) Francesco Milizia, Dizionario delle belle arti del disegno, Bassano 1717, torno II, p.200

3) Alessandro Conti, Storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte, Milano, 1988, p96. Nel 1672 Carlo Maratta fa eseguire una foderatura sulla Natività della Vergine di Annibale, ora al Louvre.

4) Schaible Volker, Il risanamento del supporto e l'adesione del colore nei dipinti su tela, in "OPD Restauro 5-1993", Firenze, p.30-34

5) Giorgio Bonsanti, Troppi restauratori dalla rintelatura facile, in "Il Giornale dell'Arte", n.125, sett. 1994, p.53.

6) Bonsanti, ibidem.

7) Per dipinti tradizionali intendo, grosso modo, tutti quelli realizzati in Italia sino alla seconda metà del Settecento, caratterizzati da una preparazione flessibile e colorato che ha visto l’impiego di calore e olio sulla tela e che si caratterizzano da microscrepolature; per contro, le successive preparazioni bianche rigide che si caratterizzano da assenza di micro screpolature oppure addivengono a macro screpolature con andamento radiale.

8) Ottorino Nonfarmale, Relazione sull'intervento di restauro, in "La Cena in Emmaus di San Salvador", Venezia, 1999, p.58. Qui è stato utilizzata la resina acrilica caricata con silice micronizzato.

9) Benedetta Fazi e Bruno Vittorini, Nuove tecniche di foderatura: Le tele vaticane di Pietro da Cortona ad Urbino, Firenze 1995. Una foderatura a colla/pasta (perchè:' "garantiva in modo superiore agli altri sistemi un risultato di planarità di superficie" con consolidamento del retro con Plexisol P550 e poi la seconda tela di fodera a beva.

10) En.A.I.P. Veneto, CSF di Dolo, Corso N. 64/C Tipo Spec. 1999/2000 "Restauratore di dipinti su tela e tavola", Corso "biennale" di 280 ore dal 10 febbraio 17 giugno 2000 (Con 112 di Tecnica (64 Mehra e 48 Mensi),, 48 Chimica (Cremonesi) 16 Biologia (Gasperini) 16 Diagnostica (Volpin) 12 Storia Arte (Barbero) 16 Teoria (Althofer) 40 Informatica (Bortolotti) 4 di seminario, 16 di esame)

11) L'illustre chimico bavarese Pettenkofer nel 1864 realizza la prima sperimentazione di pulitura a cassetta su alcuni dipinti della Regia Galleria Nazionale di Londra. Il metodo consisteva in una cassetta ermetica su cui si inseriva il dipinto ed alla cui base era collocato dell'alcool, i vapori alcolici ammorbidivano la vernice procurando la eliminazione dell'imbianchimento dovuto alla rifrazione luminosa sulle superfici dei cretti di vernice. Il Ministero della Pubblica Istruzione già nel 1865 richiede una dimostrazione innanzi ad una commissione, tenuta a Firenze. Nel 1876 il conte Giusumberto Valentinis tiene un corso di "aggiornamento" ministeriale a Venezia dove modifica il metodo prevedendo la applicazione sul dipinto del balsamo di copaive per rendere più duraturo l'effetto e modifica la posizione del dipinto nella cassetta, ponendolo orizzontalmente, proprio per ovviare alla possibilità di movimento della vernice e dei suoi pigmenti. Nel 1887 Pettenkoffer propone un sapone composto di copaive ed ammoniaca proprio per la rimozione di vernici grasse ed untuosità, da usare sulla superficie del dipinto per la pulitura. Il Valentinis propone invece una mista di balsamo di copaive ed alcool. Nel 1891 si tenne l'ultimo corso di "aggiornamento" per la divulgazione del metodo a Venezia e questo finisce in un mare di critiche a seguito della rimozione di un ritocco autografo a vernice nel dipinto di Filippo Zaniberti, La giustizia che scopre la verità, della Quarantina Civil Nova. Così si chiuse il capitolo del metodo Pettenkofer anche se ancora la "Carta del Restauro" di Roma del 1972 si preoccupa ad indicare come provedimento vietato

12) Per la descrizione della tecnica dell'allora metodo di foderatura si veda: Merrifield M.P, Original treatises on the arts of painting, New York 1849, II, p. 876 - in nota 14; (metodo poi aggiornato e perfezionato in >) Giovanni Secco Suardo, Il restauratore dei dipinti, Milano 1866 [4°ed. 1924], pagg.246-286.

Tra le prime foderature conosciute si ricordano: quella del 1672, che Carlo Maratta fa eseguire sulla Natività della Vergine di Annibale, ora al Louvre, (A.Conti Storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte, Milano, 1988, Pag.096); quella del 1683, che Nicola Carioli esegue su di un Davide del Lanfranco per conto dei Chigi. (V.Golzio, Documenti .... nell'archivio Chigi, Roma 1939, p.290) e quella del 1684 che Giambattista Rossi esegue su alcune tele della Sala del Maggior Consiglio in Palzzo Ducale a Venezia. (A.Conti Storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte, Milano, 1988, Pag.096).

Tale foderatura veniva eseguita, previa protezione della pittura con carta applicata con colla di farina, adagiando l'opera riversa su di un terrazzo (quindi un pavimento senza rilievi) mediante l'applicazione della tela con colla di farina, colla di Fiandra e fiele di bue per poi fissare il tutto, per rimuovere le bolle e appianare le imperfezioni, con la stesura di sabbia calda a partire dal centro sino ai bordi del verso.

13) Alessandro Conti, La crisi dell'affresco, in "Storia dell'arte Italiana", p.III, "Situazione momenti indagini", vol.III, "Conservazione, falso, restauro", Torino,1981, p.108 [p.105-108]

14) I campioni sono stati realizzati applicando i vari collanti su due tele di lino greggio tipo pattina avente un peso di 170gr/m2 (riduzione 7x8), e tagliando poi dei fogli di 175x290 mm per l’esecuzione delle prove.

15) Jaqueline Laroche, Maria Vittoria Saccarello, "La foderatura dei dipinti: due tradizioni a confronto", in "Kermes", n° 25, 1996, p. 15; Ricettario colla pasta utilizzata dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Ingredienti: 2,5 l di acqua; 250 g di colletta secca; 1 kg di farina di frumento; 100 g di trementina veneta; 33 g di allume di rocca; 1,5 g di funghicida.

16) Jaqueline Laroche, Maria Vittoria Saccarello, "La foderatura dei dipinti: due tradizioni a confronto", in "Kermes", n° 25, 1996, p. 18; Ricettario colla pasta utilizzata dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Ingredienti: 5,5 l di acqua; 500 g di colla forte; 750 g di farina di grano tipo 00; 750 g di farina di segale; 250 g di farina di lino setacciata; 250 g di melassa trasparente; 250 g di trementina veneta; 150 g di allume di rocca.

17) V. R. Mehra, "Foderatura a freddo", Firenze 1995, p. 71. Ingredienti: Plextol B500 con l’aggiunta dell’1% di Natrosol HHR250, applicata mediante membrana traforata.

18) Gustav A. Berger, "La foderatura, metodologia e tecnica", Firenze 1996, p. 14-15. Il collante è dato, tal quale, dal prodotto commercialmente denominato Beva 371.

19) Horsin Dèon, "De la conservation et de la restauration des Tableaux", Paris 1851. Giovanni Urbani, " Dipinti su tela -1 ", in "Problemi di conservazione", Bologna 1972, pag. 16. Antonio Torresi, "La foderatura dei dipinti in Italia dall’Ottocento al Novecento", Ferrara 1993, pp. 23-24. Ingredienti: 50 parti di cera d'api naturale; 40 parti di resina damar; 30 parti di elemy. (Nella formulazione utilizzata dalla Walters Art Gallery di Baltimora.

20) Temperatura di 25°C e umidità relativa di 72%.

21) La pesatura dei campioni è stata effettuata a 25°C con Bilancia di precisione modello Alessandrini Top Ray gr.160/0,001.

22) Tale misurazione è stata effettuata con calibro digitale da profondità modello Alpa 1118E, ponendo i campioni ad una freccia libera di 20 centimetri mediante il loro appoggio su due elementi lignei rastremati.

23) Misurato con dinamometro di precisione modello Pesola 80005 (5.000/50gr.), modello 80010 (10.000/100gr) e modello 80020 (20.000/200gr), a seconda delle resistenze allo strappo dei vari campioni, separata manualmente le due tele sino a due centimetri dal bordo in modo da fissare due pezzi di legno per tutta la larghezza e su questi fissare il campione, da una parte al dinamometro e dall’altra ad un punto rigido, effettuando uno sforzo parallelo alla lunghezza del campione sino al distacco delle due tele.

24) Il restauro dei dipinti è stato promosso con nota n. 3118 del 27 maggio 1999 dalla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici del Veneto e sono stati da questa autorizzati con nota n. 4363 del 08 ottobre 1999. Le opere sono state ritirate in data 02 dicembre 1999 e sono state riconsegnate all’Istituto il 25 luglio 2000.

25) Giovanni Secco Suardo, Il restauratore dei dipinti, Milano 1866, (edizione del 1927), Trattamento delle tele che si contraggono, pag. 258

26) Giuseppina Perusini, Il restauro dei dipinti e delle sculture lignee, Udine 1994, p.241. ".. nel caso di tele sensibili all’umidità ma per le quali si ritiene più adatta la foderatura a pasta, si può isolare il retro del quadro con una vernice o una resina acrilica ..".

27) Berger A. Gustav, Formulating Adhesives for the Conservation of Paintings, in "Congresso IIC di Lisbona", Lisbona 1972, p.613-628; Berger A. Gustav, Testing Adesives for the Consolidation of Paintings, in "Studies in Conservation", 17, n.4, riv.1975, p.126-151; Bomford D. - Staniforth S., Wax-Resin Lining and Colour Change: An Evalution, in "National Gallery Technical Bulletin, vol.5", Londra 1981, p.058-065; Berger A. Gustav, La foderatura, metodologia e tecnica, Firenze 1992;

28) Mehra Vishwa Raj, Foderatura a freddo, Firenze, 1995

29) Feller Robert L., The Relative Solvent Power Needed to Remove Various Aged Solvent Type Coatings, in "Preprints of the IIC Congress, Lisbon", London, 1972; Cremonesi Paolo, Un approccio più scientifico alla pulitura dei dipinti. Il test di solubilità di Feller, in "Progetto Restauro n.08 - Ott.98", p.038-042