Il restauro dei dipinti su tela in Italia, evoluzione storica e problemi attuali.

Vanni Tiozzo

Accademia di Belle Arti di Venezia, Docente di Restauro. - Dorsoduro 423, 30123 VENEZIA

 

Ó relazione pubblicata in: "Interim meeting: International Conference on Painting Conservation", Universidad Politecnica de Valencia, 2005, pp.233-253

riassunto: La tradizione pittorica è base dell’esperienza di restauro e questa in Italia si è sviluppata con coerente continuità lasciando copiose testimonianze sui procedimenti. Questo contesto ha parzialmente contrastato le novità ma ha consentito un continuo perfezionamento tecnico. Alcune tecniche innovative di foderatura sono certamente consigliabili per ovviare alcuni problemi su un particolari opere ma le tecniche antiche, adeguatamente condotte, presentano un grado di compatibilità e di reversibilità tali da renderne sconsigliabile la sostituzione per una gran parte del patrimonio artistico del nostro paese. Un repentino cambiamento nel processo di formazione dei restauratori ha portato disorientamento nei metodi da impiegare. Il nostro laboratorio di ricerca ha cercato di predisporre alcuni semplici parametri per iniziare a fare dei confronti tra le varie tecniche, soprattutto quelle di foderatura, per cercare di giungere alla definizione dei migliori ambiti applicativi per ciascun metodo.

Keywords: painted cloth, Relining, Wax-resin and Glue-paste Lining.

 

La foderatura, nel più ampio contesto del consolidamento dei dipinti su tela, ha senz'altro un ruolo importantissimo nell'ambito del restauro e la sua funzione consolidante è finalizzata ad ovviare alle deficienze di coesione, nonché di adesione, dello strato di preparazione; ossia di quella parte del dipinto che è maggiormente sollecitata da stress meccanici in quanto risulta interposta tra due strati con caratteristiche fisiche totalmente diverse: lo strato flessibile del tessuto e quello rigido di olio e pigmenti. La preparazione è uno strato nascosto a cui di norma si riserva poca attenzione, fatte salve specialistiche indagini scientifiche, ma che invece ha una grandissima importanza per la conservazione dell'opera.

Anche i trattati di tecniche pittoriche risultano vaghi sull'argomento ed è difficile trovare qualcos'altro oltre la generica indicazione sulla composizione di gesso di Bologna - gesso di Parigi o morto - e colla animale. Le scarse informazioni aggiuntive sono per lo più contrastanti e quindi denotano una certa approssimazione su di un argomento che probabilmente doveva essere custodito con gelosa riservatezza in botteghe esterne allo stesso atelier dell'artista.

Un tale Giacomo Concolo, pittore a San Polo, nel 1739 fu pagato per la preparazione della tela poi dipinta da Gian Battista Tiepolo, con la Madonna con le Sante Caterina, Rosa con il Bambino e Agnese, per la Chiesa dei Gesuati a Venezia.(1) Sempre Paolo Bensi ci assicura che "le tele veneziane del Settecento erano quasi sempre preparate con il "bolo veneziano", di colore variante dal rosso aranciato al bruno rossiccio, che, al contrario del bolo posto nelle tavole medievali sotto le dorature, contiene non solo terre ricche di ossidi di ferro bensì anche biacca e molto spesso minio (ossido di piombo arancione) e nero carbonioso, con legante oleoso: l’impasto è generalmente grossolano e granuloso. Si tratta di una variante delle preparazioni seicentesche scure caratterizzata dalla presenza del minio, che impartisce particolari proprietà ottiche e di essiccamento: i primi esempi sinora noti sono Il Buon Samaritano di Jacopo Bassano (Londra, National Gallery) e La resurrezione di Lazzaro di Leandro Bassano (Venezia, Gallerie dell’Accademia). Se ci rifacciamo alle scarse indicazioni della trattatistica, notiamo come alla fine del XVII secolo il Volpato descriva impasti di terra rossa e terra d’ombra con creta bianca e olio di lino crudo o bollito, mentre in area fiamminga il de Mayerne cita preparazioni a base di minio, ma le sconsiglia. In ogni caso bolo veneziano contenente minio è stato riscontrato in opere di Sebastiano Ricci, Pellegrini, Bencovich, Piazzetta, Tiepolo, Canaletto, Francesco Guardi, nonché di Alessandro Magnasco, legato all’ambiente veneziano tramite il Ricci; strati preparatori analoghi compaiono anche in dipinti francesi del Settecento".(2)

Nel corso della nostra attività ci siamo abituati a riscontrare nelle opere pittoriche dell'area veneta preparazioni molto simili sino ad un determinato momento storico; talvolta più brune, talvolta più rossastre, tuttavia sempre caratterizzate da porosità e flessibilità, proprio come quelle impiegate da Giambattista Tiepolo già descritte. Nel corso di un'intervento di restauro abbiamo personalmente verificato, proprio in un dipinto di Giambattista Tiepolo, la presenza di una stesura di olio siccativo (probabilmente Olio di Lino), utilizzata per l'impermeabilizzazione della tela, seguita da un sottile strato di preparazione rossastra. Tale strato è risultato essere costituito da un miscuglio di Ocra Rossa, Ocra Gialla, poca Biacca e Bianco San Giovanni con poco Nero Carbone, il tutto unito da un legante proteico, quale una Colla Animale e olio siccativo.(3)

Questo genere di preparazioni si caratterizzano per modesti problemi conservativi che sono sempre stati tranquillamente ovviati con i procedimenti tradizionali di foderatura; queste stratificazioni sembrano infatti in grado di assicurare un buon equilibrio delle tensioni dei vari materiali al variare delle condizioni ambientali, e ciò sembra essere confermato anche da alcuni dati delle sperimentazioni di Mecklenburg. L'aumento dell'umidità ambientale porta al restringimento della tela per il rigonfiamento del filato mentre lo strato di colla, particolarmente cedevole in queste condizioni, non oppone resistenza e non aumenta lo stress fisico e meccanico dell'insieme. Viceversa, quando il tessuto si allenta per la diminuzione dell'umidità il collante oppone resistenza diminuendo le deformazioni cicliche.(4)

Sembrerebbe non sufficientemente valutata la variazione di caratteristiche della stratificazione preparatoria per l'eventuale presenza di olio. La presenza di questo materiale nella preparazione è sempre stata discussa così come il suo miglior grado di assorbimento per la migliore esecuzione pittorica.

"A questo proposito é lecito porsi una domanda importante: la preparazione era o non era assorbente?" Questa semplice domanda è posta da Eastlake per produrre alcune risposte approssimative e scarsamente documentate anche se argomentate con condivisibili osservazioni.(5)

Nel nostro laboratorio si è quindi ritenuto opportuno effettuare una semplice sperimentazione su alcuni modelli di preparazioni approntati con delle macroscopiche differenze di composizione proprio per cercare qualche indizio in merito a questo intricato problema su cui le analisi scientifiche sembrano trovare scarso successo a causa della complessità del composto, il suo invecchiamento, nonché per le innumerevoli interferenze materiche di restauro. Da queste semplici prove si è constatato in modo inequivocabile che la presenza di olio nell'impasto porta ad una notevole stabilizzazione della stratificazione nelle deformazioni sotto sforzo, anche una modesta presenza dello 3,5% è in grado di migliorare le caratteristiche di stabilità di oltre il 50%.(6)

Le caratteristiche meccaniche di questi semplici e diffusi materiali dovrebbero essere state conosciute sin dal tempo della messa a punto della tecnica pittorica ad olio e l'impiego di quest'ultimo nell'impasto della preparazione dovrebbe essere quindi quasi scontato. Anche la consuetudine di applicare ai dipinti soluzioni a base d'olio - beveroni -, in uso nel Settecento per migliorare le caratteristiche meccaniche delle opere, dovrebbe essere testimonianza di questa conoscenza di massima. L'esperienza ci ha insegnato però che la quantità eccessiva d'olio porta a gravi problemi di conservazione per l'iscurimento della superficie e la eccessiva rigidità dell'insieme delle stratificazioni.(7)

Anche non conoscendo appieno i segreti di questo misterioso strato nascosto, così importante per la conservazione dell'opera d'arte, è evidente l'utilità di cercare alcune macroscopiche omogeneità, in mezzo a tante differenziazioni poco percepibili, di cui tenere debito conto nel processo di restauro.

Un indizio prezioso circa una macroscopica differenza nelle preparazioni dei dipinti ci giunge da un manoscritto di Antonio Canova dove egli parla esplicitamente del disagio di dipingere sulle tele che nel 1799 trovava a Possagno, quando si era qui ritirato per i disordini in corso a Roma. Dalle parole di Canova si evince chiaramente che vi era una enorme differenza tecnica tra le tele preparate che si trovavano nella provincia veneta ancora ai primi dell'Ottocento, colorate ed assorbenti, e le tele bianche e poco assorbenti che allora si trovavano nella capitale pontificia.(8)

In Italia questo tipo di preparazione bianca, particolarmente poco assorbente e rigida, si riscontra soprattutto nei dipinti su tela dopo l'avvento del Neoclassicismo, questa differenziazione tecnica si combina generalmente con questa istanza estetica, rende infatti più freddi e squillanti i colori, ma alla sua diffusione ebbe buon ruolo anche la riforma napoleonica delle Accademie con la quale prese grande spazio lo studio del disegno a scapito delle varie "scuole" di tecnica pittorica, per tutto ciò risultò particolarmente utile la preparazione bianca.

La differenza di materiali nelle preparazioni dei dipinti su tela tra opere prima del Neoclassico e dopo Neoclassico sono oggi tutt'altro che ben individuate, tuttavia è opinione diffusa che le preparazioni bianche siano decisamente più cariche di colla e soprattutto di biacca, un materiale che ebbe considerevole diffusione con l'inizio della sua produzione industriale ed a cui veniva riconosciuto il pregio di "formare quasi istantaneamente con gli acidi grassi degli olii dei saponi di piombo che danno alla pellicola di pittura le qualità eccezionali di solidità ed impermeabilità che la rendono così pregiata."9 Questa opinione prende indizio nel grande incremento di peso delle preparazioni bianche rispetto a quelle colorate; inoltre la morfologia del degrado si differenzia notevolmente tra i due tipi evidenziandosi in ampie scaglie arcuate e compatte in quelle bianche mentre piccole scaglie friabili in quelle colorate; inoltre il sistema "tela-preparazione" nei dipinti con preparazione bianca dimostra una elevata instabilità in seguito all'assorbimento idrico. Alcuni dati del lavoro di Mecklenburg evidenziano la grande differenza di comportamento tra un inerte di "terra d'ombra" ed uno di "biacca" con il variare dell'umidità: il primo quasi in linea con il legante di colla animale mentre il secondo con valori talmente contrastanti, rispetto allo stesso collante, da innescare deformazioni traumatiche.(10)

Queste deformazioni sono pericolosissime in quanto il tessuto di supporto quando prende contatto con l'acqua diminuisce le dimensioni e queste preparazioni, particolarmente poco elastiche e scarsamente sensibili alle variazioni dell'umidità, sono costrette a screpolature e sollevamenti con danni talvolta irreparabili.

Il problema di una tela che si restringe in modo incoerente con la preparazione era ben conosciuto già nell'Ottocento e Secco Suardo metteva bene in guardia il restauratore circa questa probabilità: "ma se la tela si contrae, se la mestica si riduce a squame o si polverizza, addio dipinto!... L’affare è fatto, e fatto per sempre.". Egli allora suggeriva di sfibrare la tela raspando la parte superiore del tessuto in modo da evitare la naturale deformazione del tessuto e quindi evitare la deformazione dello strato di preparazione che non era in grado di seguire tale deformazione; non prevedeva la impermeabilizzazione con resine naturali - come verrà poi suggerito nel Novecento - per la loro scarsa igroscopicità e quindi la difficoltà di aderire con collanti ad acqua, gli unici che prendeva in considerazione.(11)

I collanti ad acqua, i cosiddetti "colla e pasta", non venivano allora messi in discussione nel processo di foderatura proprio perché avevano raggiunto un elevatissimo grado di ottimizzazione del risultato. Per rendersi conto di tale grado di perfezionamento è opportuno non ignorare quanti dipinti siano stati ripetutamente oggetto di questa metodologia d'intervento ed a ciò aggiungiamo le parole del nobile bergamasco: Coloro che non sanno dell’arte nostra si spaventano al vedere certe tele sì deboli, tutte sdruscite, e tal volta anche infracidite per modo, che conviene maneggiarle con grande riguardo per non isfondarle, dalle quali pare che il colore minacci di cadere a minuzzoli: eppure esse devonsi annoverare fra quelle la di cui foderatura presenta minori difficoltà e pericoli, per la già adotta ragione che il nemico della foderatura è la forza, non già la debolezza.(12)

La foderatura in Italia si è tradizionalmente sviluppata sin dal Seicento, senza soluzione di continuità, mediante l'impiego composito di due tipi di collanti, uno forte, la "colletta", con funzione consolidante, ed uno debole, la "colla di pasta", con funzione di adesivo per la nuova tela.(13),(14)

Sino agli inizi dell'Ottocento l'adesione e il consolidamento era poi perfezionato con il calore e la pressione ottenuta mediante la stesura di sabbia calda sul verso della tela di rifodero ottenendo così una equilibrata distribuzione dello sforzo ed il rispetto dei rilievi pittorici, dalla metà dell'Ottocento si è poi passati all'utilizzo del ferro da stiro, con una evidente facilitazione per l'operatore, ma anche con i rischi che comporta l'impiego di una fonte di calore concentrata. Nella seconda metà del Novecento per questa funzione si è introdotto l'impiego della tavola calda a bassa pressione.

La differenza delle caratteristiche fisiche e meccaniche dei due diversi composti della foderatura a "colla e pasta", qualora ben comprese, possono portare a smisurate variazioni in ragione delle caratteristiche dell'opera e del suo degrado. In questo schema si riporta la composizione di alcune ricette di "colletta" e di "colla di pasta" che evidenzia l'estrema differenza tra quelle pubblicate e per facilitarne la comprensione si calcola la percentuale dei composti in base al peso delle varie parti.(15)

Il metodo di foderatura "colla e pasta" doveva essere sufficientemente noto da tempo anche nell'oltralpe se Jean-Baptiste Le Brun nel 1794 divise le tecniche di conservazione dei dipinti in tre classi economiche: 1. la comune foderatura a "colla e pasta" (un franco a palmo); 2. la foderatura a olio e biacca o marouflage (tre franchi e mezzo a palmo); 3. il trasporto del film pittorico (dieci franchi a palmo).(16) Tuttavia il metodo non dovrebbe essere stato sufficientemente diffuso e compreso se ancora ai nostri giorni nell'oltralpe si confonde la "colletta" con la "colla di pasta" così come si rileva in Knut.(17)

In questo contesto di approssimazione potrebbe essere più che plausibile una certa sottovalutazione del problema della putrescenza dei materiali organici nella loro fase liquida, e quindi diverrebbe anche comprensibile come nella letteratura straniera vi sia una esaltazione del problema della putrescenza nelle foderature a "colla e pasta". La putrescenza è infatti l’argomento più utilizzato per indicare i limiti di questo metodo tradizionale, a mio dire sottovalutando come la stessa opera possa rimanere danneggiata in presenza di condizioni tali da provocare questo fenomeno a prescindere dai materiali di foderatura, ovviamente tutto ciò a patto che i collanti organici siano applicati correttamente, cioè non in fase di putrescenza.(18)

La pretestuosità di questa riserva circa la foderatura a "colla e pasta" dovrebbe essere offerta dalle numerosissime fodere applicate con tale metodologia e rinnovate da secoli senza particolari problemi, oltretutto vi sono alcuni casi particolarmente significativi in termini di durata, quali la foderatura del 1783 sul Busati, S. Marco fra S. Andrea e S. Francesco, dei depositi delle Gallerie dell'Accademia, rimasta per 212 anni senza controindicazioni sino all’ultimo restauro del 1995. Ma anche da una foderatura analoga, con evidenti caratteristiche tracce di sabbia, su una tela dell'ambito del Maganza, Donna con monili, del Civico Museo di Vicenza. Questa foderatura è ancora in buono stato nonostante evidenziasse inequivocabili segni di ampie percolazioni d'acqua che avrebbero ben potuto degenerare le stratificazioni, viceversa non presentava problemi particolari tanto è stata conservata anche nell'ultimo intervento di restauro eseguito dal nostro laboratorio nell'A.A.2000-01.

Il dibattito sulla putrescenza dei materiali della foderatura a "colla e pasta", quindi anche il diffondersi delle foderature con caratteristiche idrorepellenti, è probabilmente viziato anche da quella corrente di pensiero che vorrebbe "migliorare" l’opera d’arte rendendola eterna così come lo stesso Volker Schaible ipotizza mettendo in relazione tale tendenza con la smisurata fortuna dei "trasportatori" francesi di primo Ottocento: "Il fine di questo genere di trattamento è chiaro: bisognava rendere la delicata struttura originale di un dipinto invecchiato, "resistente all’acqua e ai fattori climatici". Qui ritroviamo di nuovo il desiderio nascosto di una eterna conservazione dell’opera d’arte".(19)

Nella seconda metà del secolo appena trascorso gli interrogativi sulle foderature idrorepellenti o non idrorepellenti si erano sviluppati in un dibattito di così vivace antagonismo che: ".. durante il congresso ICOM del 1975 a Venezia .… si è pensato che la cosa migliore fosse una pausa di meditazione, rimandando di tre anni qualsiasi intervento di foderatura. Questo intervallo naturalmente non è stato osservato,…. Spesso si è discusso se fosse un bene o un male l’assunzione delle materie sintetiche nell’ambito del restauro. La risposta a questa domanda si potrà trovare solo nel XXI secolo".(20)

Da una generale lettura degli scritti relativi a questo dibattito si può probabilmente rilevare un evidente squilibrio tra le due fazioni, molto numerose quelle nordiche ed anglosassoni e così poche, nonché tecnicamente poco esaustive, quelle italiane e mediterranee in genere.

Numerose sono infatti le pubblicazioni illustranti nuove metodologie di foderatura ma molte di queste non sembrano valutare adeguatamente i rischi relativi alle alterazioni dei nuovi materiali e soprattutto sono per lo più autoreferenziali. In Italia queste metodologie sembrano inserirsi in un contesto di confusa e passiva assimilazione, forse per una certa carenza di conoscenze tecniche nella nostra dirigenza oppure per un semplice complesso di provincialismo, fatto è che anche in Italia si è diffuso l’impiego di queste metodologie innovative probabilmente senza una adeguata comparazione: È così che anche da noi, assai precocemente si e posto attenzione alle ricerche dell’austriaco Gustav Berger operante negli Stati Uniti, l’inventore del Beva, adesivo diffusissimo nel restauro, o dell’indiano W. R. Mehra, che lavora in Olanda.(21)

Questo atteggiamento diplomatico, decisamente poco critico, ha inevitabilmente avuto gravi conseguenze nella operatività italiana, soprattutto in quegli ambienti che hanno confuso le utili "ricerche" con la improvvida sostituzione delle metodologie d’intervento o, ancor peggio, laddove questa sostituzione è stata intesa come distinzione professionale; metodologie sperimentate per specifiche situazioni divengono quindi tema di corsi formativi con il fine di diffondere indiscriminatamente le nuove tecniche di foderatura.(22),(23),(24),(25).

Importante dovrebbe essere invece cercare di comprendere meglio le varie caratteristiche fisiche dei materiali impiegati nei sistemi di foderatura

Con l'intento di comprendere meglio le differenze dei vari adesivi impiegati nella foderatura il gabinetto di restauro dell'Accademia veneziana ha intrapreso l'anno scorso una serie di prove su campioni simulanti alcune tecniche di foderatura per cercare di individuare in ciascuna le migliori situazioni di impiego; possibilmente non in funzione delle abitudini dell'operatore ma delle caratteristiche dell'opera da trattare.26 I collanti analizzati sono stati cinque: due varianti di "colla e pasta";(27) quella a freddo;(28) il Beva;(29) la Cera-resina.(30) In questi campioni si è ignorato la differenziazione dei tessuti che i vari metodi prevederebbero per fare risaltare maggiormente le caratteristiche del matariale di incollaggio. Le prove eseguite sui campioni si sono volutamente condotte senza variabili termo-igrometriche per ottenere risultati semplici, alla portata dei mezzi di rilevazione che si avevano a disposizione.(31) Le prove sui campioni sono consistite dapprima al rilevamento dell’incremento di peso del collante, in quanto elemento di sforzo fisico sull’insieme dell’ipotetica opera.(32) Successivamente si è effettuato una prova di flessione dell’insieme costituito dalla doppia tela e dal collante per verificare l’alterazione delle caratteristiche fisico-meccaniche.(33) Infine si è eseguita una prova di resistenza alla separazione delle tele da fodero per verificare la differente difficoltà nella fase di rimozione.(34)

Dai risultati dei nostri esperimenti, in realtà non certo conclusivi, si è riscontrato in generale un buon comportamento della "colla e pasta" e del Beva sia in termini di flessibilità che di peso ma soprattutto in termini di facilità nella rimozione della fodera, tuttavia il primo, contrariamente al secondo, ha la caratteristica di non isolare il verso del dipinto. Il mancato isolamento del verso, elemento di cui non siamo ancora riusciti a dare delle quantificazioni oggettive, è un fattore della cui importanza siamo profondamente convinti per la corretta conservazione di una gran parte di opere, ossia di tutte quelle che precedentemente abbiamo indicato con l'essere eseguite, in Italia, prima del Neoclassicismo.

Nei dipinti precedenti alla seconda metà del Settecento, in Italia decisamente maggioritari rispetto ai successivi, risulta quasi intuitiva l'importanza della applicazione ciclica della "colletta", ossia di un collante a base dello stesso legante della preparazione del dipinto e quindi molto compatibile con il contesto applicativo. Questo materiale inoltre migliora le sue prestazioni grazie al contemporaneo uso di due materiali non termoplastici a "sandwich": la colla di pasta e le carte di velinatura. La successiva applicazione del calore nel processo di foderatura porta questo collante a penetrare in profondità nella preparazione da consolidare. L'adesione della tela di rifodero con un collante debole quale la "colla di farina" consente poi una facile rimozione e quindi una buona reversibilità dell'intervento.

Viceversa in tutte quelle opere che abbiamo indicato grosso modo come eseguite dopo il Neoclassicismo, caratterizzate dalla preparazione bianca, è evidente l'utilità di un metodo di coesione ed adesione che renda impermeabile il verso del dipinto così come avviene con il metodo a Beva. Il metodo a cera non sembra avere nessuna utilità, ma anche scarsa utilizzazione, mentre il metodo a freddo sembrerebbe presentare rischi dovuti alla distribuzione del collante nella rimozione della tela oltre che vedere, comunque, una utilità legata ai casi di dipinti con tele strappate che non presentino problemi di coesione della stratificazione di preparazione; ossia le sole opere contemporanee.

Nella valutazione generale dei vari metodi è poi opportuno valutare adeguatamente anche la affidabilità dei materiali impiegati, uno con una casistica d'impiego più che secolare, gli altri due con una casistica di soli alcuni decenni.

In merito al più generale problema sulla l'introduzione di nuovi materiali nell'attività di restauro vale la pena di ricordare il quesito accademico del 1812, "Dissertazione accademica sul quesito se si debbano ristaurare le antiche danneggiate pitture", dove si evidenzia il problema del differenziale d’alterazione tra materiali originali ed integrativi in modo più pressante della stessa attenzione filologica per la percezione dell’opera originaria.(35) Ponderare gli immediati effetti positivi dell'intervento con le controindicazioni dovute all'alterazione dei materiali impiegati ha probabili radici nello stesso pensiero Cinquecentesco e la stessa celebre frase di Vasari - "Sarebbe meglio tenersi le cose fatte da uomini eccellenti piuttosto mezzo guaste che farle ritoccare a chi sa meno" -(36) potrebbe essere letta anche in funzione degli aspetti tecnici e non solo in merito estetico-artistico se solo la inquadriamo nella consapevolezza di allora circa i problemi di alterazione dei materiali pittorici così come è drammaticamente testimoniato da questa espressione di primo Settecento: "Che l’autore ritocchi la sua opera ancora fresca per correggerla e per accordarla è un dovere, ma metter mano nelle opere altrui insigni alterate dal tempo è un deformarle, il che è peggio che distruggerle. Un quadro disaccordato e guasto dagli anni sia ritoccato da mano esperta, per un momento farà buona comparsa, ma di lì a poco diverrà peggio di prima perché le nuove tinte cambiano e discordano colle vecchie. Si ricorre perciò a un altro medico che promette più miracoli quanto più è ignorante, costui applica nuovi topici, e indi a poco l’ammalato peggiora. Eccoci al ciarlatano il quale spietatamente scoria, impiastra, strofina, raschia, lava, rimpiastra, invernicia, e addio quadro, questa bell’arte ha fatto progressi in ragione della decadenza delle belle arti".(37) Una visione catastrofica, non certo condivisibile, tuttavia è una utile riflessione sulla percezione della alterazione dei materiali, siano essi ritocchi, ….. per mano esperta, o impregnazioni, ……. per mano di ciarlatano.

Oggi in Italia si parla molto di "minimo intervento" nel campo del restauro, questo è molto importante perché consente di prendere nuovamente consapevolezza di quell'importante atteggiamento etico che in passato abbiamo visto testimoniato in più occasioni e che dovrebbe essere sempre importante riferimento nell'attività del restauratore.

Eseguire sull’opera d'arte solamente ciò che è strettamente indispensabile alla sua immediata conservazione e lettura, in contrapposizione alla routine che vorrebbe l’esecuzione di qualsiasi intervento privo di immediate controindicazioni, è una preoccupazione da tempo presente nelle accademie anche se questa istanza, oggi, risulta tutt'altro che scontata soprattutto per gli innumerevoli ambiti che convergono nell'attività di restauro.

L'assopimento di questo riferimento etico non potrà essere certo riferito ad una scarsa attenzione critica o filologica nella gestione dei restauri, da decenni diretti da valenti critici, semmai si potrà ricondurlo ad una certa imprecisione nella conoscenza delle tecniche artistiche da parte dei nuovi restauratori, una conoscenza che sarebbe bene non confondere con la conoscenza chimica dei componenti, parimenti a quanto avviene nel settore umano dove non si confonde l'attività dell'analista con la medicina e la chirurgia. A tale proposito si ritengono significative alcune tristi parole di Alessandro Conti, "Verso il 1960 inizia il momento più critico che il restauro abbia mai attraversato, tecnicamente, da quando si sostituì a semplici pratiche di manutenzione e adattamento: le industrie chimiche sollecitano l’adozione dei loro materiali sintetici; la tecnica ed il comportamento dei materiali antichi sono sempre meno noti, sia ai restauratori (che raramente hanno ormai una formazione di artista) che ad ispettori e direttori lavori, sui quali grava spesso disprezzo idealista per la manualità e per la materialità dell’opera d’arte (rispetto all’immagine se non alla fotografia da cui si fanno le attribuzioni); inoltre, come tutti, sono bombardati da assuefazioni ed immagini diffuse dai mass media".(38)

Anche la foderatura non può quindi essere esonerata da una attenta valutazione circa le ripercussioni sulla conservazione dell'opera e non solo su quelle più immediate. La nostra attenzione non dovrà quindi concludersi nel preservare i rilievi pittorici e le giunture delle tele ma dovrà espandersi alla valutazione degli effetti dei materiali d'intervento in relazione del contesto materico dell'opera e della loro alterazione; questa valutazione dovrebbe poi essere tanto più meticolosa quanto più recente è l'introduzione del materiale nella più generale attività di restauro.

Lo stesso intervento che visivamente risulta meno invasivo potrebbe infatti dimostrarsi significativo nelle sue ripercussioni sulla conservazione dell'opera. Questo dubbio ci è stato suggerito recentemente dallo stesso Winfried Heiber, il quale ha verificato attentamente le lesioni generate sulla pellicola pittorica dalla trazione necessaria per la messa in posa della tela da "cicatrizzare" nel lacero. Queste lesioni diverranno poi nuove crettature e si andranno ad aggiungere alle vecchie che non si erano allargate in quanto irrigidite dai collanti e dalle vernici di restauro.(39)

Continuare ad approfondire le conoscenze sulle differenze tecniche nelle preparazioni delle varie opere d’arte è dunque importante per mettere a punto i migliori materiali e le migliori modalità applicative nel processo della conservazione dei dipinti su tela. In questo contesto è quanto mai opportuno evitare visioni semplicistiche come, ad esempio, quella esposta da Eastlake: "Probabilmente, l'unico processo tecnico sopravvissuto inalterato sin dalla remota antichità è il metodo di porre le preparazioni su legno o su altre superfici".(40) E' tuttavia altrettanto opportuno evitare visioni altrettanto generiche ed improduttive quali quelle per cui ogni caso è un caso a se'.

A questo punto dovrebbe risultare evidente come il minimo intervento non possa essere considerato necessariamente quello meno appariscente o quello con meno materia applicata, sarà invece sinonimo di un autentico atteggiamento etico che il restauratore dovrà sviluppare. In questo senso si è infatti convenuti nel recente convegno di Genova: "II minimo intervento è quindi da intendersi soprattutto quale atteggiamento etico basato sulla responsabilità e sul rispetto, e non necessariamente quale operazione 'di minima'." (41) Date le attuali condizioni professionali del restauro in Italia c'è il rischio che questo auspicato nuovo atteggiamento si basi solamente su conoscenze chimiche o di critica d'arte; mancando un riconoscimento di pari dignità alle conoscenze di tecnica artistica potrebbe accadere che questa aspirazione di sviluppo metodologico sfumi in un vacuo slogan.

Note:

1 Bensi, P., Una freschezza e leggiadria indicibile di pennello: procedimenti esecutivi nelle opere su tela di Giambattista Tiepolo, in Ricerche di Storia dell'Arte, n.51, Roma, 1993, pp. 31-39.

2 Paolo Bensi, ibidem, 1993, pp. 31-32.

3 Gian Battista Tiepolo Il miracolo di S.Antonio, olio su tela cm.270x180, Duomo di San Michele Arcangelo in Mirano (VE), analisi chimiche effettuate dal dott. Pietro Rosanò, T.S.A. srl in Padova, in occasione del restauro effettuato nel 1995 dalla ditta Vanni Tiozzo & C. S.a.S. di Mira (VE).

4 Mecklenburg M.F. Tumosa C.S., Mechanical behaviour of painting subjected to changes in temperature and relative humidity, in Art in Transit: studies in the trasport of painting, Washington DC, National Gallery of Art, 1991, pp.173-216; dati tratti da Iaccarino Idelson, A. e Capriotti, G., Tensionamento dei dipinti su tela. La ricerca del valore di tensionamento, Firenze 2004, pp.22-23.

5 Lock Eastlake, C., Materials for a History of Oil Painting, Londra 1847 [ed. italiana (a cura di Pieluigi Carofano) Pittura a olio, Vicenza 1999], p.303, ma sull'argomento è utile consultare anche le p.293, 298-300, 303-306, 323, 381.

6 I campioni sono stati realizzati in formato di cm.10x15 applicando su una tela di lino greggio, "pattina", i materiali che sono stati pesati a 23°C con bilancia di precisione modello Alessandrini Top Ray gr.160/0,001. I campioni sono stati sottoposti ad uno sforzo di trazione di 5 Kg (0,5 Kg/cm = 4,9N/cm) misurato con dinamometro di precisione modello Pesola 80005 (5.000/50gr.). La misura della deformazione è stata effettuata con calibri digitali modello ALPA 1110ED (digitale, lettura 0,01mm corsa 500mm con becchi da 90mm). Si ringrazia Cristina Nordio per la realizzazione delle prove.

7 Secco Suardo, G., Il restauratore dei dipinti, Milano 1866, '4°ed. 1927, p.264-265: "Beverone, sotto il quale nome intendesi un empiastro, composto di olio, grasso animale, e sostanze resinose o bituminose, che un cerretano francese portò fra noi allo scadere del secolo passato, vantandolo come un gran segreto per far rivivire … ben presto i troppo creduli proprietari si accorsero dell'inganno, perchè, passato quell'effimero bagliore, quei miseri quadri divennero tutti neri e deformati".

8 "Abbozzo di Biografia 1804-1805", in Antonio Canova. Scritti, I, a cura di Honour, H., Roma 1994, pag. 310: "Le tele di questi quadri sono senza la necessaria biacca, imprimitura, non potendosi allora averne in que' paesi di così preparate, mancanza per cui venendo assorbiti i colori, non senza gran fatica e studio si può ottener quella trasparente vivacità che tanto si ottiene mediante la consueta preparazione".

9 Cuppini, U., Trattato generale sulle pitture e vernici naturali e sintetiche, Hoepli - Milano, 1949, p.46 [voce: Biacca, pp. 42-46].

10 Mecklenburg M.F. Tumosa C.S., Mechanical behaviour of painting subjected to changes in temperature and relative humidity, in Art in Transit: studies in the trasport of painting, Washington DC, National Gallery of Art, 1991, pp.173-216; dati tratti da Iaccarino Idelson, A. e Capriotti, G., Tensionamento dei dipinti su tela. La ricerca del valore di tensionamento, Firenze 2004, pp.22-23.

11 Secco Suardo, G., Il restauratore dei dipinti, Milano 1866, [4°ed 1927], p.257-258.

12 Secco Suardo, G., ibidem, p.265-266.

13 Tra le prime foderature conosciute si ricordano: quella del 1672, che Carlo Maratta fa eseguire sulla Natività della Vergine di Annibale, ora al Louvre, (A.Conti Storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte, Milano, 1988, Pag.096); quella del 1683, che Nicola Carioli esegue su di un Davide del Lanfranco per conto dei Chigi. (Golzio, V., Documenti .... nell'archivio Chigi, Roma 1939, p.290) e quella del 1684 che Giambattista Rossi esegue su alcune tele della Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale a Venezia. (Conti, A., Storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte, Milano, 1988, p. 96).

14 Per la descrizione della tecnica del metodo antico della foderatura mediterranea si veda: Merrifield, M.P., Original treatises on the arts of painting, New York 1849, II, p. 876 - in nota 14; Tranquilli, G., Aspetti tecnici dell'attività di Pietro Edwards: metodologia di intervento e materiali utilizzati per il restauro dei dipinti su tela, in Bollettino D'Arte, n.96-97, Ist.Polig.Stato - Roma, 1996, p.173-188; (metodo poi aggiornato e perfezionato in >) Secco Suardo, G., Il restauratore dei dipinti, Milano 1866 [4°ed. 1924], pagg.246-286.

15 Le ricette sono tratte: - per la "Colletta" da: [Suardo] Secco Suardo, G., Il restauratore dei dipinti, Milano 1894 (4°ed. 1927), pag.300, "ricetta n.8 Colletta per assodare la pittura" [quantità espressa in parti e la percentuale è calcolata dopo la verifica del peso, l'aceto sarebbe qui indicato per fini conservativi e viene indicato di aggiungere ancora acqua sino alla densità del latte, si prescrive di aggiungere 1 parte di fiele di bue che notoriamente serve per aderire meglio su superfici grasse], [la stessa ricetta è riportata da: Piva, G., L'Arte del Restauro, Milano, 1° 1961 (3° ed. 1984), pag.276, ricetta n.17]; [ICR 1] Laroche, J. e Saccarello, M.V., La foderatura dei dipinti: due tradizioni a confronto, in Kermes, 25, 1996, p.11-24 (p.15); [ICR 2] Perusini, G., Il restauro dei dipinti e delle sculture lignee, 1994, p.240-241, nota 59; [OPD] Laroche, Saccarello, ibidem, p.11-24 (p.18); [Baroni] Baroni, S., Restauro e conservazione dei dipinti. Manuale pratico, Milano 1992, p.57 [l'autore riferisce essere ricavata dall'ICR]; [Tiozzo] Tiozzo, C.B., L'arte antica ed il suo restauro, Venezia, 1978, P.97 [+ 5 gr. Fiele di bue, + qualche goccia di fenolo]; [Alliata] Alliata di Villafranca, C., Restauro dei dipinti e tecniche pittoriche. Teoria dei procedimenti operativi, Palermo, 1996, p.239, ric.1; - per la "Colla pasta" da: [Suardo] Secco Suardo, ibidem, pag.302-303, "ricetta n.12 Colla da Foderatore in parti" [quantità espressa in parti e la percentuale è calcolata dopo la verifica del peso] , [la stessa ricetta è riportata da: Piva, ibidem, pag.279-280, ricetta n.21]; [ICR 1] Laroche, Saccarello, ibidem, p.11-24 (p.15); [ICR 2] Perusini, ibidem, p.240, nota 58; [OPD] Laroche, Saccarello, ibidem, p.11-24 (p.18-19); [Baroni] Baroni, ibidem, p.62; [Knut] Knut, N., Il restauro dei dipinti, Konemann, Koln, 1998 (Handbuch der Gemalderestaurierung) (2001 ed.Italiana), pp.123-141, [attenzione l'autore confonde "colletta" con "colla pasta", pag.123]; [Tiozzo] Tiozzo, ibidem, p.97-98 ["Alcuni aggiungono alla colla di pasta della melassa, altri anche della colla forte o della colletta."]; [Alliata] Alliata di Villafranca, ibidem, p.242, ric.8 "Colla-pasta romana" [la ricetta n.7 "colla-pasta fiorentina", è eguale alla ricetta riportata per OPD da Laroche, Saccarello].

16 Le Brun, J.B., Réflexions sur le Musée National, Paris 1794, tratto da Emile-Màle, G., Jean Baptiste Lebrun (1748-1813). Son ròle dans l’histoire de la restauration des tableaux en France, Mémoires de la Fédération des soc. hist. et arch. de Paris et de l’Ile-de-France, 1956, vol. 8, pp.311-417, vedi Volker Schaible, Il risanamento del supporto e l'adesione del colore nei dipinti su tela, in OPD Restauro,n.5, 1993, Firenze, p.30.

17 Knut, N., Il restauro dei dipinti, Konemann, Koln, 1998 (Handbuch der Gemalderestaurierung), (2001 ed.Italiana), pp.123-141. Attenzione l'autore confonde "colletta" con "colla pasta", pag.123.

18 Tonolo, A. e Giacobini, C., Importanza dell'umidità relativa per lo sviluppo di microrganismi nei dipinti su tela, in Bollettino Istituto Centrale del Restauro, n.36, 1958, pp.191-196. Qui viene evidenziato come non ci siano problemi di putrescenza con valori di umidità relativi inferiori a 80%.

19 Schaible Volker, Il risanamento del supporto e l'adesione del colore nei dipinti su tela, in "OPD Restauro 5-1993", Firenze, p.31.

20 Schaible Volker, ibidem, p.30-34.

21 Bonsanti, G., Troppi restauratori dalla rintelatura facile, Il Giornale dell’Arte, No 125, Sett. 1994, p. 53.

22 Nonfarmale, O., Relazione sull'intervento di restauro, in La Cena in Emmaus di San Salvador, Venezia, 1999, p.58. Qui è stato utilizzata la resina acrilica caricata con silice micronizzato.

23 Volpin, F. e S., Relazione sulla foderatura, in "Quaderni della Soprintendenza ai beni artistici e storici di Venezia", n.11, Il restauro del Convito in casa di Levi di Paolo Veronese, Venezia, 1984, p.083. Si riporta: "Colla di pasta composta da: farina di grano tenero, amido di riso, colletta di coniglio, fiele di bue, miele, fluoruro di sodio, PVA in emulsione" "impregnato con K 25 (resina PVA in soluzione al 15%)".

24 Fazi, B., Vittorini, P., Nuove tecniche di foderatura: Le tele vaticane di Pietro da Cortona ad Urbino, Firenze 1995. Si riporta circa una foderatura a colla/pasta, perchè:' "garantiva in modo superiore agli altri sistemi un risultato di planarità di superficie" con consolidamento del retro con Plexisol P550 e poi la seconda tela di fodera a beva.

25 En.A.I.P. Veneto, CSF di Dolo, Corso N. 64/C Tipo Spec. 1999/2000 "Restauratore di dipinti su tela e tavola", Corso "biennale" di 280 ore dal 10 febbraio al 17 giugno 2000 (Docenti: Mehra V. R., Cremonesi P., Althofer , ecc.).

26 I campioni sono stati realizzati applicando i vari collanti su due tele di lino greggio tipo pattina avente un peso di 170gr/m2 (riduzione 7x8), e tagliando poi dei fogli di 175x290 mm per l’esecuzione delle prove.

27 Laroche, J., Saccarello, M.V., La foderatura dei dipinti: due tradizioni a confronto, in Kermes, n° 25, 1996, p. 15; Ricettario colla pasta utilizzata dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Ingredienti: 2,5 l di acqua; 250 g di colletta secca; 1 kg di farina di frumento; 100 g di trementina veneta; 33 g di allume di rocca; 1,5 g di funghicida - p. 18; Ricettario colla pasta utilizzata dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Ingredienti: 5,5 l di acqua; 500 g di colla forte; 750 g di farina di grano tipo 00; 750 g di farina di segale; 250 g di farina di lino setacciata; 250 g di melassa trasparente; 250 g di trementina veneta; 150 g di allume di rocca.

28 Mehra, V.R., Foderatura a freddo, Firenze 1995, p. 71. Ingredienti: Plextol B500 con l’aggiunta dell’1% di Natrosol HHR250, applicata mediante membrana traforata.

29 Berger, G.A., La foderatura, metodologia e tecnica, Firenze 1996, p. 14-15. Il collante è dato, tal quale, dal prodotto commercialmente denominato Beva 371.

30 Horsin Dèon, De la conservation et de la restauration des Tableaux, Paris 1851; Urbani, G., Dipinti su tela -1, in Problemi di conservazione, Bologna 1972, pag. 16; Torresi, A., La foderatura dei dipinti in Italia dall’Ottocento al Novecento, Ferrara 1993, pp. 23-24. Ingredienti: 50 parti di cera d'api naturale; 40 parti di resina damar; 30 parti di elemy. (Nella formulazione utilizzata dalla Walters Art Gallery di Baltimora.

31 Temperatura di 23°C e umidità relativa di 55%.

32 La pesatura dei campioni è stata effettuata a 23°C con Bilancia di precisione modello Alessandrini Top Ray gr.160/0,001.

33 Tale misurazione è stata effettuata con calibro digitale da profondità modello Alpa 1118E, ponendo i campioni ad una freccia libera di 20 centimetri mediante il loro appoggio su due elementi lignei rastremati. Il dato relativo ad ogni tipo di collante rappresenta la media dei dati relativi a cinque prove.

34 Misurato con dinamometro di precisione modello Pesola 80005 (5.000/50gr.) e 80015, separata manualmente le due tele sino a due centimetri dal bordo in modo da fissare due pezzi di legno per tutta la larghezza e su questi fissare il campione, da una parte al dinamometro e dall’altra ad un punto rigido, effettuando uno sforzo parallelo alla lunghezza del campione sino al distacco delle due tele. Il dato relativo ad ogni tipo di collante rappresenta la media dei dati relativi a cinque prove.

35 Edwards, P., Dissertazione Accademica Sul quesito Se si debbano ristaurare le antiche danneggiate pitture, manoscritto datato 12/06/1812, Archivio Accademia Belle Arti di Venezia, pubblicato in Tiozzo, V., Dal decalogo Edwards alla Carta del restauro, pratiche e principi del restauro dei dipinti, Venezia 2001, doc. n.35, pp. 250-268.

36 Vasari, G., Le vite de' più eccellenti pittori, scultori et architettori, Firenze 1550. Espressione usata in merito ad una Circoncisione del Signorelli restaurata dal Sodoma.

37 Milizia, F., Dizionario delle belle arti del disegno, Bassano 1717, torno II, p.200.

38 Conti, A., La crisi dell'affresco, in Storia dell'arte Italiana, p.III, Situazione momenti indagini, vol.III, Conservazione, falso, restauro, Torino,1981, p.108, [p.105-108].

39 Heiber, W., Tear mending is the first step-to treat the canvas deformations is to run the 110 meters hurdles, in Colore e conservazione, Minimo intervento conservativo, Thiene (VI) 29-30/10/04 - [titolo tradotto: "Il risanamento delle lacerazioni è il primo perno. Il trattamento delle deformazioni su tela è una corsa 110 metri ad ostacoli"].

40 Lock Eastlake, C., Materials for a History of Oil Painting, Londra 1847 [ed. italiana, a cura di Pieluigi Carofano, Pittura a olio, Neri Pozza, Vicenza 1999, p.293].

41 Kermes, n.56, 2004, p.11, - Documento approvato al termine del convegno "Il minimo intervento nel restauro", CERR Siena, 2004, secondo la formulazione messa a punto nel corso della riunione di Genova del 28 settembre 2004.

Didascalie Foto

Foto n.1 - Giambattista Tiepolo, Il miracolo di S. Antonio, olio su tela cm180x270, Mirano (VE) Duomo - Vista d'insieme.

Foto n.2 - G.B. Tiepolo, ibidem - Particolare della superficie.

Foto n.3 - G.B. Tiepolo, ibidem - Sezione stratigrafica dalla giubba del giovane.

Figura n.4 - Schema delle deformazioni del filato e del tessuto al variare dell'umidità.

Figura n.5 - Grafico delle tensioni al variare di umidità tra colla animale, tela, telaio ed insieme dell'opera; liberamente tratto da Mecklenburg M.F. Tumosa C.S., Mechanical behaviour of painting subjected to changes in temperature and relative humidity, in Art in Transit: studies in the trasport of painting, Washington DC, National Gallery of Art, 1991, pp.173-216; per mezzo di Antonio Iaccarino Idelson e Giorgio Capriotti, Tensionamento dei dipinti su tela. La ricerca del valore di tensionamento, Firenze 2004, pp.22-23.

Foto n.6 - Prove di deformazione di modelli di preparazione con e senza olio.

Tabella I - Variazioni dimensionali di preparazioni con olio e senza.

Foto n.7 - Anonimo dell'Ottocento Veneto, San Giacomo, olio su tela cm.160x270, S. Maria di Sala (VE), Chiesa di Caselle. - Particolare delle deformazioni della preparazione

Figura n.8 - Grafico delle tensioni al variare di umidità tra colla animale, terra d'ombra e biacca, Liberamente tratto da Mecklenburg M.F. Tumosa C.S., Mechanical behaviour of painting subjected to changes in temperature and relative humidity, in Art in Transit: studies in the trasport of painting, Washington DC, National Gallery of Art, 1991, pp.173-216; per mezzo di Antonio Iaccarino Idelson e Giorgio Capriotti, Tensionamento dei dipinti su tela. La ricerca del valore di tensionamento, Firenze 2004, pp.22-23.

Foto n.9 - Anonimo Ottocentesco, Madonna, olio su tela cm.75x170. - Particolare delle grinze per differenti deformazioni tra tela e preparazione dopo l'assorbimento idrico dovuto ad una foderatura a caseina.

Foto n.10 - Alessandro Maganza, Dama, olio su tela cm. 54x44, Vicenza Museo Civico inv.373 - Particolare del verso del dipinto con evidente tracce di sabbia impiegata per la foderatura di primo Ottocento, foderatura tutt'ora presente ed in buono stato conservativo.

Tabella II - Tabella raffronto collanti "colla e pasta".

Foto n.11 - Alessandro Maganza, Dama, olio su tela cm. 54x44, Vicenza Museo Civico inv.373 - Particolare del verso del dipinto con evidente tracce umidità sul verso della foderatura di primo Ottocento, foderatura tutt'ora presente ed in buono stato conservativo.

Tabella III - Tabella comparativa delle caratteristiche dei collanti di foderatura.

Figura n.12 - Schema dell'azione della foderatura a "colla e pasta".