SCIENZA E BENI CULTURALI

XIX. 2003

LA REVERSIBILITÀ

NEL RESTAURO

Riflessioni, Esperienze, Percorsi di Ricerca

Atti del convegno di studi

Bressanone 1 – 4 luglio 2003

a cura di Guido Biscontin e Guido Driussi

  Organizzazione:

Università degli Studi di Padova, Dipartimento Chimica Inorganica Metallorganica Analitica; Università Cà Foscari di Venezia, Dipartimento Scienze Ambientali; Università degli Studi di Genova, Istituto Storia dell’Architettura e Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti; Università degli Studi di Brescia, Dipartimento di Ingegneria Civile; Politecnico di Milano, Dipartimento di Conservazione e Storia dell’Architettura; Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Ufficio Centrale per i Beni Architettonici e il Paesaggio; Consorzio I.N.S.T.M.; Prometeo Istituto per la Conservazione del Patrimonio Culturale e del Territorio.

Enti Patrocinatori:

Ministero per i Beni e le Attività Culturali; Istituto Centrale del Restauro; Consiglio Nazionale delle Ricerche; UNESCO; UNESCO-ROSTE; ICCROM; Amministrazione Comunale di Bressanone, Azienda di Cura e Soggiorno di Bressanone.

Con la collaborazione di:

Arcadia Ricerche Srl, Consorzio Venezia Ricerche, Rankover S.p.A.

ESTRATTO: pp. 589-596

Riflessioni sulla foderatura

Vanni Tiozzo

Accademia di Belle Arti di Venezia – Docente di Restauro

ABSTRACT: Comparative test on the characteristics of adhesives for relining are been effected underlining the distinction between experimentation and intervention on the work of art. The application of the adhesives is been maked in one type of cloth for all the samples prescinding from the needs of the differents ways that will reguire differents cloths. The analyzed adhesive have been five: two variations of glue of pasta; that to cold; the Beva; the Wax-resin. The effected tests have been: the verification of the increase of weight of the adhesive; the bending; the resistance to the tear of the adhesive to verify the different difficulty in the removal of the cloths of sheath. The tests have underlined a remarkable difference of physical behaviors in relationship to the adhesive, putting in evidence as none of them introduced the best characteristics on all the positive considered parameters, thats is: lightness, flexibility and facility of separation. For this reason it make stronger the belief that any procedure of restauration can be intended curative of the conservative conditions of the work of art, even if it can result essential to obviate conservative deficit of the same one. In second place are been perceived the different characteristics of permeability of the structure after the treatment, even if not documented with specific experiments, and therefore as the use of the glue of pasta, with the most balanced chart of positive characteristics, result more convincing for all those works of art already defined traditional, that is in the painting untill the second half of the eighteenth century.

KEY-WORD: painted cloth, Relining, Wax-resin and Glue-paste Lining.

 

Il minimo intervento, ossia il prevedere per l’opera ciò che è strettamente indispensabile alla sua immediata conservazione e lettura, contrapposizione alla affaccendata routine, che vorrebbe l’esecuzione di qualsiasi intervento che non abbia immediate controindicazioni nel convincimento che tutto quanto non palesemente dannoso sia effettivamente proficuo per la conservazione dell’opera d’arte, sono due posizioni da sempre presenti nel mondo accademico e nella cultura del restauro in particolare. Basti pensare, uno fra tanti, al quesito accademico del 1812 rivolto a Pietro Edwards1 che, oltre avere tendenza filologica per l’opera originaria, è soprattutto consapevolezza dei problemi conservativi conseguenti al differenziale d’alterazione tra materiali originali e integrativi.

Già nel Cinquecento questo consapevolezza aveva avuto espressione autorevole in una forma che, nella sua essenzialità, comprendeva sia l’aspetto estetico che quello materiale: Sarebbe meglio tenersi le cose fatte da uomini eccellenti piuttosto mezzo guaste che farle ritoccare a chi sa meno.2

Questo aspetto ha poi trovato una drammatica esposizione nel primo settecento: Che l’autore ritocchi la sua opera ancora fresca per correggerla e per accordarla è un dovere, ma metter mano nelle opere altrui insigni alterate dal tempo è un deformarle, il che è peggio che distruggerle. Un quadro disaccordato e guasto dagli anni sia ritoccato da mano esperta, per un momento farà buona comparsa, ma di lì a poco diverrà peggio di prima perché le nuove tinte cambiano e discordano colle vecchie. Si ricorre perciò a un altro medico che promette più miracoli quanto più è ignorante, costui applica nuovi topici, e indi a poco l’ammalato peggiora. Eccoci al ciarlatano il quale spietatamente scoria, impiastra, strofina, raschia, lava, rimpiastra, invernicia, e addio quadro, questa bell’arte ha fatto progressi in ragione della decadenza delle belle arti.3 Una visione catastrofica, non certo condivisibile, tuttavia utile riflessione sulla percezione della alterazione dei materiali, siano essi ritocchi, per mano esperta, o impregnazioni, per mano di ciarlatano.

La foderatura è una metodologia che si può ritenere più che testata nella sua prassi tradizionale,4 si rinnova senza soluzione di continuità dal Seicento, ma anch’essa non può essere esonerata dalla sua intrapresa acritica, soprattutto per le inevitabili alterazioni materiche dell’opera: –rimozione delle giunture, schiacciamenti di pennellate, spianamento in genere; - ma soprattutto scarsa conoscenza circa l’alterazione di materiali recenti che, talvolta, vengono impiegati senza la dovuta accortezza.

Negli anni Novanta del secolo appena scorso ferveva un vivace dibattito sulle foderature, a mio avviso viziato da antagonismi culturali per la supremazia di diverse metodologie piuttosto che stimolato da lucida volontà di verificare gli esiti in un quadro organico di sperimentazioni: Questa situazione di generale insicurezza si è manifestata durante il congresso ICOM del 1975 a Venezia. In seguito a vive discussioni sull’argomento si è pensato che la cosa migliore fosse una pausa di meditazione, rimandando di tre anni qualsiasi intervento di foderatura. Questo intervallo naturalmente non è stato osservato,…. Spesso si è discusso se fosse un bene o un male l’assunzione delle materie sintetiche nell’ambito del restauro. La risposta a questa domanda si potrà trovare solo nel XXI secolo.5

Testimonianza di un certo disagio nello specifico argomento sono le parole di Giorgio Bonsanti: Ma la rintelatura, operazione da troppi considerata di routine, produce ancor oggi danni diffusi e devastanti. La si applica ed effettua quasi che il restauro fosse operazione da catena di montaggio. Premesso che un concetto del genere nel restauro proprio non deve albergare, in particolare per la rintelatura si tratta a parere mio dell’operazione potenzialmente nociva che tuttora viene eseguita con più incoscienza.6

Tuttavia questo dibattito dimostra uno squilibrio tra le varie voci in campo, così numerose ed animate quelle anglosassoni e così poche e tecnicamente poco motivate quelle mediterranee. Il tutto avvolto in scarsa consapevolezza della oggettiva differenza tecnica nell’insieme delle opere d’arte presenti in questi due "mondi".

Varie sono le pubblicazioni sulle nuove metodologie, tuttavia non sembrano valutare adeguatamente i rischi relativi alle alterazioni di nuovi materiali e per lo più sono autoreferenziali.

Disagio nella preparazione tecnica complessiva degli interlocutori italiani o paure di provincialismo, hanno di fatto diffuso anche in Italia l’impiego di queste metodologie innovative senza una attenta verifica circa le conseguenze sulle caratteristiche delle varie opere: È così che anche da noi, assai precocemente si e posto attenzione alle ricerche dell’austriaco Gustav Berger operante negli Stati Uniti, l’inventore del Beva, adesivo diffusissimo nel restauro, o dell’indiano W. R. Mehra, che lavora in Olanda.7

Questo atteggiamento diplomatico, ma anche equivoco, ha inevitabilmente avuto riflessi nella operatività, soprattutto in quegli ambienti che confondono "ricerche" con innovazione delle metodologie d’intervento sulle opere d’arte, da taluni intese anche come forma di qualificazione professionale, sottovalutando grossolanamente le possibili interferenze negative proprio in relazione alle aspettative di vita delle opere.

A ciò bisogna poi aggiungere la velleità di migliorare l’opera d’arte nel tentativo di portarla all’eternità, quello stesso criterio che l’acuto Volker Schaible ritiene causa della smisurata fortuna dei "trasportatori" francesi e, che sempre su sua intuizione, è alla base del diffondersi delle foderature con caratteristiche idrorepellenti: "Il fine di questo genere di trattamento è chiaro: bisognava rendere la delicata struttura originale di un dipinto invecchiato, "resistente all’acqua e ai fattori climatici". Qui ritroviamo di nuovo il desiderio nascosto di una eterna conservazione dell’opera d’arte".8

Questa riflessione mi è anche suggerita da alcuni interventi, scarsamente compresi, in cui l’applicazione di tecniche di foderatura innovative è eseguita su dipinti tradizionali.

Per dipinti tradizionali io intendo, grosso modo, tutti quelli realizzati in Italia sino alla seconda metà del Settecento, ante neoclassici, i quali sono caratterizzati da una preparazione flessibile, sottile e colorata che ha visto l’impiego di calore e olio sulla tela e che si caratterizzano nell’invecchiamento con microscrepolature. Per dipinti non tradizionali intendo invece le successive preparazioni bianche, spesse e rigide, che si caratterizzano nel loro invecchiamento dalla assenza di micro screpolature e dalla presenza di macro screpolature con andamento radiale.

Di queste singolari intraprese cito, a titolo di semplice esemplificazione, la Cena in Emmaus di Veronese,9 il Convito in casa di Levi di Paolo Veronese10 e le tele vaticane di Pietro da Cortona ad Urbino;11 anche se, quest’ultimo caso, trova comprensibilità nella particolare collocazione dell’opera.

La mia perplessità accresce quando questi illustri interventi perdono eccezionalità e divengono oggetto di formazione tecnica, ossia temi per corsi formativi al fine di diffondere una nuova tecnica di foderatura.12

La mia perplessità trova ancora spunto nel non riuscire ad intravedere reali controindicazioni del vecchio metodo a pasta per quelle opere già definite tradizionali.

La bontà di tale metodo dovrebbe essere a mio avviso offerta dalle numerosissime fodere che i restauratori rinnovano senza particolari problemi da secoli, a ciò aggiungiamo anche alcuni casi particolarmente significativi in termini di durata, quali la foderatura del 1783 sul Busati, S. Marco fra S. Andrea e S. Francesco, dei depositi delle Gallerie dell'Accademia, rimasta per 212 anni senza controindicazioni sino all’ultimo restauro del 1995.

Andrea Busati, San Marco fra Sant'Andrea e San Francesco, Gallerie dell'Accademia, depositi, immagine antecedente il restauro del 1995 con cui è stata rimossa la fodera riferibile all’Edwards del 1783 (A.Conti Storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte, Milano, 1988, Pag.177, capoverso 3)

Ancora più significativo è forse il caso di una foderatura analoga, con le caratteristiche tracce di sabbia, su una tela dell'ambito del Maganza, Donna con monili, del Civico Museo di Vicenza. Questa foderatura, era ancora in buono stato, nonostante l'opera evidenziasse inequivocabili segni di ampie percolazioni d'acqua che avrebbero ben potuto ammalorare le stratificazioni, viceversa non presentava problemi particolari tanto che nell'A.A.2000-01 è stata conservata nel restauro eseguito da questo stesso Corso di Restauro.

Maganza, Donna con monili, olio su tela, Museo Civico di Vicenza. Particolare. Foderatura con residui di sabbia, testimonianza della tecnica settecentesca.

Maganza, Donna con monili, olio su tela, Civico Museo di Vicenza. Foderatura ancora in buono stato nonostante ampie percolazioni d'acqua.

Maganza, Donna con monili, olio su tela, Museo Civico di Vicenza. Particolare. Foderatura con residui di sabbia, testimonianza della tecnica settecentesca.

La putrescibilità è infatti l’argomento più utilizzato per indicare i limiti del metodo tradizionale, a mio dire sottovalutando come la stessa opera possa rimanere danneggiata in presenza di condizioni tali da provocare questo fenomeno, ciò prescindendo dai materiali di foderatura, ben inteso che ciò è vero a patto che i collanti organici siano applicati correttamente e quindi non in fase di putrescenza.13

Questa prevaricazione culturale, che per molti versi trovo affine a quella in atto nell’alimentazione collettiva e nella percezione mediatica, con la chimera della modernità si manifesta sempre più ed a questo proposito non posso ignorare le parole di Alessandro Conti: Verso il 1960 inizia il momento più critico che il restauro abbia mai attraversato, tecnicamente, da quando si sostituì a semplici pratiche di manutenzione e adattamento: le industrie chimiche sollecitano 1’adozione dei loro materiali sintetici; la tecnica ed il comportamento dei materiali antichi sono sempre meno noti, sia ai restauratori (che raramente, hanno ormai una formazione di artista) che ad ispettori e direttori lavori, sui quali grava spesso disprezzo idealista per la manualità e per la materialità dell’opera d’arte (rispetto all’immagine se non alla fotografia da cui si fanno le attribuzioni); inoltre, come tutti, sono bombardati da assuefazioni ed immagini diffuse dai mass media.14

Per questa serie di motivi ho quindi ritenuto didatticamente importante effettuare nel corso di restauro di questa Accademia dei test comparativi sulle caratteristiche dei collanti da foderatura, sottolineando la distinzione tra sperimentazione e l’intervento sull’opera d’arte.

Misurazione della flessione dei campioni di tela e collante effettuata con calibro digitale da profondità modello Alpa 1118E, ponendo i campioni ad una freccia libera di 20 centimetri mediante il loro appoggio su due elementi lignei rastremati. Il dato relativo ad ogni tipo di collante rappresenta la media dei dati relativi a cinque prove

Ho dunque applicato i collanti su un unico tipo di tela per tutti i campioni,15 prescindendo dalle specifiche necessità dei vari metodi che richiederebbero tele differenti, ciò nell’intenzione di meglio evidenziare le singole caratteristiche dei collanti.

I collanti analizzati sono stati cinque: due varianti di colla di pasta16; quella a freddo17; il Beva18; la Cera-resina19.

Le prove che ho inteso effettuare sono state molto semplici ma direi utili per la immediata comprensione delle variazioni fisiche che si creano in un’opera d’arte con l’impiego di questi materiali di restauro. Le prove le ho volutamente condotte senza variabili termo-igrometriche per ottenere dati semplici alla portata dei mezzi a disposizione.20

Dapprima ho eseguito la verifica dell’incremento di peso del collante, in quanto elemento di sforzo fisico sull’insieme dell’ipotetica opera.21 Successivamente ho effettuato una prova di flessione dell’insieme costituito dalla doppia tela e dal collante per verificare l’alterazione delle caratteristiche fisico-meccaniche.22 In fine ho eseguito una prova di resistenza alla separazione delle tele da fodero per verificare la differente difficoltà nella fase di rimozione.23

Le prove hanno evidenziato una rilevante differenza di comportamenti fisici in relazione ai collanti impiegati, ho riscontrato anzitutto come nessuno dei collanti abbia presentato le migliori caratteristiche su tutti i parametri considerati positivi, ossia: leggerezza, flessibilità e facilità di separazione. Tutto ciò è per me stata ulteriore conferma di quanto nessun procedimento di restauro possa ritenersi positivo in senso assoluto anche se, molto spesso, può risultare indispensabile per ovviare a deficit conservativi dell’opera d’arte. In secondo luogo ho rilevato come la colla di pasta sia il collante che offra il minor incremento di peso, quindi il minor stress meccanico sull’opera, inoltre offre delle buone caratteristiche di flessibilità e delle buone condizioni di reversibilità,24 soprattutto se non si intenda usare solventi organici o calore, come invece è stato fatto nel test per poter comprendere il Beva per cui il calore è elemento indispensabile. I solventi organici non li ho considerati in quanto dannosi per la salute degli operatori oltre che per le stesse opere, soprattutto quelle moderne a cui il metodo si dovrebbe rivolgersi con preferenza, in quanto per lo più realizzate ad acrilico. A seguito dei trattamenti dei campioni ho anche rilevato delle diverse caratteristiche di permeabilità della struttura e, anche se non sono stato in grado di documentarlo specificatamente, è ancora la colla di pasta quella che mi ha offerto maggiori possibilità per successivi interventi. Se a ciò aggiungio come la putrescenza del collante a colla di pasta, spesso imputatogli come fattore negativo, è relativo ad un cattivo impiego dei materiali, più che ad una specifica caratteristica del metodo, trovo inevitabile considerare questo antico collante come il più opportuno nella foderatura di tutte quelle opere che sono già state definite tradizionali, ossia nella pittura sino alla seconda metà del secolo diciottesimo. Per tutte le opere eseguite successivamente, che hanno tendenza alla deformazione se assoggettate a trattamenti acquosi, trovo invece funzionale l’uso di materiali che non prevedano l’impiego d’acqua e quindi, fra questi, il Beva è quello che a mio avviso manifesta le migliori caratteristiche in termini di reversibilità oltre che di alterazione cromatica.25

Tabella comparativa dei risultati ottenuti dalle prove effettuate con i vari collanti da foderatura.

 

Note e bibliografia:

1 Pietro Edwards, Dissertazione Accademica Sul quesito Se si debbano ristaurare le antiche danneggiate pitture, manoscritto datato 12/06/1812, Archivio Accademia Belle Arti di Venezia, B.a "Copie di Atti riguardanti il Collegio dei pittori 1689/1798, pubblicato in V. Tiozzo, Dal decalogo Edwards alla Carta del restauro, pratiche e principi del restauro dei dipinti, Venezia 2001, doc. n.35.

2 Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori et architettori, Firenze 1550. Espressione usata in merito ad una Circoncisione del Signorelli restaurata dal Sodoma.

3 Francesco Milizia, Dizionario delle belle arti del disegno, Bassano 1717, torno II, p.200

4 Per la descrizione della tecnica del metodo antico della foderatura mediterranea si veda: Merrifield M.P, Original treatises on the arts of painting, New York 1849, II, p. 876 - in nota 14; (metodo poi aggiornato e perfezionato in >) Giovanni Secco Suardo, Il restauratore dei dipinti, Milano 1866 [4°ed. 1924], pagg.246-286. Tra le prime foderature conosciute si ricordano: quella del 1672, che Carlo Maratta fa eseguire sulla Natività della Vergine di Annibale, ora al Louvre, (A.Conti Storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte, Milano, 1988, Pag.096); quella del 1683, che Nicola Carioli esegue su di un Davide del Lanfranco per conto dei Chigi. (V.Golzio, Documenti .... nell'archivio Chigi, Roma 1939, p.290) e quella del 1684 che Giambattista Rossi esegue su alcune tele della Sala del Maggior Consiglio in Palzzo Ducale a Venezia. (A.Conti Storia del restauro e della conservazione delle opere d'arte, Milano, 1988, Pag.096).

5 Schaible Volker, Il risanamento del supporto e l'adesione del colore nei dipinti su tela, in "OPD Restauro 5-1993", Firenze, p.30-34

6 Giorgio Bonsanti, Troppi restauratori dalla rintelatura facile, in "Il Giornale dell'Arte", n.125, sett. 1994, p.53.

7 Bonsanti, ibidem.

8 Schaible Volker, ibidem, p.31

9 Ottorino Nonfarmale, Relazione sull'intervento di restauro, in "La Cena in Emmaus di San Salvador", Venezia, 1999, p.58. Qui è stato utilizzata la resina acrilica caricata con silice micronizzato.

10 Volpin Ferruccio e Serafino, Relazione sulla foderatura, in Quaderni della Soprintendenza ai beni artistici e storici di Venezia - n.11 - Il restauro del Convito in casa di Levi di Paolo Veronese, Venezia, 1984, p.083. "Colla di pasta composta da: farina di grano tenero, amido di riso, colletta di coniglio, fiele di bue, miele, fluoruro di sodio, PVA in emulsione" "impregnato con K 25 (resina PVA in soluzione al 15%)."

11 Benedetta Fazi e Bruno Vittorini, Nuove tecniche di foderatura: Le tele vaticane di Pietro da Cortona ad Urbino, Firenze 1995. Una foderatura a colla/pasta (perchè:' "garantiva in modo superiore agli altri sistemi un risultato di planarità di superficie" con consolidamento del retro con Plexisol P550 e poi la seconda tela di fodera a beva.

12 En.A.I.P. Veneto, CSF di Dolo, Corso N. 64/C Tipo Spec. 1999/2000 "Restauratore di dipinti su tela e tavola", Corso "biennale" di 280 ore dal 10 febbraio 17 giugno 2000 (Docenti: V. R. Mehra, P. Cremonesi, Althofer ….)

13 Antonio Tonolo e Clelia Giacobini, Importanza dell'umidità relativa per lo sviluppo di microrganismi nei dipinti su tela, in "Bollettino Istituto Centrale del Restauro, n.36, 1958, pp.191-196. Si evidenzia come non ci siano problemi di putrescenza con valori di umidità inferiori a 80%.

4 Alessandro Conti, La crisi dell'affresco, in "Storia dell'arte Italiana", p.III, "Situazione momenti indagini", vol.III, "Conservazione, falso, restauro", Torino,1981, p.108 [p.105-108]

5 I campioni sono stati realizzati applicando i vari collanti su due tele di lino greggio tipo pattina avente un peso di 170gr/m2 (riduzione 7x8), e tagliando poi dei fogli di 175x290 mm per l’esecuzione delle prove.

6 Jaqueline Laroche, Maria Vittoria Saccarello, "La foderatura dei dipinti: due tradizioni a confronto", in "Kermes", n° 25, 1996, p. 15; Ricettario colla pasta utilizzata dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Ingredienti: 2,5 l di acqua; 250 g di colletta secca; 1 kg di farina di frumento; 100 g di trementina veneta; 33 g di allume di rocca; 1,5 g di funghicida - p. 18; Ricettario colla pasta utilizzata dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Ingredienti: 5,5 l di acqua; 500 g di colla forte; 750 g di farina di grano tipo 00; 750 g di farina di segale; 250 g di farina di lino setacciata; 250 g di melassa trasparente; 250 g di trementina veneta; 150 g di allume di rocca.

7 V. R. Mehra, "Foderatura a freddo", Firenze 1995, p. 71. Ingredienti: Plextol B500 con l’aggiunta dell’1% di Natrosol HHR250, applicata mediante membrana traforata.

8 Gustav A. Berger, "La foderatura, metodologia e tecnica", Firenze 1996, p. 14-15. Il collante è dato, tal quale, dal prodotto commercialmente denominato Beva 371.

9 Horsin Dèon, "De la conservation et de la restauration des Tableaux", Paris 1851. Giovanni Urbani, " Dipinti su tela -1 ", in "Problemi di conservazione", Bologna 1972, pag. 16. Antonio Torresi, "La foderatura dei dipinti in Italia dall’Ottocento al Novecento", Ferrara 1993, pp. 23-24. Ingredienti: 50 parti di cera d'api naturale; 40 parti di resina damar; 30 parti di elemy. (Nella formulazione utilizzata dalla Walters Art Gallery di Baltimora.

20 Temperatura di 23°C e umidità relativa di 55%.

21 La pesatura dei campioni è stata effettuata a 23°C con Bilancia di precisione modello Alessandrini Top Ray gr.160/0,001.

22 Tale misurazione è stata effettuata con calibro digitale da profondità modello Alpa 1118E, ponendo i campioni ad una freccia libera di 20 centimetri mediante il loro appoggio su due elementi lignei rastremati. Il dato relativo ad ogni tipo di collante rappresenta la media dei dati relativi a cinque prove.

23 Misurato con dinamometro di precisione modello Pesola 80005 (5.000/50gr.) e 80015, separata manualmente le due tele sino a due centimetri dal bordo in modo da fissare due pezzi di legno per tutta la larghezza e su questi fissare il campione, da una parte al dinamometro e dall’altra ad un punto rigido, effettuando uno sforzo parallelo alla lunghezza del campione sino al distacco delle due tele. Il dato relativo ad ogni tipo di collante rappresenta la media dei dati relativi a cinque prove.

24 E’ da considerarsi preoccupante sia lo sforzo necessario a separare le tele applicate con collante sintetico, utilizzato nel metodo a freddo, così come pure l’enorme incremento di peso del metodo a cera-resina.

25 Per il parametro della alterazione cromatica ci si è rifatti ai test di Gustav Berger trattati nel volume citato.