Friulano di nascita e di famiglia, nacque a Dardago il 12 luglio 1880, venne condotto fanciulletto a Venezia, dove il padre frattanto si era trasportato per esercitarvi un modesto commercio. Frequentò qui alcune classi delle scuole secondarie, finché spinto dalla passione che lo faceva a dieci anni disegnare torsi e figure nei modesti cartoni che poteva procurarsi, riusci a vincere le resistenze famigliari e a entrare all’Accademia, dove ebbe la grande fortuna di trovare un maestro di genio: Ettore Tito. L’occhio sagace dell’artista ormai sulla soglia della celebrità scoperse subito nel giovinetto taciturno e scontroso doti profonde di talento e di carattere; ne intuì le sorprendenti facoltà, gli fu largo d’ incoraggiamento, di consiglio e più tardi lo chiamò il prediletto fra i suoi allievi. Per tre anni lavorò senza riposo sotto la guida del grande maestro, dedicandosi in particolar modo allo studio del ritratto e della figura, verso il quale egli si sentiva più particolarmente attirato dall’istinto e dalla passione e la riconoscenza commovente del Martina verso Ettore Tito, al quale egli ritiene di dover gran parte di se stesso, continua anche oggi con l’affettuosa relazione che unisce scolaro e maestro.
Ma un sentimento indefinito ed incerto di dubbio e di insoddisfazione turbava il giovine pittore trasognato. Lo studio indefesso, le abbondanti letture, il contatto con i compagni, le lunghe soste nei musei, altri avvenimenti di quel tempo, avevano accentuato la sua inquietudine spirituale. Il Martina non era contento di se stesso; egli anelava a qualche cosa che potesse appagare le sofferenze e le esaltazioni del suo spirito vagante nell’ indeterminato e nel sogno; comprendeva che nei suoi lavori non trasparivano le qualità ch’egli sentiva in sé, qualità forse ancora ristrette ed acerbe, ma pur sensibili e fini, e si sforzava di cercare una via propria che lo portasse a scoprire orizzonti tutti suoi e che nella sua breve conoscenza del mondo non riusciva a trovare.
Parigi! Monaco! E' il pensiero fisso dei giovani che vivono nelle città provinciali quello di recarsi nelle grandi capitali artistiche per frequentare i musei e le esposizioni, per conoscere altri pittori e interpretarne il pensiero e la tecnica, per prendere contatto con le nuove correnti e le nuove tendenze dell’arte.
Qualche anno prima, ancora adolescente, il Martina era rimasto a lungo estatico in contemplazione davanti a un quadro: “ I flagellanti ” esposto alla prima delle Biennali veneziane. L’autore, un americano trapiantato in Germania, Carlo Marr, si era innamorato del soggetto grandioso, lo aveva profondamente meditato e studiato e ne aveva tratto un capolavoro. Il ricordo della grande impressione provata alla vista dell’opera non si era cancellato dalla mente del Martina, e nella crisi spirituale di autocritica di incontentabilità e di diffidenza verso se stesso che ora lo travagliava, decise di recarsi a Monaco dove il pittore americano insegnava in quella Accademia e dove aveva anche una scuola frequentata da allievi numerosi.
Allievo di Ettore Tito all’Accademia di Belle Arti di Venezia, notissimo pittore, soprattutto ritrattista, ritrasse anche molti compagni d’arte, fu maestro di Armando Buso.