Estratto dalle sintesi dei Laboratori

9 dicembre 2001

Voglio che l’AC sappia che io sono un giovane come tanti, che vuole vivere la propria età senza ammalarsi di esaurimento da iperattività, non voglio essere schiacciato dal peso delle cose da fare (ha fatto fuggire tanti giovani e tanti responsabili!), non voglio farmi inghiottire dalla "macchina della parrocchia": esisterà pure un modo per vivere l’appartenenza all’AC senza essere spremuti come limoni dalle responsabilità! Io voglio spendermi per l’associazione, ma chiedo rispetto per i miei tempi e la mia crescita: prima l’esperienza di AC come scelta vocazionale e formativa e poi, liberamente e consapevolmente, ci sarà spazio per il servizio. Voglio che la mia AC sappia che storco il naso quando sento le parole dell’ecclesialese forbito dei responsabili associativi intellettualoidi e credo sia ingiusto che tante persone semplici rimangano ai margini della vita dell’associazione solo perché i Cammini Formativi risultano loro poco comprensibili.

Ho conosciuto e amo un’AC fatta da persone e non da una struttura, e responsabile di persone e non di impegni da calendario!

Penso sia necessario uno sforzo grande per ritrovare uno spirito associativo più famigliare: ragazzi, adulti, giovani, giovanissimi (a proposito, che bello vederli qui a convegno!) insieme per fare chiesa con i nostri sacerdoti. Però sappia l’AC che soffro quando lascio la mia città per frequentare l’università a 400 chilometri da casa e nella grande metropoli non trovo più il mio spazio in associazione! Dov’è finita quella rete di relazioni autentiche, punto di riferimento costante per la persona?

Sento il bisogno di essere riconosciuta per quello che faccio, per gli impegni che porto avanti con tenacia, forse perché non sono capace di guardarmi e conoscermi per quella che sono. Sembra a volte che la vita scivoli tra le mani e mi ritrovo a scegliere cose che non ho pensato o sulle quali non ho riflettuto. Avrei bisogno di qualcuno che mi mettesse di fronte al coraggio di una decisione che impegni seriamente tutta me stessa, sono stanca di vivere le cose a metà: voglio esserci o non esserci.

Vorrei che la comunità lasciasse maggiore responsabilità a i giovani, a noi. Mi spiego: che non usasse i giovani di AC come i tappabuchi, ma che ci aiutasse a diventare corresponsabili e a crescere come laici credenti.

Vorrei che diventasse luogo di dialogo tra associazioni e movimenti (sigh! quant’è difficile…), tra giovani e adulti che spesso ci sembrano tanto lontani e assenti; luogo di crescita spirituale, comunità alternativa capace di mettere al centro della propria vita la Parola, di avere attenzione agli ultimi; luogo dove il laico impara a fare il laico e il prete il prete.

Noi giovani di AC desideriamo svolgere un ruolo attivo nella vita della parrocchia, di essere coinvolti nella vita pastorale, ma a volte capita che i ruoli pensati per noi siano solo di "manovalanza", limitanti rispetto all'energia che vorremmo donare alla nostra comunità.

Ti chiediamo maggiore spazio, e un confronto schietto che sappia stimolare la nostra laicità.

Sentiamo l'esigenza di una formazione organica, solida per poter imparare a camminare con le nostre gambe nella Chiesa. Per questo non avere paura di perderci, perché se questa formazione è autentica non ti lasceremo solo, e anche se in piedi sapremo essere obbedienti.

Ho bisogno di concretezza, di un futuro chiara da costruire ogni giorno attraverso piccole scelte e soprattutto insieme con gli altri, perché se sei solo ti senti perso in una giungla fatta di competizione, di apparenza, di aspirazioni mediocri che ti fanno strisciare in basso.

Vorrei essere libera a tal punto da potere vivere secondo la mia scala di valori, assecondando le mie priorità, piuttosto che cadere vittima di schemi preconfezionati che non mi permettono di realizzarmi, di trovare un posto nel mio presente e nel futuro degli altri, perché so di essere dono e di potre dare tanto ad un mondo che ha sete di tutto, ma soprattutto di senso, di vita, di gioia, di entusiasmo.