CONTEMPLANDO L’IMMACOLATA
Grazia-gratitudine-gratuità: non è un triangolo magico per catturare il mistero che oggi celebriamo; è un trinomio possibile e, spero, utile per fissare il messaggio che ci è stato appena proclamato.
Grazia-gratitudine-gratuità: sono tre parole povere e grandi – derivanti dalla stessa radice - che ci permettono di balbettare qualche veloce pensiero sulla immacolata, intatta bellezza di Myriam di Nazaret.
1. Grazia è la parola che apre e determina il trinomio appena enunciato; è una sorta di password obbligata per entrare nel "programma" della nostra storia di famiglia, la storia dell’alleanza, sulla cui prima pagina non c’è scritto, come troppo frettolosamente pensiamo: "In principio Dio creò il cielo e la terra", ma: "In principio era la Parola". E’ una parola che ha un volto – quello di Gesù, il Figlio benedetto – e un nome, appunto "Grazia", l’amore gratuito, fedele e irrevocabile di Dio. Questo è il principio primo, senza principio; questa è la verità fontale, la realtà assolutamente originale, primordiale e originante, non il peccato originale.
Già Israele aveva compreso alla luce della rivelazione che la relazione con lui stabilita dal Dio altissimo e tre volte santo non era completamente definita dall’immagine del re che governa, proclama una legge e giudica l’operato di tutti sulla base di quella legge. Per Israele IHWH è l’emmanuele: la sua trascendenza invalicabile non diventa mai impassibile estraneità, ma si fa sempre vicinanza cordiale e calda tenerezza. Pertanto egli non può agire semplicemente come un capo o un giudice; e di fatti preferisce vestire i panni del pastore premuroso, dello sposo ardente, del padre tenero, anzi di una madre dolcissima (cfr. Os 11,1-4). Ma nessun ebreo poteva mai sospettare quale segreto fosse nascosto dietro queste immagini. Il segreto ci è rivelato in Cristo. In lui si incontra un Dio-Abbà, che è solamente e totalmente e definitivamente Amore, un Padre che "ci ha amati per primo", quando gli eravamo ancora ostili (cfr. 1Gv 4,10; Rm 5,10).
Cristo è la parola definitiva e insuperabile che rende leggibile "l'amore di Dio per l’uomo"(Tt 3,4). E’ il sole che sorge dall’alto: la gloria divina gli brilla sul volto e si dispiega ed espande dal suo punto focale e rischiara l’intero orizzonte della storia, non solo di quella successiva, ma anche di quella precedente. Un sasso lasciato cadere in acque profonde ne propaga lontano le onde: lo stesso avviene di Gesù che, entrando nel mondo, propaga la grazia attorno al punto della sua caduta nel tempo. Essa risale fino all’origine del mondo e all’inizio della vita di Maria.
Così si arriva a Maria, senza by-passare Gesù; anzi è proprio il Figlio – come abbiamo visto – la strada più breve e più sicura per arrivare alla Madre. Un tempo questo rapporto Figlio-Madre veniva spiegato in termini giuridici. Ci si rappresentava Dio come un creditore che condona il debito a un suo debitore, prevedendo che un giorno un terzo lo avrebbe pagato. "Ma Dio è essenzialmente Padre; il suo ruolo non è quello di prevedere e contabilizzare i meriti del Figlio, ma di generare il Figlio. La Scrittura non presenta il mistero della salvezza in termini contabili, nel senso che il Cristo pagherebbe un prezzo a favore degli uomini e Dio in seguito ‘applicherebbe’ loro i meriti così acquisiti" (F.-X. Durrwell, Maria: meditazione davanti all’icona, CE, Assisi 1992, 34s). Ma si può spiegare il mistero dell’amore con il freddo teorema della legge?
"Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1,17). Questa è la verità della grazia: il Padre ci salva generando il Figlio per noi e includendo in questa generazione chiunque sia in comunione con il Figlio, a cominciare dalla Madre. Maria è santificata dal primo istante del suo concepimento proprio perché intimamente associata al Figlio; la sua innocenza originale si spiega con questa immediata vicinanza a lui: con Cristo e come Cristo, discende fisicamente dal vecchio Adamo, ma appartiene a un’epoca precedente il primo peccato del mondo. E’ "più giovane del peccato, più giovane della razza da cui è venuta. Il vecchio mondo, il mondo doloroso, il mondo anteriore alla grazia, l’ha cullata a lungo sul suo cuore – per secoli e secoli – nell’attesa oscura, incomprensibile di una virgo genitrix… Per secoli e secoli ha protetto con le sue vecchie mani cariche di delitti, le mani pesanti, la ragazzina meravigliosa di cui non conosceva neppure il nome. Una ragazzina, questa regina degli angeli! E tale è rimasta, non dimenticarlo…": così si esprimeva un vecchio parroco con il curato di campagna, di G. Bernanos.
2. "Tutto è grazia": sono le ultime parole del diario dello stesso giovane curato. Tutto è grazia, cioè niente è dovuto. Tutto è dono gratuito di Dio: il suo amore non si può acquistare, non si può conquistare il suo favore. Ma questo è il nostro vero guadagno e il nostro merito: "tutto dipende non dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che usa misericordia" (Rm 9,16). "Tale è la misericordia di Dio verso gli uomini – afferma il concilio di Trento – da considerare meriti nostri quelli che sono in realtà doni suoi" (DS 1548). Ci è chiesto solo di accogliere e di ringraziare; e secondo l’ottica evangelica niente è più attivo dell’accogliere, niente più concreto del ringraziare. Il merito vero del cristiano consiste nel ricevere: "Che cosa mai possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto?" (1Cor 4,7).
Questo è il messaggio dell’Immacolata: l’angelo la proclama "piena di grazia", cioè "graziata", salvata dall’istante zero della sua esistenza, e perciò "graziosa", ricolmata dell’amore divino. E Maria acconsente alla grazia e vi si abbandona: "Eccomi, si faccia in me quello che hai detto", risponde a Gabriele. Non dice "io faccio o debbo fare o voglio fare scondo la tua parola", ma "si faccia in me": nessun doverismo in lei, nessun volontarismo. "E la Parola si è fatta carne" in lei. La storia di Myriam di Nazareth ci dice che l’essere viene prima del fare, e che ciò che più conta è lasciarsi fare per essere veramente come Dio ci vuole. Maria è ricettiva, ma non passiva: come a livello fisico si lascia fecondare dalla potenza dello Spirito Santo ma poi dona carne e sangue al corpo del Figlio di Dio che si va formando in lei, così a livello spirituale accoglie la grazia e vi corrisponde con la fede. Per questo dicono i Padri della Chiesa che la Vergine "ha concepito prima nel cuore che nel grembo": "L’angelo annuncia, la vergine ascolta, crede e concepisce: la fede nel cuore, Cristo nel seno" (S. Agostino, PL 38, 1019).
Ma si potrebbe dire: tutto questo mistero di grazia riguarda Maria. Noi possiamo tacere e adorare, ma perché ringraziare? E invece il mistero dell’Immacolata non è un privilegio di isolamento o di esclusione: è una grazia di pienezza e di coinvolgimento. La grazia unica di Maria diventa universale nella Chiesa. "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo – abbiamo ascoltato nella seconda lettura – che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo" (Ef 1,3). Come Maria, viene dichiarata "benedetta fra le donne" dalla parente anziana Elisabetta, anche noi siamo stati "benedetti", cioè scelti, chiamati e perciò amati. Come Maria, anche noi siamo stati "scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati", come lei: lei salvata in anticipo dal cadere nell’abisso del peccato, noi liberati da quell’abisso grazie al battesimo e alla fede. E tutto questo per mezzo di Cristo, "a lode della sua grazia", di quella grazia di cui lei è stata ricolmata in pienezza.
Davvero in Maria la Chiesa – e dunque il corpo e la sposa di Cristo di cui tutti noi facciamo parte – si trova "riassunta e racchiusa" (Olier); in lei, vergine-madre, la comunità dei credenti trova la sua avanguardia trainante. Come non lasciarci sorprendere dalla meraviglia e dallo stupore? Non siamo burattini di un fato inesorabile o di un capriccio volubile e beffardo, ma figli, felici di essere figli: pensati, voluti, salvati, benedetti, follemente e teneramente amati addirittura quanto è amato dal Padre il Figlio primogenito di noi, suoi fratelli (cfr. Gv 17,23). Il cuore straripa di gioia e canta con Maria: "L’anima mia magnifica il Signore…".
3. La conseguenza che s’impone è una sola: la gratuità. Se abbiamo ricevuto gratuitamente, gratuitamente siamo chiamati a dare (cfr. Mt 10,8): come Maria, che subito dopo aver accolto il messaggio dell’angelo, va a condividere la grazia dell’inattesa fecondità con la parente Elisabetta. Perché se tutto ci è stato donato, tutto dev’essere ridonato. Davvero non possediamo se non ciò che diamo. Se ti è stato fatto il dono è perché tu diventi dono, ricordando che "non si è dato nulla finché non si è donato tutto" (Mons. Donati). Se la mia esistenza si è lasciata trasfigurare dalla grazia del Signore, non potrò trattenere per me la luce che viene dal suo volto, ma la lascerò passare perché illumini gli altri. "Guardate a lui, sarete raggianti". Maria ha tenuto costantemente lo sguardo fisso sul Figlio e il suo volto è diventato "la faccia che a Cristo più si somiglia" (Dante). Questa è la grazia delle grazie: accogliere il dono di una vita trasfigurata, radiosa e raggiante. E – come l’Immacolata - far rimare la divina bellezza con fortezza-purezza-tenerezza. Allora la vita diventa storia e l’esistenza armoniosa come una danza.
Come pregava M. Delbrel:
Signore, insegnaci il posto
che, nel romanzo eterno
iniziato tra Te e noi,
occupa il singolare ballo
della nostra ubbidienza.
Rivelaci la grande orchestra dei tuoi disegni,
nella quale ciò che Tu permetti
semina note strane
nella serenità di ciò che Tu vuoi.
Insegnaci a indossare ogni giorno
la nostra condizione umana
come un abito da ballo
che ci farà amare per Te
tutti i suoi particolari, come gioielli
che non possono mancare.
Facci vivere la nostra vita,
non come un giuoco di scacchi
in cui ogni mossa è calcolata,
non come una partita in cui tutto è difficile,
non come un teorema che ci fa rompere la testa,
ma come una festa senza fine
in cui si rinnovella l’incontro con Te.
Come un ballo,
come una danza,
tra le braccia della tua grazia,
nella musica universale dell’amore.