Innovazione clamorosa, amare il non-amabile
di Enzo Bianchi
(Da "Avvenire" del 30 dicembre 2001)
Come ogni anno, il messaggio di pace che il Papa offre ai
cattolici e anche agli altri uomini, è un'eco della buona
notizia portata da Gesù, il "Principe della pace", ma
quest'anno tale messaggio risuona con accenti nuovi: ai più non
è sfuggito che esso contiene un'"innovazione teologica",
cioè un approfondimento ulteriore nella comprensione di questo
tema cristologico e perciò centrale nell'annuncio cristiano.
Questo messaggio sarà ricordato come un accrescimento del
magistero, parola profetica che rende ancora più autorevole il
magistero della Chiesa, segno di come essa voglia essere, in
obbedienza al suo Signore, "serva e ministra della
riconciliazione e della pace". Tale "innovazione"
è contenuta nell'affermazione: "non c'è pace senza
giustizia e non c'è giustizia senza perdono".
Giovanni Paolo II espone innanzitutto la consapevolezza cristiana
nella presenza efficace del mysterium iniquitatis nella storia
degli uomini: le violenze, i vari terrorismi, le guerre sono
manifestazioni del potere mortifero demoniaco che seduce l'umanità
e, alienandola nell'idolatria, le fa scegliere vie di morte. Sì,
da sempre la storia mostra che ingiustizia, violenza e guerra
accompagnano la vicenda umana, contraddicendo la volontà del
Signore che è giustizia e pace per gli uomini oggetto del suo
amore folle e infinito. La Chiesa sa che "quando non si
riconosce la fondamentale fraternità che sgorga dall'unica
paternità amante di Dio, quando si contraddice la comunione alla
tavola dell'umanità, quando la filosofia dell'egoismo prevale su
quella dell'amore", come afferma il cardinale Ratzinger,
allora odio, violenza e sopraffazione diventano i dinamismi delle
relazioni tra gli uomini. In questa tragica luce è possibile
leggere il terrorismo rivelatosi l'11 settembre - un crimine
efferato contro l'umanità e, nel contempo, una perversione che
deturpa l'immagine di Dio - così com'è possibile leggere la
risposta armata in Afganistan e il terribile conflitto in
Terrasanta tra palestinesi e israeliani.
Allora, che fare? Anche qui la risposta della fede continua a
essere la stessa di sempre: occorre certo pregare per la pace
dono di Dio, invocarla affinché l'agire dello Spirito santo
immetta pensieri di pace nel cuore degli uomini e questi si
facciano strumenti di pace. Ma c'è anche una via paradossale che
viene indicata da Giovanni Paolo II, una via che però è in
perfetta linea con il paradosso del Vangelo che chiede di credere
l'incredibile, di sperare l'insperabile, di amare il non-amabile,
il nemico stesso.
Via paradossale perché afferma l'interrelazione profonda tra
giustizia e perdono che noi siamo portati a leggere come
antitetici; paradossale perché propugna l'estensione del
principio del perdono dal piano dei rapporti soggettivi e
interpersonali a quello politico e sociale, indicando alla
politica il compito di pensare e cercare vie di convivenza
nonviolente e più umane: il perdono non è solo virtù privata,
ma dev'essere istanza collettiva, espressa in "atteggiamenti
sociali e istituti giuridici". Questo è il cammino indicato
da Giovanni Paolo II, e qui sta l'innovazione: non solo la pace
è "opera della giustizia", come amava ripetere
soprattutto il recente magistero ispirato al profeta Isaia (32,17),
ma la pace è legata a una giustizia che ingloba in sé anche il
perdono. Ecco l'annuncio del Vangelo, ecco la "differenza"
cristiana. Accanto agli uomini che credono la pace frutto della
giustizia, il messaggio cristiano scende in profondità e rivela
che la giustizia per essere veramente tale, per poter divenire
feconda, generatrice di pace, deve inglobare anche il perdono. Il
"principio perdono" è per il cristiano "giusto in
sé" perché si rifiuta di vedere nel peccatore solo un
peccato fatto persona, si rifiuta di identificare il male con
l'uomo che lo compie e quindi di cosificare l'uomo riducendolo al
suo operare malvagio.
Proprio questo "principio perdono" deve aiutare al
ripensamento del concetto di giustizia retributiva. Certe
situazioni di conflitto ormai endemico, come in Medioriente,
caricate da decenni di odio e di violenza, di azioni e reazioni
violente, possono trovare una soluzione e un'apertura verso un
radicale ristabilimento della giustizia solo attraverso un atto
di perdono dei crimini commessi. Giustizia e perdono congiunti
aprono un futuro di riconciliazione e di pace: altre vie non
esistono! Lucidamente così osserva il Papa: "il perdono
comporta un'apparente perdita a breve termine
mentre la
violenza opta per un guadagno a scadenza ravvicinata, ma prepara
a distanza una perdita reale e permanente". Nessun facile
ottimismo, nessuna ingenuità, ma la visione cristiana delle vie
di pace.
Infine, va sottolineato che questo messaggio offre anche una
esemplarità. Il Papa a tratti lascia come trapelare un cammino
interiore: "la convinzione cui sono giunto ragionando e
confrontandomi con la rivelazione biblica" è che devono
essere "coniugate fra loro giustizia e perdono". "Ma
come parlare, nelle circostanze attuali, di giustizia e insieme
di perdono quali fonti e condizioni della pace? La mia risposta
è che si può e si deve parlarne". Questo è il cammino che
attende ogni cristiano: nelle tragiche situazioni in cui gli è
dato di vivere, gli è necessario pensare, confrontarsi con la
parola di Dio contenuta nelle Scritture, ascoltare il messaggio
che sgorga dal Vangelo e prestargli obbedienza. Annota Giovanni
Paolo II: "Il ministero che svolgo al servizio del Vangelo
mi fa sentire vivamente il dovere, e mi dà al tempo stesso la
forza, di insistere sulla necessità del perdono".
Credo che la Chiesa tutta non possa che rendere grazie al Signore
per questo magistero audace e profetico che le viene dal
successore di Pietro, e che al suo sforzo e alla sua invocazione
debba unirsi affinché questa autentica via di pace che è il
perdono possa tradursi in gesti concreti nel quotidiano vivere e
operare in compagnia degli uomini.