I fratelli e le
sorelle di Bose: La pace ferita
Lettera agli amici
(Dal periodico "Lettera agli
amici" del Monastero di Bose, priore Enzo Bianchi, Avvento 2001)
Cari amici e ospiti,
ancora una volta questa nostra lettera, che vuole essere un
legame di comunione e di fraternità con voi che ci seguite da
lontano, vede la luce in unora in cui la pace, e con essa lumanità
intera, soffre violenza.
Sì, il folle progetto assassino dei terroristi è riuscito non
solo a colpire al cuore lesponente più emblematico delloccidente
industrializzato, ma anche a spostare sia i sentimenti di grandi
masse di cittadini di quello stesso occidente sia le decisioni di
quanti tra loro hanno responsabilità di governo dalla cultura
del dialogo, della tolleranza, della ricerca di soluzioni non
violente ai conflitti economici, sociali e politici, allopzione
per la guerra, per una risposta che si preoccupa primariamente
del risultato da perseguire e non delle modalità con cui lo si
ottiene né delle conseguenze che queste modalità provocheranno
a breve e a lungo termine.
Pare crollata, assieme alle Torri Gemelle, quella estesa
convinzione di cui si faceva voce papa Giovanni nella sua Pacem
in terris del 1963: "Si diffonde sempre più tra gli esseri
umani la persuasione che le eventuali controversie tra i popoli
non debbono essere risolte con il ricorso alle armi, ma invece
attraverso il negoziato". E così si ascolta con fragore
assordante, come un coro che non ammette stonature, la ripresa
convinta di un connubio che si era sperato bandito per sempre:
quello tra guerra e giustizia.
Da più parti, anche allinterno della chiesa, si accetta
e a volte apparentemente senza neanche troppa sofferenza
interiore lassioma che per ristabilire la giustizia
è lecito usare le stesse armi dellingiusto che si vuole
colpire, che per riportare pace e tranquillità bisogna passare e
far passare vittime innocenti attraverso guerra e angoscia
profonda. Si arriva a sconfessare quella convinzione che lo
stesso Giovanni XXIII il papa "buono", il papa
recentemente beatificato, ma il papa il cui magistero fatica a
trasformarsi in prassi quotidiana dei cattolici esprimeva
in quella appassionata enciclica scritta pochi mesi prima di
morire: "Riesce impossibile pensare che nellera
atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di
giustizia". Siamo ancora nellera atomica e di nuovo si
è ripreso a pensare anche tra cristiani, anche tra
cattolici che la guerra possa essere un modo per fare
giustizia!
Quanti abbracciano questa riedizione del machiavellico "fine
che giustifica i mezzi" obiettano che il nemico "terrorista"
è diverso dal nemico inteso come stato o come sistema ideologico
ed economico, ma non ci si rende conto che, così facendo, in un
colpo solo si delegittimano paradossalmente tutte le guerre
precedenti e si concede che sia proprio il terrorismo a fornire
la "giustificazione" dei nostri atti di guerra.
Come cristiani lamarezza si fa più profonda ancora quando
si assiste a una messa al bando, a unirrisione, a un
ostracismo di fratelli nella fede perché sbrigativamente
definiti "pacifisti", quasi che luso ambiguo od
opportunista del termine che viene fatto sui mass media rendesse
costoro automaticamente estranei allatteggiamento e alla
prassi degli "operatori di pace" chiamati "beati"
da Gesù nel suo discorso della montagna.
In una delle nostre riflessioni sugli eventi seguiti all11
settembre eventi che purtroppo ci paiono riproporre il
lato peggiore del "già visto", piuttosto che lenfaticamente
proclamato "nulla sarà più come prima"
notavamo lo stridore di reazioni diverse, confuse e contrapposte
allinterno dello stesso mondo cattolico. Quel consenso
sulle tematiche della pace che magistero e "sensus fidei"
del popolo di Dio sembravano aver raggiunto, da papa Giovanni e
il concilio fino agli accorati appelli per la pace e il rifiuto
della guerra elevati da Giovanni Paolo II in occasione dei
conflitti nel Golfo e nel Kosovo, sembra ora svanire: la stessa
voce del papa evangelicamente audace come sempre
viene quasi messa in sordina o relegata nellinnocuo campo
degli auspici profetici che infastidiscono solo i "manovratori"
intenti alle dure esigenze della Realpolitik. E questo ad opera
di molti anche dentro lo spazio ecclesiale: cristiani preoccupati
di non mancare a quella funzione di "religione civile"
che il mondo e non il Vangelo richiede loro piuttosto che di
"cercare prima il regno di Dio e la sua giustizia" (cf.
Mt 6,33).
In queste settimane la liturgia offre al nostro ascolto e alla
nostra meditazione i brani escatologici dei Vangeli e lApocalisse:
guerre e catastrofi, eventi che angosciano lumanità sono
indicati come il frutto di quei falsi valori che gli uomini,
sedotti dalle diverse idolatrie, coltivano. Sì, in questo senso
"nulla di nuovo", purtroppo: è stato così ai tempi
della chiesa nascente, come nei secoli che si sono succeduti fino
a oggi, e così sarà ancora finché regneranno menzogna e
idolatria, finché prevarrà unimpostazione della vita e
della società su cammini che pretendono di servire luomo
ma che in realtà lo alienano, creando situazioni di ingiustizia
per molti e di vantaggio per pochi.
Babilonia è la città da noi abitata dice lApocalisse
in cui agisce la Bestia e la sua ideologia. Abbiamo una
"città" in cui lorganizzazione economica è a
servizio dellaccumulo e del consumismo, in cui il lusso
sfrenato istiga linvidia dei miseri, in cui i pochi
commensali alla tavola dellabbondanza impediscono agli
altri uomini, loro fratelli, di partecipare, in cui la filosofia
dellegoismo trova ogni giorno cantori nuovi che anche nello
spazio cristiano sanno giustificarla e farla ritenere necessaria.
Questa lettera è stata stesa allindomani dellannuncio
della duplice iniziativa di pace lanciata da papa Giovanni Paolo
II: un giorno di digiuno in solidamente con i credenti dellislam
e le vittime della guerra e un incontro tra le religioni per
invocare la pace dal Dio unico.
Ancora una volta il papa ha mostrato di essere innanzi tutto un
cristiano che vive con convinzione il primato della fede. Senza
calcoli né opportunismi, pone gesti che ricollocano i credenti
"davanti a Dio", il solo che può donare una pace che
il mondo non può, e sovente non vuole, darsi. Risuona con
rinnovata passione linvocazione elevata già dieci anni or
sono, nelle ore tragiche della guerra del Golfo: "Dio dei
nostri padri, grande e misericordioso, Signore della pace e della
vita, Padre di tutti... Ascolta il grido unanime dei tuoi figli,
supplica accorata di tutta lumanità: mai più la guerra,
avventura senza ritorno; mai più la guerra, spirale di lutti e
di violenza!".
Sì, come cristiani dobbiamo ribadirlo con franchezza e umiltà,
anche se può dare fastidio ai sottili ragionatori di questo
mondo: Dio non ama che si uccida per lui, Dio non vuole che si
demonizzi il nemico, Dio non chiede che si divinizzi una causa da
difendere.
Cari amici, questi pensieri vi giungeranno al cuore dellAvvento,
di quel tempo propizio che richiede e favorisce la vigilanza, lo
stare desti, lo scrutare nelle tenebre il faticoso avvicinarsi
della luce: in questi giorni cupi, giorni non certo favorevoli né
per i poveri, né per le vittime della guerra, né per quelli che
credono nella pace, vi giunga la nostra vicinanza nella preghiera
e nellinvocazione al Dio della pace, al Signore Gesù
Cristo che è la nostra pace, affinché possa risuonare in verità
il canto dei messaggeri che recano buone notizie, che annunciano
una grande gioia al popolo in attesa: "Ecco, è nato per voi
un Salvatore... Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in
terra agli uomini che Egli ama!".
Cari amici e ospiti, buon Natale!
I fratelli e le sorelle di Bose
2 dicembre 2001, prima domenica di Avvento