(Da "La Repubblica" del 27 ottobre 2001)
Quello che è avvenuto l11 settembre scorso si mostra
sempre di più come una "apocalisse" nel senso
etimologico e cristiano del termine: un "alzare il velo",
una rivelazione di ciò che è luomo, di quello che luomo
vuole e, perciò, opera. Se è vero, come dice lantica
sapienza di Israele, che "luomo nel benessere non
capisce", è anche vero che nelle crisi cè loccasione
propizia al pensare, allinterrogarsi e, quindi, favorevole
al confronto con laltro. Tuttavia si ha limpressione
che oggi sia diventato talmente difficile e faticoso pensare che
si preferisce ricorrere a semplificazioni, schierarsi senza aver
percorso un autentico cammino di conoscenza e di discernimento,
si preferisce cioè non ascoltare laltro ma rinsaldare la
propria posizione e difenderla a ogni costo.
Una delle "rivelazioni" di cui occorre prendere atto
riguarda i cristiani o, meglio, i cattolici che di fronte agli
eventi dell11 settembre hanno reagito e continuano a
reagire in modo diverso, perfino contrapposto e, oserei dire,
confuso. Non era stato così, su queste tematiche, negli ultimi
decenni, dopo il magistero sulla pace di Giovanni XXIII e del
concilio Vaticano II; oggi invece le voci si contrappongono e gli
esponenti delluno e dellaltro orientamento affermano
di riferirsi al vangelo, allo stesso vangelo. La confusione è
tale che può essere letta come un invito a concludere che sui
temi più profondi ed essenziali della vita anche il vangelo
risulta impotente ed inefficace e che ciascuno può invocarlo a
sostegno della propria posizione. Disagio dunque di molti
cristiani, ma anche polemica offensiva e a volte calunniosa da
parte di chi non vuole capire che esistono "ragioni
cristiane".
Una prima tematica conflittuale è certamente quella che riguarda
il rapporto tra cristiani e occidente. Il cristianesimo è nato
in occidente sul ceppo mediterraneo dellebraismo e in
occidente si è sviluppato: i popoli delloccidente portano
ancora oggi nella loro cultura e nella loro tradizione le tracce
di questo dinamismo originale. Non solo, ma per molte nazioni
occidentali cè stata unidentificazione tra religione
e nazione per cui, ad esempio, la Francia era chiamata "la
primogenita della chiesa", la Spagna vantava il titolo di
"Cattolica", fino al caso di alcuni paesi, come la
Polonia, in cui lidentità nazionale è stata conservata
anche grazie alla religione durante gli anni della cattività
comunista.
Tuttavia è stato osservato che loccidente per il
cristianesimo è un "accidente" (in senso tomista), cioè
è stato un luogo di incarnazione ma, essendo il vangelo
destinato a ogni uomo di ogni cultura, non si può operare unidentificazione
tra occidente e cristianesimo. Sarebbe un tradimento della volontà
di Gesù Cristo e del dinamismo millenario insito nel suo
annuncio di salvezza. Di conseguenza, i cristiani che vivono in
occidente dovrebbero imparare a discernere le differenze tra
messaggio evangelico e cultura che lha trasmesso venendone
in parte plasmata, dovrebbero vigilare affinché non avvenga
questa identificazione che non solo impedirebbe levangelizzazione
delle genti (non è forse per unincapacità a inculturare
il vangelo che in Asia la missione resta stagnante?), ma
minaccerebbe ciò che distingue il cristianesimo come fede dalle
altre religioni e che lo fa essere distinto dalla stessa
religione in cui si incarna. Ha scritto giustamente Giuseppe
Alberigo che proprio "il superamento del monolitismo del
cristianesimo occidentale è il problema nodale della fede nel
terzo millennio".
Non mi pare quindi che si possano bollare simili posizioni come
"antioccidentali" né, tantomeno, come "antiamericane".
Né si scambi per opposizione agli Stati Uniti, una critica
squisitamente cristiana ed evangelica allattuale modo di
vita dominante occidente, a una prosperità che in quella
nazione, prima iperpotenza globale, ha la sua epifania più
evidente. Affermare, come è stato fatto da parte occidentale,
che leccidio di New York è stata "unaggressione
contro il nostro stile di vita, dovuta al fatto che si detesta la
nostra prosperità" significa proprio identificare il
sistema socio-economico con la popolazione delloccidente.
Ignacio Ramonet su Le Monde diplomatique osserva che molti nel
mondo pensano che "lAmerica se lo sia meritato":
amara e detestabile constatazione che però trova terreno fertile
nei sentimenti di quei milioni di persone che pensano alla loro
miseria disperata come a una condizione cui non è estraneo il
mondo ricco che, tramite i mass media, entra nelle case dei
miseri. Per citare solo una delle recenti, autorevoli prese di
posizione, non sospettabili di antioccidentalismo, vorrei
ricordare cosa ha scritto il cardinal Ratzinger: "Regna
ormai unideologia in cui gli uomini abituati alla ricchezza
e al benessere non fanno più sacrifici per raggiungere un
benessere universale, ma promuovono strategie per ridurre il
numero dei commensali alla tavola dellumanità, affinché
non venga intaccata la pretesa felicità che i pochi hanno
raggiunto!".
Dove è incarnata e vissuta questa ideologia? Forse in Etiopia o
in Cambogia? La Fao il cui vertice è stato
definitivamente procrastinato di un anno perché chi muore di
fame può tranquillamente attendere che vengano ristabilite le
doverose misure di sicurezza a protezione di chi deve decidere
gli aiuti ha dichiarato nei giorni scorsi che ogni giorno
nel mondo muoiono di fame 24.000 persone (il che significa quasi
9 milioni in questanno di attesa supplementare): questo
dramma è imputabile solo alla loro arretratezza, alla loro
situazione storica, alla loro incapacità cronica a competere con
loccidente? Oppure, come qualcuno ha pensato di fare,
bisogna additare nel papa il principale responsabile: "il
maggiore colpevole della povertà è chi ostacola la
contraccezione
nel corso del lungo papato di Woytila le
bocche da sfamare sono diventate un miliardo in più"?
È certo che non sono gli Stati Uniti lorigine e la causa
di tutti i mali dei poveri, ma è altrettanto certo che essi,
come tutte le nazioni ricche del pianeta, non sono innocenti. Sì,
è davvero sbrigativo e fuorviante etichettare come "antiamericanismo"
ogni critica al nostro sistema: oggi la cultura e la forma di
società degli Stati Uniti è anche la nostra, non è dunque
possibile per noi nutrire sentimenti antiamericani, ma è
possibile restare critici verso il sistema in cui viviamo e del
quale ognuno di noi, in forma diversa, è responsabile.
Unaltra "apocalisse", un altro svelamento
provocato dalla tragedia dell11 settembre riguarda latteggiamento
dei cristiani verso la guerra: è impressionante notare come da
un lato si affermi di rispettare la voce del papa, la si
definisca voce "profetica" (leggi "fuori della
storia") che è opportuno che risuoni come monito (leggi
"fervorino"), come affermazione di una "speranza"
(leggi "utopia") ma, daltro canto, un sano
realismo impedisce che le si dia ascolto e le si presti
obbedienza! Prevalgono dure esigenze concrete di lotta per
sconfiggere il terrorismo, dunque il papa continui pure a fare il
profeta, ma i cattolici dicano un chiaro sì alle armi cui si
affidano i valori più nobili: tolleranza, pace, diritti umani
Ma il papa non si era chiesto quale mai può essere quella verità
(quel valore) che si serve della violenza per affermarsi? Cosa
dedurne? Che la chiesa cattolica parla a più voci? Che al suo
interno sono presenti fiancheggiatori di Bin Laden? O che ha
perso ogni possibilità di credere nella pace come strumento e
prassi di riconciliazione e lascia allaudace ostinazione
del papa il solitario compito della voce utopica?
Ancora una volta mi pare di poter constatare amaramente che il
cristianesimo ha sì dei "nemici", ma essi sono sempre
e soltanto al suo interno: sono quelli che vorrebbero declinarlo
come "religione civile", identificandolo con loccidente
e chiedendogli di dare fondamento etico (un tempo si sarebbe
detto "benedizione") a un potere che non vuole
interrogarsi sulle diverse possibilità di fermare il terrorismo
e sulle conseguenze di un intervento armato per le popolazioni
civili e nel futuro del mondo. Classificare con disprezzo i
cristiani come pacifisti, antioccidentali, succubi di un buonismo
melenso è facile, e oggi appare strategia pagante, ma non è
operazione seria e capace di favorire lascolto e di
contribuire a un dipanamento della crisi.
Certo che chi è vigilante, non tace di fronte ai massacri dei
ceceni (neppure se opportunisticamente legittimati come lotta al
terrorismo), ricorda tutti i genocidi commessi e condanna
qualsiasi forma di terrorismo: quello dellIrlanda del Nord,
dei Paesi Baschi e della Corsica, divenuto endemico e tristemente
"familiare" agli europei, come quello tragicamente
cronico in Israele o quello di Bin Laden, assurto a evento
mediatico. Sì, oggi, ancora una volta, i tempi non sono
favorevoli né per i poveri, né per le vittime della guerra, né
per quelli che credono nella pace.