Parrebbe quasi un accidente se alla cosa, che potesse sussistere per sé sola, successivamente potesse convenire una situazione.
Se le cose possono ricorrere in stati di cose, ciò deve già essere in esse.
(Qualcosa di logico non può essere solo-possibile. La logica tratta di ogni possibilità, e tutte le possibilità sono i suoi fatti.)
Come non possiamo affatto concepire oggetti spaziali fuori dello spazio, oggetti temporali fuori del tempo, così noi non possiamo concepire alcun oggetto fuori della possibilità del suo nesso con altri.
Se posso concepire l'oggetto nel contesto dello stato di cose, io non posso concepirlo fuori della possibilità di questo contesto.
2.0122 | La cosa è indipendente nella misura nella quale essa può ricorrere in tutte le situazioni possibili, ma questa forma d'indipendenza è una forma di connessione con lo stato di cose, una forma di non-indipendenza. (E' impossibile che le parole appaiano in due differenti modi: da sole, e nella proposizione.)
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2.0123 | Se conosco l'oggetto, io conosco anche tutte le possibilità della sua ricorrenza in stati di cose.
(Ognuna di tali possibilità dev'essere nella natura dell'oggetto.)
Non può trovarsi successivamente una nuova possibilità.
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2.01231 | Per conoscere un oggetto, non mi è necessario conoscere le sue proprietà esterne, - ma le sue proprietà interne io devo conoscerle tutte.
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2.0124 | Se sono dati tutti gli oggetti, con ciò sono dati tutti gli stati di cose possibili.
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2.013 | Ogni cosa è come in uno spazio di possibili stati di cose. Questo spazio io posso pensarlo vuoto, ma io non posso pensare la cosa senza lo spazio.
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2.0131 | L'oggetto spaziale dev'essere nello spazio infinito. (Il punto dello spazio è un posto d'argomento.)
La macchia nel campo visivo può essere rossa, ma un colore non può non averlo: Essa ha, per così dire, lo spazio cromatico intorno a sé. Il suono deve avere una altezza, l'oggetto del tatto una durezza, e così via.
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2.014 | Gli oggetti contengono la posssbilità di tutte le situazioni.
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2.0141 | La possibilità della sua ricorrenza in stati di cose è la forma dell'oggetto.
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2.02 | L'oggetto è semplice.
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2.0201 | Ogni enunciato sopra complessi può scomporsi in un enunciato sopra le loro parti costitutive e nelle proposizioni che descrivono completamente i complessi.
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2.021 | Gli oggetti formano la sostanza del mondo. Perciò essi non possono essere composti.
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2.0211 | Se il mondo non avesse una sostanza, l'avere una proposizione senso dipenderebbe allora dall'essere un'altra proposizione vera.
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2.0212 | Sarebbe allora impossibile progettare un'immagine (vera o falsa) del mondo.
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2.022 | E' manifesto che un mondo, per quanto differente sia pensato dal mondo reale, deve avere in comune con il mondo reale qualcosa - una forma -.
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2.023 | Questa forma fissa consta appunto degli oggetti.
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2.0231 | La sostanza del mondo può determinare solo una forma, non già proprietà materiali. Infatti queste sono rappresentate solo dalle proposizioni - sono formate solo dalla configurazione degli oggetti.
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2.0232 | Detto approssimativamente: Gli oggetti sono incolori.
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2.0233 | Due oggetti d'eguale forma logica sono - a prescindere dalle loro proprietà esterne - distinti l'uno dall'altro solo dall'essere differenti.
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2.02331 | O una cosa ha proprietà che nessun'altra cosa ha, nel qual caso la si può senz'altro distinguere, mediante una descrizione, dalle altre, ed indicarla; o, invece, vi sono più cose che hanno in comune tutte le loro proprietà, nel qual caso è affatto impossibile indicarne una.
Infatti, se la cosa è per nulla distinta, non la posso distinguere, ché altrimenti essa sarebbe, appunto, distinta.
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2.024 | La sostanza è ciò che sussiste indipendentemente da ciò che accade.
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2.025 | Essa è forma e contenuto.
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2.0251 | Spazio, tempo e colore (cromaticità) sono forme degli oggetti.
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2.026 | Solo se vi sono oggetti può esservi una forma fissa del mondo.
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2.027 | Il fisso, il sussistente e l'oggetto sono tutt'uno.
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2.0271 | L'oggetto è il fisso, il sussistente; la configurazione è il vario, l'incostante.
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2.0272 | La configurazione degli oggetti forma lo stato di cose.
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2.03 | Nello stato di cose gli oggetti sono interconnessi, come le maglie d'una catena.
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2.031 | Nello stato di cose gli oggetti sono in una determinata relazione l'uno con l'altro.
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2.032 | Il modo, nel quale gli oggetti ineriscono l'uno all'altro nello stato di cose, è a struttura dello stato di cose.
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2.033 | La forma è la possibilità della struttura.
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2.034 | La struttura del fatto consta delle strutture degli stati di cose.
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2.04 | La totalità degli stati di cose sussistenti è il mondo.
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2.05 | La totalità degli stati di cose sussistenti determina anche quali stati di cose non sussistono.
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2.06 | Il sussistere e non sussistere di stati di cose è la realtà.
(Il sussistere di stati di cose lo chiamiamo anche un fatto positivo; il non sussistere, un fatto negativo.)
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2.061 | Gli stati di cose sono indipendenti l'uno dall'altro.
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2.062 | Dal sussistere o non sussistere d'uno stato di cose non può concludersi al sussistere o non sussistere d'un altro.
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2.063 | La realtà tutta è il mondo.
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2.1 | Noi ci facciamo immagini dei fatti.
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2.11 | L'immagine presenta la situazione nello spazio logico, il sussistere e non sussistere di stati di cose.
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2.12 | L'immagine è un modello della realtà.
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2.13 | Agli oggetti corrispondono nell'immagine gli elementi dell'immagine.
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2.131 | Gli elementi dell'immagine sono rappresentanti degli oggetti nell'immagine.
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2.14 | L'immagine consiste nell'essere i suoi elementi in una determinata relazione l'uno con l'altro.
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2.141 | L'immagine è un fatto.
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2.15 | Che gli elementi dell'imamgine siano in una determinata relazione l'uno con l'altro rappresenta che le cose sono in questa relazione l'una con l'altra.
Questa connessione degli elementi dell'immagine io la chiamo la struttura dell'immagine; la possibilità di questa struttura io la chiamo la forma di raffigurazione dell'immagine.
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2.151 | La forma di raffigurazione è la possibilità che le cose siano l'una con l'altra nella stessa relazione che gli elementi dell'immagine.
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2.1511 | E' così che l'iimagine è connessa con la realtà; giunge ad essa.
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2.1512 | Essa è come un metro apposto alla realtà.
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2.15121 | Solo i punti estremi delle righe di graduazione toccano l'oggetto da misurare.
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2.1513 | Secondo questa concezione, dunque, appartiene all'immagine anche quella relazione di raffigurazione che dell'immagine fa appunto un'immagine.
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2.1514 | La relazione di raffigurazione consta delle coordinazioni degli elementi dell'immagine e delle cose.
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2.1515 | Queste coordinazioni sono quasi le antenne degli elementi dell'immagine, con le quali l'immagine tocca la realtà.
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2.16 | Il fatto, per essere immagine, deve avere qualcosa in comune con il raffigurato.
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2.161 | Nell'immagine e nel raffigurato qualcosa dev'essere identico, affinché quella possa essere un'immagine di questo.
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2.17 | Ciò che l'immagine deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare - correttamente o falsamente - nel proprio modo, è la forma di raffigurazione propria dell'immagine.
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2.171 | L'immagine può raffigurare ogni realtà della quale ha la forma.
L'immagine spaziale, tutto lo spaziale; la cromatica, tutto il cromatico; etc.
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2.172 | La sua propria forma di raffigurazione, tuttavia, l'immagine non può raffigurarla; essa la esibisce.
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2.173 | L'immagine rappresenta il suo oggetto dal di fuori (suo punto di vista è la sua forma di rappresentazione), perciò l'immagine rappresenta il suo oggetto correttamente o falsamente.
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2.174 | L'immagine non può, tuttavia, porsi fuori della propria forma di rappresentazione.
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2.18 | Ciò che ogni immagine, di qualunque forma essa sia, deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare - correttamente o falsamente -, è la forma logica, ossia la forma della realtà.
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2.181 | Se la forma di raffigurazione è la forma logica, l'immagine si chiama l'immagine logica.
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2.182 | Ogni immagine è anche un'immagine logica. (Invece, ad esempio, non ogni immagine è un'immagine spaziale.)
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2.19 | L'immagine logica può raffigurare il mondo.
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2.2 | L'immagine ha in comune con il raffigurato la forma logica di raffigurazione.
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2.201 | L'immagine raffigura la realtà rappresentando una possibilità del sussistere e non sussistere di stati di cose.
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2.202 | L'immagine rappresenta una possibile situazione nello spazio logico.
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2.203 | L'immagine contiene la possibilità della situazione che essa rappresenta.
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2.21 | L'immagine concorda o non concorda con la realtà; essa è corretta o scorretta, vera o falsa.
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2.22 | L'immagine rappresenta ciò che rappresenta, indipendentemente dalla propria verità o falsità, mediante la forma di raffigurazione.
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2.221 | Ciò che l'immagine rappresenta è il proprio senso.
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2.222 | Nella concordanza o non-concordanza del senso dell'immagine con la realtà consiste la verità o falsità dell'immagine.
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2.223 | Per riconoscere se l'immagine sia vera o falsa noi dobbiamo confrontarla con la realtà.
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2.224 | Dall'immagine soltanto non può riconoscersi se essa sia vera o falsa.
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2.225 | Un'immagine vera a priori non v'è.
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3 | L'immagine logica dei fatti è il pensiero.
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3.001 | "Uno stato di cose è pensabile" vuol dire: Noi possiamo farci un'immagine di esso.
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3.01 | La totalità dei pensieri veri è un'immagine del mondo.
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3.02 | Il pensiero contiene la possibilità della situazione che esso pensa. Ciò che è pensabile è anche possibile.
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3.03 | Noi non possiamo pensare nulla d'illogico, poichè altrimenti dovremmo pensare illogicamente.
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3.031 | Si diceva una volta: Dio può creare tutto, ma nulla che sia contro le leggi logiche. - Infatti, d'un mondo "illogico" noi non potremmo dire quale aspetto esso avrebbe.
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3.032 | Qualcosa "contraddicente la logica" si può rappresentare nel linguaggio non più di quanto, nella geometria, si possa rappresentare, mediante le sue coordinate, una figura contraddicente le leggi dello spazio; o dare le coordinate d'un punto inesistente.
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3.0321 | Noi possiamo sì rappresentare spazialmente uno stato di cose che vada contro le leggi della fisica, ma non uno stato di cose che vada contro le leggi della geometria.
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3.04 | Un pensiero corretto a priori sarebbe un pensiero, la cui posssibilità ne condizionasse la verità.
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3.05 | Noi potremmo sapere a priori che un pensiero è vero solo se dal pensiero stesso (senza la mediazione di un termine di confronto) se ne potesse conoscere la verità.
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3.11 | Noi usiamo il segno percepibile mediante i sensi (segno fonico, o segno grafico,etc.) della proposizione quale proiezione della situazione possibile.
Il metodo di proiezione è il pensare il senso della proposizione.
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3.12 | Il segno, mediante il quale esprimiamo il pensiero, io lo chiamo il segno proposizionale. E la proposizione è il segno proposizionale nella sua relazione di proiezione con il mondo.
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3.13 | Alla proposizione appartiene tutto ciò che appartiene alla proiezione; ma non il proiettato.
Dunque, la possibilità del proiettato, ma non il proiettato stesso.
Nella proposizione, dunque, non è ancora contenuto il suo senso, ma è contenuta la possibilità d'esprimerlo.
("Il contenuto della proposizione" vuol dire il contenuto della proposizione munita di senso.)
Nella proposizione è contenuta la forma, ma non il contenuto, del suo senso.
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3.14 | Il segno proposizionale consiste nell'essere i suoi elementi (le parole) in una determinata relazione l'uno con l'altro.
Il segno proposizionale è un fatto.
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3.141 | La proposizione non è un miscuglio di parole. - (Come il tema musicale non è un miscuglio di suoni.)
La proposizione è articolata.
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3.142 | Solo fatti possono esprimere un senso; una classe di nomi non può farlo.
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3.143 | Che il segno proposizionale sia un fatto viene nascosto dalla consueta forma d'espressione grafica o tipografica.
Infatti, nella proposizione stampata, ad esempio, il segno propposizionale non pare essenzialmente differente dalla parola.
(Ecco perchè Frege ha potuto denominare la proposizione un nome composto.)
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3.1431 | Chiarissima diviene l'essenza del segno proposizionale se lo concepiamo composto, invece che di segni grafici, d'oggetti spaziali (come tavoli, sedie, libri). La posizione spaziale reciproca di queste cose esprime allora il senso della proposizione.
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3.1432 | Non: "Il segno complesso <aRb> dice che a sta nella relazione R con b", ma: Che "a" stia in una certa relazione con "b" dice che aRb.
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3.144 | Le situazioni si possono descrivere, non denominare.
(I nomi somigliano a punti; le proposizioni, a frecce: Esse hanno senso.)
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3.2 | Nella proposizione il pensiero può essere espresso così che gli oggetti del pensiero corrispondano elementi del segno proposizionale.
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3.201 | Questi elementi io li chiamo "segni semplici"; la proposizione, "completamente analizzata".
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3.202 | I segni semplici impiegati nella proposizione si chiamano nomi.
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3.203 | Il nome significa l'oggetto. L'oggetto è il suo significato. ("A" è lo stesso che "A".)
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3.21 | Alla configurazione dei segni semplici nel segno proposizionale corrisponde la configurazione degli oggetti nella situazione.
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3.22 | Il nome è il rappresentante, nella proposizione, dell'oggetto.
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3.221 | Gli oggetti io li posso solo nominare. I segni ne sono rappresentanti. Io posso solo dirne, non dirli. Una proposizione può dire solo come una cosa è, non che cosa essa è.
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3.23 | Il requisito della possibilità dei segni semplici è il requisito della determinatezza del senso.
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3.24 | La proposizione che tratta del complesso sta in relazione interna con la proposizione che tratta d'una parte costitutiva del complesso.
Il complesso può essere dato solo mediante la sua descrizione, e questa sarà giusta o errata. La proposizione ove si parla d'un complesso sarà, se questo non esiste, non insensata, ma semplicemente falsa.
Che un elemento proposizionale designi un complesso si può vedere da un'indeterminatezza nelle proposizioni ove l'elemento ricorre. Noi sappiamo che da questa proposizione non ancora tutto è determinato. (In effetti, il segno di generalità contiene un archetipo.)
La contrazione in un simbolo semplice del simbolo d'un complesso può esser espressa da una definizione.
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3.25 | V'è una e solo una analisi completa della proposizione.
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3.251 | La proposizione esprime in guisa determinata e chiaramente indicabile ciò che esprime: La proposizione è articolata.
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3.26 | Il nome non può ulteriormente smembrarsi mediante una definizione: Esso è un segno primitivo.
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3.261 | Ogni segno definito designa attraverso quei segni, mediante i quali esso fu definito; e le definizioni ìndicano la via.
Due segni - un segno primitivo e un segno definito mediante segni primitivi - non possono designare allo stesso modo. Non si possono disgregare mediante definizioni i nomi. (Nessun segno il quale abbia da solo, di per sé, un significato.)
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3.262 | Ciò che nei segni non viene espresso lo mostra la loro applicazione. Ciò che i segni occultano lo rivela la loro applicazione.
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3.263 | I significati di segni primitivi si posssono spiegare mediante chiarificazioni. Le chiarificazioni sono proposizioni che contengono i segni primitivi. Esse dunque possono essere comprese solo se già siano noti i significati di questi segni.
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3.3 | Solo la proposizione ha senso; solo nel contesto della proposizione un nome ha significato.
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3.31 | Ogni parte della proposizione che ne caratterizzi il senso, io la chiamo un espressione (un simbolo).
(La proposizione stessa è un'espressione.)
Espressione è quanto d'essenziale al senso della proposizione le proposizioni posssono aver in comune l'una con l'altra.
L'espressione contrassegna una forma e un contenuto.
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3.311 | L'espressione presuppone le forme di tutte le proposizioni nelle quali essa può ricorrere. Essa è il carattere comune d'una classe di proposizioni.
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3.312 | Essa è dunque rappresentata dalla forma generale delle proposizioni che essa caratterizza.
E, in questa forma, l'espressione sarà costante; tutto il resto, variabile.
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3.313 | L'espressione e' dunque rappresentata da una variabile, i cui valori sono le proposizioni che contengono l'espressione.
(Al limite, la variabile diviene una costante; l'espressione, una proposizione.)
Io chiamo tale variabile "variabile proposizionale".
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3.314 | L'espressione ha significato solo nella proposizione.
Ogni variabile può concepirsi quale variabile proposizionale.
(Anche il nome variabile.)
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3.315 | Se trasformiamo una parte costitutiva d'una proposizione in una variabile, v'è una classe di proposizioni le quali tutte sono valori della proposizione variabile così nata. Questa classe dipende ancora in generale da ciò che noi, per convenzione arbitraria, intendiamo per parti di quella proposizione. Ma se trasformiamo tutti quei segni, dei quali si è arbitrariamente determinato il significato, in variabili, resta pur sempre una tale classe. Ma ora questo è dipendente non più da una convenzione, ma solo dalla natura della proposizione. Essa corrisponde ad una forma logica - ad un archetipo logico.
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3.316 | Quali valori la varibile proposizionale possa assumere, è soggetto a determinazione convenzionale.
La determinazione dei valori è la variabile.
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3.317 | La determinazione dei valori delle variabili proposizionali è l'indicazione delle proposizioni il cui carattere comune è la variabile.
La determinazione è una descrizione di queste proposizioni.
La determinazione tratterà dunque solo di simboli, non del loro significato.
E solo questo è essenziale alla determinazione: essere solo una descrizione di simboli e nulla enunciare attorno al designato.
Come la descrizione delle proposizioni avvenga è inessenziale.
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3.318 | La proposizione io la concepisco - come Frege e Russel - quale funzione delle espressioni in essa contenute.
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3.32 | Il segno è ciò che nel simbolo è percepibile mediante i sensi.
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3.321 | Due differenti simboli possono dunque aver in comune l'uno con l'altro il segno (sengo grafico o segno fonico etc.); essi allora designano in modo differente.
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3.322 | Non può mai indicare il carattere comune di due oggetti il designarli con lo stesso segno, ma mediante due differenti modi di designazione. Infatti il segno è arbitrario. Si potrebbe dunque anche scegliere due segni differenti, e ove allora rimarrebbe ciò che è comune nella designazione?
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3.323 | Nel linguaggio comune avviene molto di frequente che la stessa parola designi in modo differente - dunque appartenga a simboli differenti -, o che due parole, che designano in modo differente, esteriormente siano applicate nella proposizione allo stesso modo.
Così la parola "è" appare quale copula, quale segno d'eguaglianza e quale espressione dell'esistenza; "esistere", quale verbo intrnsitivo, come "andare"; "identico", quale aggettivo; noi parliamo di Qualcosa, ma anche del fatto che qualcosa avviene.
(Nella proposizione "Franco è franco" - ove la prima parola è un nome di persona; l'ultima, un aggettivo - queste parole non hanno semplicemente significato differente, ma sono simboli differenti.)
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3.324 | E' così che facilmente nascono le confusioni più fondamentali (delle quali la filosofia tutta è piena).
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3.325 | Per evitare questi errori dobbiamo impiegare un linguaggio segnico, il quale li escluda non impiegando, in simboli differenti, lo stesso segno, e non impiegando, apparentemente nello stesso modo, segni che designano in modo differente. Un linguaggio segnico, dunque, il quale si conformi alla grammatica logica - alla sintassi logica -.
(Un linguaggio così è l'ideografia di Frege e di Russel, che tuttavia ancora non esclude tutti gli errori.)
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3.326 | Per riconoscere il simbolo nel segno se ne deve considerare l'uso munito di senso.
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3.327 | Il segno determina soltanto con il suo impiego logico-sintattico una forma logica.
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3.328 | Se un segno è inutile, esso è privo di significato. Ecco il senso del rasoio di Ockham.
(Se tutto si comporta come se un segno avesse significato, esso ha significato.)
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3.33 | Nella sintassi logica il significato d'un segno non deve mai assolvere una funzione; la sintassi logica deve stabilirsi senza parlare del significato d'un segno, essa può presupporre solo la descrizione delle espressioni.
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3.331 | Movendo da questa osservazione gettiamo uno sguardo sulla "theory of types" di Russel: L'errore di Russel si mostra nell'aver egli dovuto parlare, stabilendo le regole dei segni, del significato dei segni.
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3.332 | Nessuna proposizione può enunciare qualcosa sopra se stessa, poiché il segno proposizionale non può esser contenuto in se stesso (ecco tutta la "theory of types").
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3.333 | Una funzione non può esser suo proprio argomento, perchè il segno funzionale contiene già l'archetipo del suo argomento e non può contenere se stesso.
Supponiamo infatti che la funzione F(fx) possa essere il suo proprio argomento; allora vi sarebbe dunque una proposizione "F(F(fx))", e, in essa, la funzione esteriore F e la funzione interiore F devono avere significati differenti, poichè quella interiore ha la forma f(fx); quella eteriore, la forma ?(f(fx)). Comune ad ambe le funzioni è solo la lettera "F", che però, da sola, non designa nulla.
Questo diviene subito chiaro se noi, invece di: "F(Fu)", scriviamo "(esiste f) : F(fu) . fu = Fu".
Con ciò s'elimina il paradosso di Russel.
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3.334 | Le regole della sintassi logica devono comprendersi da sé, solo che si sappia come ogni singolo segno designi.
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3.34 | La proposizione possiede tratti essenziali e tratti accidentali.
Accidentali sono i tratti che risultano dalla particolare maniera di produrre il segno proposizionale.
Essenziali sono i tratti che soli consentono alla proposizione d'esprimere il suo senso.
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3.341 | L'essenziale nella proposizione è, dunque, ciò che è comune a tutte le proposizioni che possono esprimere lo stesso senso.
E così, in generale, l'essenziale nel simbolo è ciò che hanno in comune tutti i simboli che possono servire allo stesso fine.
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3.3411 | Si potrebbe dunque dire: Il nome vero e proprio è ciò che hanno in comune tutti i simboli che designano l'oggetto. Risulterebbe così gradualmente che nessuna sorta di composizione è essenziale per il nome.
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3.342 | Nelle nostre notazioni v'è sì qualcosa d'arbitrario, ma non arbitrario è questo: Se noi abbiamo determinato arbitrariamente qualcosa, qualcos'altro deve accadere. (Ciò dipende dallessenza della notazione.)
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3.3421 | E' possibile che un particolare modo di designazione sia irrilevante, ma sempre rilevante è l'essere questo un possibile modo di designazione. E' così nella filosofia in genere: Il caso singolo si dimostra sempre irrilevante, ma la possibilità d'ogni singolo caso ci schiude una prospettiva sull'essenza del mondo.
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3.343 | Le definizioni sono regole della traduzione da un linguaggio in un altro. Ogni linguaggio segnico corretto deve potersi tradurre in ogni altro linguaggio secondo tali regole: Questo è ciò che essi tutti hanno in comune.
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3.344 | Ciò che nel simbolo designa è ciò che è comune a tutti quesi simboli dai quali esso può essere sostituito secondo le regole della sintassi logica.
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3.3441 | Si piò, ad esempio, esprimere ciò che è comune a tutte le notazioni delle funzioni di verità così: E' a loro comune che esse tutte possono essere sostituite - ad esempio - dalla notazione " ~ p" ("non p") e "p vel q" ("p o q").
(Ecco come una possibile notazione speciale può schiuderci prospettive generali.)
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3.3442 | Anche nell'analisi il segno del complesso non si risolve arbitrariamente, così che la sua risoluzione sia differente in ogni compagine proposizionale.
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3.4 | La proposizione determina un luogo nello spazio logico. A garantire l'esistenza di questo lugogo logico è l'esistenza delle parti costitutive, l'esistenza della proposizione munita di senso.
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3.41 | Il segno proposizionale e le coordinate logiche: ecco il luogo logico.
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3.411 | Luogo geometrico e luogo logico concordano nell'essere ambedue la possibilità di un'esistenza.
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3.42 | Quantunque la proposizione possa determinare solo un luogo dello spazio logico, tuttavia da essa deve essere già dato tutto lo spazio logico.
(Altrimenti, dalla negazione, dalla somma logica, dal prodotto logico, etc., sarebbero introdotti sempre nuovi elementi - in coordinazione -.)
(L'armatura logica intorno all'immagine determina lo spazio logico. La proposizione attraversa tutto lo spazio logico.)
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3.5 | Il segno proposizionale applicato, pensato, è il pensiero.
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4 | Il pensiero è la proposizione munita di senso.
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5.133 | Ogni inferenza avviene a priori.
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5.134 | Da una proposizione elementare non può inferirsene un'altra.
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5.235 | In nessun modo può concludersi dal sussistere d'una qualsiasi situazione al sussistere d'una situazione affatto differente da essa.
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5.136 | Un nesso causale, che giustifichi una tale conclusione, non v'è.
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5.1361 | Gli eventi del futuro non possiamo arguirli dagli eventi presenti.
La credenza del nesso causale è la superstizione
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5.1362 | Il libero arbitrio consiste nell'impossibilità di conoscere ora azioni future. Noi le potremmo conoscere solo se la causalità fosse una necessità interiore, come quella della conclusione logica. - La connessione di conoscere e conosciuto è quella della necessità logica.
("A sa che p" è priva di senso, se p è una tautologia.)
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5.1362 | Se dall'evidenza d'una proposizione non segue la verità d'essa, allora l'evidenza non giustifica neppure la nostra credenza nella sua verità.
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[ ... ]
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5.551 | Nostro principio è che ogmi questione, che possa esser decisa nella logica, deve potersi senz'altro decidere.
(E se ci troviamo costretti a guardare il mondo per rispondere a un tale problema, questo mostra che siamo su una pista fondamentalmente errata.)
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5.552 | L' "esperienza" che ci serve per la comprensione della logica, e non l'esperienza che qualcosa è così e così, ma l'esperienza che qualcosa è: ma ciò non è un'esperienza.
La logica è prima d'ogni esperienza - d'ogni esperienza che qualcosa è così. Essa è prima del Come, non del Che cosa.
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[ ... ]
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5.6 | I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo.
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5.61 | La logica pervade il mondo; i limiti del mondo sono anche i limiti di essa.
Noi non possiamo, dunque, dire nella logica: Questo e quest'altro v'è nel mondo, quello no.
Infatti, ciò parrebbe presupporre che noi escludiamo certe possibilità, e questo non può essere, poichè richiederebbe che la logica trascendesse i limiti del mondo; solo così essa potrebbe contemplare questi limiti anche dall'altro lato.
Ciò che noi non possiamo pensare, noi non lo possiamo pensare; nè, di conseguenza, noi possiamo dire ciò che noi non possiamo pensare.
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5.634 | Ciò inerisce al fatto che nessuna parte della nostra esperienza è anche a priori.
Tutto ciò che vediamo potrebbe anche essere altrimenti.
Tutto ciò che noi possiamo descrivere potrebbe anche essere altrimenti.
Non v'è un ordine a priori delle cose.
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6.3 | L'esplorazione della logica significa l'esplorazione d'ogni conformità ad una legge. E fuori della logica tutto è accidente.
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6.31 | La cosidetta legge dell'induzione non può in alcun caso essere una legge della logica, poichè essa è manifestamente una proposizione munita di senso. -
Nè perciò può essere una legge a priori.
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6.32 | La legge di causalità è non una legge, ma la forma d'una legge.
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6.321 | "Legge di causalità": un nome di genere. E come nella meccanica, diciamo, vi sono leggi di minimo - come quella della minima azione -, così nella fisica vi sono leggi di causalità, leggi della forma di causalità.
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6.33 | Noi non crediamo a priori in una legge di conservazione, ma conosciamo a priori la possibilità d'una forma logica.
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6.34 | Tutte le proposizioni come il principio di ragion sufficiente, di continuità della natura, del minimo sforzo della natura, etc. etc., sono tutte intuizioni a priori sulla possibile formulazione delle proposizioni della scienza.
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6.362 | Ciò che può descriversi può anche avvenire, e ciò che la legge di causalità deve escludere non può nemmeno descriversi.
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6.363 | Il procedimento dell'induzione consiste nell'assumere la legge più semplice che possa esser accordata con le nostre esperienze.
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6.3631 | Questo procedimento, tuttavia, ha un fondamento non logico, ma solo psicologico.
E' chiaro che non esiste ragione di credere che davvero avverrà il caso più semplice.
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6.36311 | Che il sole domani sorgerà è un'ipotesi; e ciò vuol dire: Noi non sappiamo se esso sorgerà.
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6.37 | Una necessità cogente, per la quale qualcosa debba avvenire poichè qualcos'altro è avvenuto, non v'è.
V'è solo una necessità logica.
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6.371 | Tutta la moderna concezione del mondo si fonda sull'illusione che le cosidette leggi naturali siano le spiegazioni dei fenomeni naturali.
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6.372 | Così si arrestano davanti alle leggi naturali come davanti a qualcosa d'intangibile, come gli antichi davanti a Dio e al fato.
E ambedue hanno ragione, e ambedue torto. Gli antichi sono, tuttavia, in tanto più chiari in quantoriconoscono un chiaro termine, mentre il nuovo sistema pretende che tutto sia spiegato.
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6.373 | Il mondo è indipendente dalla mia volontà.
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6.374 | Anche se tutto ciò che noi desideriamo avvenisse, tuttavia ciò sarebbe solo, per così dire, una grazia del fato, poichè non v'è, travolontà e mondo, una connessione logica che garantisca ciò, e la supposta connessione fisica non potremmo certo volerla a sua volta.
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6.41 | Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non vè in esso alcun valore - nè, se vi fosse, avrebbe un valore.
Se un valore che abbia valore v'è, esso dev'essere fuori di ogni avvenire ed essere-così. Infatti ogni avvenire ed essere-così è accidentale.
Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, chè altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale.
Dev'essere fuori del mondo.
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6.42 | Nè, quindi, vi possono essere proposizioni dell'etica.
Le proposizioni non possono esprimere nulla di ciò che è più alto.
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6.421 | E' chiaro che l'etica non può formularsi.
L'etica è trascendentale.
(Etica ed estetica sono tutt'uno).
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6.4312 | L'immortalità temporale dell'anima dell'uomo, dunque l'eterno suo sopravvivere anche dopo la morte, non solo non è per nulla garantita, ma, a supporla, non si consegue affatto ciò che, supponendola, si è sempre perseguito. Forse è sciolto un enigma perciò che io sopravviva in eterno? Non è forse questa vita eterna così enigmatica come la presente? La risoluzione dell'enigma della vita nello spazio e nel tempo è fuori dello spazio e del tempo.
(I problemi da risolvere qui non sono problemi della scienza naturale.)
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6.432 | Come il mondo è, è affatto indifferente per ciò che è più alto. Dio non rivela sè nel mondo.
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6.4321 | I fatti appartengono tutti soltanto al problema, non alla risoluzione.
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6.44 | Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è.
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6.5 | D'una risposta che non si può formulare non può formularsi nemmeno la domanda.
L'enigma non v'è.
Se una domanda può porsi, può anche avere una risposta.
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6.51 | Lo scetticismo è non inconfutabile, ma apertamente insensato, se vuol mettere in dubbio ove non si può domandare.
Chè dubbio può sussistere solo ove sussista una domanda; domanda, solo ove sussista una risposta; risposta, solo ove qualcosa possa essere detto.
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6.52 | Noi sentiamo che, persino nell'ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati. Certo, allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta.
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6.521 | La risoluzione del problema della vita si scorge allo sparire di esso.
(non è forse per questo che degli uomini ai quali il senso della vita divenne, dopo lunghi dubbi, chiaro, non seppero poi dire in che cosa consistesse questo senso?).
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6.522 | Ma v'è dell'ineffabile. Esso mostra sè, è il Mistico.
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6.53 | Il metodo corretto della filosofia sarebbe propriamente questo: Nulla dire se non ciò che può dirsi; dunque, proposizioni della scienza naturale - dunque, qualcosa che con la filosofia nulla ha a che fare -,e poi, ogni volta che un altro voglia dire qualcosa di metafisico, mostrargli che, a certi segni nelle sue proposizioni, egli non ha dato significato alcuno. Questo metodo sarebbe insoddisfacente per l'altro - egli non avrebbe la sensazione che noi gli insegniamo filosofia -, eppure esso sarebbe l'unico metodo rigorosamente corretto.
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6.54 | Le mie proposizioni illuminano così: Colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è asceso per esse - su esse - oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo esser asceso su essa.)
Egli deve trascendere queste proposizioni; è allora che egli vede rettamente il mondo.
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7 | Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.
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[ Traduzione dal tedesco di - Amedeo G. Conte - ]
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