L U D W I G    W I T T G E N S T E I N

T r a c t a t u s    L o g i c o - P h i l o s o p h i c u s






Dedicato
alla memoria del mio amico
David H. Pinsent


    Motto: ... und alles, was man weiß,
nicht bloß rauschen und brausen gehö rt
hat, läß t sich in drei Worten sagen.

    Motto: ... e tutto ciò che si sa, ciò
che non si sia solo udito rumoreggiare
e mormorare, può dirsi in tre parole.

KÜ RNBERGER





PREFAZIONE

    Questo libro, forse, lo comprenderà solo colui che già a sua volta abbia pensato i pensieri ivi espressi - o, almeno, pensieri simili -. Esso non è, dunque, un manuale -. Conseguirebbe il suo fine se procurasse piacere ad almeno uno che lo legga comprendendolo.

    Il libro tratta i problemi filosofici e mostra - credo - che la formulazione di questi problemi si fonda sul fraintendimento della logica del nostro linguaggio. Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole: Tutto ciò che può essere detto si può dire chiaramente; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.

    Il libro vuole, dunque, tracciare al pensiero un limite, o piuttosto - non al pensiero stesso, ma all'espressione dei pensieri: Ché, per tracciare un limite al pensiero, noi dovremmo poter pensare ambo i lati di questo limite (dovremmo, dunque, poter pensare quelche pensare non si può).

    Il limite non potrà, dunque, venire tracciato che nel linguaggio, e ciò che è oltre il limite non sarà che nonsenso.

    In quale misura i miei sforzi coincidano con quelli d'altri filosofi non voglio giudicare. Ciò che io ho qui scritto non pretende affatto d'essere nuovo, nei particolari; e perciò non indico fonti, poiché m'è indifferente se già altri, prima di me, abbia pensato ciò che io ho pensato.     Mi limiterò a ricordare che io devo alle grandiose opere di Frege ed ai lavori del mio amico Bertrand Russell gran parte dello stimolo ai miei pensieri.

    Se quest'opera ha un valore, il suo valore consiste in due cose. In primo luogo, pensieri son qui espressi; e questo valore sarà tanto maggiore quanto meglio i pensieri siano espressi. Quanto più si sia colto nel segno. - Qui so d'essere rimasto ben sotto il possibile. Semplicemente perchè la mia forza è ìmpari al compito. - Possa altri venire e far ciò meglio.     Invece, la verità dei pensieri qui comunicati mi sembra intangibile ed irreversibile. Io ritengo, dunque, d'aver definitivamente risolto nell'essenziale i problemi. E, se qui non erro, il valore di quest'opera consiste allora, in secondo luogo, nel mostrare a quanto poco valga l'essere questi problemi risolti.


L.W. - Vienna, 1918.









TRACTATUS LOGICO-PHILOSOPHICUS


1Il mondo è tutto ciò che accade.



1.1 Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose.

1.11 Il mondo è determinato dai fatti e dall'essere essi tutti i fatti.

1.12 Ché la totalità dei fatti determina ciò che accade, ed anche tutto ciò che non accade.

1.13 I fatti nello spazio logico sono il mondo.

1.2 Il mondo si divide in fatti.

1.21 Qualcosa può accadere o non accadere e tutto il resto rimanere eguale.



2 Ciò che accade, il fatto, è il sussistere di stati di cose.



2.01 Lo stato di cose è un nesso d'oggetti (entità, cose).

2.011 E' essenziale alla cosa il poter essere parte costitutiva d'uno stato di cose.

2.012 Nella logica nulla è accidentale: Se la cosa può ricorrere nello stato di cose, la possibilità dello stato di cose dev'essere già pregiudicata nella cosa.

2.0121 Parrebbe quasi un accidente se alla cosa, che potesse sussistere per sé sola, successivamente potesse convenire una situazione.

Se le cose possono ricorrere in stati di cose, ciò deve già essere in esse.

(Qualcosa di logico non può essere solo-possibile. La logica tratta di ogni possibilità, e tutte le possibilità sono i suoi fatti.)

Come non possiamo affatto concepire oggetti spaziali fuori dello spazio, oggetti temporali fuori del tempo, così noi non possiamo concepire alcun oggetto fuori della possibilità del suo nesso con altri.

Se posso concepire l'oggetto nel contesto dello stato di cose, io non posso concepirlo fuori della possibilità di questo contesto.

2.0122 La cosa è indipendente nella misura nella quale essa può ricorrere in tutte le situazioni possibili, ma questa forma d'indipendenza è una forma di connessione con lo stato di cose, una forma di non-indipendenza. (E' impossibile che le parole appaiano in due differenti modi: da sole, e nella proposizione.)

2.0123 Se conosco l'oggetto, io conosco anche tutte le possibilità della sua ricorrenza in stati di cose.
(Ognuna di tali possibilità dev'essere nella natura dell'oggetto.)
Non può trovarsi successivamente una nuova possibilità.

2.01231 Per conoscere un oggetto, non mi è necessario conoscere le sue proprietà esterne, - ma le sue proprietà interne io devo conoscerle tutte.

2.0124 Se sono dati tutti gli oggetti, con ciò sono dati tutti gli stati di cose possibili.

2.013 Ogni cosa è come in uno spazio di possibili stati di cose. Questo spazio io posso pensarlo vuoto, ma io non posso pensare la cosa senza lo spazio.

2.0131 L'oggetto spaziale dev'essere nello spazio infinito. (Il punto dello spazio è un posto d'argomento.)
La macchia nel campo visivo può essere rossa, ma un colore non può non averlo: Essa ha, per così dire, lo spazio cromatico intorno a sé. Il suono deve avere una altezza, l'oggetto del tatto una durezza, e così via.

2.014 Gli oggetti contengono la posssbilità di tutte le situazioni.

2.0141 La possibilità della sua ricorrenza in stati di cose è la forma dell'oggetto.

2.02 L'oggetto è semplice.

2.0201 Ogni enunciato sopra complessi può scomporsi in un enunciato sopra le loro parti costitutive e nelle proposizioni che descrivono completamente i complessi.

2.021 Gli oggetti formano la sostanza del mondo. Perciò essi non possono essere composti.

2.0211 Se il mondo non avesse una sostanza, l'avere una proposizione senso dipenderebbe allora dall'essere un'altra proposizione vera.

2.0212 Sarebbe allora impossibile progettare un'immagine (vera o falsa) del mondo.

2.022 E' manifesto che un mondo, per quanto differente sia pensato dal mondo reale, deve avere in comune con il mondo reale qualcosa - una forma -.

2.023 Questa forma fissa consta appunto degli oggetti.

2.0231 La sostanza del mondo può determinare solo una forma, non già proprietà materiali. Infatti queste sono rappresentate solo dalle proposizioni - sono formate solo dalla configurazione degli oggetti.

2.0232 Detto approssimativamente: Gli oggetti sono incolori.

2.0233 Due oggetti d'eguale forma logica sono - a prescindere dalle loro proprietà esterne - distinti l'uno dall'altro solo dall'essere differenti.

2.02331 O una cosa ha proprietà che nessun'altra cosa ha, nel qual caso la si può senz'altro distinguere, mediante una descrizione, dalle altre, ed indicarla; o, invece, vi sono più cose che hanno in comune tutte le loro proprietà, nel qual caso è affatto impossibile indicarne una.
Infatti, se la cosa è per nulla distinta, non la posso distinguere, ché altrimenti essa sarebbe, appunto, distinta.

2.024 La sostanza è ciò che sussiste indipendentemente da ciò che accade.

2.025 Essa è forma e contenuto.

2.0251 Spazio, tempo e colore (cromaticità) sono forme degli oggetti.

2.026 Solo se vi sono oggetti può esservi una forma fissa del mondo.

2.027 Il fisso, il sussistente e l'oggetto sono tutt'uno.

2.0271 L'oggetto è il fisso, il sussistente; la configurazione è il vario, l'incostante.

2.0272 La configurazione degli oggetti forma lo stato di cose.

2.03 Nello stato di cose gli oggetti sono interconnessi, come le maglie d'una catena.

2.031 Nello stato di cose gli oggetti sono in una determinata relazione l'uno con l'altro.

2.032 Il modo, nel quale gli oggetti ineriscono l'uno all'altro nello stato di cose, è a struttura dello stato di cose.

2.033 La forma è la possibilità della struttura.

2.034 La struttura del fatto consta delle strutture degli stati di cose.

2.04 La totalità degli stati di cose sussistenti è il mondo.

2.05 La totalità degli stati di cose sussistenti determina anche quali stati di cose non sussistono.

2.06 Il sussistere e non sussistere di stati di cose è la realtà.
(Il sussistere di stati di cose lo chiamiamo anche un fatto positivo; il non sussistere, un fatto negativo.)

2.061 Gli stati di cose sono indipendenti l'uno dall'altro.

2.062 Dal sussistere o non sussistere d'uno stato di cose non può concludersi al sussistere o non sussistere d'un altro.

2.063 La realtà tutta è il mondo.

2.1 Noi ci facciamo immagini dei fatti.

2.11 L'immagine presenta la situazione nello spazio logico, il sussistere e non sussistere di stati di cose.

2.12 L'immagine è un modello della realtà.

2.13 Agli oggetti corrispondono nell'immagine gli elementi dell'immagine.

2.131 Gli elementi dell'immagine sono rappresentanti degli oggetti nell'immagine.

2.14 L'immagine consiste nell'essere i suoi elementi in una determinata relazione l'uno con l'altro.

2.141 L'immagine è un fatto.

2.15 Che gli elementi dell'imamgine siano in una determinata relazione l'uno con l'altro rappresenta che le cose sono in questa relazione l'una con l'altra.
Questa connessione degli elementi dell'immagine io la chiamo la struttura dell'immagine; la possibilità di questa struttura io la chiamo la forma di raffigurazione dell'immagine.

2.151 La forma di raffigurazione è la possibilità che le cose siano l'una con l'altra nella stessa relazione che gli elementi dell'immagine.

2.1511 E' così che l'iimagine è connessa con la realtà; giunge ad essa.

2.1512 Essa è come un metro apposto alla realtà.

2.15121 Solo i punti estremi delle righe di graduazione toccano l'oggetto da misurare.

2.1513 Secondo questa concezione, dunque, appartiene all'immagine anche quella relazione di raffigurazione che dell'immagine fa appunto un'immagine.

2.1514 La relazione di raffigurazione consta delle coordinazioni degli elementi dell'immagine e delle cose.

2.1515 Queste coordinazioni sono quasi le antenne degli elementi dell'immagine, con le quali l'immagine tocca la realtà.

2.16 Il fatto, per essere immagine, deve avere qualcosa in comune con il raffigurato.

2.161 Nell'immagine e nel raffigurato qualcosa dev'essere identico, affinché quella possa essere un'immagine di questo.

2.17 Ciò che l'immagine deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare - correttamente o falsamente - nel proprio modo, è la forma di raffigurazione propria dell'immagine.

2.171 L'immagine può raffigurare ogni realtà della quale ha la forma.
L'immagine spaziale, tutto lo spaziale; la cromatica, tutto il cromatico; etc.

2.172 La sua propria forma di raffigurazione, tuttavia, l'immagine non può raffigurarla; essa la esibisce.

2.173 L'immagine rappresenta il suo oggetto dal di fuori (suo punto di vista è la sua forma di rappresentazione), perciò l'immagine rappresenta il suo oggetto correttamente o falsamente.

2.174 L'immagine non può, tuttavia, porsi fuori della propria forma di rappresentazione.

2.18 Ciò che ogni immagine, di qualunque forma essa sia, deve avere in comune con la realtà, per poterla raffigurare - correttamente o falsamente -, è la forma logica, ossia la forma della realtà.

2.181 Se la forma di raffigurazione è la forma logica, l'immagine si chiama l'immagine logica.

2.182 Ogni immagine è anche un'immagine logica. (Invece, ad esempio, non ogni immagine è un'immagine spaziale.)

2.19 L'immagine logica può raffigurare il mondo.

2.2 L'immagine ha in comune con il raffigurato la forma logica di raffigurazione.

2.201 L'immagine raffigura la realtà rappresentando una possibilità del sussistere e non sussistere di stati di cose.

2.202 L'immagine rappresenta una possibile situazione nello spazio logico.

2.203 L'immagine contiene la possibilità della situazione che essa rappresenta.

2.21 L'immagine concorda o non concorda con la realtà; essa è corretta o scorretta, vera o falsa.

2.22 L'immagine rappresenta ciò che rappresenta, indipendentemente dalla propria verità o falsità, mediante la forma di raffigurazione.

2.221 Ciò che l'immagine rappresenta è il proprio senso.

2.222 Nella concordanza o non-concordanza del senso dell'immagine con la realtà consiste la verità o falsità dell'immagine.

2.223 Per riconoscere se l'immagine sia vera o falsa noi dobbiamo confrontarla con la realtà.

2.224 Dall'immagine soltanto non può riconoscersi se essa sia vera o falsa.

2.225 Un'immagine vera a priori non v'è.



3 L'immagine logica dei fatti è il pensiero.



3.001 "Uno stato di cose è pensabile" vuol dire: Noi possiamo farci un'immagine di esso.

3.01 La totalità dei pensieri veri è un'immagine del mondo.

3.02 Il pensiero contiene la possibilità della situazione che esso pensa. Ciò che è pensabile è anche possibile.

3.03 Noi non possiamo pensare nulla d'illogico, poichè altrimenti dovremmo pensare illogicamente.

3.031 Si diceva una volta: Dio può creare tutto, ma nulla che sia contro le leggi logiche. - Infatti, d'un mondo "illogico" noi non potremmo dire quale aspetto esso avrebbe.

3.032 Qualcosa "contraddicente la logica" si può rappresentare nel linguaggio non più di quanto, nella geometria, si possa rappresentare, mediante le sue coordinate, una figura contraddicente le leggi dello spazio; o dare le coordinate d'un punto inesistente.

3.0321 Noi possiamo sì rappresentare spazialmente uno stato di cose che vada contro le leggi della fisica, ma non uno stato di cose che vada contro le leggi della geometria.

3.04 Un pensiero corretto a priori sarebbe un pensiero, la cui posssibilità ne condizionasse la verità.

3.05 Noi potremmo sapere a priori che un pensiero è vero solo se dal pensiero stesso (senza la mediazione di un termine di confronto) se ne potesse conoscere la verità.

3.11 Noi usiamo il segno percepibile mediante i sensi (segno fonico, o segno grafico,etc.) della proposizione quale proiezione della situazione possibile.
Il metodo di proiezione è il pensare il senso della proposizione.

3.12 Il segno, mediante il quale esprimiamo il pensiero, io lo chiamo il segno proposizionale. E la proposizione è il segno proposizionale nella sua relazione di proiezione con il mondo.

3.13 Alla proposizione appartiene tutto ciò che appartiene alla proiezione; ma non il proiettato.
Dunque, la possibilità del proiettato, ma non il proiettato stesso.
Nella proposizione, dunque, non è ancora contenuto il suo senso, ma è contenuta la possibilità d'esprimerlo.
("Il contenuto della proposizione" vuol dire il contenuto della proposizione munita di senso.)
Nella proposizione è contenuta la forma, ma non il contenuto, del suo senso.

3.14 Il segno proposizionale consiste nell'essere i suoi elementi (le parole) in una determinata relazione l'uno con l'altro.
Il segno proposizionale è un fatto.

3.141 La proposizione non è un miscuglio di parole. - (Come il tema musicale non è un miscuglio di suoni.)
La proposizione è articolata.

3.142 Solo fatti possono esprimere un senso; una classe di nomi non può farlo.

3.143 Che il segno proposizionale sia un fatto viene nascosto dalla consueta forma d'espressione grafica o tipografica.
Infatti, nella proposizione stampata, ad esempio, il segno propposizionale non pare essenzialmente differente dalla parola.
(Ecco perchè Frege ha potuto denominare la proposizione un nome composto.)

3.1431 Chiarissima diviene l'essenza del segno proposizionale se lo concepiamo composto, invece che di segni grafici, d'oggetti spaziali (come tavoli, sedie, libri). La posizione spaziale reciproca di queste cose esprime allora il senso della proposizione.

3.1432 Non: "Il segno complesso <aRb> dice che a sta nella relazione R con b", ma: Che "a" stia in una certa relazione con "b" dice che aRb.

3.144 Le situazioni si possono descrivere, non denominare.
(I nomi somigliano a punti; le proposizioni, a frecce: Esse hanno senso.)

3.2 Nella proposizione il pensiero può essere espresso così che gli oggetti del pensiero corrispondano elementi del segno proposizionale.

3.201 Questi elementi io li chiamo "segni semplici"; la proposizione, "completamente analizzata".

3.202 I segni semplici impiegati nella proposizione si chiamano nomi.

3.203 Il nome significa l'oggetto. L'oggetto è il suo significato. ("A" è lo stesso che "A".)

3.21 Alla configurazione dei segni semplici nel segno proposizionale corrisponde la configurazione degli oggetti nella situazione.

3.22 Il nome è il rappresentante, nella proposizione, dell'oggetto.

3.221 Gli oggetti io li posso solo nominare. I segni ne sono rappresentanti. Io posso solo dirne, non dirli. Una proposizione può dire solo come una cosa è, non che cosa essa è.

3.23 Il requisito della possibilità dei segni semplici è il requisito della determinatezza del senso.

3.24 La proposizione che tratta del complesso sta in relazione interna con la proposizione che tratta d'una parte costitutiva del complesso.
Il complesso può essere dato solo mediante la sua descrizione, e questa sarà giusta o errata. La proposizione ove si parla d'un complesso sarà, se questo non esiste, non insensata, ma semplicemente falsa.
Che un elemento proposizionale designi un complesso si può vedere da un'indeterminatezza nelle proposizioni ove l'elemento ricorre. Noi sappiamo che da questa proposizione non ancora tutto è determinato. (In effetti, il segno di generalità contiene un archetipo.)
La contrazione in un simbolo semplice del simbolo d'un complesso può esser espressa da una definizione.

3.25 V'è una e solo una analisi completa della proposizione.

3.251 La proposizione esprime in guisa determinata e chiaramente indicabile ciò che esprime: La proposizione è articolata.

3.26 Il nome non può ulteriormente smembrarsi mediante una definizione: Esso è un segno primitivo.

3.261 Ogni segno definito designa attraverso quei segni, mediante i quali esso fu definito; e le definizioni ìndicano la via.
Due segni - un segno primitivo e un segno definito mediante segni primitivi - non possono designare allo stesso modo. Non si possono disgregare mediante definizioni i nomi. (Nessun segno il quale abbia da solo, di per sé, un significato.)

3.262 Ciò che nei segni non viene espresso lo mostra la loro applicazione. Ciò che i segni occultano lo rivela la loro applicazione.

3.263 I significati di segni primitivi si posssono spiegare mediante chiarificazioni. Le chiarificazioni sono proposizioni che contengono i segni primitivi. Esse dunque possono essere comprese solo se già siano noti i significati di questi segni.

3.3 Solo la proposizione ha senso; solo nel contesto della proposizione un nome ha significato.

3.31 Ogni parte della proposizione che ne caratterizzi il senso, io la chiamo un espressione (un simbolo).
(La proposizione stessa è un'espressione.)
Espressione è quanto d'essenziale al senso della proposizione le proposizioni posssono aver in comune l'una con l'altra.
L'espressione contrassegna una forma e un contenuto.

3.311 L'espressione presuppone le forme di tutte le proposizioni nelle quali essa può ricorrere. Essa è il carattere comune d'una classe di proposizioni.

3.312 Essa è dunque rappresentata dalla forma generale delle proposizioni che essa caratterizza.
E, in questa forma, l'espressione sarà costante; tutto il resto, variabile.

3.313L'espressione e' dunque rappresentata da una variabile, i cui valori sono le proposizioni che contengono l'espressione.
(Al limite, la variabile diviene una costante; l'espressione, una proposizione.)
Io chiamo tale variabile "variabile proposizionale".

3.314 L'espressione ha significato solo nella proposizione.
Ogni variabile può concepirsi quale variabile proposizionale.
(Anche il nome variabile.)

3.315 Se trasformiamo una parte costitutiva d'una proposizione in una variabile, v'è una classe di proposizioni le quali tutte sono valori della proposizione variabile così nata. Questa classe dipende ancora in generale da ciò che noi, per convenzione arbitraria, intendiamo per parti di quella proposizione. Ma se trasformiamo tutti quei segni, dei quali si è arbitrariamente determinato il significato, in variabili, resta pur sempre una tale classe. Ma ora questo è dipendente non più da una convenzione, ma solo dalla natura della proposizione. Essa corrisponde ad una forma logica - ad un archetipo logico.

3.316 Quali valori la varibile proposizionale possa assumere, è soggetto a determinazione convenzionale.
La determinazione dei valori è la variabile.

3.317 La determinazione dei valori delle variabili proposizionali è l'indicazione delle proposizioni il cui carattere comune è la variabile.
La determinazione è una descrizione di queste proposizioni.
La determinazione tratterà dunque solo di simboli, non del loro significato.
E solo questo è essenziale alla determinazione: essere solo una descrizione di simboli e nulla enunciare attorno al designato.
Come la descrizione delle proposizioni avvenga è inessenziale.

3.318 La proposizione io la concepisco - come Frege e Russel - quale funzione delle espressioni in essa contenute.

3.32 Il segno è ciò che nel simbolo è percepibile mediante i sensi.

3.321 Due differenti simboli possono dunque aver in comune l'uno con l'altro il segno (sengo grafico o segno fonico etc.); essi allora designano in modo differente.

3.322 Non può mai indicare il carattere comune di due oggetti il designarli con lo stesso segno, ma mediante due differenti modi di designazione. Infatti il segno è arbitrario. Si potrebbe dunque anche scegliere due segni differenti, e ove allora rimarrebbe ciò che è comune nella designazione?

3.323 Nel linguaggio comune avviene molto di frequente che la stessa parola designi in modo differente - dunque appartenga a simboli differenti -, o che due parole, che designano in modo differente, esteriormente siano applicate nella proposizione allo stesso modo.
Così la parola "è" appare quale copula, quale segno d'eguaglianza e quale espressione dell'esistenza; "esistere", quale verbo intrnsitivo, come "andare"; "identico", quale aggettivo; noi parliamo di Qualcosa, ma anche del fatto che qualcosa avviene.
(Nella proposizione "Franco è franco" - ove la prima parola è un nome di persona; l'ultima, un aggettivo - queste parole non hanno semplicemente significato differente, ma sono simboli differenti.)

3.324 E' così che facilmente nascono le confusioni più fondamentali (delle quali la filosofia tutta è piena).

3.325 Per evitare questi errori dobbiamo impiegare un linguaggio segnico, il quale li escluda non impiegando, in simboli differenti, lo stesso segno, e non impiegando, apparentemente nello stesso modo, segni che designano in modo differente. Un linguaggio segnico, dunque, il quale si conformi alla grammatica logica - alla sintassi logica -.
(Un linguaggio così è l'ideografia di Frege e di Russel, che tuttavia ancora non esclude tutti gli errori.)

3.326 Per riconoscere il simbolo nel segno se ne deve considerare l'uso munito di senso.

3.327 Il segno determina soltanto con il suo impiego logico-sintattico una forma logica.

3.328 Se un segno è inutile, esso è privo di significato. Ecco il senso del rasoio di Ockham.
(Se tutto si comporta come se un segno avesse significato, esso ha significato.)

3.33 Nella sintassi logica il significato d'un segno non deve mai assolvere una funzione; la sintassi logica deve stabilirsi senza parlare del significato d'un segno, essa può presupporre solo la descrizione delle espressioni.

3.331 Movendo da questa osservazione gettiamo uno sguardo sulla "theory of types" di Russel: L'errore di Russel si mostra nell'aver egli dovuto parlare, stabilendo le regole dei segni, del significato dei segni.

3.332 Nessuna proposizione può enunciare qualcosa sopra se stessa, poiché il segno proposizionale non può esser contenuto in se stesso (ecco tutta la "theory of types").

3.333 Una funzione non può esser suo proprio argomento, perchè il segno funzionale contiene già l'archetipo del suo argomento e non può contenere se stesso.
Supponiamo infatti che la funzione F(fx) possa essere il suo proprio argomento; allora vi sarebbe dunque una proposizione "F(F(fx))", e, in essa, la funzione esteriore F e la funzione interiore F devono avere significati differenti, poichè quella interiore ha la forma f(fx); quella eteriore, la forma ?(f(fx)). Comune ad ambe le funzioni è solo la lettera "F", che però, da sola, non designa nulla.
Questo diviene subito chiaro se noi, invece di: "F(Fu)", scriviamo "(esiste f) : F(fu) . fu = Fu".
Con ciò s'elimina il paradosso di Russel.

3.334 Le regole della sintassi logica devono comprendersi da sé, solo che si sappia come ogni singolo segno designi.

3.34 La proposizione possiede tratti essenziali e tratti accidentali.
Accidentali sono i tratti che risultano dalla particolare maniera di produrre il segno proposizionale.
Essenziali sono i tratti che soli consentono alla proposizione d'esprimere il suo senso.

3.341 L'essenziale nella proposizione è, dunque, ciò che è comune a tutte le proposizioni che possono esprimere lo stesso senso.
E così, in generale, l'essenziale nel simbolo è ciò che hanno in comune tutti i simboli che possono servire allo stesso fine.

3.3411 Si potrebbe dunque dire: Il nome vero e proprio è ciò che hanno in comune tutti i simboli che designano l'oggetto. Risulterebbe così gradualmente che nessuna sorta di composizione è essenziale per il nome.

3.342 Nelle nostre notazioni v'è sì qualcosa d'arbitrario, ma non arbitrario è questo: Se noi abbiamo determinato arbitrariamente qualcosa, qualcos'altro deve accadere. (Ciò dipende dallessenza della notazione.)

3.3421 E' possibile che un particolare modo di designazione sia irrilevante, ma sempre rilevante è l'essere questo un possibile modo di designazione. E' così nella filosofia in genere: Il caso singolo si dimostra sempre irrilevante, ma la possibilità d'ogni singolo caso ci schiude una prospettiva sull'essenza del mondo.

3.343 Le definizioni sono regole della traduzione da un linguaggio in un altro. Ogni linguaggio segnico corretto deve potersi tradurre in ogni altro linguaggio secondo tali regole: Questo è ciò che essi tutti hanno in comune.

3.344 Ciò che nel simbolo designa è ciò che è comune a tutti quesi simboli dai quali esso può essere sostituito secondo le regole della sintassi logica.

3.3441 Si piò, ad esempio, esprimere ciò che è comune a tutte le notazioni delle funzioni di verità così: E' a loro comune che esse tutte possono essere sostituite - ad esempio - dalla notazione " ~ p" ("non p") e "p vel q" ("p o q").
(Ecco come una possibile notazione speciale può schiuderci prospettive generali.)

3.3442 Anche nell'analisi il segno del complesso non si risolve arbitrariamente, così che la sua risoluzione sia differente in ogni compagine proposizionale.

3.4 La proposizione determina un luogo nello spazio logico. A garantire l'esistenza di questo lugogo logico è l'esistenza delle parti costitutive, l'esistenza della proposizione munita di senso.

3.41 Il segno proposizionale e le coordinate logiche: ecco il luogo logico.

3.411 Luogo geometrico e luogo logico concordano nell'essere ambedue la possibilità di un'esistenza.

3.42 Quantunque la proposizione possa determinare solo un luogo dello spazio logico, tuttavia da essa deve essere già dato tutto lo spazio logico.
(Altrimenti, dalla negazione, dalla somma logica, dal prodotto logico, etc., sarebbero introdotti sempre nuovi elementi - in coordinazione -.)
(L'armatura logica intorno all'immagine determina lo spazio logico. La proposizione attraversa tutto lo spazio logico.)

3.5 Il segno proposizionale applicato, pensato, è il pensiero.



4 Il pensiero è la proposizione munita di senso.








[ ... ]







5.133 Ogni inferenza avviene a priori.

5.134 Da una proposizione elementare non può inferirsene un'altra.

5.235 In nessun modo può concludersi dal sussistere d'una qualsiasi situazione al sussistere d'una situazione affatto differente da essa.

5.136 Un nesso causale, che giustifichi una tale conclusione, non v'è.

5.1361 Gli eventi del futuro non possiamo arguirli dagli eventi presenti.
La credenza del nesso causale è la superstizione

5.1362 Il libero arbitrio consiste nell'impossibilità di conoscere ora azioni future. Noi le potremmo conoscere solo se la causalità fosse una necessità interiore, come quella della conclusione logica. - La connessione di conoscere e conosciuto è quella della necessità logica.
("A sa che p" è priva di senso, se p è una tautologia.)

5.1362 Se dall'evidenza d'una proposizione non segue la verità d'essa, allora l'evidenza non giustifica neppure la nostra credenza nella sua verità.







[ ... ]







5.551 Nostro principio è che ogmi questione, che possa esser decisa nella logica, deve potersi senz'altro decidere.

(E se ci troviamo costretti a guardare il mondo per rispondere a un tale problema, questo mostra che siamo su una pista fondamentalmente errata.)

5.552 L' "esperienza" che ci serve per la comprensione della logica, e non l'esperienza che qualcosa è così e così, ma l'esperienza che qualcosa è: ma ciò non è un'esperienza.
La logica è prima d'ogni esperienza - d'ogni esperienza che qualcosa è così. Essa è prima del Come, non del Che cosa.







[ ... ]







5.6 I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo.

5.61 La logica pervade il mondo; i limiti del mondo sono anche i limiti di essa.
Noi non possiamo, dunque, dire nella logica: Questo e quest'altro v'è nel mondo, quello no.
Infatti, ciò parrebbe presupporre che noi escludiamo certe possibilità, e questo non può essere, poichè richiederebbe che la logica trascendesse i limiti del mondo; solo così essa potrebbe contemplare questi limiti anche dall'altro lato.
Ciò che noi non possiamo pensare, noi non lo possiamo pensare; nè, di conseguenza, noi possiamo dire ciò che noi non possiamo pensare.







[ ... ]







5.634 Ciò inerisce al fatto che nessuna parte della nostra esperienza è anche a priori.
Tutto ciò che vediamo potrebbe anche essere altrimenti.
Tutto ciò che noi possiamo descrivere potrebbe anche essere altrimenti.
Non v'è un ordine a priori delle cose.







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6.3 L'esplorazione della logica significa l'esplorazione d'ogni conformità ad una legge. E fuori della logica tutto è accidente.

6.31 La cosidetta legge dell'induzione non può in alcun caso essere una legge della logica, poichè essa è manifestamente una proposizione munita di senso. -
Nè perciò può essere una legge a priori.

6.32 La legge di causalità è non una legge, ma la forma d'una legge.

6.321 "Legge di causalità": un nome di genere. E come nella meccanica, diciamo, vi sono leggi di minimo - come quella della minima azione -, così nella fisica vi sono leggi di causalità, leggi della forma di causalità.







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6.33 Noi non crediamo a priori in una legge di conservazione, ma conosciamo a priori la possibilità d'una forma logica.

6.34 Tutte le proposizioni come il principio di ragion sufficiente, di continuità della natura, del minimo sforzo della natura, etc. etc., sono tutte intuizioni a priori sulla possibile formulazione delle proposizioni della scienza.







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6.362 Ciò che può descriversi può anche avvenire, e ciò che la legge di causalità deve escludere non può nemmeno descriversi.

6.363 Il procedimento dell'induzione consiste nell'assumere la legge più semplice che possa esser accordata con le nostre esperienze.

6.3631 Questo procedimento, tuttavia, ha un fondamento non logico, ma solo psicologico.
E' chiaro che non esiste ragione di credere che davvero avverrà il caso più semplice.

6.36311 Che il sole domani sorgerà è un'ipotesi; e ciò vuol dire: Noi non sappiamo se esso sorgerà.

6.37 Una necessità cogente, per la quale qualcosa debba avvenire poichè qualcos'altro è avvenuto, non v'è.
V'è solo una necessità logica.

6.371 Tutta la moderna concezione del mondo si fonda sull'illusione che le cosidette leggi naturali siano le spiegazioni dei fenomeni naturali.

6.372 Così si arrestano davanti alle leggi naturali come davanti a qualcosa d'intangibile, come gli antichi davanti a Dio e al fato.
E ambedue hanno ragione, e ambedue torto. Gli antichi sono, tuttavia, in tanto più chiari in quantoriconoscono un chiaro termine, mentre il nuovo sistema pretende che tutto sia spiegato.

6.373 Il mondo è indipendente dalla mia volontà.

6.374 Anche se tutto ciò che noi desideriamo avvenisse, tuttavia ciò sarebbe solo, per così dire, una grazia del fato, poichè non v'è, travolontà e mondo, una connessione logica che garantisca ciò, e la supposta connessione fisica non potremmo certo volerla a sua volta.







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6.41 Il senso del mondo dev'essere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non vè in esso alcun valore - nè, se vi fosse, avrebbe un valore.
Se un valore che abbia valore v'è, esso dev'essere fuori di ogni avvenire ed essere-così. Infatti ogni avvenire ed essere-così è accidentale.
Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, chè altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale.
Dev'essere fuori del mondo.

6.42 Nè, quindi, vi possono essere proposizioni dell'etica.
Le proposizioni non possono esprimere nulla di ciò che è più alto.

6.421 E' chiaro che l'etica non può formularsi.
L'etica è trascendentale.
(Etica ed estetica sono tutt'uno).







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6.4312 L'immortalità temporale dell'anima dell'uomo, dunque l'eterno suo sopravvivere anche dopo la morte, non solo non è per nulla garantita, ma, a supporla, non si consegue affatto ciò che, supponendola, si è sempre perseguito. Forse è sciolto un enigma perciò che io sopravviva in eterno? Non è forse questa vita eterna così enigmatica come la presente? La risoluzione dell'enigma della vita nello spazio e nel tempo è fuori dello spazio e del tempo.
(I problemi da risolvere qui non sono problemi della scienza naturale.)

6.432 Come il mondo è, è affatto indifferente per ciò che è più alto. Dio non rivela sè nel mondo.

6.4321 I fatti appartengono tutti soltanto al problema, non alla risoluzione.

6.44 Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è.







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6.5 D'una risposta che non si può formulare non può formularsi nemmeno la domanda.
L'enigma non v'è.
Se una domanda può porsi, può anche avere una risposta.

6.51 Lo scetticismo è non inconfutabile, ma apertamente insensato, se vuol mettere in dubbio ove non si può domandare.
Chè dubbio può sussistere solo ove sussista una domanda; domanda, solo ove sussista una risposta; risposta, solo ove qualcosa possa essere detto.

6.52 Noi sentiamo che, persino nell'ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati. Certo, allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta.

6.521 La risoluzione del problema della vita si scorge allo sparire di esso.
(non è forse per questo che degli uomini ai quali il senso della vita divenne, dopo lunghi dubbi, chiaro, non seppero poi dire in che cosa consistesse questo senso?).

6.522 Ma v'è dell'ineffabile. Esso mostra sè, è il Mistico.

6.53 Il metodo corretto della filosofia sarebbe propriamente questo: Nulla dire se non ciò che può dirsi; dunque, proposizioni della scienza naturale - dunque, qualcosa che con la filosofia nulla ha a che fare -,e poi, ogni volta che un altro voglia dire qualcosa di metafisico, mostrargli che, a certi segni nelle sue proposizioni, egli non ha dato significato alcuno. Questo metodo sarebbe insoddisfacente per l'altro - egli non avrebbe la sensazione che noi gli insegniamo filosofia -, eppure esso sarebbe l'unico metodo rigorosamente corretto.

6.54 Le mie proposizioni illuminano così: Colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è asceso per esse - su esse - oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo esser asceso su essa.)
Egli deve trascendere queste proposizioni; è allora che egli vede rettamente il mondo.



7 Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.









[ Traduzione dal tedesco di - Amedeo G. Conte - ]










































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