F. THOMÆ M. MAMACHI SULL’ANTICHITA’ DEL VESCOVADO DI ORTE AI CITTADINI ORTANI ROMA, 1759
F. THOMÆ MARIA MAMACHI AL CLERO ORTANO (ORD. P.Q. ?) PREFAZIONE Foto 4394 Già da qualche tempo Paolo Roscio Canonico, vostro uomo, famosissimo tra i cittadini, avendomi chiesto a vostro nome se io giudicassi più antico il vescovado ortano o quello di C. Castellana e avendomi chiesto che cosa io pensassi sulla medesima cosa, io vorrei spiegarlo per iscritto; ricordo di aver risposto……
Foto 4396 pag. 6/7 CAP. 7 1- Plinio ricorda la città di Orte, 2- I monumenti che in essa si trovano dimostrano quanto sia antichissima; 3- Fu colonia dei Romani; 4- Nel VI° sec. e nei secoli seguenti fu celebrata dagli scrittori ecclesiastici; 5- E’ noto che le sue mura, che erano cadute per l’antichità, furono ricostruite e per questo si cominciò a chiamarca C. Castellana. I^ -Plinio ricorda la città di Orte nel III° libro della “Naturalis historia” dove dice:<Fescennio, Hortanum, Herbanum e Nepet>. Da queste parole si comprende che Nepet (Nepi), FescenniA (Fescennio) e Hortanum erano nella stessa zona e che perciò è lo stesso della città di Orte (=equivale a dire Orte). Non vé alcuna ragione per cui qualcuno pensi che si debba sostenere il contrario. In quella zona infatti non possiamo trovare altro luogo, eccetto Orte, in cui potrebbe cadere l’apppellativo di Ortano, se non cavillando. II^ – E che questa stessa città, di cui è fatta menzione nella historia di Plinio sia Orte, devono essere di prova tanti antichi ruderi e tante antiche iscrizioni, che lì sono state scoperte; ugualmente l’antico ponte, di cui ancora sopravvivono i resti; infine le colonne di sostegno, ch erano state perfette per proteggere entrambe le rive del fiume contro la violenza e l’impeto delle acque e che sono dette dal popolo “le pile di Augusto”. Certo, questi monumenti sono stati descritti tanto diffusamente e sono stati tanto chiaramente illustrati dal Fontanini, perché qualcuno voglia di nuovo parlarne e spiegare, né egli sembra suscitare una fatica invana. III^ – Tuttavia, non deve essere da me tralasciata quella vecchia e celebre iscrizione sulla Colonia Ortana, che fu pubblicata da Fabretto, dalle schede Barberine dell’anno 1699, diligentemente descritta nelle “Spiegazioni delle antiche iscrizioni” cap. V°, n.302, pag.402, edito a Roma, nel modo come segue A MARTE ULTORE Q. NINNIO, FIGLIO DI QUINTO, QUIR PAETUS (cognomen , guercio) DUUMVIRO AUGUSTALE DELLA COLONNA ORTANA E VI° VIRO AUGUSTALE QUINQUENNIO II° SACRO E da questa iscrizione, che lì il diligentissimo Fabretto chiama Ortana, è stato giustamente concluso dal Fontanini che in 27 città, in cui erano state inviate da Augusto le colonie dei soldati, è necessario annoverare Orte. Né è possibile , perché qualcuno si meravigli, che ci sia stato alcun antico, che abbia ricordato questa Colonia. Infatti, gli scrittori di quell’età, sebbene parte ricordino le Colonie, tuttavia, taciti, passarono sotto silenzio i nomi. Perciò, che (li) abbiano passati sotto silenzio, può capirsi chiaramente da Vallejo Patercolo. Ciò che infatti era noto e conosciuto in quell’epoca e ciò che era contenuto nei pubblici monumenti, che poi perirono per l’offesa dei tempi, ebbene ciò non ritennero che si dovesse affidare ai monumenti delle storie. Scrive infatti Vallejo, nel 7 libro delle historie, cap. XIV°, pag.5, edito da Lugd. Batav. nell’anno 1653, in questo modo:
Foto 4397 pag.8/9 <Ho stabilito ……di riportare qui quella Colonia che in quel tempo, dopo la presa di Roma da parte dei Galli, fu condotta (fondata) per ordine del Senato> INFATTI MILITARIUM ET CAUSSAE ET AUCTORES ET IPSARUM NOMINA PRAEFULGENT ( Risplenderanno i nomi delle stesse, cause e autori di militari ?). Tuttavia ci si deve guardare da ciò che Sponio asserisce, il quale in “Miscell. Erud. Antiq.” pag.174 esponendo la medesima iscrizione dalle schede Barberine, scrive ORTONA e non ORTANA. Ed infatti non è lecito preferire questo, che aveva l’abitudine di leggere indolente gli antichi epigrammi, a Fabretto, di cui a tutti è nota la fedeltà e la diligenza e che legge ORTANA. IV^ - All’inizio del VI° secolo, cioè nell’anno 502 nella Sinodo Romana sotto Simmaco viene fatta la commemorazione di Orte, affinchè fosse mostrata altrove. Tuttavia nella metà del VI° secolo, Vigilio guidando la chiesa, Belisario Patrizio (e questo è ciò che il Bibliotecario Anastasio scrive su Vigilio (2) “fece un ospizio sulla via Flaminia presso la città di Orte”. Quasi alla fine del secolo VI°, Gregorio magno essendosi impadronito avendo raggiunto il/del Pontificato Romano, come dice Paolo Diacono nel libro IV della storia (3). (1) Poco leggibile (2) Tomo III^,Script.Rer.Italic. pag.III edit Murat., Medid. 1723 (3) non leggibile <<Romano Patrizio, esarco di Ravenna, si affrettò verso Roma, il quale mentre torna a Ravenna, si impadronisce delle città, che erano tenute dai Longobardi, di cui questi sono I nomi : SUTRI, POLIMARTIUM, HORTA (Orte) tudertum (Todi ?) AMERIA (Amelia), ecc.>>. Paolo Diacono fiorì nel secolo VIII° della chiesa . Non presentano discrepanze, le cose che tramanda il Bibliotecario Anastasio, sia infine qualsiasi scrittore del libro Pontificale del IX° secolo nella vita di Gregorio Magno:<< Nello stesso tempo venne a Roma il Romano patrizio e Esarco e mentre tornava a Ravenna, trattenne le città di POLIMARTIUM, HORTAS, TUDERTUM, AMERIA, PERUSIA, LUCEOLIS e molte altre>>. Chi negherebbe tuttavia che Amelia (Ameria), Sutri, Polimartium, Tudertum e Orte siano nella stessa regione ? Certo in quella famosa antica TABULA PEUTINGERIANA e nelcelebre Segm. V° & VI° edit. Vindobon dell’anno 1753 è stato annotato: a coloro che si recano da Roma ad Amelia sulla via Amerina in primo luogo si presentano Veio, poi Bacanas, poi Nepi, poi Faleri, successivamente Castello Amerino, che ora si chiama BASSANELLO, poi Amelia, poi già tra i nepesini Tudertum e si incontra Faleri dirigendosi verso occidente sulla via Clodia, ovvero Claudia, o pittosto si trova Sutri sulla Cassia. La steaa cosa si può leggere nell’Itinerario di Antonino, infatti nel viaggio da Luca a Roma attraverso la via Clodia (pag.286¹) dopo FORUM CASSII si ricorda Sutri. E questo dunque (chiamato) HORTANUM da Plinio e da Paolo HORTAQUE e essendo annoverato da Anastasio con le città di Nepi, Amelia, ecc. perché si dovrebbe negare o dubitare che Orte fosse lì, dove ora è sita tra Falerii e Amelia, scostandosi un po’ dalla via regia? Perciò penso che sia stato fatto affinchè dalla maggior ² parte degli antichi geografi (quella fosse annessa ¹) che solevano descrivere le città della costa e quelle stabilite sulle vie regali. Certo il loro silenzio non può andare a detrimento degli Ortani. Infatti vale più l’autorità del solo Plinio che parla, che quella degli altri che tacciono, siano essi Geografi o Storici.Che se questo genere di silenzio muove qualcuno, certo egli stia attento affinchè non sia spinto a dire che le città di Otricoli, Narni, Terni
Foto 4398 pag. 10/11 non esistevano né nel secolo VII^ né nell’VIII^ per il fatto che un Anonimo Ravennate, che descrisse le città d’Italia in quel tempo, non ne ricordò nessuna di quelle. E quell’Anonimo, che, come ho detto, e come è stato osservato da Porcheronio Cl. Viro, editore dei suoi libri, fiorì nel VII^ secolo della chiesa, nel libro IV^ pag. 214 edit Paris dell’anno 1688. Il passo enumerando le città di quello, che ho ricordato poco prima dice: Tuder, Ameria, Horta(s), Falerii, Galenese, Nepe. Di nuovo Anastasio (In Zacharia¹, che a metà del secolo VIII^ adempiì al Pontificato Massimo) dice :<<Dal Re (Trasimondo) sono state sottratte dal Ducato Romano quattro città, cioè Ameria, Hortas, Polimartium, Blera; e poco dopo :E E mentre quello si recava nella città di Orte e il Re stesso ne conobbe l’arrivo, inviò il suo messo Grimoaldo, che fattoglisi incontro (lo) condusse fino alla città di Narni>>. E pag.162 :<<Radunatisi in primo luogo nella città di Amelia, poi in quella di Orte, poi nella fortezza castello di Polimartium e avendolo accolto ……….essendo stata la lunghezza del cammino da percorrere per il perimetro dei confini della Repubblica fino alla città di Blera per i territori della città di Sutri>>. E questo tuttavia più e ancor più stabilisce e conferma la cosa, e quello è chiaro che scrive la stessa cosa Anastasio in Leone IV°. V^ - Infatti nel numero 105 pag.242, tomo III^ degli SCRIPTORES RERUM ITALICARUM dice :<< In ……delle antichissime città di Orte e Amelia, di cui i muri e le porte erano caduti fino a terra per l’eccessiva antichità dei tempi, e restavano completamente destituite, e queste ora i ladri, ora i banditi potevano entrare piuttosto facilmente (dato che) aperte le porte e nessun custode opponendosi, lo stesso Presule veramente solerte conoscendo l’incuria tanto grande delle predette città, ebbene quelle città che prima abbiamo nominato per suo ordine e interesse le riportò alla condizione precedente con nuovi muri e con porte minimamente dissimili dalle precedenti e la riportò ad uno stato quasi rinvigorito dalla grazia divina. Vedete come **HORTAM = Orte** paragoni con Amelia e come faccia entrambi pari per antichità? In quale modo tuttavia uno scrittore del sec. IX^ avrebbe chiamato quelle due città “molto antiche” e avrebbe affermato che i loro muri erano caduti al suolo per l’eccessiva antichità, se avesse ritenuto che di queste una delle due era più recente dei tempi di Augusto? Infatti sarebbe stato molto ridicolo chiamare/dire “città molto antica” quella che non si considerava essere fondata prima di 9 secoli. Dunque si deve dire insomma che la città di Orte (che lo stesso Anastasio in Benedetto III° pag.248 scrive :<<distare 40 miglia da Roma>> fu fondata prima che fosse portato in Italia il nome cristiano sebbene io non dubiti che sia anche molto più antica. Ma ciò che ora asserisco per me, è sufficiente al mio scopo. Tuttavia non è necessario esplorare le memorie dell’età posteriore, che sono per gran parte descritte dal Fontatini nell’opera ultima/nell’ultima parte dell’opera “sull’antichta di Orte”. Già questo <dimostra> che Orte sia una città molto antica e illustre per l’abbondanza di monumenti antichi.
Foto 4399 pag.12/13 CAPITOLO II^ Si dimostra che la chiesa ortana, e l’Episcopato necessariamente si faccia risalire ai tempi degli Apostoli. Ora spiegherò in breve, come potrò, sull’antichità della chiesa e dell’Episcopato Ortano. Così dunque penso : fu dato un Vescovo agli Ortani, quando i cristiani cominciarono ad essere ad Orte. Perciò, se questi in quella città furono iniziati ai riti sacri cristiani al tempo degli Apostoli, ebbero di certo un Vescovo. Infatti gli Apostoli avevano la consuetudine di istituire dei Vescovi, quali loro primi germogli che in ogni città avevano procurato a Cristo. Di ciò è testimone attendibile Clemente Romano, uditore di Pietro, nella prima lettera ai Corinti. Infatti nel numero XLII, pag 29 tomo I^ della “Collezione delle lettere dei Pontefici Romani” edizione Costantino, anno 1721 si dice :<< (gli Apostoli) predicando per regioni e città, risultando graditi i loro primi germogli allo spirito/disposizione di quelle, stabilirono (di organizzarsi) in Vescovi e Diaconi, ora veramente chi negherebbe che in una città che distava circa XL miglia da Roma sia verisimile che già fin da quel tempo, in cui Pietro diffuse assai largamente il Cristianesimo in Italia, vi furono alcuni, che iniziati al battesimo si consacrarono a Cristo? Chi potrebbe dicendolo Luca negare che a Pozzuoli, città che dista tanto da Roma, che Paolo abbia trovato cristiani? Atti cap. XXVIII, vers. 143 :<<Andammo a Pozzuoli dove, trovati i fratelli, ci fu chiesto di restare presso di loro per 7 giorni>>. Se allora i cristiani fiorivano a Pozzuoli prima che Paolo avesse navigato alla volta dell’Italia, perché, dato che nessuno nega che i cristiani siano stati ad Orte, non potendo rimettersi in discussione (non si potrebbe rimettere in discussione) che Pietro abbia curato in ogni modo che la vera religione fosse introdotta soprattutto nelle città e nei luoghi molto vicini a Roma? Che se all’incirca a metà del secolo II^, secondo quanto è stato affidato alle lettere da Giustino Martire, illustre scrittore dell’epoca, non c’era un luogo, anzi veramente neppure un angolo del mondo che fosse privo di cristiani; forse crederemo che ad Orte, che era viscina a Roma, prima e signora di tutte le altre città, e che egualmente si trovava negli occhi dei cristiani romani e in una luce tanto grande degli uomini, (crederemo dunque che) non ci furono affatto (cristiani), che, rifiutata la superstizione si erano legati ai nostri riti sacri? Ci sono tuttavia le parole di Giustino, nel “dialogo con Trifone” n.CXVII¹ <<Non c’è assolutamente alcun genere sia tra i Greci, sia tra i barbari, o con qualsiasi nome sia chiamato, o degli Amaxobi (?), che vivono sui carri, o dei Nomadi, che sono privi di case, o degli Sceniti, che, pascolano le pecore abitano nelle tende, insomma, non c’è nessun genere di tal fatta, dice, in cui non ci siano preghiere a nome di Gesù Cristo crocifisso e le azioni di grazia del padre e (del) Creatore dell’Universo>>. Che anzi Hermas (?), che visse nel I^ secolo della chiesa, in quel libro che intitolò “Pastore” (libro III^, cap. IX^, num. XVII, pag. 290, rom(?) 7 PP? Apostolorum, Edit Lodinese, anno 1746) dice :<<tutte le nazioni che sono sotto il cielo, udirono e credettero e i figli di Dio furono chiamati con un sol nome>>. Già veramente Lattanzio, sia chiunque sia quel famoso Lucio Cecilio, che scrisse nel IV^ secolo, durante il regno di Costantino un libro “ sulle morti dei Persecutori” cap. II^. (1) Pag.222, ediz.veneta anno 1747.
Foto 4400 pag. 14/15 pag.184, tomo II^, opera edita a parigi nell’anno 1748, dice :<<I discepoli, che allora erano 11, presi Mattia e Paolo al posto del traditore Giuda, furono dispersi per tutta la terra per predicare il Vangelo, così come loro aveva comandato il maestro e signore, e per XXV anni fino all’inizio dell’impero neroniano posero le fondamenta della chiesa per tutte le città e le province. E quando Nerone ormai era al comando, Pietro venne a Roma e compiuti alcuni miracoli, che faceva per vitrù di Dio stesso, concessogli da quello il potere, molti convertì alla giustizia e collocò un tempio fedele a Dio e (per lui) stabile. Riferito il fatto a Nerone, accorgendosi che non solo a Roma, ma ovunque ogni giorno una grande moltitudine si allontanava dal culto degli idoli, e che passava ad una nuova religione, condannata l’antica, dato che era un tiranno esacrabile e colpevole, si precipitò a distruggere il tempio celeste. CAPITOLO III 1 – E’ necessario che si dica che infine nel II^, nel III^ secolo alcuni ortani si erano avvicinati ai riti cristiani, e certo quelli fin da quel tempo avevano avuto Vescovi. 2 – S. Lanno fu eletto vescovo degli Ortani sotto Diocleziano. Dunque allora nel 1° secolo non ci furno cristiani a Orte. Perché? forse neppure nel 2° quando tutti i luoghi della terra erano pieni di cristiani? Ecco che Lattanzio nel libro che poco fa ho indicato (cap.III, pag.187) dice :<<REICISSIS(?) le azioni del tiranno (Domiziano) non solo la chiesa fu riportata nello stato primitivo, ma anche molto più famoso e risplendette più floridamente nei tempi seguenti, in cui molti e buoni principi tennero il timone e la guida dell’Impero Romano, non avendo sopportato alcun impeto dei nemoci, porse le sue mani in Oriente e in Occidente, affinchè non ci fosse ormai alcun angolo della terra tanto remoto in cui non fosse penetrata la religione di Dio, infine nessuna nazione che vivesse con costumi tanto feroci do non addolcirsi alle opere di giustizia suscitato il culto di Dio>>. Per sentenza degli avversari, è necessario che gli Ortani furono/fossero gli uomini per più feroci di tutti e molto feroci, non essendoci angolo alcuno della terra, in cui non si trovassero alcuni cristiani così che, alcuni pensano che in quella città neppure nel II^ secolo o nel III^ ne siano vissuti pochi. Aveva preceduto Lattanzio lo scrittore Plinio Etnico e contemporaneo di Traiano Celario. Egli (nel libro X, epist. XCVII, parg.631, editore Lips, dell’anno 1711) trattando dei cristiani dice:<<Molte persone di ogni età, di ogni ordine, anche di entrambi i sessi sono e saranno chiamati in pericolo. Infatti il contagio di questa superstizione si è diffusa non tanto per le città, ma per i villaggi e i campi (Superstizione:così infatti chiamava la vera religione!!)>>. Tertulliano (Apologeticum, cap. XXXVII, pag.115, edito nell’anno 1745) dice :<<Siano esterni e abbiamo riempito tutte le vostre case, città, isole, castelli, municipi, luoghi di riunione/mercati, gli stessi accampamenti, le tribù, le decurie, il palazzo(dei Cesari), il Senato, il Foro. Vi abbiamo lasciato i soli templi. E (cfr.libro I^, Ad Nationes, cap. I^, pag. 40 e seg.) rivolgendosi/parlando ai pagani dice :<<Voi andate dicendo che la città è assediata: (ci sono) cristiani nei campi, nei castelli, sulle isole>>. E nel libro “Adversus Idaeos (contro i Giudei).
Foto 4401 pag. 16 (cap. VIII, pag.189). In chi altro credettero tutte le genti se non in Cristo, che ormai è venuto? A chi infatti credettero anche le altre genti, i Parti, i medi, gli Elamiti, e coloro che vivono in Mesopotania, in Armenia, in Frigia, in Cappadocia e coloro che abitano il Ponto, l’Asia e la Panfilia, coloro che si trovano in Egitto e nella regione dell’Africa, e coloro che abitano oltre Cirene, i Romani, e gli abitanti di allora e i Giudei di Gerusalemme e le altre genti, come ormai le varietà dei Gentili, e i molti confini dei Mauri, e tutti quelli delle Spagne, le diverse nazioni delle Gallie e i luoghi dei Britanni inaccessibili ai Romani ma veramente sottomessi a Cristo, e quelli dei Sarmati, dei Daci, dei Germani, degli Sciti e di molte genti aggiunte e ancora delle province e delle isole a molti ignote e che non possiamo nemmeno enumerare; in tutti questi luoghi regna il nome di Cristo che è già venuto>>. Queste cose (dice) quel famosissimo scrittore della fine del II^ secolo e dell’inizio del III^. E in quel tempo si aveva l’abitudine di eleggere in primo luogo a Roma i Vescovi, affinchè fossero a capo delle nuove chiese, se fosse toccato di costruirle. E’ noto che di tal genere di Vescovi fosse Gaio, Presbitero Romano. Cfr. Fozio, Codice XLVIII pag.38 biblioteca, edit. nell’anno 1652. Che se allora la religione cristiana si era tanto largamente diffusa per tutti i luoghi della terra, così che anche in certi villaggi c’erano cristiani; (allora) chi potrebbe credere che non ci fu nessuno di loro ad Orte, città che si trovava tanto vicina a Roma; appare (chi potrebbe credere che) se ci furono, non ebbero un Vescovo? A metà del III^ secolo, affermando il Pontefice Cornelio che erano 3 i vescovi chiamati da Nevoziano (?) da una parte esigua e assai piccola d’Italia
Foto 4403 pag. 17 (Epist. ad Fab. Antioch. apud Euseb. libro VI, cap. XLIII) Darò ragione alla Historia Ecclesiastica, che Orte era una città celebre e illustre, non assentirò egualmente che uno solo abbia avuto fama con quella dignità? II – Ma mancano le testimonianze. Infatti lo nego veramente. Infatti tra la fine del sec. III^ e l’inizio del IV^ è chiaro sulla base dell’autorità delle testimonianze non solo che i cristiani fiorirono ad Orte ma anche che ottennero un vecchio Vescovo. Bassanello dista da Orte circa 4 miglia. In quel luogo, dunque, il 25 marzo dell’anno 1628, per comando di Angelo Gozzadinio, Vescovo Ortano fu aperto il sepolcro di S. Lanno, in cui fu trovata una tavola di pietra su cui era scritto in tal modo:
LANNO MARTIRE DI CRISTO QUI RIPOSA, AVENDO SOFFERTO SOTTO DIOCLEZIANO ??? Questa iscrizione, di cui certo una tavola allegata mostra lo schema, non deve essere più recente del IV^ secolo, in cui Lanno morì; l’indizio ( è costituito) dalla forma dei caratteri. Infatti quella (forma dei caratteri) era allora di certo in uso, come si vede da un’altra trovata nel cimitero di Ciriaca, che poi descriverò. Infatti questa fu scolpita sotto il consolato di Urfo e Polemio, nell’anno 338 dell’era cristiana, sotto il Pontificato Massimo di Giulio I°. Tuttavia (nel tomo I^ delle “Osservazioni sopra i cimiteri” l. I^, cap. XIX, pag,84, ed. romana dell’anno 1720) è detto da Boldetto; in tal modo:
Foto 4404 pag.18
ANIMÆ INNOCENTI GAUDENTIAE QUE VI XIT AN. V. M. VII D.XXI IN PACE ?????????? ALLANIMA INNOCENTE DI GUADENTIA CHE VISSE 6 ANNI 7 MESI, 21 GIORNI IN PACE ??????? Il padre Mercurio alla figlia dedicò (13 novembre) alle Idi di Novembre, sotto il consolato di Urfo e Polemio Che certo anche le figure dei caratteri, con cui queste ultime parole “Mercurius pater filiae V idus Novemb. Urfo et Polemio, Cos.”, sono espresse in questr’altra iscrizione, sono molto più arcaiche di quelle che si vedono nell’Epigramma di Lanno, come si può vedere chiaramente dalla tavola allegata. Dunque, avendo avuto Orte Martiri sotto Diocleziano, (infatti è questo il luogo nella Diocesi ortana e è S. Lanno il patrono di Orte), perché qualcuono dovrebbe pensare che nel medesimo periodo quella città sia stata priva di un Vescovo e della chiesa? E’ però incredibile che allora improvisamente ad Orte i nati fossero cristiani. Dunque prima dell’inizio del IV^ secolo o prima della fine del III^, in cui Lanno patì, e specialmente almeno sul finire del III^ è necessario che vi siano stati cristiani. Perché ? Se Lanno stesso è stato Vescovo degli Ortani? Infatti (la sigla) ? E.P.S. non possiamo neppure sospettare cos’altro possa indicare se non (la parola) EPISCOMUM (=VESCOVO). E che i nostri avi erano abituati a usare queste 3 lettere E.P.S. per indicare (la parola) Episcopum (= Vescovo) come si comprende da moltre altre iscrizioni, così (si comprende) soprattutto da questa del IV^ secolo, che cita il Muratori nel IV^ tomo di “Thesauri Antiquit. (p. 1866, num.7). T.L. (?) Foto 4405_0 – Apocrifo dell’Iscrizione
Foto 4406 pag.19 T.I.X.N. EGO DAMASI (US) VS VRB. ROME EPS AN CŊOMV CONSEVRAVI …..N.R.Q.S.M. PA. S. PE. Questo è il titolo nel “Nome di Cristo” Io, Damasio, Vescovo della città di Roma consacrai questa casa (etc.). Ora, nel IV^ secolo indicando/significando la stessa cosa EPS a Vescovo, non vedo perché per Erede (?) (la sigla) EPS non debba significare lo stesso nell’iscrizione di S. Lanno che è stata compiuta nello stesso secolo entrante. Già le restanti iscrizioni, sebbene siano alquanto recenti, aiutano tuttavia a illustrare la cosa. Infatti (l’iscrizione) del vescovo Martino, che il Muratori ricevette da Donio, e che l’ha trasferita nel tomo IV^ del “Thesaurus Antiquitatum” (pag. 1910, num.2), è di tal genere: HIC REQUIESCIT MARTIN EPS ET MONACHUS ROGO VOS OMS QUI HINC TRANSITIS ORAE PRO ME ANC TURAM PRUDENS QUICUQUE RVPERE CERTAT CUN IVDA GEMITUS EXPERIE TUR INOPS OBIIT XII KL MARTII Mitto = ???
QUI RIPOSA MARTINO VESCOVO E MONACO PREGO VOI TUTTI CHE PASSATE QUI PREGATE PER ME CHIUNQUE A BELLA POSTA VOGLIA ROMPERE QUESTA ??????? PROVERA’ I GEMITI CON GIUDA. POVERO MORI’ IL 21 FEBBRAIO
Manca la foto 4407 pag 20/21
Foto 4408 pag. 22/23 Cioè: gaudenzio, che visse in pace 28 anni, V mesi e 20 giorni ha sepoltura il 10 Ottobre. In Baldetto, nell’opera “Osservazioni sopra i cimiteri” (pag.403) PA. CA. TI.= (Pacati) DE. POS. TIO=(Depositio) III KAL. IVL(III Kalendos Iulius)
DEPOSIZIONE DI PACATO IL 30 GIUGNO
OC. TA. VI. AE. MA. TRO. NAE VI. DV. DE. I. DELLA MATRONA OTTAVIA VEDOVA DI DIO?????? E così è necessario che ci si occupi meno delle Antichità cristiane dei Pennati, (opera) che i punti hanno così stravolto che si nega che la (sigla) EPC e (la parola) Episcopus coincidono. E se certo qualcuno mi chiede perché io pensi che la sigla EPS sia lo stesso di E.P.S. dirà, credo, affinchè anche io stesso lo interroghi, perché GAV. DE. N. TIUS allo stesso modo e Gaudentius pensa che coincidono? Che se i punti non impediscano che GAV. DEN. TIUS indichi lo stesso di Gaudentis; qual è il motivo per cui Pennazio per i punti sia distolto dal fatto che EPS sia letto allo stesso modo di E.P.S. ? Di nuovo quello potrebbe spiegare, prima che pensi di essere soddisfatto da me, perché la parola DE. POS. TIO, che si legge nell’esempio di baldetto, da poco illustrato, e che è stata distinta dai punti, non differisce dalla voce DEPOSITIO? Dirà questo, credo: che questo sembrò certo essere stato più adatto o all’Autore di quell’iscrizione o al suo scultore; la ragione però, perché gli sembrò opportuno così, non può affatto essere riferita da lui. Infatti, negli epigrammi sepolcrali degli antichi cristiani si osservano esempi quasi innumerevoli di voci distinte da segni di interpunzione, delle quli interpunzioni a noi non è certo lecito indagare le cause. Ma se ciò è così, come realmente è, i punti non potranno di certo impedirlo, che con le lettere EPS si cerchi di ottenere lo stesso significato che con le lettere E.P.S. sebbene io abbia notato anche spesso ciò, (che) fu in uso presso gli antichi cristani: per voler esprimere con 2 o 3 lettere consonanti una voce qualsiasi nei propri monumenti, talvolta ponevano un punto ad/(dopo) ogni lettera, talvolta invece non li ponevano. E affinché nessupo pensi che ciò sia detto invano da me, userò per prima cosa l’esempio della voce DEPOSITUS. I nostri avi riunivano questa (voce) con 2 o 3 lettere, in questo modo: DP. e DPT. posti i punti alla fine, oppure inseriti i punti D.P. e D.P.S. Presso Baldetto (pag.80) AUR. ALEXANDER QUI VIT (VIXIT) ANNUS. XVII. MN. VII. DP XII. OCTOB. VALENTINIANO III. ET VALENTE. III. COSS. A Tω Ρ
AURELIO ALESSANDRO CHE VISSE 17 ANNI, 7 MESI, FU SEPOLTO IL 12 OTTOBRE, SOTTO IL CONSOLATO DI VALENTINIANO III E VALENTE III (L’iscrizione) si riferisce all’anno 370. Dinuovo (a pag.414).
Foto 4409 pag. 24/25 EL. SECUNDINO. BENEMERENTI MINISTRATORI CHRESTIANO IN PACE QVI VIXIT. ANN. XXXVI. DP III. NON MAR.
A ELIO SECONDINO, BENEMERITO SERVITORE SCRISTIANO CHE VISSE IN PACE 36 ANNI, FU SEPOLTO IL 5 MARZO Conferma presso la stessa iscrizione di Mandra (pag.454) ? Ma non voglio essere lungo. Infatti questi esempi possono bastare. E’ possibile reperirne infiniti (lett.600) presso il Muratori, il Fabretto, il Lupio, il Marangoni. Tuttavia riportate, perché io lo aggiunga, questo solo esempio tratto dal Marangonio, che negli atti di Vittorino (pag.95) descrive in questo modo l’epitafio di felice/Felix: FELIX. QUIB. ANNUS DN (Domini nostri?) XX DP. V IDUS IULIAS
FELIX CHE VISSE 28 ANNI FU SEPOLTO IL 3 LUGLIO E la sigla DP. che è qui e quella DPT. che nell’iscrizione di Vercino presso Baldetto (pag.489) è stata scritta alla fine con i punti, lo vedrete annotato e distinto in innumerevoli altri esempi. Presso Marangonio (op. cit., pag.93): BELLATOR IN PACE D.P. PR. K. DEC.
BELLATORE FU DEPOSTO/SEPPELLITO IN PACE IL 30 NOVEMBRE Presso Baldetto (pag.433) PATERNA QUE VIXIT ANN. XXIIII ET DIMISIT FILIUM ANN. VI ......D.P. etc.
PATERNA CHE VISSE 24 ANNI E ABBANDONO’/LASCIO’ IL FIGLIO DI 6 ANNI FU SEPOLTA (……)
Ancora a pag. 453 FRUCTUOSA FLORIDA D.P. PRID. KAL. FEB.
FRUTTUOSA FLORIDA FU SEPOLTA IL 31 GENNAIO
Ancora a pag. 397 D.P.(Depositio) CECILII PRID. ID. IVN.
SEPOLTURA DI CECILIO, IL 12 GIUGNO
A pag. 476: SEVERAQUE (Quae) ANNUS P.M. XXXV D.P. XV KAL. DEC
DEVERA CHE (VISSE) 35 ANNI FU SEPOLTA IL 17 NOVEMBRE A pag. 477: VURSULO IN PACE D.P.V. IDUS SEPTEMB.
AD URSULO SEPOLTO IN PACE IL 9 SETTEMBRE E a pag.487: PATERCI D.P. PR. NON. NOV. Et MARCIANI D.P. VIII IDUS OCT. IN PACE
DI PATERCO, SEPOLTO IL 12 NOVEMBRE E DI MARCIANO, SEPOLTO L’8 OTTOBRE IN PACE E a pag. 490:
Foto 4410 pag. 26/27 D.P. CONSTANTI NOM. ET PETRONIE BENEMERENTI IN P. MAXENTIVS FECIT D.P. VII, ID. SEP. Il tempo mi mancherebbe, se volessi seguire tutte le cose. Vengo alla sigla D.P.S. riportata da Baldetto a pag. 402. Così mostra l’iscrizione di Vittore (Victor) D.P.S.(depositus) IIII IVN. VICTOR VIXIT ANNIS XXXXIII REDDIT IN PACE FUIT PEREGRINUS
VITTORE SEPOLTO IL 3 GIUGNO VISSE PER 43 ANNI; RITORNO’/SPIRO’ IN PACE FU PELLEGRINO Comprendete però che la sigla D.P.S. significa “depositus”: la stessa cosa che Baldetto comprese nell’opera citata nello stesso luogo (citato). Perché? Se in Baldetto si trova scritto “Equiti Romano” nell’opera citata a pag. 386 con la sigla E.Q.R. AURELIO AGABITO DRACONTIO E.Q.R. (=equiti?)etc.
AD AURELIO AGABITO DRACONTIO CAVALIERE In verità chi non sa che la parola “Benemerenti” si può eprimere ora con le lettere BM., ora con B.M., e talvolta anche con BMT. E con B.N.M.? Aggiungi Fabretto (pag.573) e baldetto (pag.65) dove si ha così: PETRO FOSSORI B.M. IN PACE
AL BENEMERITO PIETRO, ZAPPATORE IN PACE
SERGIO E GIUNIO, ZAPPATORI BENEMERITI IN PACE BISOM In questo luogo la sigla B.N.M. significa lo stesso che “Benemerentes”. Di nuovo a pag.461: VENERIUS MOMELITIO BTI FECIT
VENERIO FECE AL BENEMERITO M. E presso Fabretto, a pag. 136 D.M. = DIS MANIBUS
QUI SONO POSTI TRE FRATELLI GINNICI(?) LUPO, CHE VISSE ANNI 5,MESI 8, GIORNI 13 L (=?) ELENCHIO, CHE VISSE ANNI 1, MESI 7 VINCENZO, CHE VISSE ANNI 5, MESI 8, GIORNI 28 I PATRONI FECERO PER I PROPRI ALUNNI MERITEVOLI E IL PADRE BASILIO Vedete come le lettere iniziali delle sillabe B.N.M.R.BUS della parola “Benemerentibus” siano divise dai punti. Ma i libri di Baldetto, Fabretto, Muratori e Marangonio sono pieni di esempi di tal genere. Così consultateli. Tuttavia non posso passare sotto silenzio l’iscrizione di Secondino, in cui la parola “Beneficiarius” è espressa con queste lettere B.N.F. AL BENEMERITO SECONDINO CHE VISSE 42 ANNI B.N.F. (Beneficiaris=Beneficiario) PRAEFT. PRAET. RIPOSA IN PACE 8 AGOSTO Riferirò la cosa in poche parole. Se la sigla BM. E B.M. e B.M.N. sono la stessa cosa; se la sigla BNF e B.N.F.
Foto 4411 pag. 28/29 E BNT. e B.N.M. e la sigla DP. E D.P. e D.P.S. riguardano la stessa cosa, perché pensiamo che le sigle EPS e E.P.S. non possono significare la stessa cosa. Infatti i punti non cambiano, come ho mostrato, il senso delle parole e delle sigle. Ma Pennazio interpreta così la sigla E.P.S. : “Eutychius presbyter sepelivit” (=il presbitero Eutichio seppellì) Ridicolo! Infatti sebbene avessere l’abitudine di esprimere noti e assai diffusi nomi e prenomi con una o con due lettere, come (il nome) di Marco, Quinto, Sestio, Cneo, Decimo, Tullio con queste note M. Q. Cn. D. T. erano scritti come per intero, pur non essendolo: da nessuno avrebbero potuto essere interpretati in altro modo. Tuttavia il nome di Eutichio non era certo in uso presso i Latini. E così se qualcuno avesse voluto indicare quello con la sola lettera E, egli avrebbe confuso il lettore. Non vé alcuna ragione infatti per cui la sigla E indichi Eutichio piuttosto che Eleuterio o Eugenio o Evaristo o qualsiasi altro prenome indichi, la cui iniziale sia la lettera E. In vero chi mai legge il nome di Presbitero indicata con la sola lettera P? Sfogliate tutte le collezioni degli antichi epigrammi sepolcrali e le singole iscrizioni degli antichi cristiani, troverete le parole Diacono, Presbitero, Esorcista, Lettore, Fossor? Scavatore scritte o per intero o espresse con_in 2 o 3 lettere, da cui si può capire a quale compito attendessero e per chi fu posta l’iscrizione. E presso Baldetto poi (pag. 416) così sta l’iscrizione di Candido: CANDIDUS PRESB.
IL PRESBITERO CANDIDO E quella di Basilio presso Reinesio (pag.905, num. 35) LOCUS BASILII PRESB. Etc.
SEPOLTURA DEL PRESBITERO BASILIO Ancora presso lo stesso Reinesio (pag. 919, num.90) LOCUS GERONTI PRESB.
SEPOLTURA DEL PRESBITERO GERONTIO Ea pag.934, n.155 Ai tempi di S. Innocenzo, Vescovo ; Proclinio e Urso presbiteri (ecc) E a pag. 989 num. 394 OLIM PRESBITERI GABINI etc.
UN TEMPO DEL PRESBITERO GABINO (ecc) E presso il Muratori, pag. 1863 ┼ EUFRASIO PRESBITERO IN ONORE DI S. PIETRO APOSTOLO PER SUO VOTO FECE E presso il Marangonio, negli atti di S. Vittorino, pag. 31 QUIESCIT BICTORINUS PRB RIPOSA IL PRESBITERO VITTORINO Di nuovo presso Baldetto (pag.415) sull’opera dei Diaconi Asterio e Esuperantio e Urbicio e presso Reinesio, pag. 915, num. 75 egualmente del Diacono Felice: LOCUS ASTERII DIACO
SEPOLTURA DEL DIACONO ASTERIO
LOCUS EXSUPERANTII DIACON
SEPOLTURA DEL DIACONO ESUPERANTIO
URBICUS ET BALERIUS DIACON IN PACE
I DIACONI URBICIO E VALERIO IN PACE Foto 4412 pag. 30/31 DEPS. FELIX. DIAC. V IDUS MARTIAS
DEPOSERO FELICE DIACONO L’11 MARZO
Tuttavia presso la stessa opera è in tal modo l’iscrizione dell’esorcista Petronio: PETRONIO ESORCISTA HELENE M.B.B. IN P.(?) (in pace?) Presso Fabretto, pag. 557 troverai la parola LECTORIS (= lettore) scritta per intero e non con la sola lettera L. Sul nome dei Fassores non vé nulla da dire: infatti da Bofio, Aringhio, Battario e altri sono citati molti epigrammi in cui si vede (la parola) espressa o per intero o in 4 lettere. Presso Baldetto (pag. 416) TIGRIANIUS ET ERCULIUS FOSSORES BMSS TIGRIANIO E ERCULIO FOSSORI BENEMERITI becchini E a pag. 60: DIOGENE FOSSORE SEPOLTO IN PACE IL 25 SETTEMBRE Fossore= becchino,ordine di chierici della chiesa primitiva E a pag. 65: GIUNIO AVENTINO FOSSORE F.S. = FECE PER SE’ Ugualmente dal cimitero di Calepodio: FELICE, BECCHINO, IN PACE Po ancora dal cimitero di Priscilla: AL BECCHINI LUCILIO IL FRATELLO MASSIMINO POSE, CHE VISSE ANNI 40 IN PACE E: A PATERNO, BENEMERITO BECCHINO VISSE A.P.M. (?) ANNI 36 RIPOSA IN PACE E: FRIGIANO E ERCOLE BECCHINI A RUFIO BECCHINO BENEMERITO (etc.) Ma da queste iscrizioni capite bene che le parole presbitero, diacono, lettore, esorcista, fossore (becchino) e nostri avi non avevano l’abitudine di esprimere con una sola parola. E infatti volevano che si capisse, non cercavano un Edipo lettore che dovesse indovinare ciò che essi avevano stabilito di scrivere. Sulla “S” cosa dovrei dire? Infatti non vé alcun epigramma o scrizione in cui si possa prendere per (la parola) SEPELIVIT (= seppellì’).Così resta questo che pensiamo che la sigla V.S. che leggiamo in certe iscrizioni così si debba spiegare URBANUS SEPELIVIT (seppellì Urbano), non VOTUM SOLVIT (sciolse il voto). Cosa infine può essere più assurdo di ciò? Pennazio mostra una iscrizione, se è possibile, in cui si possa prendere la sigla “S” per SEPELIVIT (=seppellì), ovvero dove SEPELIVIT è scritto per intero. Certo a me non è mai stato lecito leggerle alcuna. Tuttavia, ho visto e letto innumerevoli iscrizioni. POSUIT (=pose), POSUERUNT (=posero), DEPOSITUS (=deposto) ecc. Spesso ho letto sepelivit o sepelierunt, non uguale. Ma tra tante iscrizioni cristiane antiche, concederò che se ne trovino due o tre in cui si legge la parola SEPELIVI e di tal genere è quella che Nardio (cap.VIII) e Baldetto, che tuttavia non la vide (pag.580), tramadano sia stata trovata nel cimitero di Nepi.
manca foto 4413 pag. 32/33
Foto 4414 pag. 34 Perché? Se neppure le sillabe NI e PA che sono scritte nel parallelogrammo portassero a comporre il nome di Bonifacia nell’epigramma presso Baldetto (pag. 365)? E ciò veramente, chi mai lo permetterebbe? Segue disegno
Già veramente le lettere ONI che, interrate dalla figura dell’opera, sembrano separate dalle lettere CRESCENT ( se non è presente alcuna forza nell’avversità degli avversari), infine in che modo contribuirebbero a costituire il nome di “CRESCENTIONI”. Quest’iscrizione è riportata da Baldetto (pag. 316) e è in tal modo: segue disegno
A CRESCENTIONE, IN PACE Inoltre nell’iscrizione che Grutero ha riportato (a pag. 1108) queste lettere DD NN , che significano “DOMINORUM NOSTRUM” (= dei nostri signori) e che si presentano incluse in un cerchio, non riguarderebbero gli Augusti, di cui nella stessa iscrizione si fa mensione.
Foto 4415 APOGRIFI DI ISCRIZIONE
Foto 4416 pag.35 Infine per ottenere le altre cose che si potrebbero addurre per dare conferma al fatto, dico che in tavole di pietra (e dello stesso genere è quella di cui parliamo) erano soliti trovarsi per lo più cerchi al centro del segno della bottega del vasaio, nei quali cerchi certo erano scritte lettere indicanti o/il segno del tempo o la data o la carica di quelli i cui nomi erano iscritti fuori degli stessi cerchi; nessuno è tanto ignaro di qntiquaria, da non saperlo. Cero vi sono infiniti esempi simili a loro in Fabretto, Baldetto e altri, che poi illustrerò. Questi sono mostrati da Baldetto (pag.530). Infatti nella figura V che vedete nella tavola allegata sopra, al di fuori della metà del cerchio si legge PAETIN. ET APRON; quindi a metà del cerchio COS. Q. Qrio Paetinus e C. Venditio Apronianus; anno 123 consulatum gessérunt (=Paetino e Aproniano; i consoli Q. Ario Petino e C. Ventidio Aproniano tennero il consolato nell’anno 123). Nella figura X fuori del cerchio (c’è scritto) “SERVIANO III ET VARO; quindi, a metà del cerchio COS (=CONSOLIBUS= CONSOLI). Di nuovo nell’XI figura PROP.ET AMBI, a metà del cerchio COS. (=II). Nella XIII 8figura) e anche nella XV i nomi di PAETINI e APRONIANI (di Petino e Aproniano) non sono inclusi a metà del cerchio, vi è inclusa però la sigla COS (=CONSOLI) che indica sia la carica dei consoli sia la data. Sebbene presso gli anrìtichi la modalità di iscrivere i cerchi con i segni dei vasai (vedi figura III) o di porre le lettere in cerchio non fu costante come si vede dalla figura I-II-III-IV-VI-VII-IX-XII-XIV. In verità se talvolta a metà dei cerchi talvolta si suoleva scrivere quelle lettere affinché i lettori si accorgessero più facilmente della data; perché non dovrei pensare che la sigla E.P.S. sia stata scritta allo stesso modo nel quadrato nell’epigramma di Lanno, affinché coloro che leggevano potessero facilmente accorgersi che Lanno aveva brinato (?) per la carica/dignità di Vescovo? Ma
Foto 4417 pag.36/37 ci saranno forse coloro che domandano perché io pensi che il Vescovo Lanno sia stato assolutamente della città di Orte e non un’altra città. Io veramente voglio che il perché sia mostrato a me (?) con ragione e non che sia proferito a caso. E perché io stimi che Lanno sia stato Vescovo di Orte, lo fa il sommo accordo di tutti gli antiquari, che evevano l’abitudine di attribuire e aggiudicare alla Diocesi di quella città le iscrizioni dei Vescovi o dei Presbiteri o dei Diaconi (eec.) che sono trovate nei cimiteri o in altri luoghi soggetti ad un’altra città (se non è chiaro/risulta altrove che erano pellegrini e ospiti). Così accade che sebbene nella serie dei Vescovi adriensi (?) non si legge “BONUS EPISCOPUS” , poiché tuttavia bel battistero della chiesa parrocchiale si fa menzione di tale Vescovo, egli è considerato dal Muratori sovrintendente (1° sacerdote) di quella città. Dà conferma il Muratori (pag.1843). La stessa cosa stabilì (nella stessa opera, pag.1888) su Giovanni, che fu tralasciato da Ughellio. Di nuovo, sebbene il Vescovo Innocenzio sia nominato solo nell’epigramma presso lo stesso, pag.1929, per lo meno, per quanto è stato scoperto nel cimitero Romano di S. Sebastiano, è certo che lì sia commemorato Innocenzo VII, Pontefice Massimo. E allo stesso modo il Vescovo Bonifacio, di cui è fatta la commemorazione nell’iscrizione Calaritana (di Cagliari), fu Vescovo in servizio presso Cagliari (il Cagliaritano), per opinione di Muratori e di Bonfantio (cfr. Muratori, pag.1845). Inoltre il Vescovo Sergio, che è lodato nell’iscrizione di Rimini, sebbene non sia stato annoverato nella serie dei sacerdoti di Rimini, tuttavia il Muratori non/osa può negare che sia stato sacerdote di Rimini. E se gli antichi Vescovi, di cui sopravvivono ancora gli epitafi, vogliamo sottrarli a quelle città, nelle quali quegli stessi epitafi sono stati recuperati; allora si troverà nella serie dei Vescovi un estremo sconvolgimento di molte città. Infatti caussae(?) perché molti sono stati inseriti in quelle serie, le iscrizioni sono state trovate in quelle città. Ciò si può dimostrare con molti esempi, non solo di Ighellio, ma anche di Lequienio nell’opera “Oriente cristiana” e nella celebre opera dei sammartani, poiché scrissero “Gallia cristiana”. Perciò, se gli aversari non hanno mostrato che Lanno sia stato il Vescovo di un altro luogo (tuttavia, non lo dimostreranno mai, come facilmente mi convinco), rimarrà certo che egli sia stato Vescovo di Orte, essendo stato ristrovato il suo sepolcro con l’iscrizione nella Diocesi Ortana a circa 4 miglia dalla città di Orte, certo a Vasanello. E perciò tanto più sono cofermato nell’opinione per aver visto che “Forum Claudii (=?) e Tre Taberne” in quel tempo avevano vescovi. (lo confermano gli atti del Sinodo sotto Melchiade presso (in) optato in Milevitano, libro I, contro Parmenide). Infatti, se città tanto piccole furono degne di tanto onore all’inizio del IV secolo, perché qualcuno reputa gli Ortani indegni di questo stesso onore, che allora nella loro Diocesi ebbero Martiri – come si capisce dall’epigramma di Lanno, e un Cimitero e per giunta una chiesa, ed è chiaro che ebbero anche questa aggregazione di cristiani, non dimostriamo che ad aggregazioni di tal genere era allora abitudine che fossero posti a capo i vescovi? E sull’episcopato Ortano di Lanno è stato detto abbastanza.
Foto 4418 pag. 38/39 CAPITOLO IV 1 – sui vescovi ortani seccessori di Lanno e in primo luogo su Leone; 2 – su Martiano; 3 – su Blando; 4 – su Giuliano; 5 – su maurizio; 6 – su Adamo; 7 – su Stefano; 8 – su Orsenio; 9 – su Zacharia; 10- su Stefano. Quale sacerdote sia succeduto a Lanno non appare chiaro da certi e riconosciuti monumenti. Fontanini riporta l’iscrizione di Leone, che afferma che Leone era stato a capo della chiesa Ortana nel V secolo. Io dalla pietra (che prima era conservata nella chiesa di S. Giovanni in Fonte sulla piazza di Orte, poi è stata trasferita nel tempio parrocchiale di S. Pietro della stessa città, dove ancora oggi si trova), ho pensato che l’iscrizione stessa dovesse essere trasferita qui accuratamente descritta. E’ tale:
Le ultime parole dell’iscrizione sono state cancellate dall’inguria del tempo. Tuttavia, dalla figura delle lettere e dalle formule dei verbi con cui l’iscrizione è stata espressa si comprende che Leone è stato a capo dell’Episcopato Ortano nel 5° o nel 6° secolo. Infatti è del tutto simile a questa un’iscrizione dell’anno 488, che il famosissimo Lupio, Presbitero della Socità di Gesù ha pubblicato pag. 147 nella “Dissertazione sull’Epitafio di S. Severa”. Rusulta tale:
┼ QUI RIPOSA IN PACE MUNITIA (VI ?) DONNA RELIGIOSA CHE VISSE NELL’ANNO PLM 52 SEPOLTA IL 3 FEBBRAIO, DIDAMIO SEIDIO VVCC (?) Questo momumento fu posto, come vedete, sotto il consolato di Dinamio e Sufidio, cioè nell’anno dell’era volgare 488. Nella nostra iscrizione ciò che è scritto REQU.ESCIT in questa è posto REQUIESCET. Il punto però, che si vede a metà della parola REQU.ESCIT è la rimanenza dell’ultima parte della lettera I, a mio giudizio, così come all’inizio dovrebbe leggersi REQUIESCIT . Ma quella lettera I è stata cancellata tutta dall’antichità dell’iscrizione, tanto che è rimasta solo l’ultima parte, come ho detto, che pare costituire un punto. Sebbene la pietra ortana abbia REQUESCIT , certo il fatto non è straordinario. Infatti leggendosi QUESCENTI in moltissimi epigrammi sepolcrali dei vecchi cristiani, non vè motivo per cui la parola REQUESCIT possa turbare qualcuno? Nel cimitero di Priscilla l’epitafio Foto 4419 pag. 40/41 di Paolinus, che ha ritrovato Boldetto (come è attestato nel l. I, pag. 317) era di tal genere: PAULINUS. FILIO. PAULINIANO BENEQUESCENTI. FECIT. IN. PACE QUI VIXIT MENS VIII
PAULINO FECE PER IL FIGLIO PAULINIANO CHE RIPOSA IN PACE CHE VISSE 8 MESI Credo che appartenga al sec. V l’epitafio che è stato trovato nel cimitero di Lucina, ed è simile a quello ortano di Leone Vescovo (per quanto riguarda la croce premessa all’epitafio e per le formule). E’ descritto da Boldetto nel l. II, c. VI pag.413 ed è di tal genere: ┼ HIC REQUIESCIT IN PA. QUI VIXIT. PLM ANN. COMPARABIT PATRIC. . .. TER SIBI ET SUIS
┼ QUI RIPOSA IN PACE CHE VISSE PLM ANN (=PLURIMOS ANNOS)= PER PIU’ ANNI COMPARABIT PATRIC. (?) …TER PER SE E PER I SUOI. Riguarda lo stesso periodo l’iscrizione, che il Presule Oliviero ha ritrovato nel cimitero di S. Ippolito e che mostra Boldetto nello stesso libro 7, cap. iii, pag. 345.
QUI RIPOSA MARCIA DEPOSTA NEL SONNO DI PACE IL 3 APRILE Egualmente nel sec. IV è stata posta questa pietra, che descrive Reinesio, pag. 984, nu. 374 ed è riferita da baronio all’anno 472.
QUI RIPOSA IN PACE IL PRETESTATO V.I. (?) EX QUESTORE, SC. P. DEPOSTO L’8 OTTOBRE, SOTTO IL CONSOLATO DI FESTO V.C.(?) SUA FIGLIA PRETEXSTATA C.F. DEPOSTA IL 16 LUGLIO SOTTO IL CONSOLATO DI DECIO V.C.(?) Festo e Decio furono consoli rispettivamente nell’anno 472 e nell’anno 486. cfr Reinesio pag. 987 n.386 e pag. 916, num. 78, pag. 964 n.287 e pag. 982, n.368, e pag. 997 n.429. Si riferiscono al VI sec. iscrizioni simili, che descrive Reinesio (pag. 961 num. 271; pag.964 n.290; pag.978 n.350; pag.980 num.363;pag.981 n.367; pag.991 n. 403; pag. 960 n. 267 e pag. 936 n.165 e pag. 937 n.168). Inoltre è stato scritto in tal modo sulla lapide sepolcrale di S. Cassio Vescovo di Narni (cfr. Boldetto pag. 353). R.Q. IN PACE PRID. KAL. IUL. PC BASSI IVC. ANN. XXVII F.
RIPOSA IN PACE (SEPOLTO) IL 30 GIUGNO PC BASSI (?) IVC (?) DI ANNI 27 F (?)
Foto 4420 pag.42/43 Anche in un villaggio Cimitino presso Nola è stata ritrovata questa iscrizione che riporta Reinesio (class. XX n.27 pag.903) e Fleetvoodus (pag. 353 n.2). D.P.S. SANC. M.D.M.N. AURELIANI EPISC. IN PACE PLUS M. (MESI) 80 SEDIT ANNOS 37 DP EST (DEPOSITUS EST) ACTAV. K. Di nuovo Reinesio (pag.979 n.355) e Fleetvoodo (pag.446 n.8) mostrano questa, che si trova nel tempio del Vescovo di Pozzuoli, come scrive Capacio nel l. II, cap. XX delle “Storie napoletane”. HIC REQUIESCIT IN PACE MISENVS EPISCOPUS….P. M. LXXVI DEPOS. III. ID. IAVAR. FL. FELICIS VC. CON. ET SE DIT ANN. …M. X. D. XVI.
QUI RIPOSA IN PACE IL VESCOVO MISENO… P.M. (?) 76 DEPOSTO L’11 GENNAIO SOTTO IL CONSOLATO DI FL. FELICE E SEDETTE PER ANNI …. M. X. D. (?) 16 Secondino e Felice furono consoli nell’anno 511. Vè inoltre un epitafio a Benevento di un uomo cristiano che mostra Giovanni de Vita, uomo famosissimo (dissert.XI antichità Beneventane pag.290) che è tale:
┼ QUI RIPOSA MAMERCIO MARCELLINO VI CURATORE CHE VISSE PER PM 30 SEPOLTO SD IL 2 NOVEMBRE SOTTO IL CONSOLATO DEI FLAVI SIMMA E BOEZIO VV(?) Simmaco e Boezio furono consoli nell’anno 522. Nel cimitero di Calepodio fu trovata questa iscrizione del Vi secolo cioè dell’anno 568, che mostra Boldetto nel libro I, cap. XIX, pag. 86.
┼ QUI RIPOSA IN PACE IMPORTUNA FIGLIA DI Q. DUILIO ARCARIO CHE VISSE PER 17 ANNI, SEPOLTA …?????……… …………………………???????……………………………………. Dunque l’iscrizione di Leone riguarda o il V o il VI secolo. Però, ritenendo Fontanini che quella sia del secolo V e non essendo causa alcuna per cui io pensi che ciò si debba rigettare, accetterò che Leone sia posto prima di martiniano nella serie dei sacerdoti di Orte. II – Tale martiniano parteciò al Sinodo Romano nell’anno 502 celebrato sotto il ponteficato di Simmaco e sottoscrive tale Sinodo con gli Atti che potreste conoscere da voi stessi dal Tomo II dei Concili, pag. 982, edit. Paris. Arduino. Non so se ci siano altri, che in taluni MSS (=Manoscritti) sodtengano che si debba leggere “Codici Ortonensi” e non “Ortensi”. Tuttavia, se tutti questi Editori di questo Sinodo (che consultarono i vecchi Codici e si consultarono tra sé per rendersi conto se fossero genuine e vere le lezioni), se tutti, dico, gli Editori degli atti di quel Sinodo, come Labbeo, Baluzio, Arduino, che con fermo consenso rifiutarono la voce “ORTONENSIS” e giudicarono che si doveva scrivere “ORTENSIS”.
Foto 4421 pag. 44/45 Ormai non faranno altro monumento restante cui sembri di potersi fidare. Infatti non ci sono atti e quasi nessun libro di cui gli Autori non abbiano usurpato alcuni vocaboli, che non si mostravano viziati e corrotti in nessun altro codice. Ma le leggi e le regole della critica vietano che ci si debba attenere a questi codici poiché combattono con quelli corretti. Certo è stata confermata dalla lezione comune e divulgata, che sommi uomini che avevano letto e codici manoscritti avevano portato e valutato . Vorrei allontanarmi, affinché agli Ortani sembri che nessuno sia venuto meno; certo è proprio degli uomini non lo studio di trovare il vero, ma quello di lottare con coloro che scrivono. Certo, se in quel tempo ad Acque Vive (che era una città sita ai piedi del Monte Soratte e nel IV secolo fu l’indegna vista dell’Autore dell’Itinerario Ierosolimitano, per il fatto che fu onorato dal nome della città), se a Blera, se a ferento (ugualmente piccola città che Strabone, l. V pag. 345 edit. Amstel. anno 1707), se a segni, se a Trevi c’erano dei Vescovi, perché potè accadere una disgrazia tanto grande all’antica città di Orte, da essere priva di un sacerdote dei riti sacri? Che se pensano che nonostante tutto si debba rimanere nella sentenza dell’avversario, presentino i codici, producano le antiche testimonianze con cui poterci persuadere, che ci si deve allontanare dagli esemplari degli atti del Sinodo di Roma. Ma poiché non presentato nulla, non c’è motivo perché sperino che noi possiamo essere allontanati dalla nostra opinione. III – In 4° luogo deve essere enumerato nella serie dei Vescovi nati e sicuri di Orte Blando, che visse sul finire del sec. VI. Infatti Papa Gregorio I° scrivendo di lui all’Esarca Romano di Ravenna (nel l.I, lettera 33, edit. Parigino……anno 1705 pag.521, tomo II) dice: <<Li giunge notizia che già da lungo tempo Blando, Vescovo della città di Orte, sia trattenuto a Ravenna da vostra Eccellenza e accade che la chiesa sia senza rettore e il popolo proceda come gregge quasi senza pastore>>. Non mi sfugge che il 3 codici vaticani – ciò che ammoniscono i Monaci Maurini, si legge “HORTONENSIS” in luogo di “HORTENSIS”. Ma che cosa centra (?) Forse che gli stessi Maurini, avendo visto tanti codici antichi e crretti e, come sono soliti, essendosi consultati fra loro diligentemente, rifiutarono la voce “HORTENENSIS” e pensarono di dover conservare del tutto la voce “HORTENSIS” ? E’ certo ridicolo rigettare a causa di 1 o di 3 codici manoscritti che essi hanno con sé, la lezione approvata dai periti dell’arte critica. Altrove sarebbe lecito dire che la città ORTANA sia stata ricordata anche da Livio, per il fatto che in moltissimi suoi codici, e anche nelle edizioni corrette, vè quella di tal fatta che curò “Iohannes Clericus” il Chierico Giovanni, la città è detta Ortana. Ma si deve assolutamente leggere Ortona, come postulano altri codici, anche quelli più corretti. E se confronterere quest’epistole di Gregorio con quelle che sono state tramandate da paolo Diacono e da Anastasio, capirete che Blando è stato un “Antistite” non “Hortonense”, ma “Hortense”. Infatti come è stato dimostrato nel 1° capitolo di questo libro sulla scorta dell’autorità degli storici Paolo e Anastasio, l’Esarca Romano, gli Amerini, gli Ortani, i Blerani e certo i popoli limitrofi, che erano sotto la sua autorità.
Manca la foto 4422 pag. 46/47
Foto 4423 pag. 48/49 ……. tuttavia dei (…???) “Lanensinum” neppure il nome fu udito prima del 10° secolo. Perché? Se nessun vecchio scrittore (si) riscorda del luogo cui non è altro nome. Ma infatti lo ricorda Solino, quell’autore che pubblicò un libretto sulla “Vita e il martirio di S.Gratiliano” a Roma nel 1757, pag. 53. Nego veramente infatti che sia venuto in mente a Solino di scrivere su “Civita Castellana”. Per Ercole, quello guardando alla regione Italica suo Polhistore (?) capisce che si può leggere qualcosa e che non si è trovato niente che in qualche modo sembri poter riguardare la città di C. Castellana o a suo nome. E così l’erudito scrittore della vita del Martire Gratiliano è stato confuso e dico questo con sua pace. Non mi sfugge che ci siano stati alcuni che pensavano che i Faleri lì prima erano stati nella città, dove ora è la città di C. Castellana. Vi sono però nel numero di questi Luca Olstenio e Giusto Fontanini, uomini di certo sommi, ma indotti in quest’opinione da lievi argomenti. Infatti confidando nella autorità di Zonara, che visse certo nel sec. XII, sostengano che prima la città di faleri fosse sita in un luogo elevato e protetto per natura. Veramente questo autore deve essere tenuto in grande considerazione e non deve essere giudicato per essere preferito a scrittori antichi e assai diligenti. Infatti niente di simile è nei libri di Livio, niente in quelli di Dionisio, di Plutarco, niente in quelli di Strabone, di Floro, di valerio Massimo, di Eutropio, niente infine in quelli degli altri storici. E infatti nessuno di loro ricorda l’antica città di Faleri, distrutta, che era situata in un alto/elevato luogo, e di quella nuova costruita in pianura, Né tuttavia deve essere ascltato Fontanini, che sostiene che Plutarco nella “Vita di Camillo” abbia detto che l’antica città di Faleri era “per natura munita/difesa”. Plutarco infatti dice certo che quella era stata “difesa”, ma non che fu “per natura difesa”. Così infatti è scritto (pag.159) :<<Muove contro i falisci e la città difesa/munita e attrezzata di tutto il necessario alla guerra….; circondò Falerii>>. Perché? Se da Livio si può capire bene che la città di Falerii, sebbene munita ad arte tuttavia si trovava in quella pianura, dove era Falaris sulla via Amerina ? Infatti non lontano dalla città di Falerii vi sono luoghi aspri e dirupati e vi è un luogo superiore alla città che ora è chiamato Fabrica. Tuttavia non c’è alcun luogo superiore e imminente su C. Castellana, né vi sono luoghi dirupati che distano circa un miglio dalla città di C. Castellana. E livio trattando “Dei Falisci” e della loro città chiamata Falerii (= Falerios) nel l.V, cap. XXVI dice :<< In un primo momento trattenendosi i nemici nelle mura, pensando che ciò fosse assai sicuro, per la devastazione dei campi eper gli incendi delle città, li spinse a uscire dalla città, ma la paura proibì (loro) DI VANZARE OLTRE. Collocano l’accampamento a circa 1000 passi (1 miglio) dalla città, confidando che quello non fosse abbastanza protetto per nessun’altra cosa, che per la difficoltà di un aspro ingresso e per le vie dirupate intorno, in parte strette, in parte ardue. Poi Camillo avendo seguito dai campi il condottiero prigioniero denunziatore mosso l’accampamento a notte fonda, alla 1° luce del giorno si mostrò in luoghi alquanto superiori. I Romani munivano Trifaria. Un altro esercito stava pronto alla battaglia. Lì spinge i nemici a impedire le opere intraprese e li mette in fuga e poi fu indotta ai Falisci tanta paura che si dirigevano in città fuggendo dal proprio accampamento, che era precedente, molti furono uccisi ……
manca foto 4424 pag. 50/51
Foto 4425 pag. 52/53 …..ta (?) bene guida Faleri da nepi e passa al centro della città, cosa che io stesso ho visto con i miei occhi. Ma è la via Amerina….>>. Veramente dimostrò che prima in un luogo elevato e munito per natura, ciò che scrive Zonaras, inizialmente era stata fondata la città di falerii; o forse quella allora era sita là, dove ora è Civita Castellana? Chi infatti è tanto ignaro di quella regione da pensare che C. Castellana era stata posta in un luogo più alto/elevato di Falerii? Infatti, coloro che si dirigono da Civita Castellana a Falerii non dcendono. Scenderebbero infatti, se C. Castellana fosse in un luogo più alto ed elevato. Io però, se Zonaras ha detto il vero, direi che la città di falerii inizialmente fu fondata in quel luogo, certo elevato, dove ora è fabrica, essendoci li antichi monumenti. Veramente appunto un tempo la città di Falerii era stata lì dove è C. Castellana, e con questo argomento proprio i Civitonici fanno in modo che quella non fosse stata distrutta prima e in suo luogo fu costruita “Falarim” (=Faleria) (prima) che sia sorto il nome cristiano e che sia stato propagato? Che ci sia stata infatti (come ha notato Holstenio nel luogo sopra indicato) un tempo la città di falerii in quel sito dove ora è C. Castellana e che dopo ….???..... fu fondata a …….miglia da quel luogo, in pianura, una nuova città, dove sono visibili ancora in questo tempo le rovine e le grandissime vestigia, che ha il nome di Falari; e che tuttavia quella sia stata l’antica città di falerii, nel tempo in cui i cristiani avevano cominciato a diffondersi in Italia, con quali testimonianze dimostreranno che potesse avere un Vescovo? Ma ci saranno forse,coloro che utilizzano le parole di Fontanini e argomentano così: Una città esisteva al tempo di Strabone ed era sita non lontana dalla via Flaminia; non potendo essere Faleris (=Faleria) è necessario che sia stata Civita Castellana. Vivo però Strabone, o poco dopo da che era morto e che i cristiani avevano cominciato a occupare l’Italia, mai nessuno ha detto che quella è stata sovvertita. E’ necessariodunque che sia sopravvissuta per qualche tempo/a lungo e che abbia potuto avere un Vescovo. Mi meraviglio che in questo tempo ci siano alcuni che usano un luogo correttissimo di Strabone, che dice così:(cfr.l. V,pag.345,tomo 1°, edizione Amstel. 1707) (In greco)
(In latino)
<<Faleria, Falisca, Nepi ….vi sono alcuni che negano che i Faleri siano Tirreni; ma direbbero che i Falisci sono gente particolare, che usano una lingua particolare. Altri congetturano che la città Falisca fosse sita sulla (via) Flaminia tra “OCRICULUM” e ROMA>>. Ma le ultime parole di questa traduzione non rispondono all’originale greco. Infatti l’espressione greca
non significa che <<I Falisci erano gente che usava una lingua peculiare>>, ma che <<I Falisci erano una popolazione che usava una propria lingua>>. Ancora le parole
perché sono tradotte <<Alii Faliscam urbem>> che per se non significano nulla? So che Ermolao Barbaro in un altro luogo per ha letto ovvero <<aequum faliscum>>.Veramente questi fecero a proprio arbitrio. Infatti non ci fu mai alcun geografo che scrivesse che è esistito un luogo che si chiamasse “Aequus Faliscus” . Infatti il verso 695 di Virgilio, l. VII dell’Eneide
Foto 4226 pag.54/55 <<Fescenninas acies, Æquosque Falisci>>. E il v. 490, l. VIII, di Silio Italico <<Hos juxta nepesina cohors, Æquique Falisci>> (I versi) dimostrano che i Falisci erano stati chiamati “Æquos” (=Equi), cioè “giusti” e che la città era chiamata “Æquum Faliscum” e non ugualmente. Voglio che comprendiate affinché vediate veramente quanto poco ci si debba fidare di quel passo di Strabone e che molto diversamente è stato letto da Cluverio. E quell’autore nel l. II dell’opera “Italia Antica” cap. III, p.538 ed. Lugd. Batav. Anno 1624, così descrive quel luogo:
. Ma Cluverio che pensò di aver corretto, non male, un paqsso greco, tradusse in latino lo stesso passo pessimamente <<Alcuni in verità negano che i Falisci siano etruschi, ma i Falisci sono un popolo particolare, che usa una lingua particolare e la loro città Falerii, che alcuni chiamano Æquuus Faliscus è sita sulla via Flamina tra Ocriculum e Roma….>>. Ma Strabone dopo che scrive <<Falerios corum urbem>> certo Cluverio pose il punto e nacque così un altro periodo, in questo modo :<<
Già veramente << >> non significa <<quam nonnulli Aequum faliscum (che alcuni Equo Falisco)>>, ma << alii autem A.F. (altri però Equo Falisco)>>. Veramente ciò richiede non solo le stesse parole, ma anche la stessa cosa. Strabone infatti ricorda 2 citazioni di geografi e storici. Dice infatti che ci sono stati alcuni, che dicevano che i Falisci non erano un popolo etrusco, ma peculiare, che utilizzava una propria lingua e che aveva solo una città, falerii, la quale fu l’opinione della maggior parte degli antichi ciò che poco dopo dimostrò. Dove stabilì che dove vi furono alcuni, che dicevano che Falerii fu la sola città dei Falisci, allora aggiunse <<οί δε etc.>> = “alii autem etc”. Certo, in queste parole e citazioni che cos’è che mostra la stessa città di Falerii sia stata anche Aequus Faliscus? Veramente, indicando Strabone che al suo tempo esisteva ancora la città di Falerii e illustrando che quella era sparita in un’esigua città e poco dopo parlando così che al suo tempo non esisteva alcuna città dal nome di Aequus Faliscus; ebbene c’è (?) la possibilità di dire che certo secondo l’opinione di quegli altri che nomina, la città “Aequum” non era la stessa “Faliscum” , ma la città dei Falerii. E che la cittadina al tempo di Strabone, cioè sotto l’impero di Tiberio sia stata Falerii, lo stesso autore Strabone (op. cit. pg.345) dopo aver ricordato le città Etrusche, allora dice :<< >> Dopo queste, ci sono molte altre cittadine Bleratos, Feretinum e Falerium. Ma dove tratta di AequusFaliscus, dice che vi furono altri che dicevano che A.F. si trovava sulla via Flaminia. Che se vi fosse stata ancora la città di A.F., egli stesso avrebbe detto che esisteva, come lo disse di Falerr e sarebbe ricorso all’autorità di alcuni altri.
Foto 4427 pag. 56/57 Ma qualcuno dirà che da Strabone è annoverato oltre alla città di Falerii, anche Faliscus tra le cittadine; perciò Faliscum non era la stessa cosa di Falerii. Sia pure così. Certo quella cittadina ci sarà stata. Veramente, in seguito si sarebbe potuto sviluppare qualcosa, che poteva essere a difesa degli abitanti di C. Castellana. Mostrino che questa cittadina Falisca non sia stata Gallese, come pensa C. Castellana. Infatti Strabone non indica affatto dove quella sia stata situata. Di nuovo dimostrino che quella cittadina Falisca sia sorta dopo l’opoca di Strabone e che talvolta abbia avuto un Vescovo. Tuttavia non potranno mai dimostrarlo. Infatti troveremo nominati nelle notizie Ecclesiastiche i Vescovi Faleritani o di Falerii, ma assolutamente nessun di Falisca. Perché? Dato che il diligentissimo Cellario nel l.II, cap. IX di Geog. Antiq. pag.276, Ed. Lips. anno 1701, tomo I riprende Strabone e mostra che egli si sbagliò in che luogo sembra che egli abbia indicato un’altra Falisca, se non Falerii, città dei Falisci? <<La città di Falerii – dice – sul Tyevere, i cui abitanti o popolo, che quell’agro ebbe, sono stati chiamati Falisci. Dunque, male (dice) Strabone nel l.V, pag.156, o (di) coloro di cui egli riporta l’opinione. Distinguiamo (i) Falerii e i Falisci come gente (cfr. Solino, nel cap. sull’Italia) e Falisca, e (i) Falerii come città. Altrimenti Livio, che menziona la città di Falerii e il popolo Falisco. Dice sulla città, nel l. V, cap. XXVII :<< Traditore di fanciulli a Camillo che OBFIDENTI (?) che Falerii si era affidata ai Romani. E nel l. X, cap. XIV :<< Da Sutri, Nepi e Falerii>>. E nel l. XXI, cap.I “dopo i nomi delle città, da cui erano annunciati i prodigi” << Anche a Falerii il cielo sembrò fondersi>>. Dionigi di Alicarnasso, l.7, pag. 16 chiamò “Falerium” sul popolo però, Livio, l. V cap. XXVI (dice) :<<Infine M. Furio Camillo marciava contro i Falisci>>. E nel l. X, cap. XLV :<<I Falisci unirono le armi agli Etruschi>> anche Zonara nel tomo II, pag. 32 li distinse ottimamente. Dice infatti = la guerra contro i Falisci. E poi : = assediando la loro città munita del nome Falerr>>. Precedentemente Cluverio aveva notato la stassa cosa (nel luogo citato): << Veramente – disse – distando i Romani circa 1 miglio da lì, c’è una città che è sempre stata chiamata Falerii, ma il popolo e i territori Falisci come sarà chiaro dlla frequentissima testimonianza di Livio>>. Dopo che però descrisse i luoghi di Livio e degli altri scrittori e Geografi, allora :<<E questi all’incirca sono i luoghi/i passi degli autori, dai quali sono ricordate le parore di Falerii e Falisci, che abbiano tutti scritti fin qui, per cui più chiaramente appare l’errore tanto dei vecchi geografi, di Strabone e di Solino e di Stefano, quanto di coloro che in questo secolo seguono la loro opinione, che perciò hanno fatto due diverse città>>. Ma correggendo quell’autore gli altri allora obbliga se stesso a confondere Faleri con Falisca e con Equo Falisco, come città erroneamente collocate e se costituivano un’unica città, posta sella Flaminia. Chi infatti ci fu degli antichi, che diceva che la città di Falerii era sita sulla via Flaminia? Tuttavia, non essendoci nessuno e non risultando dalla tabula Peutingeriana che la città di Faleii fosse sita sulla via Amerina, è certo, da concludere, che Strabone abbia errato, non solo per il fatto che sembra aver detto che Falisca e Equo Falisco erano città, ma anche perché stabilì che Equo Falisco era sulla via Flaminia;
Foto 4428 pag. 58/59 ed errò anche Cluverio, che pensava che Falerii fosse sulla stassa via. Torno al Fontatini. Nego che la città di Falerii fosse sita – secondo Strabone – sulla via Flaminia. Strabone infatti scrive che Equo Falisco o se piace anche Falisco, città che distingue da Falerii, fosse sita presso la via Flaminia o sulla Flaminia. Falisco tuttavia, se mai ce ne fu uno, non concordo che sia stato lo stesso che Faleri(m); egualmente non concordo affatto nel dire che la città di Falari fosse Faleri. Vedo certo che sia stata/fu distrutta la città di Faleri e che fu fondata al suo posto Falari [né Strabone, né nessun’altro ha stabilito che], eccezion fatta per il solo Zonara, storico certo recente. Ma Zonara non disse che la città di Faleri fu sulla via Flaminia. Sebbene credo che nessuno, che non comprenda, debba fidarsi molto poco (=debba avere poca fiducia) di Zonara, scrittore del secolo XII. E certo Strabone, che visse al tempo di Tiberio, attesta che Falerii era al suo tempo una piccola città. Dai ruderi, però, di Falari si comprende che quella fu un tempo una grandissima città. Chi mai disse che veramente Falari si accrebbe dopo il tempo di Strabone? E’ necessario che Falari, dunque, prima del tempo di Strabone sia stata una grande città e lo stesso Falerii. Il fatto può essere illustrato grazie all’autorità di Eutropio, scrittore del sec. IV. Egli nel libro II, pag. 519 di “Hist. Rom. Epitome (Ed. nell’anno 1625) disse :<< Q. Lutazio e A. Manlio, eletti consoli, fecero guerra contro i Falisci , che un tempo fu un’opulenta città d’Italia>>. Con queste parole egli mostra chiaramente che la città di Falerii un tempo (fu) opulenta, dai tempi di Strabone, ovvero dal 7 sec. della chiesa, quando
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