BIOGRAFIA
MARINA
Marina
Monego (Venezia 1961), d’origini con antenati scesi col
Piave dalla val Zoldana, si è laureata in Lettere all’Università
di Ca’Foscari a Venezia con una tesi sul viaggiare settecentesco.
Dopo qualche breve avventura nel mondo della scuola ha messo su
famiglia e ha deciso di dedicarsi integralmente al marito e ai
due figli, nonché al beneamato gatto Ulisse.
Da molto tempo risiede in Terraferma, ma a Venezia è rimasta
affezionata e vi ritorna sempre volentieri.
Ama la montagna e i boschi, ma non disdegna il riposo sui lidi
marini, possibilmente con qualche bel libro.
Non ha mai dimenticato il mondo della letteratura, né ha
mai perso il vizio di scrivere. Da qualche anno affida i suoi
testi al web.
Ha fatto parte della gloriosa redazione di lankelot.com e suoi
articoli sono apparsi anche su piazzaliberazione.it;
anpimagenta.it;
giovaniemissione.it; homoweb.it., transfinito.net.
Durante il periodo universitario ha pubblicato sulla rivista “Annali
Veneti”, in collaborazione con Lauretta Novello, una ricerca
demografica su un archivio parrocchiale della terraferma veneziana.
|
BIOGRAFIA
ENRICO
Pur
non amando gli effetti della globalizzazione Enrico Campofreda
(Roma, 1956)è un globalizzato ante litteram come figlio,
nipote, pronipote di migranti.
Si forma in quella particolare “Accademia” che è
stata la periferia romana dove ha giocato, studiato, amato,
lavorato sin da ragazzo. Vive nelle strade i moti politici degli
anni Settanta con tutti i soli, le nubi e gli uragani dell’epoca.
Si laurea in Lettere Moderne presso l’Università
“La Sapienza” con una tesi sul movimento degli operai
edili in età giolittiana.
La passione per lo sport, che lo fa ancora arrancare in bici,
lo ha condotto a lavorare per il Comitato Olimpico Italiano.
Ha narrato da Roma e Milano - dove è vissuto - storie
di sport e di sportivi seguendo numerose specialità in
Italia e all’estero per quotidiani (Paese Sera, Il Messaggero,
Corriere della Sera, Il Giornale, La Gazzetta dello Sport, Il
Corriere dello Sport, Il Manifesto) e riviste specializzate.
Collabora con vari siti web scrivendo di storia, cinema, letteratura,
politica. Pensieri e commenti che non si sono smarriti sono
archiviati in: bellaciao.org, pasolini.net, mercantedivenezia.org,
reti-invisibili.net, socialpress.it, triburibelli.org, anpimagenta.it
Ha riunito i suoi versi nelle raccolte “Vivere col cuore”,
“Socialità”, “Souvenir in carne e pietra”,
“Rugiada sulle lancette”.
Ha pubblicato con Marina Monego la selezione di racconti “L’urlo
e il sorriso”.
|
L'URLO
E IL SORRISO
C’è una
generazione che ha subito più di altre lo straniamento
della tecnologia del secolo breve col passaggio dal “piccolo
mondo antico” rurale e dalla città-paese alla caotica
frenesia della metropoli tentacolare. E’ quella nata dopo
il buco nero della seconda guerra mondiale che aveva ridotto
l’Europa ad un cumulo di macerie.
Da quell’eredità tutti uscivano addolorati, impoveriti,
disorientati, ma con l’enorme voglia d’un rilancio
vitale. Di lì a poco l’esistenza di ciascuno fu
segnata dal boom economico e dalla cultura del consumo.
Lungo la sottile linea che separa il periodo della povertà
dalla diffusione del benessere viaggia lo sguardo degli autori
in un cammino nella memoria della propria infanzia e adolescenza.
Come nella celebre via Gluck essi hanno visto - e lo narrano
- il cemento prendere il posto dei prati, i frigoriferi entrare
nelle case contadine, le strade urbane trasformarsi in parcheggi
senza soluzione di continuità, gli utensili di plastica
soppiantare l’alluminio. Il ricordo dell’età
dell’innocenza si compenetra e mescola con quello d’un
mondo in febbrile evoluzione.
Monego è vissuta a Venezia e nella Mestre popolare a
due passi da Porto Marghera, città che come molte cresceva
senza piano regolatore fagocitando l’ambiente agricolo
e le sue antiche tradizioni.
Campofreda è cresciuto nelle periferie romane ancora
zeppe di baracche, marrane, quartieri dormitorio dove operai,
impiegati e chi nella vita si arrangiava s’incrociavano
nei condomini anodini e interclassisti della “civiltà
della palazzina”. Entrambi hanno conosciuto, al nord e
al sud, la campagna come luogo di ritualità ataviche.
Quell’umile mondo degli ultimi nel giro di pochi anni
è sparito per sempre. I fratelli più giovani e
i figli non hanno più visto i pascoli alle porte della
città, i fagotti per il cibo, le radio a transistor e
gli animali nelle aie.
La società è stata sommersa da una tecnologia
capace di facilitare la vita ma anche di snaturarla, smarrendo
il lirismo dei piccoli gesti e la capacità individuale
di sognare, sotto i colpi di un’omologazione collettiva.
Attraverso il ricordo gli autori lanciano un grido d’allarme:
proprio il benessere e la tecnocrazia possono rappresentare
l’irreparabile distacco dalla genuinità naturale
e condurre sin dalla più tenera età a una perdita
della fantasia e del sentimento.
|
|
|
|
|
|
|
|