Lo Specchio

E' il film della memoria. E' un film tutto interiore in cui la figura centrale è la donna. La donna madre e moglie.

Nel film gli attori sono pochi. La moglie e la madre giovane è la stessa protagonista. L'autore da piccolo e il figlio dell'autore è lo stesso attore. Anche la nonna è la stessa.

La storia. Qui è lo stesso Tarkovsky che, malato, ritorna con la memoria alla casa dei nonni e la rivede con gli occhi di bambino. Ecco allora questa atmosfera sospesa dove il sogno si confonde con la luce trasfigurata della memoria. E' un piccolo Eden la vita del bambino Tarkovsky. La madre bellissima e triste che aspetta il marito partito per la guerra, la casa immersa nel bosco come una fiaba.

L'autore adulto, malato, si sente in colpa. Rivendica sul capezzale mentre con la mano lascia volar via un uccellino il fatto che nella sua vita ha solo cercato di trovare un po' di felicità. Ma la colpa è sempre presente (come un ufficiale uncinato direbbe De Gregori) e si materializza nelle parole delle moglie quando dice: "Sì, la felicità, ma adesso cosa sarà di tua madre ?"

La madre è tutto nella vita del bambino Tarkovsky. La vediamo idealizzata, dolcissima e bellissima e dotata di una sensualità interiore come solo un bambino può concepire.

La moglie invece, è spietata. Cinica, fredda con il marito. L'autore insiste col dire che si somigliano lei e sua madre ( è la stessa attrice !) ma lei, sprezzantemente, nega.

Le immagini belle del film che rimangono dentro sono tante. L'atmosfera dei sogni del bambino, le lacrime della madre in tipografia, i filmati della guerra. Ma credo che ciò che colpisca di più è la bellissima scena finale quando, il marito tornato dalla guerra chiede alla moglie se il prossimo figlio sarà un maschio o una femmina. L'esitare di lei, il suo sorriso, il crescendo della musica mentre si vede la nonna che passeggia nei boschi con i due bambini, e infine la mancata risposta, donano una serie di sensazioni molto forti.

Come per Stalker, anche qui ho raccolto dei momenti tratti dal film. Soprattutto mi è parso doveroso registrare le bellissime poesie del padre di Tarkovsky lette dall'eccezionale Romolo Valli.

Intanto cominciamo dalla sigla ( la qualità non è eccezionale anche per via del suono originario che non era proprio perfetto). Ascoltatela fino alla fine...

sigla.zip (questo file pesa 785 kb)

Poi le poesie...

Dei nostri incontri, ogni istante festeggiavamo come un'epifania, soli, nell'universo tutto. Più ardita e lieve di un battito d'ala, per le scale, correvi, come un capogiro, precedendomi tra cortine di umido lillà nel tuo regno dall'altra parte dello specchio. Quando la notte venne, ebbi da te la grazia, si spalancarono le porte dell'altare e le tenebre illuminò chinandosi lenta la tua nudità e io destandomi :"sii benedetta" dissi, pur sapendo che oltraggio era la mia benedizione. Tu dormivi e a sfiorarti le palpebre col suo violetto a te tendeva dal tavolo il lillà, e le tue palpebre, sfiorate di violetto, erano quiete e calda la tua mano e nel cristallo pulsavano i fiumi, fumavan le montagne, luceva il mare e tu tenevi in mano la sfera di cristallo e tu, in trono, dormivi e, Dio, tu eri mia. Poi ti destasti e, trasfigurando il quotidiano vocabolario umano, a piena voce pronunciasti tu e la parola svelò il vero suo significato e zar divenne. Nel mondo tutto fu trasfigurato anche le cose semplici: il catino, la brocca, l'acqua che sta tra noi come sentinella inerte e dura. Chissà dove fummo spinti, dinnanzi a noi si stesero come miraggi città nate da un prodigio, la menta sola si stendeva sotto i nostri piedi e gli uccelli c'eran compagni di viaggio e i pesci balzavano dal fiume e il cielo si spalancava ai nostri occhi quando il destino seguiva i nostri passi come un pazzo col rasoio in mano.

(691 Kb)

Ieri ti ho attesa fin dal mattino, ma loro sapevano che non saresti venuta. Ricordi che bella giornata era ? Una festa ed io uscivo senza il cappotto. Oggi sei venuta e ci hanno preparato una giornata particolarmente grigia: la pioggia, l'ora così tarda, le gocce che scorrono per i rami freddi. La parola non serve a placarle ne le asciuga il fazzoletto.

( 277 kb)

Ai presentimenti non credo e i presagi non temo. Non fuggo la calunnia e il veleno. Non esiste la morte, immortali siam tutti e tutto è immortale. Non si deve temere la morte nè a diciassette nè a settant'anni. Esistono solo realtà e luce, le tenebre e la morte non esistono. Siam tutti ormai del mare sulla riva e io son tra quelli che traggono le reti mentre l'immortalità passa di sghembo. Se nella casa vivrete la casa non crollerà. Un secolo qualsiasi richiamerò penetrandovi e una casa vi costruirò, ecco perchè con me i vostri gigli e le donne vostre siederanno alla stessa tavola, la stessa per l'avo e pei nipoti. Si compie ora il futuro e se io una mano levo, i cinque raggi suoi rimarranno a voi. Del passato ogni giorno come una fortezza io, con le spalle, ho retto. Da agrimensore ho misurato il tempo e attraversato io l'ho come gli urali. Il mio secolo l'ho scelto a mia misura. Andavamo a sud sostenendo la polvere delle steppe, il fumo delle erbacce. Scherzavano i grilli sfiorando i ferri dei cavalli con le loro antenne come monaci profeti di sventura ma io il mio destino fissato avevo alla mia sella e ancora adesso nei tempi futuri, come un fanciullo sulle staffe, io mi sollevo, la mia immortalità mi basta e da secolo in secolo scorre il sangue mio. Per un angolo sicuro di tepore darei la vita di mia volontà qualora la sua cruna alata non mi svolgesse più come un filo per le strade del mondo.

(883 Kb)

L'uomo ha un corpo solo, solo come la solitudine. L'anima è stanca di questo involucro senza connessure, fatto d'orecchi ed occhi, quattro soldi di grandezza e di pelle, cicatrice su cicatrice, tirata sulle ossa. Dalla cornea vola dunque via nel pozzo spalancato del cielo, sulla ruota di ghiaccio, sulle ali di un uccello e sente dalle inferriate dalla sua vivente prigione il sussurrar dei boschi e dei campi, il rombo dei sette mari. Senza corpo l'anima si vergogna come un corpo svestito, nè pensiero nè azione nè progetti nè scritti. Un enigma senza soluzione. Chi ritorna sui suoi passi dopo aver ballato sul palco dove nessuno balla ? E sono io un'anima diversa in una nuova veste che arde passando dal timore alla speranza come fiamma che si alimenta nell'alcol priva d'ombra che vaghi per la terra lasciando a suo ricordo sul tavolo un tralcio di lillà. Corri bambino, non piangere sulla misera Euridice. Con la tua piccola asta, per le vie del mondo, sospingi ancora il tuo cerchio di rame anche se udibile solo per un piccolo quarto. In risposta ad ogni tuo passo, allegra ed asciutta, la terra ti mormora negli orecchi.

(662 kb)

E infine questo passo, che in qualche modo spiega il senso del film.

Con straordinaria costanza mi capita di fare sempre lo stesso sogno. E' come se volesse costringermi a tornare inesorabilmente in quei luoghi a me così dolorosamente cari dove un tempo c'era la casa di mio nonno nella quale vidi la luce più di quarant'anni fa proprio sulla tavola da pranzo ricoperta di una bianca tovaglia inamidata e, ogni volta che cerco di entrare nella casa, qualcosa me lo impedisce. Faccio spesso questo sogno, ci sono abituato e, non appena vedo le pareti di legno scurite dal tempo e la porta socchiusa che si apre nel buio dell'ingresso, so già, pure nel sonno, che si tratta solo di un sogno e la mia incontenibile gioia si spegne nell'attesa del risveglio. Talvolta succede qualcosa per cui smetto di sognare la casa e i pini della mia infanzia, allora mi assale la nostalgia ed io incomincio ad aspettare con ansia il ritorno del sogno nel quale mi vedrò di nuovo bambino e tornerò ad essere felice, felice perchè tutto è davanti a me e tutto è ancora possibile.

(509 kb)