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LA TERRA E LARIA

 

 

MIRKO

  

Anche stasera, come ogni sera, sedeva coi gomiti appoggiati sul legno, la testa fra le mani e lo sguardo fisso sulla bottiglia di Vodka vuota per tre quarti. Anche stasera aveva ceduto alle lusinghe dell’alcool. Ogni mattina, in preda a mal di testa epici ma rincuorato dalla luce del giorno, mentre premeva sull’acceleratore per riuscire a raggiungere l’ufficio in orario, prometteva a se stesso che non avrebbe toccato mai più una sola goccia di vodka. Ogni sera, quando la notte scendeva e con lei il silenzio, rompeva la promessa.

Si guardò intorno alla ricerca del bicchiere che giaceva in frantumi sul tappeto amaranto. Bestemmiò quando lo scorse sul pavimento. Non ricordava se gli fosse sfuggito di mano o se, in un impeto di rabbia, lo avesse scagliato al suolo. Tentò di raccoglierlo. Forse avrebbe potuto ripararlo. Imprecò ritraendo la mano nell’attimo in cui il vetro aprì un minuscolo squarcio nel suo indice destro.

“Al diavolo!” esclamò succhiandosi il dito sul quale era sbocciata una piccola chiazza rossa.  Prese poi la bottiglia per il collo e se la portò alle labbra. Se sentiva ancora il dolore significava che era fin troppo sobrio!

 Fu in quell’istante che si accorse che l’uomo di fronte a lui lo stava fissando con occhi colmi di pietà. Abbassò lo sguardo.

            “Cos’ha da guardare quello?” domandò a se stesso arrossendo involontariamente.

            “Ehi, non hai mai visto uno che beve?” gridò evitando accuratamente di alzare gli occhi.

            L’uomo non rispose.

Tornò allora ad alzare lo sguardo. Due occhi cerulei come le acque di un torrente alpino lo stavano ancora osservando. C’era qualcosa di familiare in quel volto. Questa volta sostenne lo sguardo. L’uomo di fronte a lui doveva aver passato da poco la cinquantina. Di quella che un tempo avrebbe potuto essere una folta chioma, non restavano che radi ciuffi di capelli grigi. Sul viso segnato da profonde rughe era ancora possibile intravedere qualche segno del fascino che doveva averlo caratterizzato in gioventù. Indossava un maglione di lana celeste a coste, dal collo alto e stretto. Sembrava un uomo solo, proprio come era lui. Non scorse cupidigia né cattiveria nei suoi occhi. Solo tristezza e solitudine. D’improvviso provò simpatia nei suoi confronti. Gli sorrise e quello sorrise a sua volta.

“Sono qui per ascoltarti!” lesse nei suoi occhi.

Mirko non aspettava altro. Aveva bisogno di confidarsi. Solo in quel modo, forse, avrebbe potuto liberarsi di un fardello che lo opprimeva da anni.

Respirò a fondo, si schiarì la voce poi, come ogni sera, iniziò a raccontare a quell’uomo la storia di Azzurra, l’unico vero amore della sua vita

              

AZZURRA

  

        Era gennaio, lo ricordo bene. Faceva un freddo terribile. Rocky, molto più furbo di me, non faceva che poltrire tutto il giorno sul termosifone. Abbandonava quella posizione solo per mangiare o per fare i propri bisogni. Mai come in quei giorni avevo invidiato il mio gatto! L’inverno aveva stretto questa parte di mondo in una morsa glaciale e pareva non avere alcuna intenzione di mollare la presa.

Quella sera ero rientrato piuttosto tardi dal lavoro. Era stata una giornata catastrofica. Durante la mattinata, la mia ex moglie mi aveva telefonato in ufficio. Aveva urlato per un quarto d’ora e, per l’ennesima volta, mi aveva congedato giurandomi che avrebbe assoldato un killer per uccidermi. La cosa che più mi infastidiva non era il suo odio nei miei confronti, a questo ormai avevo fatto il callo, ma la consapevolezza che quel killer sarebbe stato pagato coi miei soldi. Mio figlio aveva telefonato dieci minuti dopo chiedendomi per quale motivo mi divertissi tanto a far soffrire sua madre in quel modo. Mi aveva poi fatto una promessa: dopo aver preso la patente, per prima cosa, mi avrebbe investito. Tutto sua madre! Il lato comico della situazione era che anche la sua auto sarebbe stata pagata coi miei soldi.

A pranzo le cose non erano migliorate. Avevo avuto la brillante idea di fare una sorpresa alla mia compagna e, dopo esser uscito in anticipo dall’ufficio, l’avevo raggiunta nella banca in cui lavorava. Contavo di portarla fuori a pranzo e, magari, di trascorrere un’oretta con lei nella stanza di un albergo. Avevo fatto i conti senza l’oste.

“Sonia è in riunione col direttore!” mi aveva detto una sua collega quando avevo chiesto di lei. Il direttore, Claudio Rubbi, era un mio caro amico così avevo chiesto alla ragazza di poterli raggiungere nel suo ufficio. La poveretta, ignara di quanto stesse realmente accadendo, aveva acconsentito.

“Bene!” avevo pensato. “Farò una sorpresa ad entrambi!”

La sorpresa, invece, me l’avevano fatta loro. Nell’attimo in cui avevo aperto la porta dell’ufficio del direttore, mi era caduto il mondo addosso. Claudio aveva avuto la mia stessa idea, però era stato più fortunato di me. Sonia stava facendo l’amore con lui!

Ero uscito sbattendo la porta ed ignorando la voce della mia compagna che continuava a chiamarmi. Avevo preso la macchina ed avevo vagato per due ore senza una meta, beccandomi pure una multa per eccesso di velocità. Rientrato in ufficio, infreddolito ed avvilito, avevo ricevuto una seconda telefonata da parte della mia ex moglie. L’avevo liquidata dicendole che avevo un impegno urgente, poi avevo sfogato tutta la mia rabbia sulla povera segretaria colpevole solo di avermela passata. Quella era scoppiata in lacrime e, pur odiando le crisi isteriche delle donne e non essendo nelle condizioni ideali per consolare un’altra persona, ero rimasto al suo fianco fino a quando si era calmata. A metà pomeriggio aveva iniziato a nevicare. Ciliegina sulla torta, quando infine avevo abbandonato l’ufficio ed avevo raggiunto la mia auto nel parcheggio, mi ero accorto di avere la gomma anteriore destra a terra ed ero stato costretto a cambiarla sotto i gelidi fiocchi.

Arrivato a casa, avevo immediatamente fatto una doccia bollente. Avevo poi indossato un paio di pantaloni neri, un maglione di lana celeste e, dopo essermi accidentalmente rovesciato addosso una quantità industriale di quel profumo che tanto mi piaceva e di cui non ricordo più il nome, mi ero rimirato nello specchio del comò. Non ero più un ragazzino, ma potevo affermare con certezza di essere ancora un uomo attraente. Avevo intenzione di uscire. Non volevo rimanere in casa a riflettere sulle mie disgrazie. Avevo preso il cappotto nero, l’avevo indossato e, dopo aver accarezzato Rocky il quale aveva ricambiato le mie attenzioni facendo le fusa, avevo preso le chiavi della macchina. Il telefono aveva iniziato a squillare proprio nell’attimo in cui avevo aperto la porta.

“Pronto?”

“Ciao, Mirko. Sono Sonia.” Aveva esclamato la mia compagna con voce apparentemente rotta dall’emozione.

“Sto uscendo.” Le avevo risposto freddo.

“Dobbiamo parlare, Mirko.”

“Di che cosa? Di quanto è stato divertente oggi con Claudio?”

“Ti prego, lascia che ti spieghi!” aveva implorato Sonia.

“Guarda, non c’è nulla da spiegare. Sei una gran troia e fra noi è finita. Salutami Claudio!”

Avevo riattaccato senza tante cerimonie ed ero poi tornato in camera mia. Mi ero sfilato il cappotto. Non avevo più voglia di uscire. Mi ero seduto di fronte allo specchio del comò e, rimirando la mia immagine triste ed avvilita, ero scoppiato in lacrime.

“Un uomo che piange?” aveva improvvisamente domandato una voce sconosciuta.

Sbigottito mi ero guardato intorno, ma nella stanza c’eravamo solo Rocky ed io e dubitavo fortemente che il mio gatto avesse improvvisamente imparato a parlare.

“Puoi aiutarmi, per piacere?” domandò la voce facendomi trasalire. Una piccola mano dalle dita affusolate uscì dallo specchio divenuto improvvisamente luminoso.

Anch’io stenterei a crederlo se me lo raccontassero, ma fu proprio così.

“Prendimi per mano! Non riesco a raggiungerti!” esclamò la voce. Non riuscivo a capire se si trattasse di un uomo, di una donna o di uno scherzo della mia mente. Non so perché, ma assecondai quella fantasia. La mano era calda ed in tutto identica a quella di un bambino, eccezion fatta per le lunghe e curate unghie.

“Tira!” esclamò la voce. Tirai. Qualunque cosa ci fosse al di là dello specchio, dopo numerosi sforzi, uscì e mi cadde pesantemente addosso facendomi perdere l’equilibrio. Sbattei la testa contro lo spigolo del comodino e finii privo di sensi sul tappeto amaranto.

 

 

k k k

 

 

Quando ripresi i sensi, pensai di essere ancora nel mondo dei sogni. Una strana creatura si stava prendendo cura di me. Aveva lunghissime orecchie appuntite e fluenti capelli color miele. Il viso era piuttosto spigoloso, gli zigomi pronunciati e la pelle dello stesso colore della luna. Aveva un piccolo naso all’insù e carnose labbra corallo. Due grandi ed obliqui occhi verdi venati d’ambra mi stavano osservando preoccupati. Rocky sedeva al suo fianco e faceva le fusa sonoramente.

“Chi sei?” domandai tentando di sfuggire al suo tocco delicato.

“Atahlazala Amin’Miellenor” rispose la creatura emettendo suoni che mai avevo udito in tutta la mia vita. Ricordavano vagamente gli scricchiolii degli alberi ed il frusciare delle foglie.

“Cosa significa il tuo nome?” chiesi sperando di poter evitare di doverla chiamare in quel modo assurdo.

La creatura si guardò intorno, poi sorrise ed indicò il mio maglione.

“Come chiami questo colore?” domandò. Più la guardavo, più mi rendevo conto di quanto fosse bella. Pensai che un solo sguardo di quella creatura avrebbe potuto tramutare le pietre in farfalle.

“Azzurro.” Risposi.

“Il mio nome significa questo.”

“Posso chiamarti Azzurra?” domandai alzandomi lentamente. Non mi sembrava il caso di rimanere disteso sul pavimento mentre chiacchieravo con lei, anche se devo ammettere che, a causa della botta, avevo l’impressione che uno sciame d’api stesse ronzando nella mia testa. “Penso che non riuscirei mai a pronunciare il tuo vero nome!”

Azzurra fece spallucce.

“Va bene. E tu come ti chiami?”

“Mirko. Mirko Minardi.”

“Posso chiamarti Miri?“ domandò la creatura.

“Anche tu non riesci a pronunciare il mio nome?”

“No, è solo che Miri mi sembra più adeguato! Nella mia lingua significa <buffo>.”

Non so perché, ma scoppiammo a ridere entrambi. Il suo sorriso era talmente bello da togliere il fiato.

A questo punto mi resi conto che non si trattava di un sogno. Azzurra era reale.

“Ho bisogno di alcune spiegazioni, ma prima sarebbe meglio che andassimo a sederci in salotto.”

Solo in quell’istante mi accorsi che stava tremando. Indossava un sottile abito di seta verde pistacchio che ricordava vagamente la sottoveste di Kim Basinger nel film “9 settimane e ½”, molto sexy ma poco indicato nel mese di gennaio. Doveva essere congelata! Mi alzai, aprii l’armadio ed estrassi un maglione verde oliva.

“Indossa questo!” le dissi gentilmente.

Azzurra osservò con sguardo interrogativo l’indumento. Pareva non avere mai visto un maglione. Le spiegai come indossarlo e lei, piuttosto divertita, seguì alla lettera le mie istruzioni. Il maglione era di due o tre taglie più grandi e la faceva sembrare una marionetta. Non risi per non metterla in imbarazzo.

 “Restiamo qui!” Esclamò l’elfa allontanando una ciocca di capelli dal volto. “Mi piace questo luogo!”

Assecondai il suo desiderio e sedetti di fronte a lei sul tappeto amaranto. Rocky si acciambellò contro la coscia dell’elfa e si addormentò.

“Gli piaci!” esclamai notando l’insolito atteggiamento del mio certosino.

 Azzurra lo accarezzò.

“Anche tu piaci a lui!” rispose. “Ti ritiene alla sua altezza, anche se sopporta a fatica il tuo profumo.”

“Stai scherzando?” domandai inarcando un sopracciglio.

“Perché dovrei?” Di nuovo accarezzò Rocky. “Mentre attendevamo che ti riprendessi, mi ha raccontato molte cose sul tuo conto.”

Scossi la testa.

“Nessuno è in grado di comunicare con un gatto!”

“Gli elfi lo fanno! Anche voi, un tempo, sapevate farlo. Il guaio è che avete disimparato.”

Notai un’insolita saggezza negli occhi di quella bellissima creatura.

“Perché sei entrata nella mia camera attraverso uno specchio?” Nell’attimo stesso in cui ebbi formulato la domanda, mi sentii terribilmente stupido. A cosa erano servite le sedute dallo psicologo se ora mi ritrovavo a parlare con un elfo giunto in camera mia attraverso lo specchio del comò? Lo stesso Freud si sarebbe tolto la vita di fronte ad una simile rivelazione!

“Stavo meditando accanto al fiume quando la mia dea mi ha dato un segno: ho avuto l’impressione di udire un flebile gemito seguito da un secondo, da un terzo e così via. Ho camminato per diverso tempo seguendo quel suono e sono giunta in una caverna all’interno della quale, imprigionato in una placida polla d’acqua, ho scorto il tuo volto in lacrime. Era un viso dolce quello che ho visto, dolce e bello come un tramonto.” Eccitata, si alzò in piedi, le guance arrossate.

“Gli uomini che teniamo lontani dalle nostre terre sono molto diversi. Sono selvaggi, incivili e crudeli. I loro sguardi sono duri come la roccia, i loro cuori non sono che sterili palle di fango. Non hanno alcun rispetto per la vita. Distruggono qualsiasi cosa sul loro cammino, animale o pianta che sia. Solo grazie alla magia riusciamo a contenere la loro furia devastatrice. La mia dea voleva che ti vedessi. Tu, Miri, non sei come loro.” Si soffermò un istante a studiarmi. Sentii i suoi occhi penetrare nella mia anima e rivoltarla come un calzino.

“Io sono buffo!” risposi distogliendo lo sguardo imbarazzato.

“Sei molto di più.” Si piegò sulle ginocchia e sfiorò i lineamenti del mio viso con l’indice. “Nei tuoi occhi si nascondono la profondità del cielo e la purezza dei fiumi.”

Arrossii. Sentii che stavo per perdere il controllo.

Azzurra parve rendersene conto e tornò a sedersi accanto a Rocky.

  

La serietà del suo sguardo mi impedì di scoppiare a ridere. Dei che ci indicano il cammino? Acqua stregata? Ero completamente ateo e non credevo a nulla che non fosse scientificamente provato. Che io sapessi, dei, elfi e magia erano reali quanto il mostro di Loch Ness. Lei, però, pareva credere fermamente in queste cose, così rispettai le sue idee pur trovandole assurde.

“Dopo averti visto, non ho saputo resistere. Ho aperto un portale e sono entrata nel tuo mondo.”

“Perché?” sussurrai.

“Perché... perché... non lo so.” Rispose abbassando il capo ed arrossendo. “Credi nell’amore a prima vista?”

Mi colse alla sprovvista. Dissi la prima cosa che mi passò per la mente.

“No. L’unica certezza che ho è che le donne sono delle grandissime...”

Azzurra mi interruppe.

“Io non sono una donna. Io sono un’elfa. Non scordarlo.”

Si alzò, lo sguardo triste ed offeso, e raggiunse lo specchio.

“Te ne vai?” domandai desiderando ardentemente che rimanesse. Mi alzai in piedi. La testa aveva finalmente smesso di ronzarmi. La raggiunsi e la fermai.

“Resta con me.” Implorai. “Stasera mi sento terribilmente solo.”

Fu proprio a causa della mia solitudine e della disperazione che quella sera finsi di non vedere che non era una donna. Desideravo che fosse reale, così sin dall’inizio mi costrinsi ad ignorare le sue vere origini. Restò con me tutta la notte ed ascoltò paziente la storia della mia vita. Il matrimonio riparatore con Anna, i miei continui tradimenti, il divorzio, la mia esperienza fallimentare come padre, la burrascosa relazione con Sonia. Quando ebbi terminato di parlare, mi sentii leggero come l’aria. Quando ebbi finito di parlare, mi resi conto di essermi innamorato veramente per la prima volta in tutta la mia vita.

 

LA TERRA

 

Azzurra ed io vivemmo felicemente insieme per ventisei giorni e sedici ore. Fu il periodo più bello di tutta la mia vita.

Una sera, rientrando dall'ufficio, la trovai in lacrime sul tappeto amaranto. Rocky era acciambellato al suo fianco. L’intero mio mondo vacillò di fronte ai suoi splendidi occhi carichi di stille salate. Accecato dalla paura e dalla frustrazione, le corsi incontro:

“Cos’hai fatto, amore mio?” le domandai prendendola fra le braccia.

Continuò a singhiozzare. La cullai e le accarezzai i capelli fino a quando la sentii rilassarsi.

“Cosa ti è successo, piccola?” chiesi.

“La magia mi sta abbandonando!” rispose, lo sguardo perso nel vuoto.

La mia mente si rifiutava di credere che la donna (elfa!) che amavo fosse capace di lanciare incantesimi. Il mio cuore innamorato, però, mandò al diavolo il cervello ed assecondò le sue fantasie.

“Ne sei sicura?” domandai accarezzandole la guancia umida di pianto.

“Da quando sono entrata nel tuo mondo, non posso più volare!” Esclamò avvicinando le ginocchia al mento e cingendole con le braccia. “Ed oggi non sono riuscita ad attraversare lo specchio!”

“Forse eri semplicemente stanca!” dissi tentando di consolarla. La mia ignoranza sull’argomento era vasta quanto l’universo stesso.

Azzurra scosse la testa.

“Miri, non è così semplice. Da quando sono nel tuo mondo ho scoperto una cosa orribile: gli uomini sono nati dalla terra, ma gli dei soffiarono aria dentro di loro per renderli vivi! Come è possibile che ora essi rinneghino quell’aria? Hanno scelto di essere terra e nulla più... La magia sta scomparendo dal tuo mondo, amore mio! Riesco appena a percepirla. E sai qual è la causa? La mancanza di fede, la stessa che ha fatto sì che si estinguessero le creature fatate e che un giorno ucciderà i vostri dei. Vi ritroverete completamente soli in questo mondo, amore mio. Anche tu sarai solo perché io farò la stessa fine.”

Se non l’avessi amata più della mia stessa vita, avrei riso delle sue credenze.

“Non lo dire neppure per scherzo! Fino a quando anche una sola persona crederà nella magia, essa esisterà!” La paura di perderla parlò al mio posto. “Sarò io quella persona!”

“Ho paura, Miri! Ho paura perché comprendo che non posso vivere nel tuo mondo senza che la tua realtà mi uccida. Ne sono sicura, alla fine accadrà!”

“Non lo permetterò, Azzurra, te lo prometto!”

Fare promesse che non potevo mantenere sembrava essere divenuta la mia maledizione personale. Azzurra mi amava e si fidò completamente delle mie parole. Ciononostante, la piccola cadde in depressione e smise completamente di mangiare. 

Una settimana dopo, dovetti prendere una decisione: o vederla morire od entrare con lei nel suo mondo attraverso lo specchio.

  

L’ARIA

 

 Decisi di attraversare lo specchio perché l’amavo.

Non sapevo cosa avrei trovato dall’altra parte. Azzurra mi aveva parlato di una terra fantastica coperta di foreste di smeraldo e fiumi di diamante, un luogo dove il verde e l’azzurro dominavano sovrani su tutti gli altri colori. Mi aveva raccontato di come gli elfi fossero divenuti i custodi di quel regno meraviglioso e di come gli unicorni, i primi abitanti di quelle terre, avessero accettato la loro compagnia. Mi aveva narrato di come il suo popolo avesse imparato a manipolare la magia, utilizzandola principalmente per mantenere la pace e l’armonia.

 Non credevo ad una sola parola, ma la seguii perché l’amavo. La presi per mano e ci addentrammo nello specchio. Nell’attimo in cui lo attraversammo, chiusi gli occhi. Quando li riapersi, non eravamo più nella mia camera. Azzurra lasciò la mia mano e si librò in volo.

“Guardami, Miri!” esclamò finalmente col sorriso sulle labbra. “Ho riacquistato i miei poteri!”

            Fluttuò a lungo nell’aria, ridendo come una bambina, poi tornò al suolo e mi abbracciò.

            “Qui saremo felici, amore mio!” disse stringendosi con tenerezza a me. “Cosa te ne pare?”

            “Azzurra, qui non c’è nulla!” le risposi. Ovunque posassi lo sguardo, non scorgevo che il vuoto.

            “Com’è possibile? Non capisco!” esclamò l’elfa accigliandosi. Rocky, che ci aveva seguiti, si strusciò contro le sue gambe, poi saltò su qualcosa che io non riuscivo a scorgere e si addormentò.

            “Guarda meglio, amore mio! Non vedi il cielo limpido su di noi? Ed i salici che ci circondano? Non senti in lontananza il rumore delle cascate? Non odi il canto degli uccelli fra i rami?”

            Scossi la testa.

            “Ed il profumo dei fiori? Guarda laggiù: non vedi neppure l’unicorno?”

            “Azzurra!” esclamai spazientito. “Non vedo nulla!”

            “Userò la magia!” esordì l’elfa ritrovando il sorriso che si era spento alle mie affermazioni.

            Non credevo nella magia, così l’incantesimo non funzionò.

            “Adesso cosa vedi?” domandò dopo aver tracciato numerosi simboli nell’aria.

            “Vedo solo te.” Risposi.

            L’elfa non si diede per vinta.

            “Aspettami qui, Miri! Chiederò consiglio all’unicorno!”

            Si librò nuovamente in volo e si allontanò. Quando tornò, il suo sguardo era vuoto, i suoi occhi rossi.

            “L’unicorno mi ha spiegato come stanno realmente le cose. Tu non credi!” sputò quelle parole con disgusto. Mi sentii in colpa, ma non potevo farci nulla.

            “Non riuscirai mai a vedere nulla perché non credi che possa esistere un luogo simile! Non credi nella magia, negli unicorni e neppure negli elfi! Come fai ad amarmi se non credi che io possa esistere?”

            “Tu esisti, Azzurra. Ed io ti amo.”

            “Non potremo mai stare insieme, Miri. Non possiamo vivere nel tuo mondo poiché morirei d’inedia dopo poco e non possiamo vivere nel mio perché tu non credi che esista! Ami troppo la tua realtà per rinnegarla. Sei come la terra, amore mio! Essa crede nei fiori e negli alberi poiché li genera, ma pensa che il vento sia solo una leggenda. Ed io sono come l’aria, incapace di vivere inchiodata al suolo.” Tratteneva a stento le lacrime.

            “Io per te sono solo un sogno ed i sogni, talvolta, possono essere così belli da farci desiderare di non svegliarci. Ciononostante, ogni mattina dobbiamo farlo ed il ricordo di un bel sogno svanisce col subentrare della quotidianità.”

            “Non dire così, Azzurra!” replicai.

            “Un giorno odierai quella tua realtà che ogni mattina ti strappa ai sogni, ma sarà già troppo tardi.” 

            “Non possiamo trovare una soluzione?” domandai afferrandole delicatamente l’avambraccio.

            “Credi!” rispose Azzurra. “Credi ed il mio mondo apparterrà anche a te!”

            Chiusi gli occhi. Non volevo perdere l’unico vero amore della mia vita.

            “Credo!” mentii, ma non riuscii ad ingannarmi.

 Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai seduto di fronte al mio comò, con indosso il maglione celeste e gli occhi gonfi di pianto. Non l’avrei rivista mai più. Avevo scelto la realtà. Ero la terra e non potevo volare. Anche Rocky era sparito e non so quanto lo invidiai. A lui era stato concesso di rimanere nel mondo di Azzurra.

  

k k k

 

MIRKO

 

            L’uomo di fronte a lui stava piangendo. I suoi occhi cerulei si erano liquefatti ed ora scorrevano limpidi sulle sue guance pallide.

            “Non la troverò sul fondo di una bottiglia!” esclamò Mirko colpendo quella di vodka e mandandola a frantumarsi sul tappeto amaranto assieme al bicchiere.

            L’uomo di fronte a lui continuò a piangere.

            “Perché non ho mai provato ad attraversare di nuovo lo specchio? Semplice: non credo sia possibile farlo. Azzurra aveva ragione. Una mattina mi sono svegliato e del più bel sogno di tutta la mia vita non mi è rimasto che un ricordo sbiadito e la sensazione di aver perso qualcosa di importante. Quello che Azzurra non saprà mai è che non avrei potuto impedirlo. La realtà mi reclamava: in fondo, ero uno dei suoi figli.”

            L’uomo di fronte a lui non parlò. Si limitò a guardarlo, forse senza comprendere le sue parole.

            “Non ci credi?” domandò Mirko sfidandolo con lo sguardo. “Pensi davvero che potrei attraversarlo e tornare da lei? Allora guarda!”

            Mosse l’indice destro in direzione dell’uomo e quello fece lo stesso coll’indice sinistro. Le punte delle loro dita si congiunsero. Un alone si formò nel punto in cui il dito di Mirko toccò lo specchio.

            “Vedi? Il portale si è chiuso tanto tempo fa!” esclamò Mirko ricominciando a piangere.

La sua immagine nello specchio fece lo stesso.

“L’ho persa per sempre, maledizione! Non ci sei che tu in questo maledetto specchio!”