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Halloween

 

Kate spinse la sedia a rotelle accanto alla porta di vetro che dava sul giardino. Voleva che il ragazzo vedesse le foglie castane vorticare in balia del vento. Voleva che seguisse la loro danza contro il cielo traboccante di turchese. Dopo una settimana di maltempo, finalmente, le nubi si erano dissipate e le tinte autunnali si erano immediatamente sostituite al malinconico grigio. Il giardino era un’esplosione d’oro, di ocra, di ruggine, di verdebruno e di verdebiondo. Bloccò le ruote della sedia a rotelle, poi gli scoccò un bacio sulla guancia. Il ragazzo rimase impassibile, ma l’assistente non si aspettava nessuna reazione e la cosa non la turbò.

“Kate!” la chiamò Rose dalla cucina.

La donna si allontanò per qualche minuto e tornò poi con un vasetto di yogurt alla banana ed un cucchiaino. Il ragazzo non si era spostato di un solo millimetro.

“Facciamo merenda!” esclamò esibendo un sorriso dolce. Drew non reagì. Il suo corpo era su quella sedia, di questo Kate era più che sicura, ma la sua mente dov’era?

“Dove sei, Drew?” sussurrò al giovane che aveva all’incirca l’età di suo figlio, mentre gli legava il bavaglino attorno al collo. Scosse la testa. Come poteva Dio permettere che accadessero cose del genere? Un forte trauma aveva ridotto il ragazzo in quelle condizioni e non c’era nessuno in grado di curarlo. Ai genitori in lacrime i medici avevano spiegato che il loro figlio, incapace di affrontare le proprie paure, si era rintanato in se stesso e non c’era nessuno in grado di aiutarlo. Doveva essere sua la decisione di tornare a vivere. Helen, sua madre, non si era arresa. Gli aveva fatto ascoltare le sue canzoni preferite, aveva trascorso ore leggendogli i fumetti degli X-Men che tanto adorava o raccontandogli i progressi della sorellina. Diverse volte Kate l’aveva sentita piangere o pregare. Carl, suo padre, era venuto invece a trovarlo solo due o tre volte ed in ogni occasione era uscito dalla stanza di Drew con dieci anni in più di quando vi era entrato. Il suo cuore non reggeva la vista del figlio in quelle condizioni. Era passato quasi un anno e, a dispetto di tutti i tentativi della disperata madre e della sofferenza di entrambi i genitori, Drew non aveva dato alcun segno di miglioramento.

Avvicinò il cucchiaino alle labbra del ragazzo che d’istinto aprì lievemente la bocca.

“Bravo, così! Mangia!” esclamò la donna tentando di mantenere un’aria sorridente. Non era facile guardare negli occhi castani del ragazzo senza scorgerne l’espressione terrorizzata. Kate provava un brivido lungo la schiena ogni volta che lo faceva.

Rose, impacciata dalla grossa mole, la raggiunse nell’istante in cui stava riponendo il vasetto di yogurt vuoto nella pattumiera.

“Guarda, Kate!” esclamò esibendo una zucca nella quale erano stati intagliati due occhi ed una stranissima bocca a forma di melanzana. “Pensi che possa andare?”

La donna fissò prima la zucca, poi Rose, poi ancora la zucca. Sorridendo rispose:

“Bella, se non tieni conto che ha la stessa bocca del dottor Thompson!”

L’altra donna scoppiò a ridere. Kate scosse la testa. La risata di Rose non era di certo la massima espressione della femminilità.

“Prima di tornare a casa vi infilo dentro una candela e la metto in bella mostra sulla soglia. Ci penseranno le due ragazze che ci danno il cambio a tenerla accesa tuta la notte. In fondo, è Ognissanti anche per loro, non credi?”

Kate non rispose.

“Ehi, mi ascolti?” domandò offesa l’altra. “Non…”

Si bloccò rendendosi conto di quello che aveva attirato l’attenzione di Kate. Drew Johnson aveva girato la testa nella loro direzione e fissava inorridito la zucca che Rose stringeva fra le braccia. Una lacrima rigava il suo volto.  

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“Sesso, cuginetta! Il Libro parla chiaro!” dichiarò Audra intingendo il dito nel vasetto di gel tempestato di brillantini. Cheryl scosse la testa. Era convinta che le cose avrebbero preso una brutta piega. “Ma sta’ tranquilla! E’ un privilegio che spetta solo a chi compie l’evocazione!”

“E con chi vorresti farlo?” domandò scandalizzata la ragazza quindicenne.

“Visto che posso scegliere, lo farò col ragazzo più bello di tutta la città.”

“E chi sarebbe?” chiese Cheryl pensando ad una nuova storia della cugina.

“E che ne so?” rispose maliziosa Audra. “Devo ancora conoscerlo! Sarà talmente bello che diventerai verde dall’invidia vedendomi fare sesso con lui!”

Cheryl deglutì. L’idea di esser costretta a guardare una scena del genere le rivoltava lo stomaco.

“Non potremmo semplicemente andare alla festa in discoteca? Tutti i nostri amici saranno là stasera!”

Audra smise per un istante di passarsi i brillantini sul volto e puntò i propri occhi grigioverdi in quelli celesti di Cheryl. La ragazza distolse lo sguardo. L’ombretto ed il rossetto neri conferivano alla cugina un’aria insolita, quasi diabolica. Cheryl pensò che in un’altra epoca Audra sarebbe sicuramente finita sul rogo.

“Sei patetica, Cheryl!” sibilò la ragazza. “Se vuoi andare in discoteca, nessuno ti trattiene. Pensi che per me sia tanto difficile rimpiazzarti?”

Cheryl non rispose. Audra riprese a passarsi i brillantini sul volto e continuò fino a quando la sua pelle divenne un caleidoscopio di colori. Soddisfatta, ripose il vasetto sulla mensola del bagno e tornò davanti allo specchio per un’ultima occhiata. Rimase estasiata dalla propria bellezza. Indossava un insolito indumento di seta nera, piuttosto simile ad un passamontagna ma molto, molto più leggero, che le nascondeva i lunghi capelli corvini e lasciava scoperto solo il viso dalla fronte al mento. Un enorme diadema raffigurante due scheletriche mani che reggevano un teschio ghignante le cingeva il capo. Incurante degli sguardi attoniti della cugina, piroettò su se stessa. Non si era mai sentita così a proprio agio! Aveva diciassette anni, ma quella sera ne dimostrava almeno venticinque. Un lungo abito rosso sangue, stretto in vita da una larga cintura la cui fibbia rappresentava un pipistrello e reso sensuale da uno spacco vertiginoso sul davanti, abbracciava il suo corpo mettendone in risalto le forme. Lucide calze nere in microfibra e stivali di pelle che imitavano lo stile di quelli medievali a becco completavano l’opera. L’essenza muschiata di cui tutta la sua pelle era intrisa la precedeva e la seguiva ovunque si spostasse.

“Non credevo che una sacerdotessa della morte potesse essere tanto bella!” esclamò rivolgendosi all’immagine nello specchio.

“E tanto piena di sé!” avrebbe voluto risponderle Cheryl, ma scelse di tacere. Litigare con Audra equivaleva a gridare insulti al vento. Attese che la cugina si stancasse di guardarsi, poi si specchiò a sua volta. Zia Grace aveva raccolto i suoi capelli biondo cenere in uno chignon, eccezion fatta per alcuni boccoli lasciati ad incorniciare il viso. Aveva fatto un bel lavoro, ma la ragazza, abituata alla semplicità, si sentiva a disagio. Audra l’aveva truccata e Cheryl era convinta che la cugina ne avesse approfittato per mostrarle tutto il suo disprezzo. Di sicuro, dopo quella sera, nessuno l’avrebbe più vista con l’ombretto, il mascara ed il rossetto color argento, tanto meno con quegli stupidi brillantini sulla pelle. Il lungo ed attillatissimo abito di velluto nero e paillettes argentate era l’unica cosa accettabile. Avrebbe però fatto volentieri a meno dello scialle di ragnatela. Aveva acconsentito ad andare alla festa di Halloween solo perché era stato Drew ad invitarla e, per lo stesso motivo, aveva accettato di agghindarsi come una strega. O come una puttana. La differenza stava solo nello scialle. Si calò il cappello da strega sulla testa e decise che non si sarebbe più specchiata per tutta la sera. Uscì dal bagno e raggiunse Audra che stava bevendo l’ennesimo bicchiere di vino bianco.

(...) l’evocatore dovra’astenersi per dodici ore dal sesso e dal cibo solido. Per le prime sei ore, inoltre, dovra’ bere solo acqua, poi, un bicchiere di vino ogni volta che avrà sete...

Così diceva il Libro. Cheryl era convinta che, dopo tutto quel vino, sua cugina avrebbe potuto evocare un angelo, un demone, Topolino, un elefante rosa o persino Woody Allen. L’indomani, però, di quell’evocazione non le sarebbe rimasto che un forte mal di testa ed un sapore amaro in bocca. Sorrise immaginando la vanitosa Audra in preda a conati di vomito nel bel mezzo del rito.

“Chissà se sarai ancora capace di sorridere quando avrò portato a termine il rito!” pensò cinica la ragazza scorgendo l’espressione divertita della cugina.

 “Andiamo?” domandò impaziente Cheryl guardando l’orologio. Avrebbe dovuto incontrare Drew alle dieci e non voleva arrivare tardi al suo primo appuntamento con lui.

Audra indossò l’anello preparato apposta per il rito, una fede di rame sulla quale brillava un minuscolo smeraldo, e, dopo aver preso il libro, rispose:

“Andiamo!”  

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Il cielo gravido di stelle era uno spettacolo che avrebbe potuto sciogliere una pietra, ma nessuno pareva aver voglia di guardarlo. I bambini si aggiravano emozionati da una casa all’altra gridando “dolcetto o scherzetto!”, i ragazzi avevano studiato per giorni il modo di divertirsi ed ora stavano mettendo in pratica quanto pianificato e gli adulti non facevano che seguire i loro piccoli maghi, vampiri, scheletri, streghe o diavoli per le strade della città. Molte persone avevano trascorso la giornata preparando biscotti, torte e dolciumi vari ed ora attendevano ansiose la visita dei bambini. Chi detestava Halloween, infine, se ne stava chiuso in casa a guardare la TV e ad imprecare ogni volta che il campanello suonava.

Audra, la sacerdotessa della Morte, e Cheryl, la strega, camminavano a passo spedito, fianco a fianco, in mezzo a quel baccanale di suoni e colori, silenziose e cupe come due ombre. I pensieri della più giovane erano concentrati su Drew Johnson. Quanto le piaceva quel ragazzo! Il cuore le batteva forte all’idea che fra poco l’avrebbe rivisto. Chissà, forse stasera si sarebbero baciati. Sospirò pregando che succedesse. Cheryl aveva già baciato un ragazzo, Angel, ed era stata un’esperienza fantastica. Era successo circa tre mesi prima, sulla spiaggia, alla festa del suo quindicesimo compleanno, lontano dagli occhi dei loro amici e, soprattutto, lontani da Sylvie, la ragazza di Angel. Cheryl sospirò. Doveva a tutti i costi fare in modo che Drew la baciasse. E chissà, magari dopo il rito, lui avrebbe voluto portarla da qualche parte per fare l’amore. Sentì le ginocchia tremarle alla sola idea. A differenza della cugina, non l’aveva mai fatto ed era piuttosto nervosa. Allo stesso tempo, però, desiderava ardentemente che accadesse. I pensieri di Audra, del tutto diversi da quelli della cugina, erano completamente rivolti verso il rito. Nessuno conosceva il vero scopo dell’evocazione, tranne la ragazza stessa. Tutti pensavano si trattasse di un gioco, un po’ come fare una seduta spiritica in un cimitero, ma si sbagliavano. Kedemiel sarebbe realmente apparso ed avrebbe concesso alla ragazza ciò che maggiormente desiderava: la bellezza. Non era mai riuscita ad accettare l’idea che potessero esserci al mondo ragazze più belle di lei. Da quella sera in poi, grazie a Kedemiel, non avrebbe più avuto rivali. Audra May avrebbe insegnato al mondo il vero significato della parola bellezza. Quanti ragazzi sarebbero caduti ai suoi piedi! Quanti soldi avrebbe potuto guadagnare grazie ad un viso e ad un corpo perfetto!

La voce ansante di Benjamin Mc Kane riportò le due ragazze alla realtà:

“Audra, Cheryl, siete proprio voi?” domandò squadrandole dalla testa ai piedi.

“Tu cosa ne dici, Ben?” domandò la sacerdotessa della morte appoggiando le labbra su quelle dell’amico e sfiorandole appena per non rovinare il rossetto nero. Il ragazzo indietreggiò. Audra gli impedì di allontanarsi cingendolo in un abbraccio. Il ragazzo socchiuse gli occhi e la strinse a sé.

“Mi sei mancata, piccolina!” pensò.

Ben era un bravo ragazzo, timido, dolce e sensibile, ma Audra non riusciva a provare niente nei suoi confronti che non fosse un affetto fraterno.

“Allora, siamo noi?” domandò Audra liberandosi dalla stretta.

Benjamin arrossì vistosamente sotto il cerone bianco.

“Direi di sì!” farfugliò imbarazzato. Il profumo muschiato della ragazza aveva scatenato forti emozioni in lui. Completamente a disagio, lisciò le pieghe del lungo mantello nero, poi estrasse da una tasca dei pantaloni due canini da vampiro e se li sistemò. Audra notò che gli tremavano le mani.

“Cofì la fmetterai di baciarmi, Audra, fe non vuoi che ti dia un bel morfo sul collo!” esclamò il ragazzo.

Cheryl scoppiò a ridere.

“Ben, sei il vampiro più buffo che abbia mai visto!”

“Fono l’unico che tu abbia mai incontrato, ftupida ragazza!” rispose fingendo di avvicinarsi pericolosamente all’amica. “Poffo prendere un po’ del tuo fangue, Cheryl?”

Audra sbuffò.

“Ben, per favore, piantala di dire stronzate ed accompagnaci alla radura!”

“Fì fignora!” rispose il vampiro mettendosi sull’attenti.

“E togliti quei canini, maledizione!” ringhiò impaziente.

Come un bravo cagnolino ammaestrato, Ben obbedì.

“Da questa parte, tenebrose creature!” esclamò precedendole.

 

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            La Morte, seduta a gambe incrociate sul cubo bianco, con una lunga falce stretta nella mano destra, un’ampia tunica nera con cappuccio ed uno splendido paio di anfibi numero quarantatre, attendeva impaziente l’arrivo di Cheryl, Audra e Benjamin. Trasalì quando l’orologio della chiesa, in lontananza, batté le nove e mezza, poi sbuffò per l’ennesima volta dietro la maschera opalescente. Si stava annoiando a morte. I suoi amici erano in ritardo e non gli piaceva restare da solo in quel luogo dimenticato da Dio. Per non lasciarsi suggestionare dal silenzio che avvolgeva la radura iniziò a canticchiare fra sé e sé “Blue” degli Eiffel 65. Il vampiro, la strega e la sacerdotessa giunsero proprio nell’attimo in cui la Morte, in piedi sull’altare, ballava e cantava a squarciagola.

            “Angy, maledizione!” ringhiò Audra lanciandosi minacciosa verso di lui “Scendi immediatamente! Quello è il mio altare!”

            La Morte interruppe la danza sul cubo e, con un agile balzo, tornò a terra. Audra gli si parò di fronte con le mani sui fianchi, lo sguardo furente.

“Sei più bella quando ti arrabbi, te l’ha mai detto nessuno?”

A quel complimento, Audra ingoiò le dure parole che stava per vomitare.

“Hai portato la roba?” domandò invece.

Ben e Cheryl si avvicinarono.

“Bel costume, Angel!” esordì Ben esibendosi in un inchino. La Morte non lo degnò neppure di uno sguardo. Benjamin Mc Kane era il tipo di persona che Angel Russell non avrebbe mai voluto frequentare. Era uno sfigato e, se non fosse stato che Audra aveva un debole per lui (un po’ come nei confronti di un animale domestico), l’avrebbe volentieri riempito di botte.

“E’ tutto nello zaino, Audra.” Rispose Angel. “Dunque, ricapitoliamo: ti ho portato la carta col cerchio, il cartoncino col come si chiama disegnato sopra…il coso… dai, hai capito!… e poi, la terra, il sale, l’incenso, i fiammiferi, il candeliere, i petali di peonia… un bicchiere, l’acqua piovana… non me la dovrò mica bere io?"

“No, tu rappresenterai la terra.” Rispose Audra. “Continua, per favore”

“Okay. Acqua piovana, una corda, un drappo di seta…”

“Verde smeraldo come ti avevo detto, vero?” si accertò la ragazza.

“Sì, verde, sta’ tranquilla. Ah, sono riuscito anche a trovare una candela di cera d’api. Non chiedermi però dove l’ho presa!”

Per tutto il tempo, Cheryl rimase nascosta dietro Benjamin. Audra non le aveva detto che anche Angel avrebbe preso parte al rito e, quando si era accorta che dietro la maschera della morte si celava il suo ex, aveva provato il folle desiderio di fuggire… o di uccidere la cugina. Angel parve notarla solo in quel momento e le rivolse un “ciao Cheryl!” privo di emozioni. La ragazza rispose annuendo col capo.

“Bene, hai portato tutto.” Esclamò sollevata Audra frugando nello zaino. “Cheryl, raggiungi Drew e, quando hai finito di spassartela con lui, e deve essere prima delle undici, portalo qui. Ha accettato di partecipare al rito.”

Cheryl desiderò che sua cugina morisse. Annuì.

“Ben!” esclamò melliflua rivolgendosi al timido vampiro. “A te il compito di procurarmi una rosa.”

Benjamin arrossì dai capelli alla punta dei piedi. Avrebbe trovato una rosa a costo di rubarla dal giardino dell’eden.

 “Vado, mia signora!”

“Me ne vado anch’io!” esclamò Angel. “Sylvie mi aspetta a casa sua… non ci sono i suoi, mi capite?”

Cheryl avvampò sotto il fondotinta chiaro e fu un bene che sua cugina avesse abbondato col trucco.

Audra fece spallucce. “Divertiti, ma vedi di essere qui alle undici, okay?”

Angy si tolse la maschera e, davanti ad una gelosissima Cheryl e ad un furioso Ben, abbracciò Audra e la baciò. La ragazza si liberò dall’abbraccio e lo schiaffeggiò.

“Mi rovini il trucco, stupido!” esclamò attirandolo però nuovamente a sé e baciandolo a lungo. Cheryl corse via con le lacrime agli occhi pensando “puttana! Puttana! Puttana!”, mentre Benjamin volse loro le spalle e, stringendo i pugni, rimase a fissare Orione e Cassiopea fino a quando sentì Angel allontanarsi fischiettando un’altra canzone degli Eiffel 65.

“Ti sei incantato, Ben?” domandò Audra avvicinandosi all’amico.

Ben non riuscì a guardarla negli occhi.

“Vado a prenderti la rosa, Audra.” Rispose evitando accuratamente il suo sguardo.

Si allontanò rapido nella notte, silenzioso come un’ombra e triste come un angelo caduto dal cielo.

           

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            Audra May, rimasta sola, nascose accuratamente lo zaino e la lunga corda all’interno del cubo e tornò in paese. Doveva trovare un ragazzo bello come un dio e convincerlo a fare l’amore con lei. Sarebbe stato più semplice chiederlo ad Angy, sempre disponibile quando si trattava di fare sesso, o a Drew, solo per il piacere di rubarlo alla cugina, ma voleva qualcosa di diverso. Benjamin? Fuori discussione! Troppo emotivo ed inesperto! C’erano diversi ragazzi in paese con i quali Audra aveva stretto delle relazioni che si aggiravano dai venti minuti ai sette giorni ed altrettanti che avrebbero volentieri accettato un’offerta del genere, ma Audra voleva uscire dalla routine. Voleva concedersi ad un estraneo, ad un perfetto sconosciuto venuto in paese per la festa di Halloween. Sarebbe stato divertente. Passeggiò a lungo per le strade del paese in festa, sempre tenendo d’occhio l’orologio, guardandosi intorno. Di ragazzi carini ce n’erano parecchi, ma Audra cercava il colpo di fulmine. E quello, forse spinto dalla magia di Halloween, arrivò quando ormai la ragazza aveva preso in considerazione l’idea di scegliere Angy come partner per il rito. Non era un adolescente, bensì un ragazzo sulla trentina. Indossava una lunga tunica blu notte bordata di rune color argento ed un lunghissimo mantello corvino tempestato di minuscole paillettes dello stesso colore delle rune. Audra si avvicinò al tavolo al quale il ragazzo, seduto con uno scheletro, un vampiro ed un diavolo, stava sorseggiando un caffè. Aveva lunghi capelli neri stretti in una coda di cavallo da un nastro celeste ed occhi di un innaturale blu elettrico. Lenti a contatto colorate, pensò Audra. Originale! Peccato non aver avuto la stessa idea.             Ignorando i commenti volgari dei tre compagni, raggiunse lo stregone e, avvicinando le labbra al suo orecchio, sussurrò:

            “Posso?”

            Il profumo dell’uomo la inghiottì ed Audra desiderò non respirare altro per tutta la vita. Lo stregone la guardò incuriosito. I loro nasi si trovarono a pochi centimetri l’uno dall’altro.

            “Chi sei?” domandò l’uomo inarcando le sopracciglia.

            “Risposta sbagliata, stregone!” bisbigliò la ragazza appoggiando poi le labbra sul suo collo. Il diavolo, lo scheletro ed il vampiro osservarono divertiti la scena. Le gote pallide dello stregone si tinsero di un delizioso incarnato.

            “Posso?” domandò nuovamente riportando le labbra al suo orecchio.

            “Io…” replicò imbarazzato.

            “Tu ed io è la risposta esatta, stregone!” la mano di lei scese lungo la sua schiena.

            “Chi sei?” domandò lottando contro se stesso per respingere le emozioni che quella misteriosa fanciulla stava risvegliando in lui.

            “Una sacerdotessa della morte. Non lo vedi?”

            “Chi sei veramente?”

            Audra smise di accarezzarlo. Lo stregone parve risvegliarsi da un sogno.

            “Fai troppe domande, stregone!”

            “Ci conosciamo?”

            “No, non ci conosciamo. Ma ci conoscemmo e prima di quanto tu possa immaginare, ci conosceremo!”

            Un sorriso sconcertato apparve sulle carnose e sensuali labbra dell’uomo.

            “E’ ora che li mandi via.” Sussurrò Audra con aria annoiata.

            “Chi?”

            “I tuoi amici. Non vuoi restare solo con me?”

            L’uomo scosse la testa sospeso fra incredulità e desiderio.

            “Io…”

            “Tu ed io è la risposta corretta, mi sembra di avertelo già detto.!”

            Lo stregone si alzò in piedi e per poco non fece cadere la tazzina.

            “Eric, Joe, Fratellino!” esclamò deciso “Ci vediamo più tardi! Ho incontrato questa vecchia amica che…”

            Il diavolo, suo fratello, esibendosi in un sorriso malizioso, lo interruppe: “Vorrei avere anch’io un’amica del genere!”

            Chissà quanto sarebbe stata felice sua cognata sapendo Jake in compagnia di quel gran pezzo di figliola!

“Buona serata, Jake!” esclamò il vampiro alzando il bicchiere nella sua direzione per salutarlo.

Lo scheletro mandò un bacio ad Audra. I tre compagni si scambiarono poi occhiate interrogative mentre lo stregone e la sacerdotessa si allontanavano mano nella mano.

   

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            “Fra un’ora? Un rito? ” domandò Jake disteso sul prato mentre Audra sedeva a cavalcioni su di lui con addosso la sola biancheria intima.

            “Sì, un rito. Devo farlo alle undici e trenta, ora in cui è possibile ottenere i maggiori vantaggi da Venere. Sei uno stregone, dovresti avere dimestichezza con queste cose!” L’uomo le sorrise, i lunghi capelli sciolti e la fede abbandonata sul prato.

            “E cosa dovrei fare, piccola strega?” domandò slacciandole il reggiseno.

            “Niente di complicato!” rispose la ragazza con voce dolce mentre mani esperte accarezzavano il suo corpo. “Dovrai solo fare l’amore con me.”

Avvicinò le proprie labbra a quelle dell’uomo.

“Non trovi eccitante l’idea di possedere una sacerdotessa durante un rito di evocazione, mio bellissimo stregone?”

            “Non mi va di aspettare!” disse imbronciato Jake.

            Audra si passò la lingua sulle labbra nere.

“E chi ti ha detto che non possiamo farlo anche adesso, stregone?”

 

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            Drew estrasse l’ennesima sigaretta dal pacchetto e la prese fra le labbra. In lontananza, il campanile batté dieci colpi. Prese l’accendino dalla tasca, poi vide che Cheryl si stava avvicinando e decise di rimetterlo a posto. Ripose anche la sigaretta. Avrebbe fumato più tardi. Cheryl, che si stava dirigendo nella sua direzione a passo spedito, rallentò l’andatura quando si rese conto di essere arrivata al luogo dell’appuntamento.

            “Ma come ti sei conciata?” avrebbe voluto chiederle il ragazzo che odiava ogni genere di travestimento. Si era però scordato di avvertirla che, a differenza di tutti i loro amici, non si sarebbe travestito e, di conseguenza, il buonsenso gli suggerì di non farlo. In effetti, in un paese pieno di streghe, vampiri, demoni ed affini, il diverso era lui.

            “Ma le streghe non erano tutte racchie?” domandò scrutandola con attenzione dalla testa ai piedi. Cheryl arrossì e la timidezza le impedì di rispondere. Sentì il cuore batterle come un tamburo. Aveva trascorso giorni fantasticando sulle mille frasi che avrebbe potuto dire in un’occasione del genere ed ora se ne stava lì, immobile e zitta come un palo della luce. “Dì qualcosa, cretina!” La voce di Audra echeggiò nitida nella sua mente. Nonostante provasse antipatia verso la cugina, c’erano momenti in cui avrebbe voluto essere spigliata come lei.

            “Ciao Drew!” esordì. Le mancò il coraggio di dire qualsiasi altra cosa.

            Accortosi della sua timidezza, il ragazzo prese in mano la situazione.

            “Pensi che una strega uscirebbe volentieri con un ragazzo in jeans e felpa?” chiese sorridendole.

            Cheryl sorrise a sua volta.

            “Ne conosco solo una di streghe e penso che non se lo farebbe ripetere due volte!” rispose abbassando lo sguardo.

            “Bene, allora! C’è un posto dove vorresti che ti portassi?” domandò. “Mio padre mi ha lasciato la macchina, quindi possiamo andare dove ci pare.”

            Estrasse le chiavi dalla tasca dei jeans e le fece tintinnare sotto il naso di Cheryl.

 

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            Quando Audra e Jake giunsero alla radura, Benjamin aveva già sistemato l’altare. Doveva essere rivolto verso est (il lato divino, la direzione da cui proviene la luce), come più volte si era raccomandata la ragazza, ma Ben aveva dimenticato la bussola a casa e non era tanto sicuro che quello fosse proprio l’est. Così, dopo aver trascorso diversi minuti chiedendosi se rivelarle oppure no la verità, aveva optato per il silenzio. Le conoscenze di Audra erano limitate – magia, cosmetici e vestiti! – e Ben era sicuro che la ragazza non si sarebbe accorta di nulla. Ben pensava che Audra fosse più bella quando si arrabbiava, ma non ci teneva ad essere riempito di insulti. Quando la vide le andò incontro con un sorriso idiota dipinto sul volto ed una rosa nella mano sinistra.

            “Bravo, Ben!” esclamò la ragazza prendendo con cautela il fiore tra le mani e passandosi il bocciolo vellutato sulle labbra.

            “Chi è lui?” domandò sottovoce il vampiro indicando con un gesto del capo lo stregone che li stava raggiungendo.

            “Un amico.” Rispose Audra con noncuranza. “Ora lasciami lavorare, per favore.”

            Ben obbedì e si diresse verso Jake.

            “Benjamin Mc Kane, signore di tutti i vampiri!” esclamò il ragazzo porgendo la mano allo straniero.

            “Jake Drake.” Rispose l’uomo serrando la mano del ragazzo in una morsa d’acciaio.

            “Ottima presa, signor mago!” rise Ben massaggiandosi le dita.

            Jake sorrise e sedette poi con la schiena contro il tronco di un albero, gli occhi puntati sulla ragazza che stava sistemando alcuni oggetti sull’altare. Ben, invece, si avvicinò all’amica in attesa di ricevere l’ordine di creare il circolo di protezione.

            Audra si concentrò su quello che stava facendo. Un piccolo errore nella preparazione avrebbe potuto significare il fallimento dell’evocazione. Per prima cosa stese il drappo di seta verde sul cubo bianco. Poi, con le mani che le tremavano per l’emozione, estrasse dallo zaino il sacchetto con la terra, terra raccolta in prossimità di un incrocio, lo aprì e ne rovesciò il contenuto su quello che credeva essere il lato dell’altare rivolto a nord (la direzione dalla quale provengono i demoni). “Uriele!” chiamò con voce limpida. Chiuse gli occhi e ripeté altre sei volte quel nome. Riaprì gli occhi. Prese un fiammifero ed accese lo stoppino della candela di cera d’api. Una piccola fiamma cremisi e d’oro iniziò a danzare nella notte. “Michele!” esclamò Audra. Di nuovo chiuse gli occhi e pronunciò altre sei volte quel nome prima di riporre la candela sul lato a sud (la direzione dalla quale giungono gli spiriti buoni). Jake osservava con attenzione e desiderio ogni suo movimento. Gli piaceva il gioco in cui quella ragazzina l’aveva coinvolto. Ben, invece, timoroso di disturbare l’amica, se ne stava immobile come una statua di cera. Audra estrasse dallo zaino una bottiglia piena d’acqua, un bicchiere ed una saliera. Versò l’acqua piovana nel bicchiere e si preparò a consacrarla col sale, l’emblema dell’eternità.

“Io ti esorcizzo, o Creatura dell’Acqua!” esclamò ad alta voce aggiungendo il sale all’acqua. “Te exorcizo per Dei omnipotentis virtutem qui regna per saecula saeculorum. In nominibus Martelliae, Dophaliae, Nemaliae, Zitanseiae, Goldaphairae, Dedulsairae, Gheninairae, Geogropheirae, Cedahi, Gilthar, Godieth, Ezoliel, Musil, Grassil, Tamen, Puri, Godu, Hoznoth, Astroth, Tzabaoth, Adonai, Agla, On, El, Tetragrammaton, Shema, Ariston, Anaphaxeton, Segilaton, Primeraton, Amen.” Audra prese fiato, poi gridò con voce stridula: “Gabriele!”, “Gabriele!”, “Gabriele!”, “Gabriele!”, “Gabriele!”, “Gabriele!”, “Gabriele!”. Appoggiò lentamente il bicchiere sul lato ovest (il lato dell’uomo). Infine, estrasse la carta con sopra il cerchio, simbolo esoterico dell’Aria, e lo collocò di fronte a lei sull’altare. Sette volte chiamò “Raffaele!”, scandendo con cura ogni sillaba.

            Si fermò di nuovo a riprendere fiato, poi ordinò a Ben di creare il circolo magico. Il ragazzo prese la corda e la dispose a cerchio intorno all’altare, senza però far combaciare le due estremità, così come in precedenza Audra gli aveva spiegato. Solo una volta che tutti si fossero trovati all’interno del circolo questo sarebbe stato chiuso. Contemporaneamente, la ragazza dispose tre pietre piatte in tre differenti punti all’interno di esso e su di ognuna, con un gesso, tracciò arcani nomi: Shaddai El Chai sulla prima, Tetragrammaton sulla seconda ed Ararita sulla terza. A questo punto, la ragazza dovette consultare il libro di magia per sapere quale fosse la successiva mossa.

            “Giusto!” esclamò dopo qualche minuto richiudendo il tomo con cura. Dallo zaino estrasse il vasetto pieno di petali scarlatti di peonia che utilizzò per disegnare sulla terra battuta, all’esterno della parte orientale del circolo, un piccolo triangolo inscritto in un secondo tracciato col sale. Lungo i lati del triangolo di sale, con un rametto, la ragazza incise tre nomi di potere: Anexhexation, Primemmaton e Tetragrammaton. Jake, ancora seduto con la schiena appoggiata al tronco, sbadigliò. Si stava annoiando a morte, ma decise che sarebbe rimasto. Se se ne fosse andato, avrebbe poi rimpianto per tutta la vita quella fantastica occasione! Voleva ripetere l’entusiasmante esperienza di possedere quella ragazzina indemoniata.

All’interno del triangolo più piccolo, in corrispondenza degli angoli, Audra incise le sillabe CH, MI ed AEL. Lo scopo principale del triangolo di sale, sulla base di quanto riportato nel libro di magia, era quello di rendere visibile qualsiasi elementale o essere angelico evocato. I petali di peonia, invece, servivano per rinforzare la barriera. Si sarebbero rivelati utili se per errore fosse comparso un demone anziché Kedemiel! Terminati questi preliminari, Audra tornò all’altare. Estrasse dallo zaino la carta col pentacolo e la dispose accanto alla candela accesa. Secondo il testo di magia, tale simbolo salomonico aveva la capacità di tenere lontano il maligno. In caso di pericolo, Audra non avrebbe dovuto far altro che sventolarlo di fronte alla creatura evocata. Spostò la rosa al centro dell’altare, infilò un bastoncino di incenso nel mucchietto di terra e lo fece bruciare, poi si fregò le mani soddisfatta mentre si diffondeva nell’aria un intenso profumo di sandalo. Tutto era pronto per cominciare il rito.

 

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            Cheryl pensò che durante il rito si sarebbe sicuramente distratta centinaia di volte. Non riusciva a fare a meno di guardare Drew e di trovarlo irresistibile. Si divertiva a lanciargli tenere occhiate, ma era lesta ad abbassare lo sguardo nel caso il ragazzo volgesse lo sguardo verso di lei. I suoi pensieri tornavano continuamente ai baci che si erano scambiati in macchina e, sinceramente, del rito non le importava più nulla. Desiderava solo appartarsi col suo ragazzo. Il suo ragazzo! Era fantastico! Drew Johnson e Cheryl May stavano finalmente insieme! Sospirò. Se si trattava di un sogno, avrebbe ucciso chiunque l’avesse svegliata. La voce della cugina la riportò alla realtà:

            “E tu, Cheryl, dovrai tenere in mano questo candeliere per tutta la durata del rito. Mi raccomando, non lasciare che la candela si spenga!”

            Cheryl annuì meccanicamente.

            “Hai capito quello che ti ho detto?” domandò acida Audra.

            “Sì, sta’ tranquilla! Non sono deficiente!” ribatté Cheryl sulla difensiva.

            Audra le girò le spalle ed andò a posizionarsi al centro del cerchio, accanto ad un uomo che Cheryl non aveva mai visto prima. Di fronte a loro si trovava Drew. In una mano teneva la carta raffigurante il cerchio.  Dalla parte opposta, alle spalle dei due ragazzi, si trovava invece Ben, il vampiro. Stringeva fra le mani un bicchiere colmo d’acqua e sorrideva divertito. Cheryl la strega si trovava a sud della cugina e dello sconosciuto e, suo malgrado, di fronte a lei, alla sinistra dell’evocatrice, stava Angel, la morte. Ai suoi piedi giacevano un mucchietto di terra ed un bastoncino fumante di incenso.

            “Da questo momento in poi, fino a quando il rito sarà terminato, vi chiedo di rimanere in silenzio!” esclamò Audra mantenendo un tono distaccato. “Ho bisogno della massima concentrazione.”

            Inspirò profondamente, poi, con un ampio gesto del braccio, tracciò nell’aria un’ideale stella a cinque punte. Jake, istruito in precedenza dalla ragazza, si distese ai suoi piedi.

            “Yhvh!” pronunciò Audra puntando il dito verso il centro della stella.

            Qualche istante di pausa, poi ripeté lo stesso gesto rivolta a sud, ad ovest ed infine a nord. Questa parte del rito era molto importante in quanto i quattro pentagrammi immaginari avevano la funzione di proteggere l’evocatrice da eventuali assalti.  Tornò a rivolgersi verso est e si preparò a salutare i quattro re elementali.

            “Rafahel!” pronunciò cercando di visualizzare l’Arcangelo avvolto in abiti giallo oro increspati dal vento. Lo immaginò in piedi su una collina viola e lo salutò con queste parole:

            “Salve Raphael cuius spiritus est aura e montibus orta et vestis aurata sicut solis lumina. “

            Dopo aver pronunciato questa frase, visualizzò l’Arcangelo Gabriele, vestito di blu e circondato da cascate d’acqua, l’Arcangelo Michele dagli abiti dello stesso colore delle fiamme che avvolgono la sua spada rivolta al cielo ed Uriele avvolto in una veste marrone e verde, le tinte del più fertile dei paesaggi.  Audra fece attenzione a salutarli tutti correttamente.

            “Salve Gabriel cuius nomine tremunt nymphae subter undas ludentes! Salve Michael, quanto splendidior quam ignes sempiterni est tua majestas! Salve Uriel, Nam tellus et omnia viva regno tuo pergaudent.”

            Ebbe un attimo di esitazione. Sapeva che avrebbe dovuto visualizzare la stella a sei punte, ma non ricordava le parole che doveva pronunciare. “Maledizione!” Pensò stizzita.

            “Non... non...” ripeté sull’orlo della disperazione.

            “Non accedet!” esclamò Cheryl che aveva aiutato per giorni la cugina ad imparare quelle formule strane.

            Audra, ingrata, la fulminò collo sguardo.

            “Non accedet ad me malum cuiuscemodi quoniam angeli sancti custodiunt me ubicumque sum” riprese con voce limpida. Si sentì improvvisamente eccitatissima. Aveva appena proclamato la propria fiducia nella protezione angelica invocata ed ora si apprestava ad entrare nel mondo astrale.

            “Excubitore, in nomine Gabrieli, fas mihi tangere limina illa.”

            Un brivido freddo le percorse la schiena. D’improvviso ebbe l’impressione che Qualcuno avesse posato il proprio sguardo sovrumano su di lei.

            “Nescio quid sim, nescio unde veniam, nescio quo eam. Qaero, sed quid nescio.” Con questa formula dichiarò la propria ignoranza sui misteri sublimi che avrebbe scorto fra poco. Si umettò le labbra. La notte era divenuta più fredda, eppure il suo corpo era invaso da insolite vampate di calore.

            “Kedemiel!” pensò intensamente comunicando ai quattro arcangeli il desiderio di entrare in contatto con tale spirito planetario. Rimase per diversi minuti immobile come una statua, poi iniziò a spogliarsi. Per prima cosa si tolse il diadema ed il copricapo di seta nera. Si passò una mano fra i lunghi riccioli corvini che, incorniciandole il viso, mettevano maggiormente in risalto gli splendidi occhi grigioverdi. Proseguì slacciandosi la cintura e sfilandosi uno dopo l’altro, lentamente, quasi a voler rendere ancora più sensuale la scena, l’abito da sacerdotessa, le calze nere, gli stivali e la lingerie rossa. Ben arrossì incapace di smettere di fissare il corpo della ragazza, Drew distolse lo sguardo imbarazzato, Angel deglutì combattendo con l’impulso di prenderla di fronte a tutti e Cheryl, disgustata, rivolse le proprie attenzioni alla fiamma che tremolava sulla candela.

            Audra, completamente nuda, alzò le braccia al cielo.

            “Kedemiel!” chiamò. Un passero, apparentemente materializzatosi dal nulla, si posò sulla sua spalla e scomparve nell’attimo stesso in cui dieci occhi (Jake, dalla sua posizione, non riusciva a scorgere altro che il corpo di Audra e le stelle) presero a fissarlo incuriositi.

            “Kedemiel!” ripeté la ragazza, poi si chinò sul corpo dell’eccitatissimo mago steso a terra. Lo aiutò a sfilarsi il mantello, la tunica di velluto, gli anfibi neri, i calzini, la maglietta di lana ed i boxer.

            “Ora!” esclamò esortandolo ad amarla. Jake non se lo fece ripetere due volte. Si stese su di lei e la penetrò con impeto. D’improvviso, Audra lo vide mutare. I suoi occhi divennero dello stesso colore degli smeraldi, i lunghi capelli si accorciarono, si arricciarono ed assunsero la stessa tonalità verde degli occhi. Le labbra si assottigliarono, il naso divenne piccolo e leggermente all’insù. Audra sentì la pressione di un seno femminile contro il proprio e, spaventata, tentò di ritrarsi. “Netsah!” pronunciò la bellissima donna con un accento che non pareva avere nulla di umano. “Mio Dio!” esclamò terrorizzata Audra. La sua mente continuava disgustata a gridarle che stava facendo sesso con una donna, ma il suo corpo pareva non desiderare altro. Gridò, senza rendersi conto se per l’orrore o per l’estasi.

 

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            Audra aprì gli occhi. Jake, inginocchiato accanto a lei, la stava guardando con apprensione. Era pallido e spettinato. Doveva essersi rivestito in fretta e furia. La maglietta di lana, infatti, giaceva ancora nel mucchio dei vestiti. Aveva perso una lente colorata e sul suo volto ora brillavano un occhio nocciola ed uno blu elettrico. Con dolcezza l’aiutò a tirarsi su. Era ancora completamente nuda, ma qualcuno doveva averla coperta col mantello di Jake.

            “Cos’è successo?” domandò provando un senso di nausea e di vertigine. L’uomo rivolse lo sguardo in direzione degli altri ragazzi. Audra fece lo stesso. Ben doveva aver pianto. Angel aveva un’espressione incredula dipinta sul viso. Drew teneva per mano una spaventatissima Cheryl.

            “Qualcuno vuole dirmi cosa cazzo è successo?” gridò Audra alzandosi.

            “Sei svenuta.” Rispose Ben con voce rotta dall’emozione. Angel le porse gli abiti.

            “Nient’altro?” domandò la ragazza infilandosi il perizoma rosso.

             Nessuno rispose.

            “Cosa sono tutti questi misteri? Sono svenuta! E allora?  E’ da stamattina che non mangio! Penso che non ci sia niente da...”

            “Guardati!” disse improvvisamente Cheryl avvicinandosi e porgendo alla cugina uno specchietto.

            Audra continuava a non capire. Prese lo specchietto e si guardò. Rimase a bocca aperta vedendo l’immagine di una ragazza bella oltre ogni immaginazione.

            “Ha funzionato!” gridò cominciando a saltellare come un’indemoniata. “Ha funzionato! Non esiste al mondo ragazza più bella di me!” Scoppiò in una risata isterica.

            “Ti rendi conto di quello che abbiamo fatto?” domandò Cheryl ad un passo dalle lacrime.

            “Invidiosa?” la stuzzicò Audra. “No? Dovresti esserlo!”

            Cheryl distolse lo sguardo. Drew la cinse in un abbraccio. Ben si avvicinò cautamente all’amica.

            “Audra, sei diventata così bella che qualcuno potrebbe uccidere per te!” esclamò serio. “Mio Dio! Come hai fatto? E’ stato lo spirito che hai evocato a renderti bella come una dea? Mio Dio! Pensavo che non sarebbe successo niente, anche perché non avevo portato la bussola e non ero sicuro che l’altare fosse proprio rivolto ad est...”

            “Dobbiamo chiudere l’entrata!” gridò improvvisamente la ragazza rendendosi conto dell’importanza dell’affermazione di Ben. Iniziare un’evocazione coll’altare rivolto a nord equivaleva ad invitare i demoni ad entrare nel nostro mondo! Il cuore prese a martellarle furiosamente in petto. “Fa’ che non sia rivolto a nord! Fa’ che non sia troppo tardi!” pregò in preda alla disperazione.

            “Tornate ai vostri posti!” esclamò ai compagni. “Dobbiamo chiudere il rito. Jake, portami la carta col pentacolo!”

            Audra si sistemò al centro del circolo con Ben, Angel, Cheryl e Drew intorno ad indicare rispettivamente l’ovest, il nord, il sud e l’est.

            “Monstrum et locis emissum summis abi nunc ex oculis meis!” recitò la ragazza. Con questa formula Audra congedò lo spirito evocato. Batté nove volte le mani e sospirò sollevata.

            “E’ finita!” esclamò esibendo un sorriso capace di far spuntare i fiori sui sassi.

            “Cos’è quel vapore?” domandò Jake porgendole la carta col pentacolo e scomparendo insieme ad essa l’attimo successivo.

            Cheryl gridò.

            “Qualcosa non ha funzionato!” esclamò Angel.

            “Audra!” urlò Ben isterico. “Là, nel triangolo!”

            Una creatura mostruosa stava tentando di eludere la prigione creata dai due triangoli all’esterno del circolo. La testa, le braccia ed il busto erano quelli di una donna. La parte inferiore, invece, era un ammasso di spire culminanti in un sonaglio. Pareva una creatura uscita da un incubo.

            Audra scoppiò in lacrime terrorizzata.

            Angel raggiunse la ragazza e la schiaffeggiò:

            “Fa’ qualcosa! Sei l’unica in grado di salvarci!”

            Audra, in preda a violenti singhiozzi, tentò di pronunciare la formula.

            “Mon... monstrum et lo... et locis emissum sum... summis abi nunc ex ocu... oculis meis. “ Batté le mani nove volte, poi si coprì il viso e ricominciò a piangere.

            “E’ scomparso!” esclamò Angel sollevato. “Ce l’hai fatta, piccola!”

            “Dov’è Jake?” singhiozzò Audra.

            Tutti tacquero. Anche Ben scoppiò in lacrime.

            “Smettila di piangere, idiota!” ringhiò Angel. Furono le sue ultime parole, poi il demone apparve dietro di lui e lo sbatté al suolo con violenza. Dalla terra uscirono intere legioni di vermi che in pochi istanti lo divorarono sotto lo sguardo terrorizzato degli altri ragazzi.

            “TERRA!” scandì il demone con una voce che faceva accapponare la pelle, poi si esibì in quella che pareva la parodia di una risata.

            “ACQUA!” disse volgendo il proprio sguardo verso Ben. Gli occhi gialli e crudeli del demone furono l’ultima cosa che Benjamin Mc Kane vide fra le lacrime, poi il suo corpo esplose e di lui non rimase che una lugubre pozzanghera di sangue.

            “ARIA!”

            “No!” esclamò Cheryl spingendo con veemenza Drew al fine di allontanarlo dal raggio di azione del demone. Il ragazzo inciampò nella corda, perse l’equilibrio e volò bocconi fuori dal circolo di protezione. Si rialzò in tempo per vedere Cheryl avvolta dalla fiamme.

            “FUOCO!” gridò trionfante il demone.

            “Cheryl!” urlò Drew in preda alla disperazione. Il Demone avanzò strisciando verso di lui.             Raggiunse poi la corda con l’intenzione di uscire dal circolo di protezione, ma non riuscì ad oltrepassarla. Ruggì di frustrazione. Drew cadde pesantemente sulle ginocchia. Cheryl gli aveva salvato la vita. Il demone, adirato, si diresse verso Audra. La ragazza continuava a piangere incurante del pericolo ed inerme come un neonato.

            “Audra, esci dal circolo di protezione!” gridò Drew con tutta la voce che aveva in gola tentando di sovrastare le ultime, angoscianti urla di dolore di Cheryl. La ragazza parve non sentirlo. Il demone si avvicinò alla bellissima fanciulla e si fermò di fronte a lei.

“Audra!” gridò Drew incapace di muoversi mentre cascate di lacrime inondavano il suo viso.

Audra alzò il viso verso il demone ed incontrò il suo sguardo malvagio. Lanciò un urlo di terrore e si accasciò al suolo svenuta. Drew chiuse gli occhi incapace di guardare. La creatura, apparentemente, non le fece però del male. Si limitò a sfiorarle il capo con una mano squamosa poi, così come era apparsa, scomparve.

 

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            Jake si guardò intorno e non vide che infinite distese di papaveri contro un cielo arrossato dal tramonto. L’aria era troppo calda ed odorava insolitamente di zolfo.

            “Dove sono?” domandò a se stesso. Fra le mani stringeva ancora il foglio sul quale in precedenza si trovava il pentacolo. Il disegno era scomparso ed al suo posto brillava ora una macchia color cremisi. Lo lasciò cadere e rimase attonito ad osservarlo mentre si appoggiava al suolo e prendeva fuoco a contatto con la terra.

            “Mio Dio, dove sono?” esclamò involontariamente ad alta voce.

            Alle sue spalle, qualcuno rispose con dolcezza alla sua domanda:

            “Sei nel mio regno, Jake Drake.”

            Jake si volse di scatto verso quel suono e si trovò faccia a faccia con una bellissima donna seminuda.

            “Chi sei?” domandò osservandola. La donna aveva lunghi capelli color cremisi, occhi ambrati e due labbra di porpora. Indossava solamente un lungo pareo amaranto. Era particolarmente abbronzata ed ostentava due piccoli seni rotondi.

            “Feyt.” rispose

            “Piacere di conoscerti Feyt!”

            “Sto sognando!” pensò Jake. “Dopo tutto quel sesso con Audra devo essermi addormentato ed ora sto sognando!”

            “Vieni con me!” esclamò Feyt prendendolo per mano. Jake ebbe l’impressione di stringere un tizzone ardente.

            “Dove mi porti?” domandò.

            “E’ una sorpresa!” rispose la donna. “Ti fidi di me?”

            Non si fidava di lei, eppure la seguì. Mentre correvano tra i papaveri, una donna seminuda ed un uomo vestito da stregone, Jake non riusciva a fare a meno di distogliere lo sguardo dalle sue curve sensuali e, più passavano i secondi, più si sentiva eccitato.

            D’improvviso, Feyt si bloccò.

            “Perché ci siamo fermati?” domandò Jake.

            Feyt si slacciò il pareo e lo lanciò in aria. Jake lo osservò ondeggiare a lungo, in un movimento quasi ipnotico, prima di raggiungere il suolo. Anch’esso, come il foglio, prese immediatamente fuoco a contatto con la terra.

            “Guardami!” ordinò la donna senza dolcezza alcuna nella voce.

            Jake, come un marionetta, obbedì.

            “Sei bellissima!” esclamò accarezzando con lo sguardo ogni parte del suo corpo abbronzato. 

            “Baciami, allora!” tuonò imperiosa.

            Di nuovo Jake non seppe resisterle e la baciò. L’uomo ebbe l’impressione di appoggiare le labbra sulle fiamme e di sfiorare con la lingua una guizzante lingua di fuoco. Tentò di ritrarsi, ma la donna glielo impedì. La vista gli si annebbiò a causa del dolore. Sentì le lacrime rigargli il volto. Quando Feyt lo lasciò andare, Jake barcollò e cadde a terra supino. I suoi abiti ed i capelli si incendiarono immediatamente a contatto col suolo, ma le fiamme non gli causarono dolore alcuno. Nudo come un verme, completamente calvo, debole ed impaurito come un bambino, tentò di rialzarsi, ma Feyt lo bloccò col peso del proprio corpo.

            “Ora possiedimi!” ruggì la donna.

“No!” tentò di gridare l’uomo, ma il bacio gli aveva ustionato le labbra, la lingua e le corde vocali.

“Sei in mio potere, stupido mortale!” esclamò Feyt scoppiando poi a ridere sguaiatamente. “Ed ora io voglio che tu faccia quello che ti ho ordinato!”

Jake non poté ribellarsi al demone. Per interminabili ore fu costretto a fare l’amore, mentre la sua pelle bruciava ad ogni contatto con quella di Feyt. Alla fine, stancatosi del nuovo passatempo, il demone assunse la sua vera forma e scomparve lasciandolo febbricitante e completamente ustionato fra i papaveri.

 

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            Jake si svegliò lieto che l’incubo fosse terminato. Si sbagliava. Quello che credeva esser stato un bruttissimo sogno si rivelò invece essere fin troppo reale. L’intero suo corpo era annerito e martoriato da vesciche biancastre e purulente. Il dolore era insopportabile. Aveva assolutamente bisogno di cure o sarebbe morto. Tentò di gridare, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Ancora non si rendeva conto che non sarebbe mai più stato in grado di parlare. Si rialzò a fatica.

            “Dove sono?” pensò in preda alla disperazione. La risposta alla sua domanda non tardò ad arrivare colpendolo come un pugno in pieno stomaco. Era prigioniero in quella che sembrava una gigantesca gabbia per uccelli.

            Oltre le sbarre, una creatura orripilante lo stava osservando incuriosita. Il volto assomigliava vagamente a quello di Feyt, ma la parte inferiore del corpo era quella di un gigantesco serpente a sonagli.

            “Non morrai, sta’ tranquillo. Vi ho resi tutti immortali sì che la mia collezione duri in eterno. Dovresti sentirti orgoglioso di esser entrato a far parte del mio zoo!” esclamò con voce cavernosa il demone. “Mi mancava un essere umano!”

            Jake sentì l’intero mondo crollargli sulle spalle. Attraverso le sbarre, fin dove i suoi occhi riuscivano a vedere, non riuscì a scorgere altro che decine di gabbie come la sua. In quella di fronte a lui vide quello che doveva essere stato uno splendido angelo. Uno stretto collare di metallo intarsiato di rune cingeva il suo collo e ad esso era collegata una lunga catena. Le candide ali piumate erano lacerate in più punti e gocce di luce stillavano da numerose ferite. Con orrore si rese conto che alla creatura celeste erano stati strappati gli occhi. Tentò per la seconda volta di gridare. Cadde poi al suolo piangendo come un bambino. Il demone si allontanò.

            “Ti abituerai, umano, così come si sono abituati tutti! Non esiste via di scampo!” esclamò prima di scomparire.

            Nella gabbia di fronte a lui, l’angelo cieco percepì il suo dolore e lanciò uno straziante grido in direzione del cielo. Dopo centinaia di anni di prigionia, ancora non si voleva arrendere all’idea che Dio li avesse abbandonati.

 

Fine

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