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Favola Nera

 

    Come umidi riccioli d’un angelo albino, spirali di nebbia danzavano sul freddo tappeto di foglie, rendendo inquietante il paesaggio attorno al capanno di caccia del duca. Cullati dall’odore primordiale dell’humus, salivano dal terreno, ipnotiche ballerine, mentre l’esercito del Silenzio, in punta di piedi, conquistava il mondo. Avvolti in un manto di foschia reso opalescente dal tocco fatato della luna, anche i Treant, gli antichi alberi custodi delle foreste elfiche, parevano dormire, ma il Seguace della Lama Danzante sapeva che non era così. Mentre si avvicinava al capanno del duca, sentiva i loro sussurri, semplici scricchiolii e fruscii per le sorde orecchie umane, malinconiche poesie per le sensibili orecchie degli elfi..

   All’interno del capanno, dopo una lauta cena, il duca fumava la pipa, mentre nel camino, tra le fauci del fuoco, un grosso ceppo scoppiettava di dolore. Sul volto abbronzato del nobile, fiero ed appena segnato dal tempo, pareva essersi posata un’ombra; i suoi occhi, due piccoli smeraldi, erano cupi, persi in chissà quali malinconici o grevi pensieri. Al suo fianco, tramutata in demone dal riverbero del fuoco, una donna dal volto di gatto, avvolta nei più costosi tessuti provenienti dalla terra degli Gnomi, teneva sulle ginocchia, fra le ingioiellate mani affusolate, un grosso tomo aperto. Le sue pupille ambrate si spostavano continuamente dalla pagina del libro agli occhi dell’uomo. Se il duca avesse incontrato lo sguardo della donna-gatto, avrebbe di certo compreso le sue lascive intenzioni, ma l’uomo stava nuotando nel mare dei ricordi e si rendeva a malapena conto della presenza della provocante compagna.

    Il Seguace della Lama Danzante si fermò un istante ad osservare il fumo che usciva dal comignolo del piccolo capanno di pietra. Alle sue spalle, a pochi metri di distanza, l’altro viandante approfittò della breve pausa per sistemarsi il cappuccio. Il tocco della notte era umido e freddo, come se fra le sue dita fossero rimaste impigliate le lacrime e l’indifferenza degli uomini. Sotto l’inespressiva maschera nera dell’Ordine, le labbra dell’elfo si arricciarono in un sorriso al pensiero che, fra pochi istanti, avrebbe rivisto il duca. “Riesco ancora a sorridere?” domandò con stupore a se stessa, poi riprese a camminare in direzione del capanno, sussurrando, come se stesse salmodiando un incantesimo di protezione, il nome del duca Markus C. Drake. Dietro di lei, appoggiata ad un bastone nodoso, la dinoccolata figura incappucciata attese qualche istante poi, lentamente, riprese a seguire il compagno di viaggio.

    Mia’layr chiuse il tomo in un gesto stizzito, si alzò e, camminando lentamente per sottolineare ad ogni passo il movimento del proprio corpo, lo ripose sulla mensola accanto al camino. Si avvicinò al fuoco. Le fiamme accendevano riverberi d’oro sulla peluria color sabbia che la ricopriva dalla testa ai piedi. Si piegò sulle ginocchia, lo sguardo fisso nel cuore del fuoco. Attese a lungo che il duca dicesse o facesse qualcosa, infine si arrese. “Markus, io vado a letto.” Esclamò, lacerando il silenzio. Alle sue parole, le lingue di fuoco si incresparono lievemente. Abbandonò la posizione accosciata e, amplificando la sensualità della propria andatura per stuzzicare l’interesse dell’uomo, si diresse nell’altra stanza. Il duca ignorò il provocante movimento delle sue natiche rotonde. Quella era la notte in cui Gwyneldisin avrebbe bussato alla sua porta, lo sapeva, lo sperava, e tutto il resto non contava nulla.

    Dalla morte della duchessa, Markus C. Drake aveva avuto molte amanti, donne provenienti da ogni parte del continente, giovani e belle. La stessa Mia’layr, sua attuale compagna di letto, regina del popolo nomade dei Miamarr, gli uomini-gatto, si era spontaneamente offerta a lui un anno prima, attratta dal suo potere. Nessuno si fidava dei Miamarr, ma ciò che il duca voleva dalla donna-gatto non era di certo la sua fiducia. Alla fin dei conti, si trattava di uno scambio equo. Potere e ricchezza per Mia’layr, abiti, gioielli ed ogni comodità; una compagna giovane ed ambita da mostrare in pubblico, proprio come un diadema o un purosangue, e capace di soddisfare le sue voglie, invece, per il duca. Le arti amatorie dei Miamarr erano leggenda ed il duca Markus C. Drake era l’uomo più invidiato della regione.

    Quella notte, però, tutto questo non contava. Gwyneldisin era la purezza, l’acqua corrente che lavava via dalle sue mani e dal suo cuore la lordura del mondo. Gwyneldisin era l’innocenza, la sensibilità, il lato buono delle cose. Solo la rimpianta duchessa Elayne, morta dando alla luce suo figlio, e Gwyn avevano segnato la vita del duca. Tutte le altre donne, non erano state che un passatempo, frivoli giocattoli di cui ora, nella maggior parte dei casi, non ricordava neppure il nome o, semplicemente, surrogati dell’amore perduto. GWYNELDISIN. Quello, di certo, era un nome che non avrebbe mai scordato, una persona che non sarebbe finita nell’oblio.

   Il guanto di velluto nero attutì lievemente il rumore del suo pugno contro la porta. Bussò tre volte, come era solita fare, mentre alle sue spalle la figura incappucciata rimase nascosta nell’ombra. L’attesa le parve interminabile, cosa alquanto insolita per una creatura che aveva già vissuto più di trecento anni e che, per i canoni degli elfi, era ancora piuttosto giovane. Si guardò intorno. Agli elfi non era concesso il privilegio di vedere il volto di un Seguace della Lama Danzante, questa era la regola. Quando i Treant le confermarono che era sola, si tolse la maschera.

   Il duca aprì la porta e rimase a fissarla, incapace di parlare. Era trascorso solo un anno dall’ultima volta che l’aveva vista, ma del suo volto non ricordava che gli occhi, quegli enormi occhi a mandorla che racchiudevano due lune d’un verde trasparente ed intriso di magia aliena.

“Mellonmin!” sussurrò l’elfo. “Amico mio!”

    Il duca, incapace di proferire una sola sillaba, seppur timoroso di sfiorare quella piccola ed apparentemente fragile creatura (l’elfa arrivava a malapena alle spalle del duca), la strinse fra le braccia e le posò le labbra sulla testa. I capelli di Gwyn, della stessa tonalità dei campi di grano, profumavano di rose e mughetti, erba appena tagliata e sole. L’elfo posò la guancia sul torace di Markus. La casacca oro ed amaranto dell’uomo, invece, era intrisa di fumo.

   “Sapevo che saresti venuta, Gwyn, amica mia!” esordì il duca liberandosi, seppur riluttante, dall’abbraccio.

   Alle loro spalle, mentre l’elfo rispondeva all’affermazione del duca con un sorriso di miele, la figura ammantata allungò una mano verso una grossa falena e l’accarezzò. La creatura alata, come se fosse improvvisamente divenuta di granito, cadde pesantemente al suolo e non si mosse più.

   “Quando un Seguace della Lama Danzante fa una promessa, deve mantenerla” disse l’elfo sedendo accanto al fuoco. Precedendo il duca che aveva aperto la bocca per replicare, continuò: “Io tengo a te, Markus. E’ per questo che stasera, nonostante tutto, sono qui.” Lo fissò con affetto. “Non vuoi che il mondo scopra il tuo lato dolce, amico mio, ma non puoi impedire ad un elfo di scorgerlo. E’ la prima cosa che ho notato quando ci siamo conosciuti: una dolcezza rara palpita dietro i tuoi occhi verdi!”

   Una folata di vento gelido riuscì ad intrufolarsi nel capanno prima che il duca chiudesse definitivamente il mondo oltre la porta Il compagno di viaggio dell’elfo posò il bastone in un angolo e sedette accanto al tavolo, dalla parte opposta del camino. Con un gesto posato, allontanò il cappuccio dal volto. I suoi capelli erano dello stesso colore del cuore delle tenebre; i suoi occhi, invece, erano lattescenti, luminosi come perle e completamente ciechi. Davanti a lui, una falena partì per l’ultimo volo verso l’invitante luce del fuoco. L’uomo dagli occhi lattescenti seguì il volo dell’insetto fino in fondo.

                  Il duca prese una sedia e sedette accanto all’amica

   “Questo è un segreto che dovrai custodire gelosamente, mia cara!” rise il duca. “Non vorrai intaccare la mia fama di duro, vero?”

    “Oh, non sia mai!” L’aria si riempì delle risate cristalline dell’elfa. “Questo è per te, Markus, è il mio regalo di compleanno, ma vorrei che lo aprissi solo domani, quando io sarò lontana, così mi penserai almeno un’altra volta...”

    Il duca prese il regalo avvolto nel velluto verde e, assecondando l’amica, lo nascose in uno scomparto segreto del tavolo, poi tornò al suo posto. Il cieco viandante non batté ciglio.

        “Solo domani? Sarai con me ogni giorno, come lo sei sempre stata...” un pensiero, come un fulmine che anima l’oscurità, attraversò la sua mente.

“Domattina te ne andrai?” domandò pur sapendo già la risposta.

                  “Conosci i miei doveri, Markus.” Rispose l’elfo prendendo fra le sue la mano destra del duca.

                  “Così pura...” pensò il duca. “Così immacolata che la mia sola presenza potrebbe esser deleteria. Così insolita... Vorrei vederti con gli occhi di un elfo per capire cosa significhi trovarsi al cospetto di un Seguace della Lama Danzante, un paladino elfico per il quale la propria vita non è che una moneta di scambio per la felicità dei propri simili...”

                  “Sì, li conosco.” Rispose abbassando lo sguardo. Non temeva di mostrare le proprie emozioni alla cara Gwyn. Inoltre, aveva sempre il dubbio che lei sapesse leggere nel suo cuore.

                  “Così eterea... Chi sei realmente Gwyneldisin? I tuoi nemici devono temere la tua spada ageminata... i tuoi amici il tuo sguardo profondo... Io ti vedo come un essere fragile e dolce, troppo sensibile per questo mondo, sempre in lotta con tutto quanto si scontra coi tuoi ideali. La vita è una battaglia continua... Forse dovremmo risparmiare le forze...”

     Sempre tenendo la mano del duca, Gwyneldisin disse: “Mi sei mancato, Markus.”

                  “Amica mia” pensò “A volte mi spaventa quello che vedo nei tuoi occhi, ma non ti vorrei diversa. Giusta? Sbagliata? E chi può dirlo? Di certo rara e ringrazio gli Dei per l’affetto e la lealtà che mi dimostri.”

                  “Anche tu, Gwyn, lo sai.”

   Sì, Gwyneldisin, il Seguace della Lama Danzante, lo sapeva. E sapeva che avrebbero trascorso la notte raccontandosi gioie e dolori, aggiungendo un’altra maglia alla trama della loro amicizia, proprio come lo sapeva il duca Markus C. Drake.

   L’indomani mattina, col cuor leggero e l’anima in pace, Gwyneldisin avrebbe baciato il duca, avrebbe indossato la maschera nera dell’Ordine e, precedendo il taciturno compagno di viaggio, sarebbe ripartita. Il cieco viandante, proprio come con la falena, l’avrebbe seguita con lo sguardo fino alla fine del suo ultimo viaggio. L’elfo sarebbe scomparso per sempre appena svoltato l’angolo, sotto i nodosi occhi di un incredulo Treant.

     A due settimane di cammino, nella città elfica di Calen’Lasse, città natale di Gwyn, nello stesso istante in cui l’elfo salutava per l’ultima volta il duca, si stavano celebrando, da sei giorni, i funerali di Gwyneldisin di Redblade, Seguace della Lama Danzante, caduta con onore nella battaglia contro i Drow, gli elfi scuri del sottosuolo, nemici giurati degli elfi di superficie.

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