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Duncan e Giudy

 

 

Seduto sugli scogli, con le gambe incrociate e lo sguardo profondamente assorto, Duncan ascoltava la voce del mare mentre il cielo corteggiava una lattescente e timida alba. Le prime luci del giorno accendevano riverberi ramati fra i suoi capelli corvini, riflessi che il vento, geloso forse del fascino dell’uomo, si affrettava rapidamente a spegnere soffiandovi sopra con inaudita veemenza…

Nell’attimo stesso in cui l’aurora detronizzò l’alba, avvicinò la mano alla chitarra che giaceva silente al suo fianco. Una scintilla si accese nei suoi penetranti occhi grigiazzurri, specchi di un animo nel quale pensieri malinconici - plumbei come le nubi gonfie di pioggia - e pensieri gioiosi - cerulei come il cielo sereno – avevano imparato a convivere in armonia.

            Il momento si avvicinava.

            Il vento continuava a strofinarsi lascivo contro il mare, ma Duncan pareva non accorgersi della sensualità che la natura cercava di trasmettere a quell’inusuale spettatore. Il suo sguardo era sì rivolto alle onde spumose, ma la mente stava visitando antichi reami.

            Pensava a lei, al suo profumo di gelsomino ed alla sua risata perennemente sospesa tra la voglia di lasciarsi andare e la paura di farlo.

            Un gabbiano lanciò uno stridulo richiamo in direzione dell’astro nascente, quasi volesse essere il primo a rendergli omaggio, poi si allontanò alla ricerca di cibo. Duncan si strinse maggiormente nel cappotto. L’alito gelido della notte, non ancora mitigato dai caldi baci del sole, aleggiava fuori e dentro di lui. Quanto sarebbe stato liberatorio attribuirgli la colpa dell’improvviso tremito delle mani! Ma sapeva fin troppo bene che il freddo non ne era la vera causa.

            Il pensiero di lei era la fonte della sua agitazione.

            Quanto si sentiva vulnerabile! Prese la chitarra e la strinse a sé. Non era ancora giunto il momento di suonare, ma toccarla riusciva ad infondergli tranquillità. Quello strumento pareva essere l’unica cosa reale nell’onirico scenario in cui si stava muovendo.

            Il suo attaccamento morboso alla realtà e le sue convinzioni in merito avevano iniziato a vacillare nell’attimo stesso in cui l’aveva conosciuta. 

Lei pareva esser la  protagonista di un bellissimo sogno finita per sbaglio nel mondo reale! Bastava averla accanto per pochi istanti per rendersi conto di quanto fosse ampio il divario tra i sogni e la realtà, di quanto fossero dolci i primi ed amara la seconda! Bastava parlarle per comprendere quanto sopportasse a fatica la prigionia all’interno della materialità della vita.

Duncan sospirò. Se qualcuno avesse guardato nei suoi occhi si sarebbe immediatamente reso conto delle emozioni che lo stavano devastando. Ma chi lo avrebbe realmente fatto? Chi poi se ne sarebbe curato?

Lei lo avrebbe fatto. Quante volte aveva distolto lo sguardo di fronte ai suoi grandi ed indagatori occhi, più simili a quelli languidi e liquidi di un cerbiatto che non a quelli di una qualsiasi donna, timoroso che lei potesse strappargli i più intimi segreti con un solo battito di ciglia! Quante volte era fuggito per paura di donarle spontaneamente una parte di sé! Quanto si sentiva solo ora che nessuno l’amava come la sua Giudy l’aveva amato!

            Duncan abbozzò un sorriso malinconico. Ora gli mancavano tutta la luce ed il calore di cui lei lo aveva inondato. Sentì le lacrime salirgli agli occhi. Le ricacciò con forza. Non voleva che lei giungesse prima del previsto e lo vedesse piangere.

Il sole sbocciò in tutto il suo splendore illuminando lo sguardo triste di Duncan.

            Cosa avrebbe detto lei di fronte ad uno spettacolo del genere?

“Se tu potessi vedere, Duncan! Dio è riuscito a far brillare il sole nei tuoi occhi coperti di nubi! Non è forse un miracolo questo?” oppure “Non temi l’ira di qualche invidioso dio minore quando ti rendi conto di quanto siano belli i tuoi occhi? Neppure il sole riesce ad eguagliarne la lucentezza ed il calore!”…

Questo probabilmente avrebbe detto. Lei era fin troppo romantica e non sapeva vedere il mondo se non attraverso un velo di poesia. Era in grado di scorgere magia anche là dove tutti pensavano che non ce ne fosse.

Questa volta Duncan lasciò che una piccola e salata stilla d’argento rotolasse lungo la sua guancia pallida. Se lei fosse giunta in quel momento, avrebbe sicuramente saputo cogliere la poesia di quel gesto.

Sette in punto. La suoneria dell’orologio che portava al polso lo ricondusse alla realtà. Era giunto il tanto atteso e temuto momento. Si alzò a fatica stringendo la chitarra a sé ed attese.

Tre anni prima lei era morta gettandosi in mare dallo stesso scoglio su cui Duncan era stato seduto fino a pochi istanti prima.

Tre anni prima lei era morta alle sette.

Tre anni prima lui si era odiato fino a rischiare di morire a sua volta per non averla saputa salvare in tempo.

Lei era come un fiore. Aveva bisogno del sole per sopravvivere. L’aveva sufficientemente inondata di luce? L’aveva sufficientemente amata? Questa era una delle domande che avevano assillato Duncan in questi tre lunghi e dolorosi anni.

 Perché lo aveva fatto? Perché aveva posto fine alla sua vita? Forse si era resa conto che nessuno meritava il suo amore? Duncan pregava che non fosse così. Forse si era svegliata una mattina ed aveva compreso che i sogni erano il luogo da cui proveniva e che la realtà, invece, era un incubo nel quale era rimasta prigioniera come una vanessa nella tela del ragno?

Una seconda lacrima seguì la prima.

Duncan si era sentito in colpa ed ancora oggi, dopo tre anni, faticava a credere il contrario. Se solo le avesse dato modo di parlare maggiormente con lui! Perché non lo aveva fatto?

 Maledisse il destino che tratta gli uomini come pedine. Aveva dato scacco a lei, la regina bianca, e l’aveva eliminata dalla scacchiera con un rapido gesto della mano. Aveva spezzato il cuore del re bianco. Aveva separato due persone che, in un mondo fin troppo fittizio, realmente si amavano.

Che senso ha una partita in cui il destino gioca contro se stesso e sceglie chi sacrificare sull’altare del Fato, sulla base di regole che agli uomini non è concesso conoscere?

L’uomo scoppiò a piangere.

Nell’attimo in cui lei arrivò nuotando, Duncan sentì poi le forze mancargli e si asciugò rapidamente le lacrime.

Il delfino raggiunse lo scoglio sul quale si trovava l’uomo, saltò fuori dall’acqua per un istante ed il sole baciò la sua pinna triangolare ed il corpo pisciforme. Ebbe appena il tempo di far luccicare il dorso bruno-verde della creatura prima che il delfino rientrasse in acqua schizzando il volto e le mani di Duncan e ne uscisse poi solamente col capo e col muso. Duncan sapeva che si trattava di lei. L’aveva sognata due anni fa, la notte che precedeva l’anniversario della sua morte.

            Lei gli era apparsa in sogno in forma umana, molto più bella di quanto non fosse stata un tempo. Era radiosa ed il suo sorriso era finalmente completo. “Oh, Duncan! Non piangere per me! Io sono così felice ora! Non sono morta, non è come pensi! Ho semplicemente desiderato essere un delfino ed è accaduto! … Ma tu mi manchi, amore mio!” Aveva sussurrato quest’ultima frase con voce dolce e lievemente turbata. “Verrai a trovarmi?”. Duncan si era svegliato di soprassalto e, contrariamente alla logica, si era vestito e si era recato là dove lei era morta. Alle sette in punto era giunto il delfino…

Duncan non aveva mai creduto che lei si fosse trasformata in un delfino. Forse si trattava di una coincidenza. Forse il suo spirito non riusciva a riposare in pace. Se solo avesse saputo quanto si sbagliava! Ciononostante, ogni anno era tornato su quella scogliera ed aveva aspettato con ansia l’arrivo della creatura.

Il delfino restò in attesa ed i suoi occhietti vispi luccicarono.

Duncan dedicò alla sinuosa creatura uno sguardo stillante miele.

 “Questa l’ho scritta per te, mia dolce Giudy!” esclamò con voce rotta dall’emozione.

Lanciò un bacio al delfino, attese per un istante che le mani smettessero di tremare, poi, con le lacrime che scendevano copiose lungo il suo viso delicato, prese a suonare la più bella canzone che il mare, il cielo e Giudy avessero mai sentito…

 

*   *   *

 

Si lasciava accarezzare da un gelido vento il mare, mentre una gigantesca luna albicocca, affacciata come Giulietta sull’orizzonte, osservava vanesia il proprio volto riflesso nell’acqua. Gelose del suo splendore, alcune stelle si erano rintanate in un angolo e la sfidavano brillando e palpitando furiosamente. Altre, prive di vanità, avevano smorzato il loro lucore e ciondolavano pallide contro un cielo di velluto nero. Branchi di onde selvagge correvano all’impazzata verso gli scogli e la rena ed i loro nitriti –dolce sciabordio!- avevano allontanato il silenzio bramoso di addormentarsi fra cielo e mare. La notte lo aveva visto raggiungere indignato la terraferma e distendersi su pianure, foreste e case. La luna, simile nell’animo a Narciso, aveva continuato a rimirarsi nell’acqua, troppo presa dalla propria beltà per rendersi conto di qualsiasi altra cosa. Contemporaneamente, il mare aveva sorriso. Coccolati dalla spuma, stavano arrivando due dei suoi innumerevoli figli. Il mare ne riconobbe immediatamente uno: era il delfino al quale la creatura di terra aveva donato suoni probabilmente sottratti agli dei del cielo. Quando le pinne triangolari dei due delfini tagliarono a metà la sua immagine nell’acqua, la luna rivolse loro uno sguardo offeso. Il mare di nuovo sorrise. Giudy. Era la creatura di terra che lo aveva implorato di tramutarla in delfino tanto tempo prima.

Seduta sugli scogli, con quello sguardo triste e profondo, pareva una sirena resasi improvvisamente conto di essere l’ultima della sua specie.

“Mare, ti scongiuro!” aveva pregato la ragazza fra le lacrime. “Il mio cuore trabocca di amore, ma il mondo si spaventa di fronte ad un sentimento così grande. O lo fraintende.” Aveva inutilmente tentato di asciugarsi gli occhi.

“ Ci sono giorni in cui il senso di solitudine è talmente opprimente da offuscare la ragione. Ci sono momenti in cui mi sento rifiutata, incompresa e, soprattutto, infelice. Quanto vorrei distruggere tutte le maledette barriere ed i vincoli che gli uomini hanno costruito in nome della libertà e del progresso! Siamo schiavi dei pregiudizi, siamo prigionieri di noi stessi e di quello che altri prima di noi hanno creato. Perché non posso semplicemente amare come il mio cuore vorrebbe che facessi? Perché i miei simili sono così dissimili da me? Non posso continuare a vivere in questo modo! Sono stanca di nascondermi dietro a maschere che neppure mi somigliano! E’ come chiedere ad uno spirito di luce di non brillare per non accecare chi non conosce che la semioscurità. E’ impossibile! Non voglio annullarmi solo perché gli altri non riescono a comprendermi! Oh, mare! Non ce la faccio più.” I singhiozzi le avevano impedito per qualche momento di continuare. Si era poi alzata in piedi, aveva tirato su col naso e si era passata una mano sugli occhi. Asciugate le lacrime, il suo sguardo era divenuto arido.

“Voglio essere libera!” Aveva poi esclamato con voce atona. “Lascia che io diventi un delfino! I tuoi figli non conoscono vincoli, mare! Ti prego, lascia che io sia una di loro!”  Terminate queste parole, si era gettata fra le onde ed il mare, forse più pietoso delle creature di terra ree di aver ucciso quella ragazza, aveva esaudito il suo desiderio.

Il mare accarezzò la figlia adottiva con un’onda spumosa. Tenera Giudy! Il delfino, a sua volta, spiccò un balzo e la vendicativa luna colse l’occasione per bersagliarlo di dardi albicocca. Rientrò poi in acqua fra schizzi argentei e riprese a nuotare felice. Duncan! Al sorgere del sole avrebbe rivisto l’amico che tanto aveva amato, l’uomo che maggiormente si era avvicinato alla verità racchiusa nel suo cuore.

“Giudy” esclamò improvvisamente Violet distogliendola dai pensieri tutti rivolti a Duncan. “Torniamo indietro!”

Giudy eseguì una capriola nell’acqua.

“Ma Violet, muoio dalla voglia di rivederlo!” Continuò a sollevare miriadi di spruzzi intorno a sé. “E poi ci resterà male non vedendomi arrivare!”

Violet avrebbe voluto che fosse così, ma temeva che Giudy si sbagliasse. Se Duncan non si fosse presentato all’appuntamento, la sua amica avrebbe sicuramente sofferto tanto, forse perdendo per la seconda volta la voglia di vivere. Non poteva permetterlo! Duncan era l’unica debolezza di Giudy. Violet avrebbe volentieri reciso quell’ultimo legame con la terraferma se solo avesse saputo farlo senza causare dolore all’amica.

Si limitò a colpire lievemente la compagna col muso poi, con un fil di voce, quasi temesse che le sue parole potessero rendere reale l’ipotesi, domandò:

“E se fosse lui a mancare?”

Duncan le aveva improvvisamente sorriso. Giudy aveva pensato che i suoi occhi fossero molto più belli quando sorrideva.

“Giudy, tu ed io siamo amici?” aveva domandato con quel tono paterno che era solito usare con lei. Di quel giorno il delfino rammentava la luce che, filtrando dalla finestra alle spalle di Duncan, rendeva ogni cosa irreale. Quante volte, ripensando a quei momenti, si era chiesta se non si fosse trattato solo di un bel sogno!

La ragazza aveva annuito pensando che, anche se non avesse risposto, probabilmente il suo sguardo avrebbe tradito quello che provava. Voleva bene a Duncan. Era il fratello maggiore che non aveva mai avuto, lo zio che l’ascoltava, che parlava e giocava con lei, la coccolava, la viziava, la spronava e, talvolta, la sgridava. Era la risposta alla sua disperata richiesta di affetto. Lui le aveva insegnato ad accettare le critiche e, soprattutto, a non arrendersi. Le aveva ridato la forza di continuare quando lei credeva di non averne più, ma questo lui non lo sapeva. Probabilmente non glielo avrebbe mai detto.

“Bene. Allora devi promettermi che non mi farai mai più un regalo.”

Queste parole l’avevano colta alla sprovvista. Avrebbe voluto fargli sapere quanto fosse stato divertente cercare un regalo per lui e che quel dono era il simbolo della loro amicizia. Non lo aveva fatto. Sapeva che non sarebbe stato facile rimanere legata ad una promessa che tanto si scontrava con il suo modo di essere, ma aveva deciso di accontentarlo.

“Okay, ma tu devi promettermi che ripeteremo questa splendida giornata trascorsa insieme e che sarai tu ad invitarmi. Io non ti chiederò più di uscire con me.”

Duncan le aveva sorriso per la seconda volta.

“Sì, certo, ma non sempre! Ogni tanto.”

Giudy aveva trascorso giorni rivivendo quei bei momenti trascorsi al suo fianco ed aspettando con ansia quell’invito che mai era giunto.

Il delfino allontanò quei pensieri cupi. Era già morta una volta. Non voleva ripetere l’esperienza. Voleva essere felice.

“Duncan sarà sulla scogliera, vedrai!” esclamò ad alta voce più rivolta a se stessa che non a Violet. Il mare pregò che fosse così.

“Ed ora vediamo chi arriva prima!”.

Iniziò a nuotare velocemente, ansiosa di raggiungere la meta.

Sperava che Duncan avesse portato con sé la chitarra.  Quanto sarebbe stato bello se lui avesse suonato una seconda volta la stessa canzone che le aveva dedicato l’anno precedente! Violet la raggiunse e le si parò dinnanzi decisa a farla ragionare. Non le piaceva affatto vedere l’amica succube di una creatura di terra.

“Giudy, ragiona!” esclamò esasperata. “Non mi fido delle creature di terra! Non hanno niente in comune con noi!”

Il delfino superò con un agile scatto il corpo affusolato dell’amica disegnando un arco di spruzzi albicocca contro il cielo corvino. Non voleva ascoltare le parole di Violet. Desiderava solo raggiungere al più presto la scogliera.

Le avevano detto di prestare attenzione a Duncan. Le avevano detto che non ci si poteva fidare di lui, ma Giudy non li aveva ascoltati. Non sapevano quello che lei era riuscita a scorgere già al loro primo incontro. Duncan la intimidiva, questo sì, ma al tempo stesso la incuriosiva. Perché la voce di quell’uomo duro e misterioso le pareva incredibilmente carica di dolcezza? Perché la maschera granitica che indossava non riusciva a celare la bellezza del suo animo? E, soprattutto, perché gli altri si erano lasciati ingannare dall’apparenza?

            Si era fidata di Duncan quando ancora di lui non sapeva nulla. Come poteva non farlo ora? Voleva bene a Violet, ma non l’avrebbe ascoltata. Non voleva ripetere l’errore che aveva commesso quando aveva visto in Duncan un nemico.

            Duncan aveva inutilmente tentato di spiegarle che quello che aveva fatto, seppure in buona fede, era sbagliato. Giudy aveva ascoltato le prime parole, poi le fiamme l’avevano avvolta e non era riuscita ad udire altro che le proteste del proprio orgoglio ferito. Senza tante cerimonie aveva interrotto l’amico, poi era sprofondata nel buio quando lui le aveva girato le spalle e se ne era andato. Rabbia! Frustrazione! Il suo cuore sanguinava all’idea di aver completamente deluso Duncan nel tentativo di compiacerlo. Aveva poi tramutato il proprio dolore in parole di ghiaccio destinate a colui che invece avrebbe meritato sonetti di miele...

 “Ci sono rimasto male perché ti voglio bene…” aveva esclamato Duncan la sera successiva all’accaduto disarmando completamente la ragazza.. La sua dichiarazione di affetto l’aveva completamente colta alla sprovvista e, al tempo stesso, l’aveva resa felice oltre ogni immaginazione. Tutto il risentimento provato si era mutato d’incanto in senso di colpa. Quanto avrebbe voluto abbracciarlo e chiedergli mille volte perdono! Se solo avesse potuto, avrebbe rubato la clessidra a Dio ed avrebbe fermato il tempo. I giorni, i mesi e gli anni smorzano i ricordi e Giudy non voleva scordare nulla di quell’attimo divino.

Ancora oggi, a distanza di anni, Giudy pensava a quelle parole e si odiava per averlo fatto soffrire.  Violet non sapeva, quindi non poteva comprendere. Duncan era speciale. Duncan era proprio come Giudy aveva intuito che fosse guardandolo negli occhi. Era dolce, premuroso e sensibile. Non lo avrebbe mai più ferito. Per niente al mondo avrebbe ripetuto una seconda volta lo stesso errore.

             Violet la raggiunse e continuò a nuotare in silenzio al suo fianco. Delle creature di terra, la sua amica aveva mantenuto la caparbietà. Di una cosa era certa: Giudy non si sarebbe arresa. Avrebbe raggiunto ad ogni costo quella maledetta scogliera. Sarebbe rimasta tutto il giorno ad attendere un uomo che probabilmente non sarebbe venuto. Come far capire tutto questo all’amica? Per Duncan, Giudy era morta e l’unico posto dove lui avrebbe continuato a cercarla sarebbe stato nei meandri della mente o fra le pieghe del cuore. Mai e poi mai fra le onde del mare!  Era stato solo un caso se l’anno precedente era tornato nello stesso punto in cui la ragazza si era gettata in mare. Era questo che disperatamente Violet aveva tentato di farle capire, ma Giudy si ostinava a voler dare ad ogni cosa una spiegazione romantica. Duncan l’aveva riconosciuta anche nella sua nuova forma e sarebbe tornato per rivederla. La loro amicizia era troppo forte per non sopravvivere alla morte. Queste erano le convinzioni di Giudy. Quanto era in errore! Violet voleva proteggerla ad ogni costo. Le voleva bene. Aveva trascorso momenti bellissimi accanto a lei e non sopportava l’idea di vederla soffrire. I delfini, dall’inizio dei tempi, sono il sorriso del mare e non possono vivere se non nella gioia, questo Violet lo sapeva. La tristezza li conduce inesorabilmente alla morte…

            “Giudy” esclamò improvvisamente il delfino attirando l’attenzione dell’amica con un’agile capriola nell’acqua. “Perché segui sempre con fervore le leggi del cuore e divieni sorda di fronte alle grida disperate del buonsenso?”

            Quando Giudy soffriva, tutte le cose intorno a lei parevano tingersi di grigio. Quel giorno, persino il sole si era rintanato dietro alle nubi incapace di sostenere il suo sguardo triste. Avrebbe voluto gridare al mondo il proprio dolore, ma non aveva forza se non per ricacciare le lacrime che continuavano ad affacciarsi minacciose ai suoi occhi.  D’improvviso, Duncan era andato da lei ed era riuscito a farla sorridere. Nello sguardo luminoso dell’amico, Giudy aveva scorto la salvezza. Si era aggrappata a lui ed era riemersa dall’oceano di dolore. Di nuovo, come altre volte, Duncan l’aveva riportata in vita.

            “Se hai bisogno, stasera ho cinque minuti da dedicarti.” Le aveva detto senza guardarla negli occhi.

            “Ti adoro!” avrebbe voluto rispondere Giudy cingendolo in un abbraccio.

            “Grazie, sei carino!” aveva invece risposto mentre Duncan usciva dalla stanza.

            Aveva atteso che tutti se ne fossero andati, poi l’aveva raggiunto. Quanto aveva bisogno della sua compagnia! Duncan era l’unico in grado di farle vedere le cose sotto una luce diversa. Forse era l’unico a cui Giudy concedesse di contrastare le sue idee e convinzioni. Aveva tanto da imparare da lui! Quella sera, però, non cercava un confronto. Desiderava solo un po’ di conforto. Forse avrebbe persino pianto, nonostante detestasse farlo, finalmente libera di sfogarsi. Duncan non l’avrebbe giudicata come altri avrebbero invece fatto. Chissà, forse l’avrebbe coccolata. O forse l’avrebbe rimproverata, incapace di destreggiarsi di fronte alle sue lacrime. Questo, però, Giudy non l’avrebbe mai saputo perché il destino aveva improvvisamente afferrato la situazione stravolgendola completamente.

            “Ho deciso di accettare il tuo invito.” Aveva esclamato Giudy sedendosi di fronte a lui. Si sentiva sollevata all’idea di poter contare sulla sua amicizia.

            “Non qui.” Aveva risposto Duncan.

            Giudy non se l’aspettava. Avevano sempre parlato in quella stanza, uno di fronte all’altra. Se però Duncan le faceva una simile richiesta, doveva avere un buon motivo.

            “Dove?” aveva domandato la ragazza fidandosi completamente di lui.

            “Dove vuoi!” aveva replicato l’uomo.

            “No, dove vuoi tu.”

            Duncan si era soffermato a riflettere per qualche istante, poi le aveva proposto di incontrarsi lungo una deliziosa strada di campagna che la ragazza percorreva ogni sera per tornare a casa a patto che ci fosse una piazzola sulla quale sostare. La piazzola c’era, così i due amici si erano messi d’accordo per incontrarsi dieci minuti dopo. Giudy era subito partita, ansiosa di stare un po’ con Duncan. Mentre scendeva le scale, però, una domanda si era affacciata alla sua mente:

            “Ti rendi conto di quello che stai per fare?”.

            Aveva tentato di ignorare quella domanda dettata dal buonsenso per tutto il tragitto fino alla macchina, poi durante il breve viaggio sino alla piazzola, ma aveva miseramente fallito. Questa volta avrebbe dovuto dare ascolto alla ragione. A malincuore aveva telefonato a Duncan.

            “Vado a casa!” gli aveva detto tentando di nascondere quanto quella decisione fosse stata difficile.

            “Ho fatto tardi, ma sto arrivando!” le aveva risposto lui ignorando probabilmente il reale motivo del suo repentino mutamento.

            “No, vado a casa. E’ meglio.”

            “Sei sicura? Guarda che sono vicino!” aveva insistito Duncan facendo vacillare pericolosamente la già fragile convinzione di Giudy.

            “Cosa penserebbe il mio ragazzo se sapesse che tu ed io siamo soli in mezzo alla campagna?” aveva risposto la ragazza.

            Duncan si era scusato, cavaliere fino all’ultimo.

            Giudy aveva poi riattaccato, prima che l’amico potesse percepire il suo reale stato d’animo. Probabilmente aveva fatto la cosa giusta, ma come spiegarlo al cuore? Come convincerlo che Duncan le avrebbe chiesto nuovamente di trascorrere un po’ di tempo insieme? E come impedire all’anima di torturarsi immaginando ogni volta che passava di fronte a quella piazzola – quattro volte al giorno! – due macchine, una grigia, l’altra rossa, una di fronte all’altra e due amici fianco a fianco, persi in chissà quali fantastici discorsi?

“Al diavolo il buonsenso!” rispose il delfino infilandosi sott’acqua. Quando riemerse esclamò:

 “E’ una delle tante prigioni costruite dagli uomini!”

Violet tacque. Delle creature di terra non sapeva molto e non desiderava assolutamente approfondire l’argomento. Lanciò un’occhiata in tralice alla compagna. Giudy continuava ad esibirsi in gaie capriole. Erano spruzzi di felicità quelli che sollevava ogni volta che usciva dall’acqua! Persino la luna pareva non riuscire a rimanere indifferente di fronte a tutta quella gioia. Violet si sforzava di comprendere, ma proprio non riusciva a capire il perché di tanta eccitazione. Se Duncan teneva a Giudy almeno la metà di quanto lei teneva a lui, come aveva fatto a non accorgersi della disperazione che lentamente le stava suggendo il cuore? Perché non le aveva impedito di togliersi la vita? Non aveva il coraggio di chiederlo a Giudy, ma se solo fosse stato possibile, lo avrebbe domandato a quell’uomo.

“Perché l’hai lasciata morire?” gli avrebbe chiesto tentando di imitare quel tono di disprezzo proprio degli esseri umani.

Indugiando su quel pensiero, Violet non si accorse del pericolo che incombeva su Giudy. L’altro delfino, ebbro di euforia, non vide la rete e vi finì dentro. Tentò immediatamente di recuperare la libertà perduta, ma ogni suo sforzo fu inutile. Non riusciva a trovare il punto da cui era entrata! E la corrente continuava a spingerla contro la rete!

“Violet!” gridò quasi isterica. “Aiutami!”

Con uno sforzo sovrumano riuscì a riemergere per un istante ed a respirare una boccata d’aria. Violet tentò in ogni modo di liberare l’amica, ma tutto fu vano.

“Non può finire così!” pensò in preda alla disperazione. “Giudy non può morire!”

L’altro delfino interruppe l’affannosa ricerca dell’uscita, volse i propri occhi dalla pupilla a forma di cuore verso quelli dell’amata Violet ed esclamò:

“Ho un ultimo favore da chiederti, amica mia.” La sua voce era sempre più debole. Sapeva di esser finita in una trappola mortale. “Raggiungi la scogliera e trova Duncan. Avvicinati a lui, spicca un balzo verso quei profondissimi occhi grigioverdi e sfiora il suo viso col tuo muso. Dagli quel bacio che avrei dovuto – e voluto! – essere io a dargli…”

Violet si scagliò in preda alla disperazione contro la rete.

“Deve esserci un modo per liberarti!” gridò in preda alla disperazione.

“Non perdere altro tempo!” pregò il delfino combattendo per riuscire a risalire nuovamente in superficie. “Va’ da lui, ti scongiuro!”

Violet obbedì. Posò un’ultima volta lo sguardo su Giudy e pregò gli dei del mare di risparmiarla.

“Grazie, mia dolce Violet!” bisbigliò il delfino imprigionato prima di perdere completamente i sensi.

Nell’istante che precede la morte, Giudy sognò. Il suo non fu il sogno di un delfino, bensì quello di una ragazza. Era uno splendido pomeriggio d’estate. Il sole rotolava fra le verdeggianti colline e Giudy, seduta su una scomoda sedia di legno, teneva in grembo un libro. Aveva letto per ore mentre tutt’intorno a lei le foglie ed i grilli si erano prodigati per impedire al silenzio di regnare sovrano. Poi, un po’ come era capitato ad Alice, il passaggio fugace di un gatto nero dalla coda mozza l’aveva distolta dalla lettura. Si era alzata, aveva posato il libro sulla sedia e si era incamminata nella stessa direzione seguita dal micio. Aveva oltrepassato il castagno poi, tentando di evitare le ortiche, si era soffermata a pochi passi da uno dei due pali che sostenevano lo spesso filo di plastica per il bucato. Del micio non v’era più traccia alcuna. Pareva esser sparito nel nulla. Giudy aveva fatto spallucce, aveva abbandonato l’infida erba incolta ed era tornata sulla stradina asfaltata che saliva verso la sua la casa. Vista da quella posizione, l’abitazione pareva molto più grande di quanto realmente fosse. D’improvviso aveva cambiato idea. Non aveva voglia di rientrare. Le piaceva sentire il calore del sole sulla pelle. Aveva girato le spalle alla casa. Di fronte a lei la piccola strada in discesa, dopo una stretta curva a gomito, andava a ricongiungersi alla strada principale. Decise di scendere. Non aveva una meta precisa: desiderava solo camminare un po’. Dopo pochi passi, aveva scorto una macchina proprio nel punto in cui la stradina toccava perpendicolarmente l’altra strada. Un’auto aveva abbandonato la strada principale e stava salendo nella sua direzione! Giudy si era accigliata. Odiava quando il suo paradiso si empiva di rumorosa gente. La sua espressione era però mutata quando si era resa conto di chi stesse arrivando. Duncan! Il suo amico aveva parcheggiato la macchina accanto al palo dove solo pochi minuti prima la ragazza si era soffermata a cercare il micio. Era poi sceso dall’auto e, sotto lo sguardo incredulo di Giudy, si era guardato intorno ed aveva esordito:

“Carino qui!”

Il suo sorriso aveva poi contrastato il lucore del sole.

“Sei venuto a trovarmi!” aveva esclamato Giudy. “Allora sentivi anche tu la mia mancanza!”

Possenti mano che tiravano su la rete e rauche voci che si esprimevano in una lingua sconosciuta la riportarono alla realtà. E l’aria! All’inizio provò un dolore lancinante, poi respirò avidamente, come se le fosse stato impossibile farlo per secoli. Qualcuno le puntò un faro direttamente sul muso.

“Ehi, Jake! Guarda cosa diavolo è finito nella rete! Uno stramaledetto delfino!”

“Toglilo di lì, dannazione!”

“Ah, ah, ah! Il nostro comandante ha il cuore tenero?”

“Va all’inferno, Drew! Kevin, René, ributtate in mare quel delfino!”

Quando i pescatori la liberarono, Giudy impiegò diverso tempo prima di recuperare le forze.  La morte l’aveva reclamata per la seconda volta, ma gli dei del mare l’avevano protetta.

La luna tramontò, le stelle si spensero una dopo l’altra. La notte lasciò lo scettro alla perlacea alba, poi il sole inondò di luce l’intero mondo. Suo padre adottivo, il mare, la cullò dolcemente per tutto il tempo. Il vento si mutò in uno zefiro gentile per non provocare ulteriore dolore al delfino.

A metà pomeriggio, Giudy decise di raggiungere la scogliera. Non aveva completamente recuperato le forze, ma confidava che il desiderio di rivedere Duncan le avrebbe impedito di cedere prima di esser giunta alla meta. Il mare e lo zefiro scossero la testa di fronte alla sua ostinazione, ma entrambi l’amavano, così non poterono che assecondarla. Così Giudy, in quella fredda giornata che rievocava la sua trasformazione, cavalcando una spumosa onda gonfiata da un forte vento, si rimise in viaggio. Per tutto il tempo non fece che pregare.

“Fa’ che Duncan non se ne sia andato!”

“Fa’ che Violet riesca a trattenerlo!”

“Fa’ che io sia ancora in tempo!”.